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Parte 2 – E-life e vita reale in un unico connubio

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Academic year: 2021

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Parte 2 – E-life e vita reale in un

unico connubio

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Capitolo 4

Il Social Commerce

Premessa

Quest’estate, mentre a lavoro stavo analizzando alcuni fashion blog per conto di una nota scuola di moda, mi sono fatta prendere la mano, e vista la mia passione per la moda, ho cominciato a seguirne alcuni anche fuori dall’ambiente lavorativo. Ciò che mi aveva colpita non era tanto il loro modo di mettersi in mostra, e

fotografarsi ogni giorno con outfit diversi (in fin dei conti, ognuno di noi, quando pubblica una foto di se stesso online lo fa per farsi riconoscere e catturare

l’attenzione altrui), quanto la reputazione guadagnata dalle blogger sia da parte dei loro adepti sia da parte dei media tradizionali, case di moda ed e-commerce specializzati nella vendita di capi d’abbigliamento e accessori1

.

Seguendo questi blog, ho cominciato a prendere ispirazione, avevo la possibilità di carpire le ultime tendenze della moda, senza necessariamente comprarmi qualche rivista e vedere quali marche le blogger preferivano (spesso le blogger ricoprono anche il ruolo di advocates: sostengono, promuovono e invogliano alla conoscenza di un determinato brand/prodotto attraverso capacità di convincimento basato proprio sul trust che queste persone si sono guadagnate in un certo settore).

Tra le varie proposte che visualizzavo, spesso ricorrevano gli stessi brand o gli stessi e-commerce, ma uno in particolare aveva colpito la mia attenzione e ne ho voluto sapere di più. Ho dato un’occhiata all’e-commerce in questione – Asos – e fidandomi dei commenti degli utenti in rete ho fatto il mio primo acquisto. Dopo qualche giorno ho ricevuto il pacco a casa, e le mie aspettative non sono state deluse. Orgogliosa del mio acquisto ne ho parlato con alcune amiche… Risultato? Qualche giorno dopo le mie amiche, sulla scia della mia valutazione, avevano fatto un acquisto su Asos!

                                                                                                               

1 Può sembrare un esempio frivolo, ma si tratta comunque di una realtà consistente che

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Questo è solo uno dei tanti esempi della potenza sviluppata dal passaparola, che ogni giorno circolano sui social network, fino a pervadere la nostra realtà quotidiana. Le persone diventano “media” e possono utilizzare la propria influenza per coinvolgerne altre. Esattamente come è successo a me. Dunque, il consumo cessa di essere fine a se stesso, è condivisione, partecipazione, è esperienza, in una parola, è diventato social.

4.1 Social Commerce: una definizione

People with a passion for something can be infectious

Dan Heath, New York Times

Da sempre il commercio si basa sul racconto. È questo il motivo per cui raccontiamo agli amici quanto è bella l’ultima giacca che abbiamo acquistato, quanto abbiamo mangiato bene in quel ristorante o come sono scortesi le commesse in quel negozio in centro. Ed è anche il motivo per cui amiamo consigliare agli amici quali acquisti fare: nel raccomandare un bel libro o il numero di un bravo parrucchiere riceviamo una gratificazione psicologica implicita, che deriva dal condividere la propria esperienza.

Il web, inteso come il più semplice strumento di connessione tra persone esistente al mondo, è il terreno naturale sul quale si possono sviluppare progetti/piattaforme per il resoconto delle esperienze d’acquisto, e dunque, dar vita al Social

Commerce.

Ma cos’è il Social Commerce?

Da più parti, online, sui blog specializzati, e in ambiente aziendale si sente sempre più parlare di social commerce, ma la sua definizione non è facile, diverse e divergenti sono le descrizioni elaborate dai vari attori del mercato.

C’è chi lo definisce come un “prolungamento” del tradizionale e-commerce: “il social commerce è una particolare tipologia di ecommerce che combina in un unico luogo la ricerca, la valutazione, l’acquisto e la recensione post-vendita di

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prodotti e servizi con l’interazione con tutti i possibili attori coinvolti, per una nuova definizione della shopping experience: altri consumatori, amici, produttori e distributori”2

, chi intende il social commerce come la vendita diretta tramite i social network: “Aprire un negozio si Facebook e curare qui i rapporti con i propri clienti: è il social commerce”3

, “Social commerce is online shopping made easier and/or more useful by social media integration. F-commerce, enabled by the Facebook platform, is the most widespread example of social commerce”,4 chi associa il commercio sociale esclusivamente a quelle piattaforme dove si eseguono gli acquisti di gruppo tramite coupon (es: Groupon, Groupalia), o ancora, chi crede che il social commerce sia gestito e “pilotato” dalle aziende: “Social commerce is when you invite your target audience to play an active role in the “merchandising” of your product or service”5 (social commerce è quando un’azienda invita il proprio target a svolgere un ruolo attivo nel “merchandising” del suo prodotto o servizio).

La cosa che io vorrei sottolineare e che credo fortemente è che il social commerce non parta dalle aziende (come vedremo in seguito le persone parlano di un brand, anche quando questo non è presente sulla rete, o non ha predisposto delle pagine o piattaforme online dedicate), i veri protagonisti sono gli utenti, senza di essi non esisterebbe nessun passaparola, non verrebbero create conversazioni. Le aziende in questo senso svolgono un ruolo secondario. Certamente quello che le aziende dovrebbero fare è predisporre i propri clienti al dialogo, coinvolgerli nel processo di produzione e predisporre dei “luoghi” virtuali in cui questi si possono

incontrare, in modo tale da monitorare e successivamente valutare i feedback degli utenti stessi, ma è chiaro che non ci sarà alcun feedback e alcun passaparola, se non saranno i clienti stessi, in primis, a interagire.

