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Academic year: 2022

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Le attivita` agricole principali

di

Giuseppina Pisciotta

SOMMARIO: 1. Le attivita` c.d. principali. La coltivazione. – 1.1. L’attivita` vivaistica e la funghicoltura. – 1.2. La ‘‘fase necessaria del ciclo biologico’’ nell’attivita` di coltivazio- ne. – 2. La selvicoltura. – 3. L’allevamento di animali. – 3.1. L’allevamento di cavalli e l’attivita` cinotecnica. – 3.2. Gli allevamenti ‘‘minori’’ e l’apicoltura. – 3.3. Gli alleva- menti nelle acque dolci, salmastre o marine. – 4. L’allevamento nelle discipline pre- videnziale, tributaria e antinquinamento. – 5. L’espressione ‘‘fase necessaria del ciclo biologico’’ e l’allevamento.

LEGISLAZIONE: art. 2135 c.c.; r.d. 30.12.1923, n. 3267; l. 8.8.1985, n. 431; l. 26.11.1986, n. 778; d.lg.

18.5.2001, n. 226; d.lg. 18.5.2001, n. 227; d.lg. 18.5.2001, n. 228; l. 24.12.2004, n. 313.

BIBLIOGRAFIA: ALBISINNI, Dai distretti all’impresa agricola di fase, Viterbo, 2002; ALESSI, L’impresa agricola (sub artt. 2135-2140 c.c.), in Comm. Schlesinger, Milano, 1990; ID., La nozione di impresa agricola e le recenti tendenze della legislazione italiana, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1996, 395; CAMPOBASSO, Diritto commerciale, I, Diritto dell’impresa, 5a ed., Torino, 2006; CASADEI, Commento agli artt. 1 e 2, d.lg. 228/2001, in Commento ai tre decreti orientamento: della pesca e acquacoltura, forestale e agricolo, a cura di Costato, in Leggi civ. comm., 2001; COSSU, La ‘‘nuo- va’’ impresa agricola tra diritto agrario e diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 2003, 80; COSTATO, Criterio agrobiologico e coltivazione del terreno, in Impresa zootecnica e agrarieta`, a cura di Mas- sart, Milano, 1989; ID., La disciplina dell’apicoltura, in Riv. dir. agr., 2005, 116; GALGANO, Diritto commerciale. L’imprenditore, Bologna, 1982; MASSART, Contributo alla determinazione del con- cetto giuridico di ‘‘agricoltura’’, in Riv. dir. agr., 1974, I, 312; PETRELLI, Studio sull’impresa agri- cola, Milano, 2007; PISCIOTTA, Il Regolamento (CE) n. 1346/2000 sulle procedure d’insolvenza e il suo impatto nell’ordinamento italiano, in Europa e dir. priv., 2001, 413; ROMAGNOLI, Il ‘‘fondo’’

nell’art. 2135, vecchio e nuovo, codice civile, in Dir. e giur. agr. amb., 2001, 497.

1. Le attivita` c.d. principali. La coltivazione.

La nuova formulazione dell’art. 2135 c.c. – ampiamente illustrata sopra nella sua complessiva valenza sistematica1 – introduce una nozione di im-

1 Cfr., supra, Introduzione e Cap. I.

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prenditore agricolo ‘‘aggiornata’’ in quanto essenzialmente costruita non piu` sul criterio ‘‘fondiario’’ e cioe` sul criterio del collegamento economico funzionale con la ‘‘base produttiva’’ ma sul c.d. criterio del ciclo biologico2. Gli imprenditori agricoli sono coloro che esercitano attivita` per il cui svol- gimento si utilizzano o si ‘‘possono’’ utilizzare il fondo e le altre basi pro- duttive come il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Il riferimento alla potenzialita` (che potrebbe tradursi in mera eventua- lita`) della presenza della base produttiva fondiaria, da una parte costringe l’interprete a ricorrere ad ulteriori parametri di ‘‘contenimento’’ delle atti- vita` in questione3, dall’altra, segna l’abbandono della ratio su cui si fondava originariamente nel sistema codicistico la differenza tra impresa agricola e commerciale o, per meglio dire, tra impresa agricola e imprese soggette a registrazione, individuata essenzialmente nella circostanza che «le attivita`

agricole si svolgono nel fondo e non abbisognano di un particolare sistema di pubblicita`» (cosı` la Relazione ministeriale all’art. 2136 c.c.4).

Ma, tornando alla scelta operata dal legislatore del 2001 nel senso del- l’abbandono del presupposto dell’‘‘effettivo’’ rapporto economico-funzio- nale con la base produttiva – ed in particolare con il ‘‘fondo’’ – e dell’assun- zione del ciclo biologico quale criterio di qualificazione delle attivita` agri- cole, cosı` come emergerebbe dal 2oco. dell’art. 2135 c.c. riformato, ci si ren- de conto che essa non appare, tuttavia, priva di ambiguita`, non foss’altro per via del riferimento proprio alla ‘‘coltivazione del fondo’’ tra le attivita`

agricole (principali), di cui al 1oco. della nuova norma.

La formula adottata dal legislatore delegato – indicazione al 1oco. del- l’art. 2135 c.c. della ‘‘coltivazione del fondo’’ tra le attivita` essenzialmente agricole, salva la successiva precisazione, al 2oco., che per «coltivazione del fondo (...) si intendono le attivita` dirette alla cura ed allo sviluppo di un ci- clo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o

2 Il legislatore ha infatti individuato le attivita` principali (o, se si preferisce, agricole ex se) nella «coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali» (1oco.) da in- tendersi come «attivita` dirette alla cura di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso (...) che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine» (2oco.).

3 E v. gia` le considerazioni svolte a proposito del ricorso al criterio merceologico, su- pra, Cap. I, § 6.

4 Ma sul punto cfr. infra, Parte I, Cap. IV, le osservazioni sull’attuale vigenza dell’art.

2136 c.c.

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animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo (...)» – ha sollecitato in dottrina un dibattito tra coloro che hanno considerato il riferimento al

‘‘fondo’’ con riguardo alla coltivazione alla stregua di un refuso dei redat- tori della norma5; quanti hanno colto l’occasione per riproporre la tesi se- condo cui il termine ‘‘fondo’’ avrebbe oggi un diverso significato, non coin- cidente con il bene terra, quando si tratti di individuare le attivita` qualifi- canti l’impresa agricola6; e quanti, infine, hanno utilizzato tale riferimento come appiglio per rintracciare una voluntas legis che intenderebbe conti- nuare ad agganciare all’elemento fondiario (ancorche´ soltanto potenziale) la definizione dell’ambito dell’agrarieta`7.

Da parte nostra si ritiene di aderire alla tesi8secondo cui il testo norma- tivo nel suo complesso lascia intendere che il criterio del ciclo biologico9 accolto da una parte della dottrina10quale criterio di qualificazione agricola delle attivita` ‘‘principali’’, in realta` non si configura come l’«elemento mar- catore di ogni attivita` essenzialmente agricola»11, secondo la formula enfa- ticamente proposta in dottrina, dovendo piuttosto l’interprete recuperare, nella lettura della nuova definizione di imprenditore agricolo, un qualche collegamento tra attivita` e base produttiva fondiaria, almeno quando si trat- ti di ‘‘coltivazione’’.

Invero, il 2oco. dell’art. 2135 c.c. riformato non adotta quale esclusivo criterio di identificazione dell’agrarieta` quello dello svolgimento di un ciclo biologico (o di una fase di esso), ma richiede, per la qualificazione delle at- tivita` essenzialmente agricole, la presenza di un ulteriore elemento, vale a dire l’effettivo o potenziale utilizzo ai fini produttivi di una base fondiaria (o, nelle attivita` diverse dalla coltivazione, una base acquatica).

5 PETRELLI, Studio sull’impresa agricola, Milano, 2007, 210.

6 ROMAGNOLI, Il ‘‘fondo’’ nell’art. 2135, vecchio e nuovo, codice civile, in Dir. e giur.

agr. amb., 2001, 497 ss., il quale afferma che l’attuale scelta normativa e` la conferma della presa d’atto da parte del legislatore che il termine ‘‘fondo’’ vada inteso nel senso piu` am- pio di ‘‘base produttiva’’ rientrando pertanto nel concetto di ‘‘fondo’’ sia il fondo ‘‘rusti- co’’ che il fondo ‘‘acqueo’’ che il fondo ‘‘boscato’’.

