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Maria Antonella Ferri - Prospettive di analisi Strategiche

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Academic year: 2022

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Indice

1. IL CONTESTO STORICO EVOLUTIVO ... 3 2. LA DEFINIZIONE CONCETTUALE ... 6 3. CRITICITÀ E PROSPETTIVE ... 10

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1. Il contesto storico evolutivo

È opportuno un approccio di analisi che adotti il punto di vista dell’organo di governo dell’impresa come unità sistemica.

L’organizzazione industriale è quel campo dell’economia che si è tradizionalmente occupato della struttura dei mercati, del comportamento delle imprese proponendosi di valutare costi e benefici sociali ad essi associati. Volendo schematizzare, il campo dell’organizzazione industriale si occupa:

 Di comele imprese funzionano all’interno di una molteplicità di strutture di mercato;

 Di determinare se i risultati si avvicinano o meno all’interesse pubblico.

Il livello di analisi dell’Industrial Organization è quello della singola industria e il focus è sull’allocazione delle risorse tra industrie e sul benessere sociale (efficienza allocativa). Si ritiene che i sovrapprofitti scaturiscano da una qualche misallocazione di risorse, coerentemente con l’assunto per il quale la concorrenza di mercato è una condizione di equilibrio piuttosto che un processo, e che persistano solo se ci sono barriere all’entrata che impediscono la redistribuzione delle risorse per conseguire l’efficienza allocativa.

L’interesse degli economisti dell’I.O. è, quindi, quello di formulare e raccomandare politiche pubbliche per impedire la nascita o per provvedere alla rimozione delle barriere, al fine di abbassare i tassi di redditività di alcune imprese.

Il paradigma strutturalista prende corpo negli anni Trenta grazie ai contributi di alcuni studiosi della Scuola di Harvard, tra cui il più famoso è quello di Edward Mason, con l’intento esplicito di spiegare la relazione esistente fra le condizioni di mercato e le prestazioni delle imprese che in esso operano. Mason definisce l’economia industriale come lo studio della struttura e del funzionamento dei mercati, nonché della struttura e del comportamento delle imprese, concludendo che il comportamento delle imprese dipende dalla struttura del settore.

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Negli anni Cinquanta, i contributi della Scuola di Harvard vengono sistematizzati e sviluppati da Joe Bain dell’Università di Berkley. Nel suo Industrial Organization, Bain formalizza la sequenza

“struttura- condotta-performance” che diventerà uno dei paradigmi di volta in questo campo dell’economia. Non solo, ma sarà proprio la formalizzazione di questa sequenza che, per molti anni, fornirà una solida base di analisi delle strategie aziendali. Come si accennava, infatti, il paradigma S-C-P collega l’economia industriale con scientificazione dell’azione di governo dell’impresa. Come rileva lucidamente Teece, in uno dei contributi sul rapporto tra strategic management e pensiero economico, “l’espediente che è stato utilizzato per applicare questo paradigma all’analisi strategica è di trattare la teoria normativa dell’organizzazione industriale come una teoria positiva dello strategic management”.

Il focus d’interesse non è più alle modalità con le quali selezionare politiche antitrust e di regolazione per aumentare il benessere del consumatore stimolando la competizione, ma diventa piuttosto il modo di aumentare i profitti (e, se necessario, ridurre il benessere del consumatore), contenendo o restringendo la competizione. L’arma principale è l’erezione di varie tipologie di barriere all’entrata.

Come ha spiegato Michael Porter, “i responsabili delle politiche pubbliche potrebbero usare la loro conoscenza sulle fonti delle barriere all’entrata per abbassarle, mentre i responsabili delle strategie delle imprese potrebbero usare le loro per alzarle, nel rispetto delle regole imposte dalle politiche antistrust”.

Nella cornice strutturalista, l’essenza del governo strategico è cosi la protezione dell’impresa dalle forze competitive al massimo livello legalmente consentito. Con le parole di Porter,

“L’obiettivo della strategia competitiva per un’impresa è di trovare una posizione nel settore nella quale l’azienda può difendersi al meglio contro queste forze competitive o può influenzarle in suo favore. Dal momento che l’intensità delle forze potrebbe essere pericolosamente evidente per tutti i concorrenti, la chiave per sviluppare la strategia è scavare al di sotto della superficie e analizzare le fonti di ognuna di queste forze. La conoscenza di queste fonti sottostanti alla pressione

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competitiva evidenzia le forze e le debolezze critiche dell’azienda, dinamizza il suo posizionamento nel settore, chiarifica le aree nelle quali i cambiamenti strategici potrebbero condurre ai migliori risultati ed evidenzia le aree nelle quali i trend del settore sembrano essere i più significativi, sia come opportunità sia come minacce”.

Fino agli anni Cinquanta del XIX secolo, gli studi economici prescindevano dal considerare la struttura e il comportamento delle singole imprese. In modo complementare, l’analisi di specifiche realtà economiche dipendeva dalla definizione ex ante del ‘settore di appartenenza’

con la conseguente visione ‘oggettivizzata’ dell’impresa quale semplice risultato delle dinamiche ambientali.

Tale approccio allo studio del fenomeno impresa è stato caratterizzato dall’esistenza di due differenti fasi.

In una prima fase, è prevalso un approccio di tipo strutturalista, secondo cui la performance economica di un’impresa è determinata direttamente dal suo comportamento, ossia dalle azioni poste in essere per il perseguimento dei propri obiettivi, che, a loro volta, sono definite dalla particolare struttura del mercato in cui opera.