Il social commerce nasce nel momento in cui un utente decide di condividere con gli altri suoi pari, le sue preferenze, i suoi acquisti, le sue esperienze. È coinvolto nell’intero processo, prima, durante e dopo l’acquisto. Mentre l’e-commerce                                                                                                                

2 www.webcopywriter.it/social-media-marketing/il-social-commerce

3 www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2011-11-04/lecommerce-diventa-social-202427.shtml?uuid=AaJyIqIE

4 Definizione di Dave Karpen, autore di www.likeable.com, tratto da: heidicohen.com/what-is-social-commerc

5 Definizione di Larry Wasserman, senior e-commerce executive, tratta da: heidicohen.com/what-is-social-commerc

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tradizionale si rivela asettico, un’esperienza solitamente fatta in solitudine che si esaurisce con l’acquisto, dove i vantaggi sono esclusivamente legati all’utilità (velocità, efficienza, economicità, risparmio) e non all’esperienza sociale. Quella che sta succedendo adesso è una progressiva unione di tutte le forme di socialità che viviamo e sperimentiamo normalmente negli acquisti offline, con la netta differenza che con il web si possono sfruttare volumi di relazioni e rapporti sociali nettamente superiori quanto a pervasività, persistenza e diffusione. L’atto stesso di acquistare comporta implicazioni che vanno al di là del mero atto

“commerciale”, il consumatore postmoderno carica le sue azioni di una forte connotazione simbolica e da altrettanto forti implicazioni psicologiche derivanti dalla necessità di autodefinirsi tramite i propri consumi e dal bisogno di

appartenenza.

Lo shopping è sempre stata un’attività sociale, da svolgere insieme ai propri amici, da raccontare e condividere. Mai come nell’era dei social media questa affermazione acquista valore e importanza. Gli acquirenti sono infatti abituati a coinvolgere i loro amici durante i loro sabato pomeriggio di shopping. Lo shopping indica quindi confronto, socializzazione, condivisione dei propri desideri.

Nell’era dei social media questa esperienza “social” nello shopping si è trasferita online e ha dato vita al social commerce.

Dunque, in base a quello che ho appena scritto, definirei il Social Commerce come dinamica interattiva che si instaura tra persone tramite social network, blog, forum, community e sistemi wiki. Comporta maggiore esperienzialità, l’acquisto stesso diventa più semplice e sicuro, mediato dai consigli di chi ha già avuto esperienze simili prima di noi; si instaurano relazioni tra gruppi di utenti, fondate non esclusivamente sul consumo, ma sulla fiducia, sul sentiment. Il passaparola, su cui si basano molte pratiche tipiche dei social media, diventa lo strumento più efficace di advertising, e quindi un forte driver per i nostri comportamenti d’acquisto.

In conclusione, il Social Commerce è l’evoluzione del commercio elettronico determinata dall’emergere del web 2.0 e dei social media, intesa come dinamica

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interattiva e partecipativa che si instaura tra le persone. Si creano luoghi virtuali dove gli utenti possono dialogare, collaborare e stabilire rapporti di fiducia in grado di guidare e influenzare le decisioni d’acquisto altrui.

4.2 Le origini del Social Commerce

Il primo a introdurre il termine social commerce fu Yahoo! nel 20056 , per descrivere quei luoghi online dove le persone potevano condividere esperienze, dare e ricevere consigli, scoprire beni e servizi utili ai nostri bisogni, e acquistarli con semplicità.

In questo senso, le prime interazioni sociali risalgono a molto prima dell’avvento del web 2.0 e dei social media. Infatti, già Amazon, ad esempio, negli anni ’90 ha introdotto la possibilità per i clienti di inserire le proprie recensioni, creando, inoltre, un sistema di “raccomandazioni” (proposte) basate sulla coerenza di quel prodotto con altri venduti sul sito. Altro esempio è eBay che, viste le funzionalità presenti, potrebbe rappresentare il primo accenno di social commerce. Nato nel 1995 (in Italia è arrivato solo nel 2001) ha dato avvio alla più grande piattaforma-marketplace al mondo: un sito social dove non ci sono ruoli definiti, un acquirente può diventare venditore e viceversa, ed è possibile scambiare opinioni, recensioni e anche feedback (giudizi) sugli utenti stessi.

Da questi esempi si evince come già in epoca 1.0 gli utenti fossero interessati a ricercare informazioni circa i prodotti che acquistavano, ma si trattava pur sempre di un fenomeno circoscritto che non coinvolgeva l’intero sistema mediale. Le interazioni erano limitate esclusivamente a quelle aree dedicate, in quanto mancavano vere e proprie piattaforme aperte alla partecipazione e al contributo del pubblico.

Oltre a mancare una tecnologia che rendesse libera lo scambio di informazioni, ci sono altri motivi, altrettanto importanti, per cui il fenomeno del social commerce è esploso solo di recente e non con la nascita di internet. Innanzitutto, la

possibilità di accesso al web una quindicina di anni fa era assai minore rispetto a quella attuale, sia per gli alti costi di navigazione, sia per l’assenza di tecnologie                                                                                                                

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alternative, come smartphone e tablet, che permettessero l’accesso a internet anche in mobilità, e soprattutto perché il computer non aveva ancora raggiunto una diffusione tale da potersi considerare un fenomeno di massa.

Per questo, il passaparola offline e la pubblicità tradizionale rappresentavano ancora i principali fattori che incidevano sulle nostre decisioni d’acquisto.

È con l’avvento del web 2.0 e la successiva introduzione di tecnologie abilitanti open source come blog, forum, community e social network che permettono ai navigatori di interagire autonomamente che si può cominciare a parlare sul serio di social commerce. Inoltre, l’aumento esponenziale dei brand che si affidano ai nuovi mezzi digitali per comunicare, ha incentivano l’apertura del mercato e la bidirezionalità della comunicazione (fattori peculiare del social commerce stesso), e trasformato il web in un’unica grande “piazza” globale dove scambiare

informazioni.

Leonardo Bellini, autore di una guida sul social commerce7

afferma che l’ampia diffusione del social commerce degli ultimi anni è stata infatti resa possibile dalla convergenza di alcuni fattori e tendenze a livello mondiale:

• La crescita dei social network, non solo in termini di utenti registrati ma

soprattutto di tempo medio passato online sui social network.

• Sui social si parla di brand, prodotti, occasioni ed esperienze di acquisto e

di consumo.

• Esplosione dei fenomeni dei gruppi d’acquisto.