7 GERMANO`, L’impresa agricola, in Dir. e giur. agr. amb., 2001, 512.

8 GERMANO`, op. ult. cit., 508-509. E v. quanto gia` osservato supra, Cap. I, § 9.

9 Su cui torneremo infra, § 2.2.

10 Cfr. GOLDONI, in Trattato breve di diritto italiano e comunitario, diretto da Costato, 3aed., Padova, 2003, 190.

11 Cosı` invece PETRELLI, op. cit., 207; 217-218.

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L’ultima parte del 2o co. dell’art. 2135 c.c. svolge, a nostro avviso, una funzione limitativa del criterio c.d. del ciclo biologico: l’elemento fondiario, pur non avendo quel ruolo che lo rendeva presenza ‘‘necessaria’’ ai fini del- l’attribuzione della qualifica ‘‘agraria’’ di tutte le attivita` agricole, svolge l’importante funzione di selezionare le attivita` pur in prima battuta indivi- duabili alla stregua del criterio del ciclo biologico, in relazione alla rintrac- ciabilita`, pur in via potenziale, di un collegamento tra il loro svolgimento e la base produttiva, in particolare, con riguardo alla coltivazione, la base

‘‘fondiaria’’, per espresso riferimento legislativo12. Dunque, un collegamen- to economico funzionale ancorche´ non ‘‘effettivo’’ ma solamente ‘‘poten- ziale’’ in particolare proprio con il ‘‘fondo rustico’’, e` comunque richiesto dal legislatore con riguardo all’attivita` di coltivazione13, rimandando alle sole tipologie di attivita` (di coltivazione) la cui organizzazione, pur poten- done prescindere in concreto, e` tuttavia parimenti suscettibile di realizzarsi su un fondo rustico.

E quindi se, in generale, le altre attivita` principali saranno connotate dalle diverse basi produttive indicate dal 2oco. dell’art. 2135 c.c., l’attivita`

di coltivazione non potra` che essere connotata dal potenziale (e potremmo dire ‘‘tradizionale’’) collegamento con il ‘‘fondo’’: il riferimento al ciclo bio- logico viene cosı` precisato e delimitato, come si e` gia` sopra posto in eviden- za14, alla stregua di un criterio merceologico, dovendo ricondursi alla defi- nizione di imprenditore agricolo le attivita` (di coltivazione) nelle quali il ci- clo biologico e` rivolto alla produzione di beni suscettibili di essere prodotti anche sulla terra. Il criterio del ciclo biologico ne risulta cosı` in qualche mo- do posto al riparo da esiti discutibili che avrebbero condotto ad estendere l’ambito dell’agrarieta` ben oltre l’ambito economico e merceologico che ad

12 Cfr. peraltro COSTATO, Criterio agrobiologico e coltivazione del terreno, in Impresa zootecnica e agrarieta`, a cura di Massart, Milano, 1989, 49, il quale gia` allora sottolineava la necessita`, nell’ipotesi in cui il criterio agrobiologico fosse accolto dal nostro legislatore, di completarlo con la limitazione «per la quale l’allevamento di piante e animali e` agrico- lo, quale che sia la tecnica utilizzata, purche´ volto a produrre entita` vegetali od animali ottenibili utilmente anche con la coltivazione del terreno o con l’allevamento svolto su di esso», in tal modo anticipando quella che sembra essere la scelta operata dal legislatore del 2001. Sul punto cfr. anche le considerazioni svolte supra, Cap. I, § 7, ed ivi riferimenti alla dottrina che, nel vigore della vecchia definizione, prospettava il ricorso alla teoria del ciclo biologico; nonche´ §§ 8 e 9.

13 GERMANO`, L’impresa agricola, cit., 509.

14 V. supra, Cap. I, § 9.

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essa e` proprio, ad esempio in tema di attivita` di ‘‘coltivazione’’ e sviluppo di microrganismi, batteri, bio-proteine, muffe a scopo medicinale15.

1.1. L’attivita` vivaistica e la funghicoltura.

Il requisito del legame almeno potenziale, richiesto oggi dal legislatore, serve dunque ad individuare le attivita` di coltivazione che ‘‘in natura’’ si servono di un fondo e che, grazie alla evoluzione delle agro-tecnologie,

‘‘possono’’ essere svolte anche senza la base fondiaria.

In questo quadro normativo non potra` piu` trovare applicazione, dunque, la massima, ricorrente sotto la vigenza del vecchio art. 2135 c.c., secondo cui «l’attivita` di vivaista rientra (...) fra le attivita` agricole solo quando non siano trascesi in misura rilevante i limiti della potenzialita` del terreno e dell’esercizio normale della agricoltura»16.

Se, con riguardo all’individuazione dell’oggetto, l’attivita` produttiva non potra` che riguardare ‘‘esseri viventi vegetali’’17, non piu` ottenuti ‘‘effettiva- mente’’ dal ‘‘fondo’’, ma da un’attivita` ‘‘potenzialmente’’ realizzabile sul fondo, rimarranno fuori dall’ambito applicativo della norma le attivita` rea- lizzabili esclusivamente in laboratorio (e cioe` non realizzabili in natura at- traverso lo sfruttamento del fondo), ma non quelle – come il florovivaismo – che pure «si avvalgono di sofisticate tecniche e di particolari accorgimenti finalizzati allo sviluppo quali-quantitativo»18della pianta. Il diverso rappor- to attivita`/fondo richiesto dalla nuova norma esclude ormai un controllo in termini di effettiva potenzialita` produttiva di quest’ultimo. Per altro verso pero` sara` necessario rintracciare nell’attivita` in questione – sempre ai fini della riconduzione alla nozione di cui all’art. 2135 c.c. nuovo testo – la «ge- stione di una serie di adempimenti svolti con l’utilizzo del criterio biologico

15 Cfr. ancora supra, Cap. I, § 8 .

16 Cass., 5.6.2008, n. 14842, in Giust. civ. mass., 2008, 6, 878, che riprende quanto de- ciso da Cass., 14.9.2004, n. 18488, in Giur. it., 2005, 415; l’orientamento restrittivo, in ma- teria di ambito di applicazione del regime speciale IVA, si fondava non tanto sul disposto dell’art. 34, d.p.r. 633/1972, quanto sull’interpretazione dell’allora vigente art. 2135 c.c., cui la norma tributaria rinviava. Ma v. anche Cass., 5.12.2002, n. 1725, in Riv. dir. agr., 2003, II, 195, che esclude una lettura dell’originaria norma codicistica alla stregua del te- sto novellato, a proposito sempre di una fattispecie di attivita` florovivaistica.

17 GERMANO`, L’impresa agricola, cit., 509.

18 Cfr. ancora GERMANO`, op. ult. cit., 509.

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finalizzato allo sviluppo vegetativo», che e` presupposto per il riconoscimen- to di un’attivita` imprenditoriale agricola19, assente nel caso di imprenditore che si limiti a comprare e conservare piantine da collocare successivamente sul mercato senza contribuire, seppure per una fase, alla loro crescita20.

Alla stregua del nuovo art. 2135 c.c. (1oe 2oco.), anche l’attivita` di fun- ghicoltura, che gia` l’art. 1, l. 5.4.1985, n. 126 ‘‘considerava’’ agricola ‘‘a tutti gli effetti’’, rientrerebbe ora a pieno titolo tra le attivita` agricole ex se.

