ELSA MORANTE
Biografia
Nasce a Roma nel 1912 da madre ebrea. Ha un’infanzia difficile sia per quanto riguarda la famiglia che per gli studi. Per motivi di salute non riesce a frequentare le scuole elementari ma è costretta a studiare privatamente, mentre anche la vita familiare inizia ad essere complicata quando il padre muore suicida nel 1943. Questo forma il carattere forte della scrittrice ma che allo stesso tempo le provoca solitudine e rimpianto per un’infanzia non vissuta. Intanto comincia l’università ma poi l’abbandona per poter conoscere il mondo, negli anni del dopoguerra inizia a scrivere ed avere successo. Nel 1941 si sposa con lo scrittore Alberto Moravia, insieme i due creano un salotto letterario che diventerà molto famoso durante gli anni Cinquanta. Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1943 è costretta a fuggire da Roma insieme a Moravia (accusato di attività antifasciste) per rifugiarsi vicino Latina, questo è un periodo molto difficile per i due che devono nascondersi dai fascisti e sopravvivere alla guerra. Dopo la guerra inizia a collaborare con il settimanale “L’Europeo”, mentre nel 1948 vince il premio Viareggio per il suo primo romanzo Menzogna e sortilegio. Il primo romanzo porta al successo la scrittrice che nel 1957 vince il premio strega per il secondo romanzo L’isola di Arturo. Il 1962 rappresenta un anno difficile per la Morante in quanto si separa da Moravia e muore anche il suo amico Bill Morrow precipitando da un grattacielo, questo la porta in uno stato di depressione.
Successivamente sembra invece ritrovare armonia con il mondo, infatti nel periodo delle forti contestazioni del ‘68 la scrittrice che si era sempre trovata emarginata e diversa, si sente ora a proprio agio. In questo anno pubblica Il mondo salvato dai ragazzini in cui l’innocenza della contestazione diventa un messaggio di liberazione dal potere. A seguire questo periodo positivo però ci sono gli anni del terrorismo, nel 1974 scrive La Storia in cui appare molto chiaramente la delusione e l’amarezza della scrittrice. Successivamente a causa di problemi di salute dovuti alla rottura del femore, la scrittrice si isola nuovamente dal resto del mondo e si accentua la sua depressione. Pubblica il suo ultimo romanzo Aracoeli (1982), in cui si può notare tutta la sua tristezza, morirà nel 1985 a Roma.
Opere
I principali romanzi sono:
● Menzogna e sortilegio (1949)
● L’isola di Arturo (1952)
● Il mondo salvato dai ragazzini (1968)
● La storia (1974)
● Aracoeli (1982)
Scrive anche molti saggi e articoli, le pagine inedite del suo diario vengono raccolte
nell’opera Diario 1938, pubblicato nel 1989 e altre pagine di diario vengono pubblicate nella raccolta Opere, nel 19881990.
Stile
Nei libri di Elsa Morante è presente una tensione tra l’adesione ad una scrittura realistica ed il bisogno di evasione, il desiderio che esista qualcosa di diverso e migliore da qualche altra parte. Ciò porta ad un’oscillazione tra il visionario, fiabesco e realismo. Tutti i suoi racconti sono legati da un tema comune, la madre mancante, sia nel senso stesso sia nel senso che le madri perdono il loro ruolo con la perdita dei figli.
L’isola di Arturo
L’isola di Arturo è il secondo romanzo scritto da Elsa Morante in questo romanzo il protagonista narrante è un soldato della seconda guerra mondiale prigioniero in Africa, Arturo, che rievoca, per darsi ragione e consolarsi della presente segregazione, i momenti cruciali dell’infanzia passati sull’isola di Procida.
Nel romanzo appare il tema della separatezza, inizialmente nella prigionia del narratore, poi la separatezza dell’isola, dove sul punto più alto vi è il penitenziario, come quasi a dominare il paesaggio.
Dalla prigione, Arturo, vive la segregazione dell’infanzia, un momento di distacco in cui l’IO narrante crea il mondo leggendolo con gli occhi stupiti di un bambino.