Per quanto riguarda l’ultimo punto, vorrei fare una precisazione: personalmente non ritengo i gruppi d’acquisto un vero e proprio esempio di social commerce. A favore di siti come Groupon o Groupalia va detto che permettono agli utenti di acquistare servizi e prodotti che altrimenti avrebbero pagato una cifra superiore o che non avrebbero comprato affatto, incentivano gli utenti stessi a parlarne, in quanto per attivare la promozione è necessario raggiungere un numero minimo di coupon acquistati, ma manca la fidelizzazione. Le aziende e gli esercizi pubblici che decidono di sponsorizzarsi tramite questi siti, spesso e volentieri non ricevono in cambio gratificazioni “immateriali” come appunto la fidelizzazione del cliente o un miglioramento della sua reputazione, difficilmente un utente che ha

                                                                                                               

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acquistato il coupon ripeterà la sua esperienza in quel determinato ristorante o albergo, si tratta principalmente di un vantaggio momentaneo di cui i

consumatori, maggiormente attenti e consapevoli, entrano in possesso e che si esaurisce subito dopo il suo consumo.

Si tratta piuttosto di “un e-commerce che sfrutta anche alcune dinamiche sociali, come il fatto che ogni deal è condivisibile, shereabile, linkeabile ecc., però la grande forza di Groupon è in realtà in due fattori molto 1.0: uno il database di e-mail fortissimo con contatti di apertura molto elevati, molto capillari, targettizzati sul territorio e su base geografica; due, i prezzi e l’uso dei testi e delle foto – soprattutto per prodotti che normalmente online sono venduti con foto e testi poco accattivanti. Groupon è più una forma di advertising, pay per action pagato

direttamente con lo sconto”8 .

In realtà, le potenzialità del social commerce sembrano essere molto più elevate rispetto a chi vuole restringere il campo ai soli siti di vendita di coupon. Si tratta di un nuovo modo di intendere la rete, più democratica, libera e sociale, un nuovo modo di fare gli acquisti, non più determinati dalle vecchie regole del marketing e dalle aziende, ma dagli altri utenti che come noi vivono le nostre stesse

esperienze. Non è infatti una novità che negli ultimi anni alcuni blogger da perfetti sconosciuti siano diventati dei guru del loro settore e degli influenzatori dei comportamenti. Sempre più spesso questi blogger vengono “presi in prestito” dai media tradizionali per condurre programmi televisivi, tenere una rubrica settimanale su qualche rivista, o ancora, vengono assoldati dalle aziende per promuovere i loro prodotti. La fiducia che prima riponevamo nelle istituzioni e nei messaggi della pubblicità tradizionali oggi la riponiamo nei nostri pari, e allora che senso ha parlare ancora di commercio tradizionale, finalizzato al mero acquisto?

Se di primi acchito, come dichiara Leonardo Bellini, “il termine Social Commerce può sembrare un ossimoro, da una parte il social web, basato sulle conversazioni e la condivisione, dall’altra il commerce, che va a toccare la componente

                                                                                                               

8  

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commerciale e specifica dell’acquisto di prodotti online”9

, in realtà la dicotomia è solo apparente, in quanto commercio e pratiche sociali si influenzano a vicenda. Un terzo dei post pubblicati online parlano di brand, prodotti, servizi, esperienze di acquisto o di consumo, sono girati sempre più video tutorial dove i vari youtubers mostrano i prodotti che hanno acquistato e ne descrivono le caratteristiche, una buona percentuale di tweet cita direttamente le marche e ancora di più fanno riferimento a un contesto commerciale. Facebook poi rende ancora più facile mostrare ai nostri amici i prodotti che abbiamo acquistato e condividere con un semplice “mi piace”, non solo la nostra passione per una marca o un prodotto, ma anche influenzare le decisioni d’acquisto degli amici, oltre che interagire direttamente con le marche, infine, la crescente diffusione degli smatphone e tablet permette agli utenti di inserire commenti, chiedere agli amici, scattare foto o girare video, relativamente ai propri acquisti e condividerli anche in mobilità con il proprio network.

In un report del 2009, “The future of social web”10

, Forrester Research individua cinque diverse ere del social web:

1. Era of Social Relationships: le persone si connettono l’un l’altro e condividono contenuti;

2. Era of Social Functionality: momento in cui i social network diventano come sistemi operativi;

3. Era of Social Conolization: ogni esperienza può essere sociale; 4. Era of Social Context: i contenuti diventano accurati e personalizzati; 5. Era of Social Commerce: le comunità di individui diventano protagonisti

nella definizione di prodotti e servizi futuri.

Ciò che appare chiaro e affermano anche gli studiosi della Forrester Research, è che queste ere non sono sequenziali, ma si sovrappongono.

Ad oggi, come si evince dall’immagine sottostante, stiamo assistendo alla fusione e alla realizzazione di tutte e cinque queste ere, che hanno portato

                                                                                                               

9 www.slideshare.net/leonardobellini/dml-guida-socialcommerce  

10 http://blogs.forrester.com/jeremiah_k_owyang/09-04-27-future_social_web_five_eras. I clienti Forrester possono accedere a questo report, ma i risultati della ricerca sono riassunti nell'executive summary.  

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all’empowerment degli individui, come singoli e come appartenenti a una comunità.

La social experience è a tutti gli effetti un’esperienza condivisa. I consumatori fanno riferimento ai propri peer per portare avanti decisioni d’acquisto, con o senza la partecipazione dei brand.

Fig. 4.1 fonte: http://blogs.forrester.com/jeremiah_k_owyang/09-04-27-future_social_web_five_eras

Il 2012 sembra essere l’anno di affermazione del social commerce, come era già stato predetto a inizio anno anche dal vicepresidente di Mashable Adam Ostrow, che nella Social media prediction 2012 inserisce anche il social commerce:

Se i social media si sono affermati come una valido strumento per ottenere follower e distribuire deal in maniera broadcast, rendendo i social network centrali nell’esperienza di acquisto, per i brand esistono ancora tante aree non presidiate per guidare le vendite e aumentare i margini di guadagno. Nel 2012, i brand tenderanno maggiormente a creare veri e propri store all’interno di

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Facebook, a personalizzare i propri siti di e-commerce grazie al “taste graph” di Facebook e Twitter, e ad aumentare la partecipazione in community come Tumblr e Pinterest, dove gli utenti condividono acquisti e wish list11

.

Ma vediamo quali sono stati i passaggi che hanno portato all’attuale situazione del social commerce. Un’interessante infografica, pubblicata da socialtimes.com, riporta tutti i “momenti” salienti che hanno portato il commercio a diventare pratica social.

                                                                                                               

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In particolare:

2007

• Facebook introduce un’applicazione che permette di scambiarsi regali virtuali

• Nasce il sito Polyvore, un sito che permette di giocare con la moda, di creare i propri outfit preferiti e condividerli con la community.