In tal senso gia` si esprimeva la giurisprudenza di merito appellandosi ad una «lettura in chiave evolutiva» del vecchio art. 2135 c.c. Questa giurispru- denza, anticipando pur con altro percorso argomentativo l’attuale scelta normativa volta a depotenziare un collegamento con il fondo, affermava in- fatti21che la «qualificazione dell’attivita` di coltivazione come agricola deri- va dall’accertamento della dipendenza della coltivazione dal c.d. ‘‘ciclo bio- logico’’, che si verifica allorquando lo sviluppo di un determinato prodotto e`, sempre in parte, dovuto alla progressiva trasformazione di risorse natu- rali. All’uopo, non rileva che la coltivazione avvenga sul fondo, quanto in- vece che vi sia l’utilizzazione del fattore-terra, quale naturale componente di un normale ciclo biologico».

La Suprema Corte anticipava la valorizzazione del criterio del ciclo bio- logico in una con l’abbandono del riferimento al fondo, ‘‘degradato’’ a sem- plice base idonea a consentire la crescita (in questo caso lettiera).

La funghicoltura, in quanto attuata attraverso un procedimento che pre- vede due momenti essenziali – quello dell’inoculazione del micelio e quello della copertura con terra, che manifestano la presenza di un ciclo biologico – va ritenuta ora attivita` di impresa agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c.22. Da qui il convincimento che la Novella abbia implicitamente abrogato la legge speciale ora richiamata e che sarebbe anzi stata opportuna una espressa abrogazione della l. 126/198523.

19 E v. infatti la circ. INPS 7.2.2002, n. 34.

20 Ma v. anche infra, § 1.2, con riguardo al concetto di ‘‘fase necessaria’’ del ciclo bio- logico.

21 T. Verona, 8.11.1989, in Giur. di Merito, 1991, 562.

22 Cosı`, fra gli altri, GERMANO`, Manuale di diritto agrario, 4aed., Torino, 2001, 89.

23 Contra, PETRELLI, op. cit., 224, in ragione della non appartenenza dei funghi ne´ al regno vegetale ne´ al regno animale (richiamati nel 2oco. dell’art. 2135 c.c.).

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1.2. La ‘‘fase necessaria del ciclo biologico’’ nell’attivita` di coltivazione.

Alla stregua del tenore del 2oco. del nuovo art. 2135 c.c., ci si e` chiesti quando un’attivita` possa essere considerata «fase necessaria allo svolgimen- to del ciclo biologico», in particolare nel caso di coltivazione di esseri viven- ti vegetali.

Invero, posto che per ciclo biologico si intende «l’insieme dei processi di accrescimento, di differenziazione e di riproduzione che conducono da un individuo ad altri simili (discendenti)»24, si condivide l’interpretazione di chi ritiene che «la fase necessaria sarebbe composta, in quanto attivita`, da un insieme di atti caratterizzati teleologicamente dal costituire una parte distinguibile ed isolabile, sulla base di regole tecniche, nel flusso sequenzia- le di stadi di cui si compone il ciclo biologico (processo)»25.

Ne risulta rifiutata una identificazione tra ‘‘atto’’ e ‘‘fase’’, che darebbe invece luogo ad un «effetto disgregante incontrollabile di un flusso sequen- ziale di stadi biologici previsto, invece, dalla legge, o come insieme unitario di atti inscindibili (ciclo biologico considerato nella sua interezza), o come insieme di atti raggruppati in processi scientificamente distinguibili (fase necessaria)»26.

Resta pertanto confermata la tesi secondo cui, sulla base della premessa che identifica le attivita` agricole (solo) con attivita` di produzione, potra`

senz’altro negarsi la qualifica di imprenditore agricolo «ai mercanti di pian- te e di fiori recisi, ‘‘conservatori’’ di frutta non ancora perfettamente matu- ra»27a coloro, insomma, che non curano alcuna ‘‘fase necessaria’’ del ciclo biologico dell’essere vivente vegetale.

In tal senso si sono orientati, all’indomani dell’entrata in vigore del nuo- vo art. 2135 c.c., i giudici di merito, quando hanno affermato28che «ai fini della dichiarazione di fallimento di una societa`, va esclusa la natura di im- presa agricola ai sensi del novellato art. 2135 c.c. che ne precluderebbe la sua assoggettabilita` alla procedura concorsuale, quando l’oggetto sociale

24 Cfr. PETRELLI, op. ult. cit., specialmente 209, nota 162, dove cita il Glossario Am- bientale del Corpo Forestale dello Stato.

25 Cfr. PETRELLI, op. ult. cit., 210.

26 Cfr. PETRELLI, op. ult. cit., 210.

27 V. GERMANO`, L’impresa agricola, cit., 510.

28 Cfr. T. Agrigento, 14.4.2003, in Giur. it., 2004, 1431, con nota di DERENTIIS.

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pattuito e` quello di lavorazione e trasformazione di ortaggi senza che risulti la diretta cura di alcun ciclo biologico vegetale o animale». Nella specie, i giudici hanno ribadito che non si puo` ritenere che una societa` svolga attivi- ta` di impresa agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c. quando, oltre ad essere iscritta al registro delle imprese nella sezione ordinaria, in concreto si limiti ad acquistare prodotti ortofrutticoli da terzi, ad imbustarli e a distribuirli commercialmente, senza compiere alcuna attivita` di lavorazione e trasfor- mazione di materie prime.

2. La selvicoltura.

La selvicoltura e` un’attivita` agricola ex se e consiste, secondo la nuova definizione data dall’art. 2135 c.c., nella cura del ciclo biologico, o di una fase necessaria di esso, di esseri viventi vegetali, che utilizza o puo` utilizza- re, quale base produttiva, ‘‘il bosco’’. Si intendono inclusi nel concetto di selvicoltura che emerge dall’interpretazione del dato normativo, intanto, quell’insieme di interventi che va dai tagli di rinnovazione ai tagli interca- lari che permettono la coltivazione del bosco garantendo la sua rinnovabi- lita`. Si tratta di attivita` che tradizionalmente sono rientrate nel concetto di selvicoltura e che hanno acquistato un valore aggiunto in vista della finalita`

ecologica che perseguono29. Invero, rinnovamento naturale, rispetto della biodiversita`, sviluppo sostenibile, multifunzionalita` dell’impresa, sono tutte scelte qualificanti delle politiche di intervento nel comparto agricolo (allar- gato) e nell’ambiente rurale, che hanno portato a una maggior considera- zione della selvicoltura c.d. naturalistica30, tanto da venire individuate come finalita` dall’art. 1, 1oco., d.lg. 227/200131, che, come noto, contiene le misu-

29 Cfr. le osservazioni di GERMANO`, L’impresa agricola, cit., specialmente 510 ss.

30 Cfr. r.d. 30.12.1923, n. 3267, c.d. legge forestale; l. 8.8.1985, n. 431, c.d. legge Ga- lasso.

31 L’art. 1, 1oco., d.lg. 227/2001 cosı` recita: «Le disposizioni del presente decreto sono finalizzate alla valorizzazione della selvicoltura quale elemento fondamentale per lo svi- luppo socio-economico e per la salvaguardia ambientale del territorio della Repubblica italiana, nonche´ alla conservazione, all’incremento ed alla razionale gestione del patrimo- nio forestale nazionale, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale e comu- nitario dall’Italia in materia di biodiversita` e sviluppo sostenibile con particolare riferi- mento a quanto previsto dalle Risoluzioni delle Conferenze interministeriali sulla prote- zione delle foreste in Europa di Strasburgo, Helsinki e Lisbona».

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re di ‘‘Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma del- l’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57’’.

In tal senso l’art. 6, 1o co., d.lg. 227/2001 afferma che «le attivita` selvi- colturali sono fattore di sviluppo dell’economia nazionale, di miglioramen- to delle condizioni economiche e sociali delle zone montane, nonche´ a so- stegno di nuove opportunita` imprenditoriali ed occupazionali anche in for- ma associata o cooperativa. Esse sono strumento fondamentale per la tu- tela attiva degli ecosistemi e dell’assetto idrogeologico e paesaggistico del territorio».