Arturo è orfano della madre, il padre è quasi sempre assente e il fanciullo immagina per lui straordinarie avventure nel mondo fuori dall’isola, mentre il bambino è allevato da un pesano.
Quando Arturo ha raggiunto l’età di quattordici anni, il padre torna sull’isola con una moglie sedicenne, Nunziatina. Di qui inizia il suo ingresso nel mondo degli adulti attraverso
l’emergere della sessualità.
Nunziatina è contemporaneamente sua coetanea, ma anche madre e donna; Dentro Arturo cresce un desiderio per un “bacio fatale” da Nunziatina, ma viene decisamente respinto. Ora il protagonista avverte una nuova e triste forma di segregazione: la solitudine.
Nell’ultima estate che passa sull’isola, ormai divenutagli estranea, Arturo viene iniziato al sesso da una vedova e scopre che il padre non ha mai compiuto i favolosi viaggi che lui immaginava, ma degradanti atti a carattere omosessuale nei bassifondi di Napoli. Con la
scoperta di questa notizia, va a cadere l’unico mito che gli era rimasto e accentua ancora di più la sua triste solitudine.
Alla notizia dello scoppio della seconda guerra mondiale parte per arruolarsi e per entrare nella nuova prigione degli adulti. Proprio da una prigione in Africa rievoca la sua infanzia felice.
Mussolini e il popolo italiano
Il testo che segue è una parte del diario di Elsa Morante che verrà pubblicato dopo la sua morte nella raccolta Opere.
Roma 1° maggio 1945 Mussolini e la sua amante Clara Petacci sono stati fucilati insieme, dai partigiani del Nord Italia.
Non si hanno sulla loro morte e sulle circostanze antecedenti dei particolari di cui si possa essere sicuri. Così pure non si conoscono con precisione le colpe, violenze e delitti di cui Mussolini può essere ritenuto responsabile diretto o indiretto nell’alta Italia come capo della sua Repubblica Sociale . Per queste ragioni è difficile dare un giudizio imparziale su quest’ultimo evento con cui la vita del Duce ha fine.
Alcuni punti però sono sicuri e cioè: durante la sua carriera, Mussolini si macchiò più volte di delitti che, al cospetto di un popolo onesto e libero, gli avrebbe meritato, se non la morte, la vergogna, la condanna e la privazione di ogni autorità di governo (ma un popolo onesto e libero non avrebbe mai posto al governo un Mussolini ). Fra tali delitti ricordiamo, per esempio: la soppressione della libertà, della giustizia e dei diritti costituzionali del popolo (1925), la uccisione di Matteotti (1924), l’aggressione all’Abissinia, riconosciuta dallo stesso Mussolini come consocia alla Società delle Nazioni, società cui l’Italia era legata da patti (1935),la privazione dei diritti civili degli Ebrei , cittadini italiani assolutamente pari a tutti gli altri fino a quel giorno (1938).
Tutti questi delitti di Mussolini furono o tollerati, o addirittura favoriti e applauditi. Ora, un popolo che tollera i delitti del suo capo, si fa complice di questi delitti. Se poi li favorisce e applaude, peggio che complice, si fa mandante di questi delitti.
Perché il popolo tollerò favorì e applaudì questi delitti? Una parte per viltà, una parte per insensibilità morale , una parte per astuzia, una parte per interesse o per machiavellismo. Vi fu pure una minoranza che si oppose; ma fu così esigua che non mette conto di parlarne.
Finché Mussolini era vittorioso in pieno, il popolo guardava i componenti questa minoranza come nemici del popolo e della nazione , o nel miglior dei casi come dei fessi (parola nazionale assai pregiata dagli italiani).
Si rendeva conto la maggioranza del popolo italiano che questi atti erano delitti? Quasi sempre, se ne rese conto , ma il popolo italiano è cosìffatto da dare i suoi voti piuttosto al forte che al giusto ; e se lo si fa scegliere fra il tornaconto e il dovere, anche conoscendo quale sarebbe il suo dovere, esso sceglie il suo tornaconto.