Attualmente è uno delle più grandi piattaforme di social shopping. • A novembre Facebook lancia le brand pages.

2008:

• A Dicembre Dell12 dichiara di aver superato un milione di dollari di vendite grazie a Twitter.

2009:

• Luglio: viene eseguito il primo acquisto su Facebook, sulla pagina di 1800-Flowers.

2010:

• Nel marzo 2010 si registra che il negozio Pamper’s su Facebook fa 1000 vendite l’ora.

• Aprile: Levi’s introduce Facebook nel plug in del suo Friends Store13 online.

• In giugno la Disney lancia una biglietteria online su Facebook, dove poter prenotare i ticket per i suoi film.

• Agosto: nasce il primo sito dedicato ai gruppi d’acquisto, Groupon. • Facebook introduce Facebook Places, sistema di geolocalizzazione che

permette agli utenti di fare il check-in nei luoghi in cui si trovano. • Eventibrite, sito che si occupa della ricerca e della vendita di biglietti,

pubblica i profitti generati dalla condivisione sulle piattaforme social (primo fra tutti Facebook che con ogni azione di condivisione genera un valore di 2,52 dollari).

                                                                                                               

12 Azienda statunitense fra le più importanti al mondo per la produzione di personal computers.

13 Levi’s ha così creato un’esperienza di social shopping. Ha integrato la funzione “mi piace” su ogni prodotto del sito in modo che, a una rapida visualizzazione, è possibile riscontare il numero di utenti Facebook a cui piace quel prodotto.

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• Novembre: viene pubblicato il primo libro interamente dedicato al Social Commerce, a opera di Julien Chaumond.

• Facebook introduce le offerte (deals), permettendo alle aziende dotate di presenza su Facebook Places di creare offerte personalizzate per gli utenti che visitano i loro punti vendita.

• Walmart allo stesso tempo lancia Crowdsaver, un’applicazione di Facebook sullo stile di Groupon, che permette di accedere a sconti

settimanali nei propri negozi. Con l’applicazione Walmart Crowdsaver, gli utenti possono “votare” (con il solito sistema dei like) i prodotti ai quali vorrebbero che Walmart applicasse sconti. Lo sconto viene infatti applicato una volta raggiunta una determinata quota di like. 2011:

• Google entra nel mondo degli acquisti di gruppo lanciando Google offers.

• Powerreviews, pubblica uno studio secondo il quale ogni recensione condivisa su Facebook genera un profitto di 15,72 dollari sulle vendite.

Tutti questi punti appena descritti dimostrano come il processo lineare finalizzato a orientare i comportamenti dei consumatori con comunicazione e messaggi di brand adesso lascia spazio a un processo guidato dallo stesso consumatore, non più lineare e costruito attorno ai bisogni real-time e legati al contesto, e le aziende maggiormente attente sono riuscite a cogliere i cambiamenti in atto e farne il loro punto di forza. È proprio grazie a questo nuovo modo di intendere lo shopping (come possiamo vedere nell’immagine sottostante), che nonostante il periodo di crisi che stiamo affrontando, gli acquisti online hanno fatto registrare una crescita annuale a doppia cifra, con un +18% nel solo 201214

.

                                                                                                               

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Fig. 4.3: fonte: www.slideshare.net/RobertoMarmo/smau-2012-socialcommercemarmoroberto

(il punto di forza in questo meccanismo è il passaparola online che si ottiene attraverso la condivisione di qualsiasi contenuto/immagine, il tasto “mi piace” ecc.)

L’avvento dei social media ha modificato il ruolo del cliente nella promozione dei prodotti. Prima la strategia si fermava alla vendita, ora il cliente ne è parte

integrante, quindi è indispensabile che esso sia soddisfatto e che trasmetta questo stato agli altri.

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Infatti, oltre al commercio, inteso come la capacità da parte delle aziende di soddisfare i bisogni degli individui, il social commerce ruota attorno anche ad altre 5 C:

1. Contenuti: elemento necessario affinché gli utenti entrino in contatto tra loro, attraverso i contenuti si avviano i dialoghi, si indirizzano le scelte, e si sviluppano le comunità.

2. Comunità: al suo interno si raggruppano persone che hanno gli stessi interessi, condividono valori. I social media sono gli strumenti che consentono alle persone di raggrupparsi in comunità. Permettono di collegare le persone e i contenuti indipendentemente dal luogo in cui si trovano.

3. Conversazioni: sul web le conversazioni sono in real time, sulla base di queste si scatena il buzz. La passione, l’entusiasmo e la conoscenza della materia sono dei buoni indicatori della disponibilità a parlare degli

individui e questo fa sì che sempre più persone siano parte attiva del web. Come afferma Rosen (2009, p.117), riprendendo uno studio di Keller Fay “gli influenzatori (opinion leader) costituiscono circa il 15% della

popolazione e sono responsabili del 30% del passaparola, il che equivale a dire che il 70% di esso viene generato da persone non definibili come nodi”. Dunque ciò che è davvero importante, e “smuove” i comportamenti degli utenti sono le conversazioni stesse, indipendentemente da chi ne è l’autore.

4. Contesto: online è possibile monitorare azioni del mondo reale. Ad esempio, tramite il check-in in un determinato luogo le aziende sono in grado di individuare le persone che si trovano nei pressi di un loro store e proporgli delle offerte dedicate.

5. Collegamento: le persone sempre più spesso si incontrano online, grazie anche ai nuovi dispositivi mobile. In questo senso gli individui

stabiliranno delle reti sociali anche con persone che non conoscono fisicamente, ma che condividono con esso gusti, interessi e obiettivi. “Questa tendenza a preferire e frequentare i propri simili è detta “omofilia” ed è uno dei principi che stanno alla base delle reti sociali” (Rosen, 2009, p. 123).

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In definitiva, tali caratteristiche peculiari sono alla base delle azioni di social commerce, dove l’acquisto vero e proprio non è che uno degli elementi.

4.1.2. Le 6 regole psicologiche dietro al social commerce

Nell’articolo How social commerce works: the social psychology of social

Shopping, pubblicato su socialcommercetoday.com15

e ripreso successivamente da TabJuice16

, che ne ha fatto un’infografica, lo psicologo sociale Paul Marsden analizza il successo del social commerce sulla base di alcuni assunti della psicologia sociale, legati in particolar modo alla psicologia dei consumi. Il punto di partenza della riflessione di Marsden è che il social commerce funziona per tre ovvie ragioni.