Distinta da tali attivita` e` considerata l’arboricoltura da legno che ha ad oggetto la coltivazione intensiva di piantagioni arboree industriali per fini commerciali, consistente nella realizzazione e gestione di piantagioni di specie arboree finalizzate alla produzione di determinati assortimenti le- gnosi nella massima quantita` possibile. Tali piantagioni sono generalmente coetanee e monospecifiche od oligospecifiche, e vengono impiantate in aziende agricole o aziende agroforestali su terreni fertili, pianeggianti o po- co pendenti e comunque facilmente accessibili dai mezzi meccanici. Lo sco- po dell’arboricoltura da legno, a differenza della silvicoltura, e` la massimiz- zazione della produzione del materiale legnoso, che, nel momento econo- micamente e commercialmente ottimale, viene totalmente asportato. Tale attivita`, oggi, al fine di escluderla dall’applicazione della disciplina vincoli- stica, e` definita dall’art. 2, 5oco., d.lg. 227/2001, secondo cui «per arboricol- tura da legno si intende la coltivazione di alberi, in terreni non boscati (il corsivo e` nostro), finalizzata esclusivamente alla produzione di legno e bio- massa»32; tale interpretazione sarebbe peraltro confermata dall’ultima parte della norma citata secondo cui «la coltivazione e` reversibile al termine del ciclo colturale».

Tale ultima attivita`, alla stregua del vecchio testo dell’art. 2135 c.c., era esclusa dall’ambito di quelle agricole e considerata un’attivita` commerciale.

Oggi, posto il noto riferimento dell’art. 2135 al rapporto non piu` effettivo ma semplicemente potenziale con la base produttiva – che, in questo caso,

32 Ma v., per l’espressa qualificazione come attivita` agricola, ma per connessione, del- l’attivita` di «produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agro- forestali (...) nonche´ di carburanti derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalente- mente dal fondo», l’art. 1, 423oco., l. 23.12.2005, n. 266, come sostituito dall’art. 1, 369o co., l. 27.12.2006, n. 296. Sul punto si tornera` infra, Parte I, Cap. III, § 15.

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pero` non sarebbe il ‘‘bosco’’ ma tornerebbe ad essere il ‘‘fondo’’ – si ritiene vi rientri a pieno titolo33. Cio` consente di mantenere la differenza con le attivita` selvicolturali oggetto della disciplina prevista dal d.lg. 227/2001 (e segnatamente gli interventi previsti dagli artt. 6 e 7) che, invece, si svolgono in collegamento con il ‘‘bosco’’ (laddove «i termini bosco, foresta e selva sono equiparati»34): differenza che il legislatore sembra proprio voglia sot- tolineare35.

L’art. 8, d.lg. 227/2001 equipara poi agli imprenditori agricoli le «coope- rative ed i loro consorzi che forniscono in via principale, anche nell’interes- se di terzi, servizi nel settore selvicolturale, ivi comprese le sistemazioni idraulico-forestali». Il riferimento e` dunque alle attivita` di ‘‘servizio’’, alle quali peraltro faceva riferimento la legge delega (l. 57/2001) all’art. 8, 1o co., lett. b), quando individuava tra gli obiettivi da perseguire con i decreti legislativi di attuazione la definizione dell’attivita` di selvicoltura, «con equi- parazione degli imprenditori della selvicoltura a quelli agricoli»36. Vale la pena segnalare – ma vi si tornera` ampiamente – che la circostanza che, in questo caso, l’attivita` di servizio non sia organizzata (pur in forma coopera- tiva) ne´ da imprenditori agricoli (art. 2135, 3oco., c.c.), ne´ esclusivamente o prevalentemente per i soci imprenditori agricoli (art. 1, 2o co., d.lg. 228/

2001, prima parte), conferma la tendenza verso un ampliamento della qua- lificazione agraria che esce dai limiti sanciti nel 1o, 2oe 3oco. del nuovo art.

2135 c.c.37.

La Suprema Corte, nel qualificare come agricoli i lavoratori assunti da un comune per il servizio di vigilanza antincendio, ha affermato l’apparte-

33 Contra CAMPOBASSO, Diritto commerciale, I, Diritto dell’impresa, 5a ed., Torino, 2006, specialmente 50, secondo cui «quanto alla selvicoltura, resta fermo che essa deve essere concepita come attivita` caratterizzata dalla cura del bosco per ricavarne i relativi prodotti (...). Non costituisce percio` attivita` agricola l’estrazione di legname disgiunta dal- la coltivazione del bosco».

34 Cosı` l’art. 2, 1o co., d.lg. 227/2001. Nutre dubbi su tale equiparazione COSSU, La

‘‘nuova’’ impresa agricola tra diritto agrario e diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 2003, specialmente 80.

35 La definizione di arboricoltura da legno, infatti, e` data nel contesto dell’art. 2, d.lg.

227/2001 rubricato ‘‘Definizione di bosco e di arboricoltura da legno’’. In tal senso anche PETRELLI, op. cit., 239.

36 In tal senso anche GERMANO`, L’impresa agricola, cit., specialmente 511.

37 E sul punto v. ampiamente infra, Cap. III, § 7.

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nenza dell’attivita` volta alla tutela del patrimonio boschivo, nella specie la vigilanza contro il pericolo di incendi, al concetto di selvicoltura e, per que- sta via, la sua natura agricola38.

3. L’allevamento di animali.

Come noto, nella sua originaria impostazione, l’art. 2135 c.c. faceva di- pendere la natura agricola dell’attivita` di allevamento dall’appartenenza delle specie allevate alla categoria del ‘‘bestiame’’.

Nel nuovo testo il riferimento all’oggetto dell’allevamento viene indivi- duato negli ‘‘animali’’ e al contempo viene esplicitato anche il collegamen- to, effettivo o potenziale, con il fondo ovvero con le altre basi produttive (il bosco, le acque dolci, salmastre o marine). Tale nuova impostazione sostan- zialmente riapre, seppure con basi in parte differenti, le questioni interpre- tative circa la possibile selezione delle specie allevabili sollevate, nel testo previgente, dal riferimento ‘‘mediato’’ al fondo per il tramite della nozione di ‘‘bestiame’’39.

Nella nuova norma infatti con riguardo all’allevamento il legislatore ol- tre ad avere sostituito l’oggetto, dapprima individuato nel ‘‘bestiame’’, con gli ‘‘animali’’(sulla scia peraltro di aperture gia` consegnate alla legislazione speciale40) ha previsto che le basi produttive, ancorche´ in rapporto econo- mico-funzionale soltanto ‘‘potenziale’’ con l’attivita`, potranno essere sia il fondo che le acque salmastri o marine (si pensi all’acquicoltura), ma anche il bosco (e il rinvio sembra all’allevamento di animali non da ‘‘carne’’ fina- lizzato alla commercializzazione degli stessi, come gli allevamenti di anima- li da pelliccia; ovvero alle attivita` di allevamento dirette a creare delle ‘‘ri- serve’’ di caccia).

La giustificazione di tale scelta – pur non escludendosi l’ipotesi secondo cui il legislatore abbia semplicemente voluto distinguere l’allevamento degli

38 Cass., 26.11.2007, n. 24582, in Giust. civ. mass., 2007, 11. E v. ora la circ. INPS 1.12.2003, n. 186.

39 Sulla possibile qualificazione dell’allevamento (di bestiame e/o) di animali quali at- tivita` connesse (atipiche), nel vigore del vecchio art. 2135 c.c., v. ALESSI, L’impresa agri- cola (sub artt. 2135-2140 c.c.), in Comm. Schlesinger, Milano, 1990, 108 ss.

40 V. la l. 20.11.1986, n. 778.

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animali da quello dei vegetali41– non sembra possa essere rintracciata42nel- la necessita` di adottare un criterio capace di fare rientrare nella nozione di attivita` agricola di allevamento tutte quelle attivita` gia` definite tali dalle leggi speciali di settore43. Come vedremo infatti44, alla stregua di un’inter- pretazione letterale della nozione fornita ora dall’art. 2135 c.c., alcune di tali attivita` non potrebbero essere comunque qualificate come agricole, tan- t’e` che per esse si ritiene di dover fare tuttora riferimento a previgenti45ov- vero successive46disposizioni della legislazione speciale.

Come appena detto, la nuova stesura dell’art. 2135 c.c. fa riferimento agli animali e non piu` al bestiame e prende in considerazione anche una fa- se necessaria del ciclo biologico. In tal modo e` venuto meno il collegamento necessario tra l’attivita` agricola e la terra e quindi sara` agricolo ogni alleva- mento di animali che si risolva nella cura di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso.