Mussolini,uomo mediocre, grossolano, fuori dalla cultura, di eloquenza alquanto volgare, ma di facile effetto , era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano
contemporaneo. Presso un popolo onesto e libero, Mussolini sarebbe stato tutto al più il leader di un partito con un modesto seguito e l’autore non troppo brillante di articoli verbosi sul giornale del suo partito. Sarebbe rimasto un personaggio provinciale, un po’ ridicolo a causa delle sue maniere e atteggiamenti, e offensivo per il buon gusto della gente educata a causa del suo stile enfatico, impudico e goffo. Ma forse, non essendo stupido, in un paese libero e onesto, si sarebbe meglio educato e istruito e moderato e avrebbe fatto migliore figura, alla fine.
In Italia, fu il Duce. Perché è difficile trovare un migliore e più completo esempio di Italiano.
Analisi
Elsa Morante scrive questa parte del suo diario personale, il 1° maggio del 1945, a soli pochi giorni di distanza dalla morte di Mussolini, avvenuta il 28 aprile 1945. Infatti egli fu catturato dai partigiani mentre stava cercando di fuggire dall’Italia, ormai liberata dagli Alleati, e venne fucilato, insieme alla sua compagna . Il suo corpo fu esposto a Piazzale Loreto a Milano il giorno seguente, appeso a testa in giù.
La scrittrice dice che è difficile dare un “giudizio imparziale” su questa morte, ma riesce bene in questo giudizio analizzando il carattere del popolo italiano che prima di ucciderlo lo aveva messo al potere. Non ci sono infatti segni di festeggiamento o gioia nel testo, ma anzi critica molto duramente tutti quegli italiani che pur sapendo i crimini di cui si era macchiato non hanno fatto niente per fermarlo. Il popolo italiano, infatti, viene visto dalla Morante come complice e mandante dei delitti di Mussolini, in quanto li aveva tollerati e a volte anche favoriti e applauditi. Aggiunge inoltre che “un popolo onesto e libero non avrebbe mai posto al governo un Mussolini”, caratteristiche che il popolo non dimostra. Esso infatti appare come ipocrita e corrotto in quanto preferisce il forte al giusto e il profitto personale al bene del paese. Sono infatti queste ragioni che portano l’autrice a dire che Mussolini “era ed è un perfetto esemplare e specchio del popolo italiano contemporaneo” e che lo
porteranno a governare il paese.
La Storia
La Storia viene scritto tra la fine del 190 ed il 1973, viene pubblicato in modo da permettere la lettura di questo anche da un pubblico popolare, confermando le intenzioni dell’autrice, cioè scrivere un’opera che fosse dalla parte dei più deboli, che avesse come protagonista la povera gente, vittima della storia. Il libro nasce con forti ambizioni politiche ed ha come scopo il ricatto degli oppressi. D’altra parte, però, vi erano chi vedeva il romanzo un esempio di letteratura pateticosentimentale. Eppure da qui viene tratto il film omonimo.
TRAMA
La protgonista di questo romanzo è Ida Romualdo, maestra elementare calabrese malata di epilessia figlia di due insegnanti Giuseppe che mure di cirrosi e Nora che era ebrea. Lei vive in una Roma devastata dalla guerra e poi avviata verso un’incerta ricostruzione. Ida, rimasta precocemente vedova del marito morto di cancro e poco dopo lasciata anche dal padre che muore e non tanto dopo anche dalla madre deve allevare il figlio, Nino.
Successivamente essere stata violentata da un giovanissimo soldato tedesco, resta incinta e malgrado la vergogna dà alla luce Useppe che porta nella vita di Ida e di Nino una nota di
allegria e di speranza. Ida deve rifugiarsi a Pietralata, a causa dei bombardamenti, e qui soffre per la promiscuità e la miseria. Il piccolo Useppe conserva la propria felicità, mentre Nino raggiunge i partigiani. Terminata la guerra, la vita sarà ancora più difficile: Nino pensa di dover continuare, a modo suo, la lotta armata, tanto da finire ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia; quanto all’amico David Segre, che aveva condotto Nino fra i partigiani, si uccide con la droga. Useppe muore, dopo un attacco di epilessia e siccome la sua cagnolina Bella non vuole far toccate il corpo da nessuno, viene abbattuta. Ida invece si rassegna, con tranquilla pazzia, incapace di scelte alternative e muore in un ospedale psichiatrico.