La prima è che si tratta di un’ottima forma di marketing, dal momento che abilita le persone ad effettuare scelte più informate, più consapevoli e intelligenti, e questo per il brand rappresenta un guadagno in termini di fedeltà e advocacy. Il secondo motivo è che attraverso il social commerce i brand hanno la possibilità di vendere nei luoghi in cui i consumatori trascorrono la maggior parte del loro tempo e questo, se opportunamente gestito, permette di trasformare “the impulse e-purchase” (l’impulso all’acquisto) in effettive possibilità per l’e-commerce. Il terzo motivo individuato da Marsden, e anche il più potente dal punto di vista psicologico, è che molti degli strumenti tipici del social shopping possono essere sfruttati per indirizzare i comportamenti degli individui durante i processi di acquisto, rendendoli di fatto profondamente influenzabili dalle altre persone.

A un primo impatto la psicologia che sottende l’impulso all’acquisto sembra essere di facile comprensione, potremmo semplicemente affermare che le conoscenze e le esperienze di altri di cui ci fidiamo influenzano le nostre

decisioni, in realtà Marsden individua sei euristiche (regole mentali) che agiscono a un livello più profondo, cognitivo, e descrivono i comportamenti dei

consumatori all’epoca del social commerce.                                                                                                                

15  

www.socialcommercetoday.com/how-social-commerce-works-the-social-psychology-of-social-shopping  

16  

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Ciò che la psicologia sociale ha scoperto è che un individuo non è in grado di raccogliere e processare tutte le informazioni disponibili riguardo a un certo argomento o prodotto, ma opera necessariamente una selezione, basando le proprie scelte solo su alcune informazioni (chiamate informazioni thinsliced), generalmente prodotte da pari, interpretate secondo una serie di regole mentali.

La prima euristica individuata da Marsden come strettamente connessa al social commerce è quella del “Social Proof” (prova sociale) ed è basata sulla regola di “seguire la folla”.

In caso di incertezza su cosa fare o comprare, guardare cosa stanno facendo o hanno fatto gli altri, è un ottimo modo per fugare ogni dubbio. Si tende a guardare il comportamento degli altri e a prendere le nostre decisioni sulla base di questo. Quando qualcosa si distingue come particolarmente popolare o dominante, istintivamente percepiamo quel comportamento come socialmente accettato e corretto.

Tra gli strumenti di social shopping che utilizzano questa euristica per stimolare le decisioni d’acquisto ci sono:

Ø Wish list o gift list che offrono una prova concreta di ciò che è socialmente desiderabile;

Ø Popularity list che permette ai consumatori di visualizzare i prodotti maggiormente commentati, più popolari, più visti o più apprezzati, e fornisce prova sociale su ciò è meglio comprare;

Ø Social media reviews. Le recensioni di altri clienti permettono a chi legge di sviluppare una maggiore fiducia circa la qualità e le prestazioni di un determinato prodotto o servizio.

Ø Social recommender systems: i consumatori sono soliti affidarsi e seguire le raccomandazioni, intesi come suggerimenti, derivanti da persone simili a loro.

La seconda euristica è quella dell’ “Authority”, basata sulla regola “seguire

l’autorità”. Questa euristica si basa sul principio secondo il quale le persone hanno una tendenza naturale ad essere deferenti nei confronti del giudizio di un esperto o di un’autorità di un determinato ambito. Il fatto stesso che queste figure abbiano conoscenze specialistiche, esperienza e competenza in un settore, li rende credibili

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ai nostri occhi, dunque nelle nostre decisioni ci affideremo al loro pensiero, senza indagare ulteriormente.

Tra gli strumenti social utilizzati per questa euristica ci sono:

Ø Programmi refferal, dove si stimolano le raccomandazioni da parte di persone che gli acquirenti ritengono di fiducia;

Ø Forum, dove l’autorità è rappresentata dalla comunità di individui nel suo complesso.

La scarsità è la terza euristica considerata da Marsden, legata alla regola secondo cui “i prodotti scarsi sono prodotti buoni”. Gli individui tendono ad assegnare un valore maggiore a quelle risorse con disponibilità limitata, per paura di una potenziale perdita.

Nel marketing tradizionale il principio viene applicato offrendo edizioni limitate o offerte a tempo. La stessa cosa si può ritrovare online, ad esempio, con l’offerta di deal a tempo su siti come Groupon. Altri strumenti sono:

Ø I gruppi d’acquisto, che consentono agli acquirenti di sentirsi parte di un’offerta irripetibile;

Ø le “vetrine” dei social network che permettono alle aziende di fare delle promozioni dedicate ai suoi fans.

La quarta euristica è quella che segue la psicologia del “like”, ovvero “si sceglie quello che piace”. Abbiamo una naturale tendenza a emulare e ad essere d’accorso con le persone che ci piacciono, che ammiriamo e che consideriamo attraenti, in parte perché si creano dei legami sociali e basati sulla fiducia, in parte perché così gestiamo la nostra immagine e la nostra identità sulla base di comportamenti associativi.

In termini di social commerce, gli strumenti utilizzati sono:

Ø Ask-your-network: quando dobbiamo prendere una decisione tendiamo a chiedere opinioni e consigli alla nostra rete di conoscenze, in real time; Ø Deal feeds, che permettono di condividere e diffondere deal di brand con

persone a cui il brand piace;

Ø News feed di brand che ci piacciono, da seguire e condividere con le persone che hanno i nostri stessi gusti attraverso i social network;

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Ø Social network storefronts, ovvero utilizzare i social network come vetrina per condividere e discutere sulle esperienze d’acquisto con la propria rete; Ø Shop together: strumenti che abilitano la “co-navigazione” ovvero la

navigazione di store online insieme alle persone che condividono i nostri gusti.

La quinta euristica riguarda la “Consistency” (coerenza), basata appunto sul principio dell’ “essere coerente”. Secondo questa euristica quando ci troviamo di fronte a delle incertezze, si tende a optare per la scelta più coerente con le proprie credenze e le proprie scelte passate per evitare di incorrere in potenziali disagi psicologici.