Secondo una dottrina47, il legislatore del 2001 avrebbe accolto quella ri- costruzione48che, vigente il vecchio art. 2135 c.c. e in vista di una possibile sua riformulazione, auspicava che «gli animali oggetto di allevamento agri- colo fossero solo quelli che, con qualsiasi tecnica oggi possano essere alle- vati, erano un tempo allevati sul fondo, con il richiamo ad un’agricoltura

41 ROMAGNOLI, op. cit., che cita adesivamente MASSART, Contributo alla determinazio- ne del concetto giuridico di ‘‘agricoltura’’, in Riv. dir. agr., 1974, I, 312 ss., il quale afferma che non il fondo, ma le piante sono oggetto di coltivazione e conclude nel senso che la presenza del fondo nel senso tradizionale non e` condizione necessaria e sufficiente dell’a- grarieta`, e l’agricoltura non puo` ridursi alla sola coltivazione del fondo.

42 CASADEI, Commento agli artt. 1 e 2, d.lg. 228/2001, in Commento ai tre decreti orien- tamento: della pesca e acquacoltura, forestale e agricolo, a cura di Costato, in Leggi civ.

comm., 2001, specialmente 728 ss. secondo il quale con riguardo alla delega «non sembra possa attribuirsi eccessivo rilievo a simili sfumature letterali» e, in particolare con riguar- do all’acquacoltura, «non si vede la ragione per una retrocessione da attivita` agricola in senso pieno ad attivita` equiparata».

43 Cfr. ad esempio l. 102/1992 sull’acquacoltura, l. 419/1971 sull’avicoltura, l. 349/1993 sull’attivita` cinotecnica, il d.lg. 173/1998 sull’allevamento di equini.

44 Cfr. i prossimi paragrafi dedicati all’inquadramento delle attivita` cinotecnica, di al- levamento di cavalli e di apicoltura.

45 Ad esempio attivita` cinotecnica.

46 Ad esempio apicoltura.

47 Cfr. GERMANO`, L’impresa agricola, cit., specialmente 513.

48 V. la citazione di Costato alla nota 47 di GERMANO`, op. ult. cit., 513.

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c.d. territoriale in cui la terra, come humus e come territorio, e` elemento conformante l’impresa agricola».

Tale interpretazione appare condivisibile quando intende utilizzare la base produttiva richiamata dalla norma – come d’altra parte nel caso della coltivazione – quale elemento delimitativo delle specie animali allevabili, che sarebbero solo quelle ‘‘tradizionalmente’’ allevabili sul fondo, o nel bo- sco o nell’acqua dolce o salmastra.

Come si e` detto l’uso del termine ‘‘animali’’ si accompagna al collega- mento economico-funzionale con le diverse basi produttive indicate nel 2oco. dell’art. 2135 c.c. e cioe` sia con il fondo che con le acque salmastri o marine e con il bosco.

Ne consegue che in materia di allevamento andra` individuato quale ele- mento ‘‘predominante’’, al fine dell’attribuzione della nozione di imprendi- tore agricolo, «la cura e lo sviluppo del ciclo biologico o di una parte neces- saria di esso», rimanendo l’utilizzo del fondo (come delle altre basi produt- tive) relegato ad elemento solo eventuale49.

In tal modo, tuttavia, se non potra` recuperarsi un modello di agricoltura

‘‘territoriale’’ si potra` pero` contenere l’ambito di applicazione del c.d. sta- tuto dell’imprenditore agricolo, escludendo dalla nozione di cui al nuovo art. 2135 c.c. attivita` non immediatamente riconducibili alle attivita` di pro- duzione del comparto agro-alimentare. Se e` vero, infatti, che il concetto di animali e` piu` ampio di quello di bestiame, l’adozione del criterio che richia- ma anche soltanto potenzialmente il collegamento con una delle basi pro- duttive indicate dal 2oco. dell’art. 2135 c.c. tende a ridurre il novero degli imprenditori allevatori agricoli, poiche´ non tutti gli animali necessitano (an- che solo potenzialmente), per essere allevati, di una di quelle basi produt- tive. La dottrina maggioritaria condivide la posizione di chi50ritiene esclusi dalla nozione di attivita` di allevamento agricolo (solo) «gli allevamenti di gatti, visoni, cincilla`, e volpi, nonche´ di scimmie, coccodrilli e pitoni mai rientranti nell’idea di agricoltura e da sempre privi del supporto sociologico

49 T.A.R. Puglia, Lecce, 3.6.2004, n. 3314, in Foro amm., 2004, 1846 (s.m.), nel caso di specie e` stata riconosciuta alla societa` ricorrente l’attestazione di imprenditore agricolo a titolo principale, nonostante l’impresa acquistasse i mangimi destinati al fabbisogno ali- mentare dei conigli prevalentemente da terzi, non utilizzando, quindi, a tal uopo il fondo annesso all’allevamento.

50 Cfr. GERMANO`, L’impresa agricola, cit., specialmente 513.

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della diffusione del ceto agricolo; mentre per la loro natura di erbivori, po- trebbero rientrarvi gli struzzi».

In tal senso non sembra condivisibile la lettura prospettata da una giu- risprudenza di merito secondo cui alla stregua della nuova norma codicisti- ca, sarebbe «qualificabile imprenditore agricolo e, quindi, non (...) assogget- tabile a fallimento, colui che si occupa della coltivazione del fondo e segue il ciclo biologico di qualsiasi specie vivente, a prescindere dai mezzi finan- ziari e tecnici impiegati e dalla sussistenza di un collegamento funzionale e diretto con il fondo medesimo»51 (corsivo nostro).

L’altro aspetto sul quale appare interessante soffermarsi e` il dato della doppia qualifica di ‘‘equiparati’’ e di ‘‘imprenditori agricoli ex se’’, che, con riguardo in particolare all’allevamento, e` attribuita agli imprenditori che svolgono attivita` di acquacoltura: la prima attribuita ora dall’art. 3, 3oco., d.lg. 100/200552in combinato con l’art. 2, d.lg. 226/2001, come riscritto dal- l’art. 6, d.lg. 154/2004 (l’impresa di acquacoltura e` equiparata a quella itti- cola che a sua volta e` equiparata a quella agricola); l’altra discendente dalla riformulazione dell’art. 2135 c.c. Quest’ultima norma – come si e` avuto mo- do gia` di segnalare –, nell’individuare le attivita` agricole principali nella

«coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali» (1oco.) e spe- cificando che trattasi delle «attivita` dirette alla cura di un ciclo biologico o di una fase necessaria che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine» (2oco.), consente infatti di qualificare gia` le attivita` di acquacoltura come agricole ex se.

Tuttavia, nel contesto normativo sopra delineato, gli acquacoltori, che sono qualificati imprenditori agricoli ex se ai sensi del nuovo art. 2135 c.c. (cioe` agli effetti civilistici), continuano ad essere collocati altresı` nel

‘‘limbo’’ degli ‘‘equiparati’’ o addirittura degli ‘‘equiparati agli equiparati’’

dal quadro normativo di contorno.

E cio` diversamente dall’impresa itticola, per la quale occorre semmai ri- marcare come il legislatore, contestualmente alla Novella dell’art. 2135 c.c., abbia smentito se stesso, riconducendo entro l’ambito dell’‘‘agrarieta`’’ – sia pure in via di equiparazione – un’attivita` che e` per definizione rivolta «alla

51 T. Agrigento, 7.4.2003, in Fallimento, 2003, 1230 (s.m.).

52 V. art. 3, 3oco., d.lg. 100/2005, secondo il quale «Fatte salve le piu` favorevoli dispo- sizioni di legge, l’imprenditore ittico e` equiparato all’imprenditore agricolo e le imprese di acquacoltura sono equiparate all’imprenditore ittico».

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cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri o dolci», e dunque nulla ha a che vedere con la cura di un ciclo biologico53.