I CARATTERI GENERALI
La Storia che il romanzo racconta è quella con la s minuscola: è la storia dei grandi nomi e dei grandi eventi. All’interno di questa vi è la storia degli umili come Ida e i suoi figli.
L’autrice eleva dunque la sua protesta, una denuncia, contro la società, contro la grande Storia, che ignora e nasconde la sofferenza delle proprie vittime che invece qui vengono messe in evidenza.
Il romanzo è chiuso da una citazione di Antonio Gramsci «Tutti i semi sono falliti eccettuato uno, che non so cosa sia, ma che probabilmente è un fiore e non un’erbaccia».
È diviso in 8 capitoli ognuno dedicato ad un anno dal 1941 al 1947 e con esplicita indicazione alla fine «... e la storia continua».
Fondamentali sono i temi della guerra, degli orrori e del dolore, dell’invasione, della violenza e della morte. Inoltre vi è il tema della fuga, dell’evasione, della compensazione (i sogni, i rifugi).
Pietoso dramma al quartiere Testaccio
Questa è la conclusione della Storia, in cui alla scarna sintesi giornalistica del fatto è anteposta la cronaca dei presentimenti di Ida e delle sue reazioni al constatare la disgrazia . Nella morte di Useppe, nella follia di Ida, nell’uccisione della cagna Bella sta lo “scandalo”
della Storia, la sua violenza contro i più deboli. Tuttavia, l’amore materno, l’innocenza infantile e la fedeltà animale sono al tempo stesso atto d’accusa e garanzia di riscatto contro il cieco, atroce meccanismo storico, di cui l’arte ha il dovere di rendere testimonianza.
…era passata poco piú di un'ora (dovevano essere circa le nove e mezza) quando le sopravvenne una sorta di malessere insostenibile . Si trovava nella stanza della direttrice, in riunione con altri insegnanti, e dapprincipio, non essendo nuova a certi fenomeni nervosi, si sforzò di seguire tuttavia la discussione in corso (si trattava di Colonie estive, di certificati delle famiglie, di questioni di merito e di diritto degli alunni...) finché si persuase, con una certezza quasi accecante, che tutto questo non la riguardava piú. Essa avvertiva il suono delle voci intorno, e ne udiva anche le parole, ma in una dimensione rovesciata, come se queste voci fossero un ricordo, che intanto le si mischiava alla rinfusa con altri ricordi. Le pareva che fuori, sotto il sole bruciante, la città fosse invasa dal panico, e la gente corresse verso i portoni, a un avviso insistente: «è l'ora del coprifuoco! » e non capiva piú se fosse giorno o notte. D'un tratto ebbe la sensazione cruda che, dall'interno, delle dita graffianti le si aggrappassero alla laringe per soffocarla, e, in un enorme isolamento, ascoltò un piccolo urlo lontano. La stranezza fu che lei non riconobbe quell'urlo. Poi la grande nebbia si sciolse,
e la scena presente le riapparve normale, con la direttrice al suo scrittoio e gli insegnanti seduti all'intorno in discussione. Costoro, frattanto, non s'erano accorti di nulla: Ida, infatti, era soltanto impallidita.
Di lí a pochi minuti, la medesima sensazione già provata le tornò uguale: di nuovo le unghiate che la soffocavano, l'assenza, e l'urlo. Le pareva che quest'urlo, in realtà, non appartenesse che a lei stessa: quasi un lamento sordo dei suoi bronchi. Passando, esso le lasciava un segno di offesa fisica, pari a una mutilazione. E alla sua coscienza annebbiata sventolavano, insieme, degli avanzi stracciati di memoria: il giovane soldato tedesco a Via dei Volsci steso su di lei, nell'orgasmo... Lei bambina, in campagna dai nonni, dietro al cortile dove si sgozzava una capretta, per la festa... Poi tutto si sperdeva in disordine, fra lo svanire della nebbia. Nel corso di forse un quarto d'ora, a intervalli piú o meno uguali, la cosa si ripeté ancora due volte. D'un tratto Ida si alzò dalla sua sedia, e, balbettando qualche scusa incoerente, corse nel piccolo ufficio della segreteria, che oggi era deserto, per telefonare a casa.