Tra gli strumenti social che si affidano a questa euristica ci sono:

Ø Social gaming: che stimola la coerenza comportamentale tra il gioco brandizzato e l’acquisto successivo del prodotto/servizio brandizzato; Ø Social media entertainment e social media listenings che sulla scia dei

comportamenti passati tentano di suggerire prodotti/servizi coerenti per gli acquisti futuri.

L’ultima euristica riguarda la “Reciprocità”, guidata dalla regola “restituisci il favore”. Secondo questa euristica è innato nella natura umana il desiderio di ricambiare un favore, sia per il nostro senso di equità e correttezza, sia perché la reciprocità è socialmente premiata, in quanto collante sociale che abilita la cooperazione e le relazioni. Come afferma Anderson (2009, p.209): “Non meraviglia che il web sia esploso grazie al lavoro volontario: ha reso le persone felici di essere creative, di contribuire, di avere un impatto e di essere riconosciute come esperte di qualcosa”.

Esempi social di tale euristica sono:

Ø Forum in cui gli utenti si scambiano in maniera reciproca e disinteressata consigli su prodotti e servizi;

Ø Group-buy: permettono di fare un favore ad amici interessati a un determinato prodotto, acquistando a sua volta quell’oggetto;

Ø Refferal programs: permettono di offrire agli amici un accesso esclusivo a determinati gruppi di acquisto o offerte.

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Sulla base di queste sei euristiche individuate e degli strumenti di social

commerce esistenti Marsden ritiene che gli acquirenti siano oggi in grado di fare scelte ponderate e intelligenti e in cambio, le aziende hanno ampie possibilità di crescita, potendo ascoltare e studiare i comportamenti delle loro basi di clienti e mettendo in atto precise strategie social.

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Fig. 4.5 fonte: www.social-commerce.it/2011/12/la-psicologia-del-social-commerce.html#.UJjtmGl9Hpw

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4.2 Le community: nuova opportunità di Marketplace

Nella sua concezione tradizionale, il Marketplace ha sempre rappresentato il luogo dove – fisicamente – avveniva la compravendita di un bene o di un servizio, ovvero siti di intermediazione in cui si raggruppano le merci di diversi venditori o diversi siti web.

Tali siti svolgono tuttora un ruolo fondamentale nell’ecosistema mediale: eBay rappresenta il capostipite dei luoghi virtuali in cui avvengono questo genere di scambi, è il marketplace per antonomasia, ma la tendenza in atto negli ultimi anni fa presupporre che quando si parla di scambi, finalizzati all’acquisto, non si possa ricondurre tutto a questo genere di siti di intermediazione.

Dunque, il mio intento, sarà quello di utilizzare un’accezione più ampia del termine, che possa dare merito a tutta una serie di community “satellite” (come quelle che si formano sui social network, sui blog ecc.) in cui avvengono metaforicamente degli scambi, dove gli scambi non sono di tipo monetario, ma informazionale, conversazionale, valoriale, preludio alla vendita effettiva di un prodotto o di un servizio.

Sicuramente il bisogno di socialità dell’uomo postmoderno e l’attuale crisi economica hanno svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo massiccio delle community. In tempi di incertezza, il gruppo costituisce sicurezza e tornano a essere importanti valori quali la collettività, le relazioni, la condivisione. Non si tratta né di un ripiego, né dell’ennesima strategia di marketing creativo, bensì di un processo spontaneo che nasce dal basso, dalla volontà e dalla possibilità di fare rete, di rafforzare e ampliare il sistema delle relazioni, di individuare obiettivi condivisi e condivisibili, di operare insieme – oltre l’economia tradizionale – per raggiungerli.

Per queste ragioni il viaggio sulla rete e intorno ai consumi dell’utente 2.0 non è più solitario, ma in compagnia.

In realtà il concetto di community, inteso come gruppo di persone che hanno in comune caratteristiche specifiche e che interagiscono tra loro, caratterizza da sempre la nostra vita. Gli elementi possono essere, ad esempio, gli interessi personali (dallo sport, al giardinaggio, alla cucina, all’interesse per una

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determinata marca), la propria azienda o il luogo in cui queste persone vivono. Esistono varie e numerosissime modalità con cui viviamo la nostra appartenenza a una community.

Seth Godin, guru del marketing, racconta questo fenomeno così nel suo libro

Tribes: for millions of years, human beings have been part of one tribe or

another. A group needs only two things to be a tribe: a shared interest and a way to communicate17.

I social media però hanno dato maggiore consistenza al concetto di community. I like su Facebook, follow su Twitter, +1 su Google+, condivisioni di post,

condivisione di immagini, sono tutte azioni che esprimono un passo verso l’appartenenza a una community. Appartenenza che si traduce anche in

partecipazione quando queste community riescono a sviluppare un buon livello di engagement.

I gruppi online ai quali prendiamo parte possono aiutarci a scoprire nuovi prodotti o nella ricerca di un prodotto specifico in grado di soddisfare certi nostri bisogni. Le discussioni che nascono spontaneamente dentro le community possono far acquisire agli utenti la consapevolezza di un determinato prodotto che possono non conoscere o non avere. D’altronde, la citazione stessa di un prodotto o di una marca, o il “mi piace” di un amico a una brand page su Facebook, possono suscitare curiosità in coloro che leggono e spingerli a chiedere maggiori informazioni e a discuterne con chi ne ha parlato prima o ha mostrato una preferenza. Inoltre i meccanismi di fiducia che si instaurano all’interno delle community stesse fanno sì che le discussioni assumano maggiore valore e le informazioni siano maggiormente valutate e accettate come positive.

In questo senso le community, rappresentano il nuovo “placement di

distribuzione” (De Felice, 2011) dove si consumano i più importanti momenti della user experience dell’utente.

Se lo scorso secolo è stato l’anno delle innovazioni, del consumismo, della celebrazione dei prodotti come star indiscusse, ora l’attenzione si è focalizzata                                                                                                                

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sull’idea. Oggi ciò che è importante non è il prodotto in sé, ma il modo in cui si riesce a diffondere la propria idea, stabilire il dialogo e lo scambio. Dunque, chiunque vorrà essere parte di una comunità (in genere un utente non è parte di una sola comunità, ma di molte che possono essere anche molto diverse tra loro). Secondo uno studio condotto dall’istituto di ricerca Duepuntozero Research18

e di cui si è parlato al Social Media Week di Torino, sono ormai ben otto milioni gli utenti italiani online che seguono un brand page sulle pagine dei social media o su una delle tante community del web e un terzo di questi scrive abitualmente

recensioni e partecipa attivamente alle conversazioni.