3.1. L’allevamento di cavalli e l’attivita` cinotecnica.

In assenza di un’espressa abrogazione, rimane aperta la questione della sopravvivenza o meno delle discipline speciali previgenti che di volta in vol- ta qualificavano agricole, riconducendole espressamente nell’ambito di cui al vecchio art. 2135 c.c., le singole attivita` oggetto di regolamentazione.

Si e` giustamente osservato che, di fronte alla Novella codicistica, cosı` co- me non puo` ritenersi che operi una «modifica automatica (...) per le dispo- sizioni (preesistenti) che regolano qualche profilo dell’agricoltura, richia- mando appunto l’art. 2135 c.c. ai fini dell’individuazione della propria sfera operativa» (il riferimento e` alla legislazione previdenziale e tributaria), non puo` affermarsi che «le nuove disposizioni, in quanto successive, si sovrap- pongono alle precedenti facendo scattare il meccanismo dell’abrogazione implicita»54.

Cosı` l’impatto della riforma dell’art. 2135 c.c. sulla legislazione speciale di agevolazione al settore agroalimentare precedente, che aveva come pun- to di riferimento, appunto, il vecchio testo dell’art. 2135 c.c., non si ritiene possa comportare l’implicita abrogazione della detta legislazione che, inve- ce, manterra` i propri effetti, con riguardo ai destinatari, come individuati nella originaria definizione codicistica. D’altra parte, anche la Corte di Cas- sazione55 ha affermato che l’art. 2135 c.c., come introdotto dal d.lg. 228/

2001, e` una «norma innovativa (ispirata da principi di diritto europeo), in- suscettibile di applicazione retroattiva».

Dunque, quanto alla qualificazione delle attivita`, questa dovra` essere verificata di volta in volta in relazione alla compatibilita` dell’art. 2135 c.c.

nuova formulazione con la ratio della disciplina di settore preesistente, in molti casi ispirata a letture evolutive della nozione di agrarieta` (criterio

53 Sul punto v. quanto osservato supra, Cap. I, § 10.

54 In tal senso cfr. CASADEI, op. cit., 728 ss., con riguardo, nel secondo caso, a tutta quella legislazione speciale di agevolazione al settore agroalimentare proliferata durante la vigenza del ‘‘vecchio’’ art. 2135 c.c.

55 Cass., 2.12.2002, n. 17042, in Fallimento, 2003, 115, con nota di MINUTOLI, su cui ci si e` gia` soffermati supra, nell’Introduzione.

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agroalimentare, criterio del ciclo biologico...), ma in molti altri rispettosa del tradizionale criterio fondiario accolto dall’art. 2135 c.c. vecchia formu- lazione.

Si pone a questo punto il problema del coordinamento della disposizio- ne posta dal nuovo art. 2135 c.c., in particolare con l’art. 9, d.lg. 173/1998, che definisce «imprenditori agricoli, ai sensi dell’art. 2135 c.c., anche coloro che esercitano l’attivita` di allevamento di equini di qualsiasi razza, in con- nessione con l’azienda agricola»; e con la l. 23.8.1993, n. 349, che, com’e` no- to, ha assimilato all’imprenditore agricolo l’allevatore di cani che possieda piu` di cinque fattrici e almeno trenta cuccioli l’anno e ritragga da tale atti- vita` un reddito ‘‘prevalente’’ sui redditi a lui imputabili da altre attivita` eco- nomiche.

Per quel che concerne la prima delle due norme, alla luce delle conside- razioni fin qui svolte, l’allevamento di equini e animali erbivori rientrereb- be a pieno titolo tra le attivita` di allevamento di cui al nuovo art. 2135 c.c.

come attivita` agricola ex se (e non piu` per connessione). Quanto agli effetti sulla precedente legislazione, l’esito dell’abrogazione implicita ci sembra inevitabile, pena una disparita` di trattamento di allevatori che, alla stregua della l. 173/1998, sarebbero considerati imprenditori commerciali ove non esercitassero ‘‘effettivamente’’ un’attivita` di coltivazione del fondo in con- nessione con quella di allevamento, malgrado l’esercizio di un’attivita` che, ex art. 2135 c.c., e` senza equivoco agricola in via principale56.

Quanto alla seconda disciplina speciale, invece, va osservato che l’alle- vatore di cani cura il ciclo biologico dell’animale e tuttavia la specie alleva- ta non rientra tra quelle che si caratterizzino per il collegamento, ancorche´

potenziale, con l’apporto di un ‘‘fondo’’ (nella sua accezione di fondo rusti- co, dunque produttivo e non di semplice terreno). Collegamento che non si configura certo in tal modo nel caso dell’allevamento dei cani.

Una dottrina, partendo dalla premessa che «gli animali allevabili su fon- do di terra» debbono essere «erbivori o onnivori» e che l’allevamento di ca- ni «in quanto carnivori, non puo` essere considerato agricolo sulla base della nuova definizione di imprenditore fornita dal nuovo art. 2135 c.c.», esclude un’abrogazione implicita: «per tali ragioni la l. n. 349 (...) e` da considerare

56 Rimanendo ferma la non agrarieta` dell’attivita` di ‘‘addestramento’’, rivolta ad av- viare i cavalli all’esercizio agonistico: e v. infatti i rilievi svolti supra, Cap. I, § 11; in dot- trina, fra gli altri, GALGANO, Diritto commerciale. L’imprenditore, Bologna, 1982, 63.

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ancora in vigore»57. In realta`, nel caso dell’allevamento di cani, sia per la specie animale, sia, soprattutto, per i distinguo pur criticabili che la legge speciale ha inteso operare58, non puo` che concludersi per la vigenza di una disciplina che appare del tutto irriducibile al contenuto dell’art. 2135 riformato.

3.2. Gli allevamenti ‘‘minori’’ e l’apicoltura.

Come efficacemente sottolineato (in sede di giurisdizione amministrati- va59) «con il d.lg. 228/2001 (...) e` stata fatta chiarezza nella definizione della figura del produttore apistico che e` stato riconosciuto quale imprenditore agricolo, anche in mancanza di gestione (a vario titolo) di terreni. Infatti con questo decreto all’art. 1 e` modificato l’articolo del codice civile che de- finisce la figura dell’imprenditore agricolo (...) Significativa» – continuano i giudici – «e` la sostituzione del termine ‘‘bestiame’’, ricompreso nella prece- dente lettera dell’articolo 2135, con il nuovo termine ‘‘animali’’, che ha in- teso superare le restrittive interpretazioni giurisprudenziali in materia e ri- conoscere a varie tipologie di allevamento il presupposto per la qualifica- zione di attivita` imprenditoriale nel settore dell’agricoltura, indipendente- mente dalla presenza o meno di un fondo. Ne consegue che, oltre ai tradi- zionali allevamenti connessi a un fondo (allevamenti di animali da carne, da lavoro, da latte e da lana...) vengono ricompresi nell’attivita` imprenditoriale agricola una serie di allevamenti quali avicoltura, cunicoltura, apicoltura, bachicoltura, ecc. non necessariamente correlati alla titolarita` o meno di un fondo da parte dell’imprenditore» (corsivo nostro). Nel caso dell’apicol- tura, «la peculiarita` (...) e` data, come visto» – continua la pronuncia in esa- me – «dalla particolare natura dell’imprenditore, posto che la legge quadro sull’apicoltura, L. 24 dicembre 2004, n. 313, all’art. 2 prevede che ‘‘La con- duzione zootecnica delle api, denominata ‘apicoltura’, e` considerata a tutti gli effetti attivita` agricola ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, anche se non correlata necessariamente alla gestione del terreno’’».

Il riferimento e` alla disciplina dell’apicoltura, introdotta a tre anni di di-

57 PETRELLI, op. cit., 226.

58 E v. ancora ALESSI, La nozione di impresa agricola e le recenti tendenze della legi- slazione italiana, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 402 ss.

59 Cfr. T.A.R. Venezia, 7.10.2008, n. 3133, in Foro amm., 2008, 10, 2700 (s.m.).

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stanza dall’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 2135 c.c., con la l. 24.12.2004, n. 31360, il cui tenore sembrerebbe mettere in crisi la

‘‘tenuta’’ del criterio posto dalla norma codicistica.