Questa non era la prima volta che, alla sua chiamata, per l'uno o l'altro motivo la nota vocina da Via Bodoni tardava a rispondere, o non dava risposta affatto. Ma oggi, gli squilli a vuoto di là dal filo le arrivarono come un segnale di sommovimento e d'invasione, che le comandava di correre a casa d'urgenza. Essa si lasciò cadere il ricevitore dalle mani trascurando di riagganciarlo. E, senza nemmeno riaffacciarsi sulla stanza della direzione, infilò la scala verso l'uscita dabbasso. Di nuovo, a metà della scala, fu sorpresa da quello strano spasmo ripetuto, ma il grido interno che glielo accompagnava stavolta era piú simile a un'eco: e le portava una oscura indicazione della propria sorgente a cui ribatteva tardato e spoglio. Anche la nebbia, che l'aveva arrestata a metà scala, stavolta si dissolse immediatamente, sgombrandole il passo.[...]
Nel breve tratto da scuola fino a casa, Ida era stata esclusa, in realtà, dai suoni esterni, perché andava ascoltando un altro suono, del quale non aveva udito piú il simile dopo l'ultima sua passeggiata al Ghetto. Era, di nuovo, una specie di nenia ritmata che chiamava dal basso, e riesumava, nella sua dolcezza tentante, qualcosa di sanguinoso e di terribile, come si diffondesse verso punti dispersi di miseria e di fatica, a raccogliere nel chiuso le mandrie per la sera. Poi, non appena si riaffacciò sul secondo cortile, le voci reali della mattina la riaggredirono, con suoni di radio dalle finestre. Essa evitò di guardare in su alla propria finestra di cucina, dove Useppe, nei giorni della sua prigionia domestica, usava aspettarla dietro il vetro. Difatti, e quasi assurdamente, essa sperava di scorgere pure oggi, guardando in su, quella piccola sagoma familiare. E cercava ancora di sfuggire alla certezza che invece la finestra oggi era vuota.
Mentre s'inoltrava su per la scala, le pervennero, dall'ultimo piano, gli squilli del suo telefono di casa, che tuttora seguitava a suonare, da quando lei stessa ne aveva chiamato il numero, senza richiudere, pochi minuti prima, dalla segreteria. Solo quand'essa pervenne all'ultimo pianerottolo, lo stupido segnale tacque.
Allora, di là dall'uscio d'ingresso, le giunse una piccola voce penosa , che le sembrò il pianto di una bambina. Era l'uggiolio di Bella, la quale, nel proprio lamento solitario, non reagí nemmeno all'udire il suo noto passo che avanzava sull'ultima rampa. Qua lei trasalí, vedendo una figura torva che la minacciava di fronte; ma non era altro, in realtà, che una macchia sul muro della scala, scrostato e umido per la prossimità delle fontane. Da quando loro abitavano il palazzo, quella macchia c'era sempre stata; ma Ida non aveva mai neppure notato, fino a oggi, una tale presenza terribile.
Nell'ingressetto buio, il corpo di Useppe giaceva disteso, con le braccia spalancate, come sempre nelle sue cadute. Era tutto vestito, salvo i sandaletti che, non affibbiati, gli erano cascati via dai piedi. Forse, vedendo la bella mattinata di sole, aveva preteso di andarsene pure oggi con Bella alla loro foresta? Era ancora tiepido, e cominciava appena a irrigidirsi;
però Ida non volle assolutamente capire la verità. Contro i presagi ricevuti prima dai suoi sensi, adesso, davanti all'impossibile, la sua volontà si tirò indietro, col farglielo credere soltanto caduto (durante quest'ultima ora della propria lotta inaudita col Grande Male, in realtà Useppe, là nell'ingresso, era caduto e ricaduto da un attacco a un altro e a un altro, quasi senza sosta...) E dopo averlo trasportato in braccio sul letto, essa si tenne là china su di lui, come le altre volte, in attesa che lui rialzasse le palpebre in quel suo solito sorriso particolare. Solo in ritardo incontrando gli occhi di Bella, essa capí. La cagna difatti era lí che stava a guardarla con una malinconia luttuosa, piena di compassione animalesca e anche di commiserazione sovrumana : la quale diceva alla donna: «Ma che aspetti, disgraziata? Non te ne accorgi che non abbiamo piú niente, da aspettare?»