I soggetti si sono ormai abituati a gestire le proprie molteplici proiezioni identitarie a cavallo tra ambiente offline e online, ricorrendo a dispositivi

tecnologici che ne abilitano l’articolazione. Ciascuno di noi si lascia influenzare e prende decisioni in base a quello che ha a disposizione in un particolare momento di vita, e indubbiamente il mondo sociale online offre parecchio materiale

aggiuntivo a disposizione dell’individuo.

In particolare il ruolo di Internet diventa di cruciale importanza in quanto non solo richiama l’immagine della rete, ma si pone esso stesso come generatore di reti di comunicazioni tra soggetti che tendono a vivere tale rapporto in termini sempre più reali.

Come afferma Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook: “Non si crea una comunità. Le comunità esistono già, e fanno ciò che vogliono”19

.

Le comunità online stanno conoscendo un rapido sviluppo non come mondo virtuale ma come virtualità reale integrata con altre forme di interazione in una vita quotidiana sempre più ibridata dai media. Ed è su queste piattaforme che generalmente scegliamo chi ascoltare, con chi entrare in contatto e come, e sempre più spesso ci lasciamo influenzare.

La rete è più viva che mai e si sta popolando di community di ogni genere. Oggi la sfida più grande per le aziende è quella di intercettare questa community e stabilire un dialogo che sia coinvolgente e non markettaro. Spesso lo stabilire                                                                                                                 18www.eventreport.it/stories/News/80378_le_brand_community_battono_facebook_8_mi lioni_di_italiani_seguono_le_marche_sul_web 19   http://giampaolocolletti.nova100.ilsole24ore.com/2012/01/e-uscito-il-mio-nuovo-libro- vendere-con-le-community-gruppo24ore-oggi-la-rete-%C3%A8-pi%C3%B9-viva-che-mai-pop.html  

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contattati con le community può essere una strategia di business molto efficace che permette di vendere qualsiasi tipo di prodotto o servizio, ma soprattutto che sviluppa engagement e fedeltà.

Un esempio, a livello italiano, è l’iniziativa lanciata nel 2009 da Mulino Bianco (brand Barilla): “Nel mulino che vorrei” (De Felice, 2011, pp. 178-186).

L’azienda ha creato una community di co-generazione dove gli utenti possono collaborare allo sviluppo di nuovi prodotti che potenzialmente possono entrare a far parte dell’offerta commerciale Mulino Bianco. Ciò che può sorprendere i marketer, ma non la società della rete, è il fatto che Mulino Bianco non offre alcun tipo di compenso, né in termini monetari né in termini di premi. La forza trainante dell’iniziativa è il semplice desiderio delle persone di partecipare, contribuire alla realizzazione di un nuovo prodotto e “guadagnarne” un riconoscimento morale.

Riprendendo le parole Eugenio Perrier, direttore Brand Development di Mulino Bianco, durante l’intervista condotta da De Felice appare chiaro come le aziende più illuminate come Mulino Bianco, hanno recepito i cambiamenti del mercato e della società, sviluppando strategie “alternative” per stimolare engagement nei loro clienti:

“La crisi economica non fa altro che rappresentare un acceleratore del cambiamento, generando modifiche rilevanti nei comportamenti d’acquisto, sempre più imprevedibili e poco loyalty. Ecco allora che diventa sempre più importante creare una vera e genuina relazione con la propria base di consumatori, facendogli sentire la vicinanza della marca e l’importanza a loro attribuita. Le persone devono sentirsi realmente partecipi del percorso di crescita della marca, creando così le condizioni per un rapporto più autentico e diretto”.

Sempre durante l’intervista, un altro punto interessante è quando De Felice chiede: “Che funzione ha il blog presente all’interno dell’iniziativa?”

La risposta è stata: “Il blog serve a dare voce alle persone coinvolte all’interno di Mulino Bianco e vuole essere un diario aggiornato dell’andamento delle idee, delle loro valutazioni e delle realizzazioni. È una finestra aperta sulle attività del team di lavoro, dove spieghiamo le motivazioni che ad esempio hanno

determinato il rigetto di una proposta, oppure diamo notizia dei vari stadi di realizzazione di un’idea in progress. Questo progetto è basato su un pilastro

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fondamentale: la trasparenza nei confronti delle persone. È un impegno che abbiamo deciso di prendere e di sostenere, poiché senza trasparenza non si costruisce credibilità. E la credibilità di una marca è alla base del dialogo con le persone.

L’altro obiettivo del blog è costruire un canale di comunicazione con i nostri clienti, in particolare con loro che si sentono più vicini alla marca e che vogliono essere coinvolti perché la sentono come parte della loro vita”.

Ancora una volta questo dimostra come si possa, senza investimenti esosi (almeno in termini monetari) gestire la propria reputation in maniera chiara, pulita e

coerente con i valori stessi della marca. Le community online valutano

positivamente il voler “mettersi in piazza” delle aziende e saranno maggiormente propense e disponibili a collaborare gratuitamente. Affidare alle community una parte del capitale sociale aziendale e farlo partecipare alla ricerca e sviluppo di nuovi prodotti, permetterà alle aziende illuminate di creare un rapporto paritario e duraturo con i suoi clienti, e inoltre queste potranno sfruttare a loro favore questo nuova e potente intelligenza collettiva derivante dagli utenti. Gli individui, infatti, non sono solo consumatori di contenuti, sono soprattutto creatori di contenuto, sono la linfa vitale per il business aziendale.

Fig 4.5 fonte: www.slideshare.net/sethgodin/seth-godin-on-tribes-presentation

Per concludere il paragrafo e per completezza d’informazione, va detto che le community non sono l’unico “mezzo” attraverso cui si formano le esperienze

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d’acquisto, anche se personalmente lo ritengo il più valido e il più potente (almeno nel panorama italiano). Le aziende hanno a loro disposizioni anche altri strumenti per raggiungere gli utenti. In precedenza ho già parlato dei gruppi d’acquisto dicendo che non lo ritengo un buono strumento di engagement e di conseguenza un buon esempio delle attuali potenzialità del social commerce. Si tratta più che altro di un mezzo utilizzato da quegli esercizi commerciali con difficoltà ad accedere a un numero di potenziali clienti elevato e dai grossi produttori con grandi quantità di prodotti invenduti nei loro magazzini che

svendono i loro inventari in cambio di una fugace operazione commerciale, basati su un marketing aggressivo e un prezzo stracciato. Anche se, nel concreto, è proprio grazie alla vendita di coupon che molti blog italiani specializzati hanno cominciato ad aprire discussioni circa tale fenomeno.