Secondo l’art. 2, 1oco., della citata legge «la conduzione zootecnica del- le api, denominata ‘‘apicoltura’’, e` considerata a tutti gli effetti attivita` agri- cola ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, anche se non correlata ne- cessariamente alla gestione del terreno». La norma citata, considerata61tra l’altro frutto di una pessima attivita` redazionale, sembra mancare di coor- dinamento con l’art. 2135 c.c. nuova formulazione, ammettendosi qui l’a- grarieta` delle «attivita` che utilizzano il fondo come base produttiva anche se solo potenzialmente», tra le quali l’apicoltura avrebbe potuto agevol- mente farsi rientrare.

L’art. 2 della legge sull’apicoltura sembrerebbe aprire all’interprete un’alternativa: tornare a prospettare il dubbio che, nell’intenzione del legi- slatore del 2001, perche´ si possa parlare di attivita` di allevamento ‘‘agrico- lo’’ occorre che l’attivita` sia correlata ‘‘necessariamente’’ alla gestione del terreno; ovvero riconoscere al legislatore del 2004 una scelta ‘‘chiarificatri- ce’’, almeno quanto all’apicoltura.

Posto che appare escluso che a distanza di pochi anni il legislatore abbia voluto con la disciplina dell’apicoltura fornire una sorta di interpretazione restrittiva della Novella codicistica, deve piuttosto ammettersi che l’inqua- dramento di essa tra le attivita` agricole (principali) ai sensi del 2o co. del nuovo art. 2135 – in ragione del modo peculiare in cui qui si atteggia e puo` del tutto mancare il nesso pur ipotetico con il fondo – deve essere ap- parso quanto meno meritevole di esplicitazione. La precisazione contenuta nell’art. 2, l. 313/2004, come ben evidenzia la pronuncia da cui abbiamo pre- so le mosse, e` apparsa necessaria perche´ «per l’apicoltore (...) viene meno – o puo` venir meno – il nesso funzionale surricordato, anche attesa la possi- bilita` di ricorrere al nomadismo». Sicche´ l’apicoltura dovra` considerarsi agricola, ma ex lege e in forza dell’art. 9, l. 313/2004.

60 L. 24.12.2004, n. 313, ‘‘Disciplina dell’apicoltura’’.

61 Cosı` COSTATO, La disciplina dell’apicoltura, in Riv. dir. agr., 2005, 116 ss.

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3.3. Gli allevamenti nelle acque dolci, salmastre o marine.

Come detto, solleva perplessita` la scelta, ribadita in seno al d.lg. 226/

2001, che riconduce nell’ambito delle attivita` ‘‘equiparate’’ a quelle agricole (e non tra quelle agricole ex se) oltre alle attivita` di pesca marittima, anche quelle di acquacoltura62; e cio` perche´ la cura e lo sviluppo dei cicli biologici di carattere animale (secondo quanto previsto dall’art. 2135 c.c. riformato) potrebbe avvenire anche mediante l’utilizzazione attuale o soltanto poten- ziale delle acque dolci, salmastre o marine e dunque dette attivita` rientrano in tutto tra le attivita` essenzialmente agricole.

Il problema del coordinamento tra norma codicistica e legislazione spe- ciale (previgente) era stato posto dalla prima versione dell’art. 2, d.lg. 226/

2001, che al 4oco. aveva ribadito: «Ai soggetti che svolgono attivita` di ac- quacoltura si applica la legge 5 febbraio 1992, n. 102 e successive modifica- zioni», in tal modo rimandando, per la qualificazione di tali attivita`, al det- tato gia` poco chiaro di tale legge63.

Attraverso successivi interventi, in attuazione dell’art. 1, l. 7.3.2003, n. 38, recante ‘‘Disposizioni in materia di agricoltura. Delega al Governo per la modernizzazione dei settori dell’agricoltura, della pesca, dell’acqua- coltura, agroalimentare, dell’alimentazione e delle foreste’’64, e` stata disci- plinata sia la pesca professionale che l’acquacoltura, attribuendo a quest’ul-

62 Ci si riferisce alla disciplina speciale in materia come (ri)definita oggi dai decreti legislativi posti in attuazione dell’art. 1, Delega al Governo per la modernizzazione dei settori dell’agricoltura, della pesca, dell’acquacoltura, agroalimentare, dell’alimentazione e delle foreste della legge 7.3.2003, n. 38, ‘‘Disposizioni in materia di agricoltura’’, in Gaz- zetta Uff., 14-3-2003, n. 61 e segnatamente: d.lg. 26.5.2004, n. 153, ‘‘Attuazione della legge 7.3.2003, n. 38, in materia di pesca marittima’’; d.lg. 26.5.2004, n. 154, ‘‘Modernizzazione del settore pesca e dell’acquacoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7.3.2003, n. 38’’; d.lg. 27.5.2005, n. 100, ‘‘Ulteriori disposizioni per la modernizzazione dei settori della pesca e dell’acquacoltura e per il potenziamento della vigilanza e del con- trollo della pesca marittima, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 7.3.2003, n. 38’’.

63 L’art. 2, l. 102/1992 infatti recitava al 1oco.: «L’attivita` di acquacoltura e` conside- rata a tutti gli effetti attivita` imprenditoriale agricola quando i redditi che ne derivano so- no prevalenti rispetto a quelli di altre attivita` economiche non agricole svolte dallo stesso soggetto»; mentre il 2oco. disponeva che «Sono imprenditori agricoli, ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, i soggetti, persone fisiche o giuridiche, singoli o associati, che eser- citano l’acquacoltura e le connesse attivita` di prelievo sia in acque dolci sia in acque sal- mastre». Sull’ambiguita` del testo normativo si rinvia ad ALESSI, La nozione di impresa agricola, cit., specialmente 405 ss.

64 Cfr. i decreti legislativi citati supra, Cap. I, § 10.

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tima (ex art. 3, 3oco., d.lg. 100/2005), la nuova posizione di attivita` equipa- rata all’itticoltura, a sua volta equiparata all’attivita` agricola ai sensi del- l’art. 2, 5o co., d.lg. 226/2001, come modificato dall’art. 6, d.lg. 154/2004.

Alla luce del quadro normativo cosı` determinatosi non appare piu` pra- ticabile l’ipotesi ricostruttiva avanzata da una dottrina65 che, all’indomani dell’emanazione dei tre decreti delegati 226, 227 e 228 del 2001, per spiega- re la doppia qualifica dell’acquacoltura ora come attivita` agricola ex se ora come equiparata, suggeriva: «le disposizioni normative di questo decreto delegato» (intendendosi riferire al d.lg. 226/2001) «quando prendono in considerazione le attivita` di impresa, si riferiscono a quelle della pesca – cioe` della cattura del pesce – e non gia` a quelle dell’acquacoltura – cioe` del- la cura degli organismi acquatici».

In realta` il legislatore si riferisce espressamente all’acquacoltura come attivita` da considerare agricola per ‘‘equiparazione’’ (per di piu` in via me- diata tramite l’equiparazione all’itticoltura), malgrado la stessa Relazione di accompagnamento al d.lg. 226/2001 giustificasse la mancanza di una de- finizione dell’acquacoltura proprio sull’assunto che questa dovesse rinvenir- si nel d.lg. 228/2001, essendo «tale settore di attivita` (...) assimilabile in tutto e per tutto – sul piano definitorio – all’allevamento», salvo seguire per le politiche quelle del settore pesca.

Tuttavia appare scontato che sotto il profilo pratico la distinzione tra at- tivita` agricole ex se ai sensi dell’art. 2135 c.c. e attivita` agricole ‘‘per equi- parazione’’ sia destinata ad attenuarsi o comunque a rivelarsi ininfluente.