Ida provò lo stimolo di urlare; ma ammutolí a un ragionamento immediato: «Se grido, mi sentiranno, e verranno a portarmelo via...» Si protese minacciosa verso la cagna: «Sss...» le bisbigliò, «zitta, non facciamoci sentire da loro...» E dopo aver tirato il catenaccio nell'ingresso, in silenzio prese a correre le sue stanzucce, urtandosi nei mobili e nei muri con tale violenza da farsi dei lividi per il corpo. Si dice che in certi stati cruciali davanti agli uomini ripassino con velocità incredibile tutte le scene della loro vita. Ora nella mente stolida e malcresciuta di quella donnetta, mentre correva a precipizio per il suo piccolo alloggio , ruotarono anche le scene della storia umana (la Storia) che essa percepí come le spire multiple di un assassinio interminabile . E oggi l'ultimo assassinato era il suo bastarduccio Useppe. Tutta la Storia e le nazioni della terra s'erano concordate a questo fine: la strage del bambinello Useppe Ramundo. Essa riapprodò nella camera e si sedette sulla sedia vicino al sommier, in compagnia di Bella, a guardare il pischelletto. Ormai, sotto le palpebre schiacciate, gli occhi sembravano infossarglisi nella testa, sempre piú a ogni momento che passava; ma pure, fra i suoi ciuffetti in disordine, si riconosceva ancora quel suo unico ciuffetto centrale, che non voleva mai ravviarsi con gli altri e stava lì nel mezzo, dritto... Ida prese a lagnarsi con una voce bassissima, bestiale: non voleva piú appartenere alla specie umana. E intanto la sorprese una nuova allucinazione auditiva: tic tic tic si sentiva per tutto il pavimento della casa. Tic tic tic, il passo di Useppe, come lo scorso autunno, quando camminava di continuo su e giú per tutta casa, coi suoi stivalini, dopo la morte di Ninnuzzu...
Ida prese a dondolare in silenzio la propria testolina imbianchita; e qui le sopravvenne il miracolo. Il sorriso, che oggi aveva aspettato inutilmente sulla faccia di Useppe, spuntò a lei sulla sua propria faccia. Non era molto diverso, a vederlo, da quel sorriso di quiete, e di ingenuità meravigliosa, che le sopraggiungeva, nei giorni dell'infanzia, dopo i suoi attacchi isterici. Ma oggi, non si trattava d'isteria: la ragione, che già da sempre faticava tanto a resistere nel suo cervello incapace e pavido, finalmente aveva lasciato dentro di lei la sua presa.
Il giorno dopo sui giornali apparve la notizia di cronaca: Pietoso dramma al quartiere Testaccio ‑Madre impazzita vegliando il corpo del figlioletto. Ein conclusione vi si leggeva:
Si è reso necessario abbattere la Bestia. Quest'ultimo particolare ‑facile capirlo ‑si riferiva alla nostra pastora. Difatti, come si poteva prevedere, Bella sviluppò una ferocia decisa a tutto e sanguinaria, contro gli ignoti che, forzato l'uscio, s'erano introdotti nell'alloggetto di
Via Bodoni per eseguire i loro compiti legali. Essa non permetteva assolutamente a costoro di portare via di casa Useppe e Ida. È tempo di notare, a questo punto, che gli animali resi sterili, a quanto si dice, perdono in genere la loro aggressività: però Bella evidentemente, almeno per ora, contraddiceva a questa legge fisiologica. [...] Da sola, essa riuscí a far paura a una squadra di nemici, fra i quali almeno un paio erano muniti delle armi di ordinanza. Nessuno ebbe il coraggio di affrontarla direttamente. E cosí, essa mantenne la parola data a Useppe il giorno del suo ritorno a casa: «Non potranno mai piú separarci, in questo mondo».