Altro strumento a disposizione delle aziende è l’F-commerce, ovvero l’integrazione di una piattaforma di e-commerce all’interno di Facebook. In un certo senso l’acquisto via Facebook ricalca le dinamiche sociali dello shopping in real-life, in quanto tutto, dal contatto, alle discussioni con gli amici, all’acquisto, alla condivisione dell’esperienza avviene su Facebook, senza la necessità di essere reindirizzati sul sito del brand.

Visto l’elevato numero di iscritti (20.9 milioni in Italia)20

, aprire un negozio su Facebook, non solo aiuta i navigatori a vivere esperienze condivise con il proprio network, ma permette alle aziende di raggiungere un vasto pubblico di potenziali clienti, che altrimenti, con molta probabilità, non avrebbe mai incontrato.

Come afferma Salvatore Molisso, amministratore di un’azienda impegnata nel settore dell’e-commerce:

“Tutti amano fare shopping chiaccherando con gli amici sui pregi e difetti dei prodotti che usano. Ed è un assunto ormai noto che le opinioni degli amici e dei conoscenti hanno un impatto motivazionale molto forte sul processo decisionale di acquisto. Quindi l’idea di cercare di trasferire i discorsi fatti nella piazza reale nella grande piazza di Facebook è corretta tecnicamente ed è stata questa

l’intuizione alla base della creazione di F-commerce.

L’F-commerce è solo uno degli ultimi nati nella grande famiglia dello shopping sociale, una realtà crescente che mixa l’ormai classico shopping online con gli                                                                                                                

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elementi del social networking. Non si tratta solo di acquistare un prodotto, ma di riproporre le relazioni sociali online.

In questo contesto si inserisce l’F-commerce che può rappresentare sicuramente un’ opportunità, ma molto dipende da come si svilupperà nel futuro. Al momento è ancora presto per pensare a numeri interessanti in termini di fatturato, almeno per il mercato italiano”21

.

Staremo a vedere cosa succederà nei prossimi mesi…

4.3 “Every company is a media company”

Utenti, più o meno preparati, affollano il web con i loro commenti, partecipano a discussioni, forum, blog, generano domande ed opinioni, analizzano e

recensiscono ogni genere di oggetto influenzando attivamente le scelte di spesa di altri utenti.

La rapida diffusione dei social media ha infatti determinato l’altrettanto repentino emergere di modalità di interazione degli individui che non si limitano a entrare in contatto con le persone per parlare dei proprio hobbies o interessi, molto spesso questi si trovano a parlare delle marche, dei prodotti e servizi che queste offrono, senza che le aziende lo sappiano o ne prendano parte. Molte volte durante la stesura di questo lavoro ho parlato di come prima della proliferazione di

piattaforme user friendly le aziende che decidevano di aprire una finestra sul web erano in grado di gestire la propria immagine in maniera ottimale, senza

interferenze esterne o dal basso, in quanto la natura stessa della comunicazione era essenzialmente unidirezionale (da uno a molti, da azienda a clienti). Le attività spontanee degli utenti erano limitate dalla stessa struttura della rete che non permetteva il dialogo.

Oggi, i social media hanno invece radicalmente cambiato i paradigmi di consumo dei media online: gli individui non si limitano a ricevere informazioni, ma

prendono parte alla creazione e alla diffusione dei contenuti, anche e soprattutto quelli maggiormente legati al discorso di marca. Inoltre, i nuovi strumenti online hanno abilitato possibilità di dialogo prima difficilmente immaginabili, rendendo                                                                                                                

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contemporaneamente possibile reperire i contenuti di questi dialoghi con estrema facilità.

Questo cosa vuol dire in termini pratici?

Gli utenti, avendo a loro disposizione tutti gli strumenti necessari, saranno ben disposti a parlare di prodotti, servizi, brand, anche quando questi non sono presenti sulla rete.

Quando le aziende decidono di non predisporre delle piattaforme volte al dialogo e alla collaborazione con i propri clienti, gli utenti cercheranno altri spazi dove parlare di loro, e quest’ultime non faranno che recare danno alla propria immagine e alla propria reputazione e nel caso i commenti non siano positivi l’azienda in questione si precluderà anche la possibilità di rispondere e difendersi da certe “accuse”.

È proprio sui social media che la maggior parte dei consumatori parla dei brand e il passaparola è così potente che queste discussioni possono fare il successo o il fallimento di un’azienda in pochissimo tempo. Sono molti gli esempi di aziende che si sono viste schiacciare di fronte al potere degli utenti (Patrizia Pepe, Golden Lady per citarne alcune) e sono altrettanti i casi di aziende che devono il loro rinnovato successo proprio grazie alla rete e al passaparola (vedi caso Mulino Bianco descritto nel paragrafo precedente).

Dunque, la voglia di parlare e di confrontarsi degli utenti ha fatto sì che nessun brand sia oggi esonerato dal loro giudizio. Ciò che le aziende dovrebbero fare è integrare al meglio i social media nelle loro strategie, secondo logiche ben definite e strutturate, poiché, sia l’improvvisazione, ovvero la gestione approssimativa di piattaforme online, sia l’assenza completa dal web significherebbe compiere un atto suicida sotto tutti i punti di vista (sociale e commerciale) per un mercato sempre più web-addicted.

Figura

Fig. 4.1 fonte: http://blogs.forrester.com/jeremiah_k_owyang/09-04-27- http://blogs.forrester.com/jeremiah_k_owyang/09-04-27-future_social_web_five_eras
Fig. 4.2 fonte: socialtimes.com/social-commerce-infographic-2_b84120
Fig. 4.3: fonte: www.slideshare.net/RobertoMarmo/smau-2012- www.slideshare.net/RobertoMarmo/smau-2012-socialcommercemarmoroberto
Fig. 4.5 fonte: www.social-commerce.it/2011/12/la-psicologia-del-social- www.social-commerce.it/2011/12/la-psicologia-del-social-commerce.html#.UJjtmGl9Hpw
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