«E` imprenditore agricolo, e non e` soggetto a fallimento» – ricordano i giu- dici di merito – «chi esercita anche in via esclusiva l’attivita` di itticoltura»66; esito non dissimile da quello cui giungono allorche´ invece puntualizzano che l’imprenditore ittico, «alla luce del nuovo disposto dell’art. 2135 c.c., e` equiparato all’imprenditore agricolo e, come tale, non assoggettabile a fallimento senza che possa rilevare l’impiego di mezzi tecnici, di macchinari tecnologicamente sofisticati o di ingenti capitali e mezzi finanziari»67. Torna semmai a prospettarsi sul piano sistematico la scarsa capacita` ‘‘ordinante’’

del criterio di base che nel nuovo art. 2135 avrebbe dovuto, una volta e per

65 GERMANO`, L’impresa agricola, cit., 513.

66 T. S.M. Capua Vetere, 12.7.2001, in Giur. napoletana, 2002, 462.

67 T. S.M. Capua Vetere, 23.7.2002, in Fallimento, 2003, 221, 1161.

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tutte, definire e ‘‘delimitare’’ l’area dell’‘‘agrarieta`’’ e, conseguentemente, il fondamento della distinzione da quella della commercialita`.

4. L’allevamento nelle discipline previdenziale, tributaria e antinquinamento.

Per il coordinamento della nuova formulazione della nozione di impren- ditore agricolo con quella contenuta nelle discipline speciali, significativo appare il rapporto con quelle poste in materia previdenziale, tributaria e antinquinamento.

Come gia` evidenziato, infatti, se da una parte la riforma dell’art. 2135 c.c. ha consentito un riallineamento alla definizione codicistica della legisla- zione previdenziale, cio` non si e` verificato con quella tributaria, in cui la distinzione tra attivita` (agricole) produttive di reddito agrario e attivita`

agricole produttive di reddito d’impresa si fonda (inevitabilmente) sulla presenza o meno, quale base aziendale, del fondo rustico68.

In materia previdenziale, invero, la nuova formulazione dell’art. 206, d.p.r. 1124/1965, ad opera dell’art. 1, l. 20.11.1986, n. 778, cosı` recitava: «so- no considerate aziende agricole o forestali, ai fini del presente titolo quelle esercenti una attivita` diretta alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, al- l’allevamento degli animali ed attivita` connesse, ai sensi dell’art. 2135 del codice civile». Il legislatore speciale nel precisare che, sempre ai fini assicu- rativi, dovessero reputarsi «in ogni caso agricole (...), le attivita` di alleva- mento delle specie suinicole, avicole, cunicole, itticole, dei selvatici a scopo alimentare e quelle attinenti all’apicoltura, alla bachicoltura e simili», non solo ribadiva quanto peraltro gia` sancito, nella prima parte della norma, dal riferimento all’allevamento degli animali69, ma confermava l’amplia- mento dell’ambito delle attivita` considerate, anticipando le scelte operate con la riforma dell’art. 2135 c.c.

Sempre in materia previdenziale appare sulla stessa linea la l. 9.3.1989, n. 88, concernente la ‘‘Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previ-

68 V. supra, Cap. I, § 12.

69 Osservava al riguardo la circ. INAIL 14.4.1987, n. 7: «Circa l’elencazione di alcune specie animali contenuta nella seconda parte dell’articolo 206, cosı` come modificato, la stessa assume un valore puramente esemplificativo ad evitare dubbi interpretativi nei con- fronti di allevamenti di tipo spiccatamente intensivo».

(23)

denza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortu- ni sul lavoro’’, il cui art. 49, alla lett. b), per la classificazione nel settore agricoltura dei datori di lavoro a fini previdenziali ed assistenziali, fa riferi- mento alle attivita` di cui all’art. 2135 c.c. ed all’art. 1, l. 778/1986.

Registrata la sostanziale corrispondenza tra il dettato dell’art. 2135 c.c.

nuova formulazione e quello dell’art. 49, l. 88/1989, in sede applicativa si e`

avuto modo di precisare che il venir meno della presenza di un fondo (qua- le presupposto per il riconoscimento di un’attivita` imprenditoriale nel set- tore dell’agricoltura) consente ormai di ricomprendere nella categoria «tut- ta una serie di allevamenti (avicoltura, apicoltura, ecc.), pur in mancanza di una correlazione alla titolarita` di un fondo da parte dell’imprenditore»70. Interventi chiarificatori si sono invece resi necessari a proposito di im- presa ittica e di acquacoltura e cio` anche per effetto delle segnalate ambi- guita` della disciplina di settore. Al riguardo si e` precisato che «alla nuova categoria economica, come definita dalla norma» – e cioe` quella degli im- prenditori ittici – «sono (...) globalmente riconducibili tutti i soggetti – siano essi operanti nel settore della pesca che in quello dell’acquacoltura (que- st’ultimo appartenente al settore dell’imprenditore agricolo) – che utilizza- no a fini economico-produttivi gli ecosistemi acquatici». In tal senso la nor- ma «non costituisce ne´ definisce una nuova figura imprenditoriale correlan- dola alle attivita` svolte, ma ricomprende sotto la denominazione di impren- ditore ittico soggetti che, gia` costituiti come imprese di pesca, cooperative della pesca, pescatori autonomi o imprenditori agricoli per l’attivita` di ac- quacoltura, utilizzano gli ecosistemi acquatici. Sotto il profilo previdenziale pertanto» – si conclude – «il decreto legislativo non pone la necessita` di in- dividuare norme classificatorie. Infatti le attivita` indicate al comma 1 del- l’art. 2 verranno ricondotte al settore industriale della pesca se effettuate da soggetti iscritti in tale settore ovvero al settore agricoltura se effettuate da imprenditori agricoli che utilizzano le acque (dolci, salmastre o marine) per l’attivita` di acquacoltura71ampliando, in tal modo, l’attivita` di acqua- coltura, precedentemente regolamentata limitatamente alle acque dolci e salmastre, ovvero ad acque che contenevano una concentrazione di sale in- feriore a quella del mare».

Come anticipato, diversamente si e` atteggiata la disciplina tributaria

70 V. gia` la circ. INPS 7.2.2002, n. 34.

71 Cosı` la circ. INPS 1.12.2003, n. 186.

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che, pur modificata72successivamente alla riforma della norma codicistica, non puo` prescindere da una decisa considerazione del fattore fondiario quale elemento di connotazione dell’agrarieta` del reddito. E cosı`, il rinvio alla «potenzialita` del terreno, nell’esercizio di attivita` agricole su di esso»

quale parametro di individuazione del reddito agrario e` ancora ribadito con riguardo alle singole attivita` considerate agricole (ai fini tributari).

Le attivita` agricole produttive di reddito agrario sono dunque ancora, come si e` avuto gia` modo di ricordare: a) le attivita` «dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura»; b) l’allevamento di animali «con mangimi otte- nibili per almeno un quarto dal terreno» e le attivita` dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie,

«se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste»; c) le attivita` di cui al 3oco. dell’art.

2135 c.c., dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, com- mercializzazione e valorizzazione, ancorche´ non svolte sul terreno, «di pro- dotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali», con riferimento ai beni individuati, ogni due anni, e tenuto conto dei criteri di cui al 1oco., con decreto del Ministro del- l’Economia e delle Finanze su proposta del Ministro delle Politiche Agrico-

72 Cfr. l’art. 32, d.p.r. 22.12.1986, n. 917, parte 2 nel testo vigente modificato dall’art.

1, d.lg. 12.12.2003, n. 344 e dall’art. 2, l. 24.12.2003, n. 350, secondo cui «1. Il reddito agra- rio e` costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialita` del terreno, nell’esercizio di attivita` agricole su di esso. 2. Sono considerate attivita` agricole: a) le at- tivita` dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura; b) l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attivita` dirette alla produ- zione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la su- perficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la pro- duzione stessa insiste; c) le attivita` di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del codice ci- vile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e va- lorizzazione, ancorche´ non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali. 3. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell’agri- coltura e delle foreste, e` stabilito per ciascuna specie animale il numero dei capi che rien- tra nei limiti di cui alla lettera b) del comma 2, tenuto conto della potenzialita` produttiva dei terreni e delle unita` foraggere occorrenti a seconda della specie allevata. 4. Non si con- siderano produttivi di reddito agrario i terreni indicati nel comma 2 dell’articolo 27».

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