Al colpo che abbatteva la cagna, Iduzza ebbe un breve sussulto del capo: e questo fu, sembra, l'ultimo stimolo a cui la donna reagí, finché rimase viva . La sua esistenza doveva durare ancora piú di nove anni. Nei registri dell'ospedale, dove fu ricoverata quel giorno stesso per non uscirne piú fino all'ultimo, il suo decesso è segnato alla data 11 dicembre 1956. Sembra sia morta per complicazioni polmonari in seguito a un comune attacco di febbre. Aveva 53 anni.[...]
Io credo , invero, che quella piccola figura senile, di cui taluno ricorda ancora il sorriso quieto nei cameroni deliranti dell'O.P., non sia durata nove e piú anni se non per gli altri, ossia secondo il tempo degli altri. Uguale al transito di un riflesso che, dal suo punto irrisorio, si moltiplica in altri e altri specchi a distanza, quella che per noi fu una durata di nove anni, per lei fu appena il tempo di una pulsazione. Lei pure, come il famoso Panda Minore della leggenda, stava sospesa in cima a un albero dove le carte temporali non avevano piú corso.
Essa, in realtà, era morta insieme al suo pischelletto Useppe (al pari dell'altra madre di costui, la pastorella maremmana). Con quel lunedí di giugno 1947, la povera storia di Iduzza Ramundo era finita.
Analisi
L’epilessia, il Grande Male, all’interno del romanzo diventa una metafora del male che domina sul mondo della storia, sia la Storia (« uno scandalo che dura diecimila anni») sia la storia quotidiana che viene inevitabilmente travolta dalla prima.
La lotta inaudita a cui fa capo il piccolo Useppe nei suoi ultimi istanti di vita, rappresenta la lotta senza fine che l’uomo continua a portare avanti in ogni momento della sua esistenza in qualsiasi condizione, proprio come Useppe che è «caduto e ricaduto da un attacco a un altro, quasi senza sosta».
Il piccolo Useppe diviene simbolo dell’ uomo vittima sull’altare della Storia , infatti viene ritrovato «disteso, con le braccia spalancate», come un crocifisso ad immagine di Cristo innocente che riscatta con il sacrificio della sua vita il male del mondo ed è ciò che fa scatenare la pace finale di Ida che torna come fosse un miracolo.
Per Elsa Moante le vittime della grande Storia sono donne, bambini, animali ai quali, però, è riservata una forma di consapevolezza superiore «Ma che aspetti, disgraziata? Non te ne accorgi che non abbiamo piú niente, da aspettare? », ma come vittima, « Si è reso necessario abbattere la Bestia ». Morante vede nel mondo dei piccoli, l’unico che porti in sé la possibilità di salvezza e per questo la “compassione animalesca” di Bella diventa una forma di
“commiserazione sovrumana”.
Il racconto è in terza persona , verso la fine però si avverte la presenza di un commentatore , che si assume la responsabilità di intervenire in prima persona . Per cui troviamo da un lato
la narratrice che vuole mantenere l’oggettività e l’attendibilità dei fatti; dall’altro lato, è la narratrice che segnala la propria presenza intervenendo a commentare all’inizio impersonalmente:«Si dice in certi stati cruciali»; poi esponendosi direttamente«Io credo». Da evidenziare è anche l’uso dei diminutivi come ingressetto, sandaletti, donnetta,
bastarduccio, bambinello, pischelletto, ciuffetti, stivalini, Ninuzzu, testolina. Questi hanno la funzione di rappresentare la fragilità delle vittime e la pena che si vuole trasmettere.
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Fonti:
Mondi letterari volume 4 Rocco Verna, Paola Papa, Mariacarla Vian, Cecilia Verna http://www.treccani.it/enciclopedia/elsamorante/
http://www.scudit.net/mdmorante.htm
Libri:
Leggere come io l’intendo… Ezio Raimondi Letteratura italiana Mondi letterari volume 4