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2. La definizione concettuale

La versione “forte” del modello sostiene che esiste una causalità unidirezionale. Le strategie non contano; i risultati dipendono solo dalla struttura del settore.

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In una seconda fase, l’approccio ‘rigido’ al paradigma SCP, a seguito delle forti critiche legate all’incapacità del ‘modello’ di considerare il processo competitivo, viene ridefinito dalla prospettiva “comportamentista” che, rivalutando il concetto di condotta, evidenzia l’esistenza di

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un possibile meccanismo di retroazione (feed-back) delle performance sulla struttura realizzabile attraverso le strategie d’investimento delle imprese.

Tale cambio di prospettiva spinge gli studiosi e gli operatori a considerare l’impresa come un attore in grado di influenzare l’ambiente e non più come semplice entità che subisce passivamente le istanze provenienti dallo stesso. In questa nuova prospettiva, le strategie aziendali acquisiscono nuovo significato poiché non più dirette semplicemente ad adeguarsi ai cambiamenti imposti dall’ambiente, ma orientate a favorire l’acquisizione di ‘risorse’ in grado di generare un vantaggio competitivo sostenibile.

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L’orientamento alla sopravvivenza rappresenta uno dei principali schemi interpretativi generali che hanno ispirato il paradigma. In un ambiente in continuo divenire, in cui esistono risorse scarse, le molteplici organizzazioni operanti sono capaci di sopravvivere solo se sono in grado di adattarsi ai mutamenti del mercato di riferimento.

L’impresa aspira a sopravvivere nel suo contesto specifico estratto da un ambiente più generale che muta dinamicamente nel tempo. Di conseguenza, il perseguimento di tale finalità sistemica richiede all’Organo di Governo di modificare continuamente la dotazione strutturale dell’impresa, in armonia con le dinamiche ambientali e di contesto.

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3. Criticità e prospettive

La teoria tralascia il legame d’inter-dipendenza reciproca tra impresa e settore che rappresenta un binomio di reciproca interdipendenza: risulta difficile ritrovare un’impresa del tutto libera da condizionamenti esterni nella formulazione dei suoi comportamenti di mercato; così come è inverosimile immaginare un’impresa incapace di influenzare almeno le condizioni del mercato specifico in cui ha scelto di operare.

Assumendo un rapporto di mutua interdipendenza fra il settore e la singola impresa, non solo diviene intellegibile un comportamento differenziato delle imprese, ma

Cambia anche la relazione tra struttura, condotta e risultati, che assumono in successione, a turno, la proprietà di essere ora di causa e effetto. Ciò che la teoria non spiega è il modo in cui si

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elaborano i processi decisionali nelle imprese e le loro conseguenze economiche che concorrono a ridurre il divario conoscitivo e interpretativo fra condotta dell’impresa e comportamento dei mercati. L’adozione di una prospettiva strategica da parte dell’impresa implica un processo di trasformazione rilevante del rapporto fra impresa e ambiente. In quest’ottica emerge un’importante interdipendenza tra la definizione della strategia e l’evoluzione dell’ambiente. La ricerca della strategia più conveniente da parte di un’impresa, infatti, non può che essere formulata anche in relazione all’assetto prospettico del settore. La messa a fuoco sulla futura trasformazione dell’ambiente in cui si colloca l’impresa rappresenta il passaggio obbligato per una corretta definizione della strategia complessiva da adottare e delle più idonee politiche da sviluppare all’interno delle diverse aree funzionali.

Ciò che preme approfondire, per penetrare il significato del paradigma proposto, sono le diverse relazioni che legano le variabili del modello determinanti i diversi nessi di causa ed effetto.

Ciò significa inserire ulteriori fattori esplicativi che hanno come finalità quella di spiegare o influenzare i rapporti. Nel modello in questione, la relazione tra struttura e condotta è possibile spiegarla introducendo due diversi elementi in grado di chiarire il collegamento logico esistente tra le due variabili: gli obiettivi e le decisioni.Secondo questa chiave di lettura, si possono cogliere con maggiore semplicità le relazioni tra struttura e condotta. È, infatti, la struttura del settore che chiarisce all’ODG quali obiettivi sono possibili da raggiungere e sono proprio tali obiettivi a spingerlo a disegnare un percorso strategico (decisioni) da attuare fattivamente. È seguendo tale percorso (condotta) che l’impresa potrebbe essere in grado di crearsi un differenziale di competitività, i cui risultati starebbero a testimoniare la forza competitiva nel mercato di riferimento.Potrebbe risultare utile, inoltre, considerare un’importante fattore capace d’influenzare o condizionare l’intensità del rapporto tra condotta e performance: la concorrenza. Le dinamiche della competizione minacciano la linearità della condotta d’impresa, complicandone la capacità di attuare, con coerenza, quanto precedentemente formulato. In questo senso, l’al- lineamento tra strategia formulata e strategia implementata risulta essere condizionato dalle manovre di

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azione/reazione messe in atto dalla concorrenza. L’impegno nel perseguimento di una costante ricerca di nuove opportunità ed innovazioni mira ad attutire la minaccia rappresentata dalle dinamiche competitive riducendone l’intensità dell’impatto e garantendo il presidio della concorrenza nell’attuazione della strategia.Una volta implementata la strategia, per ridurre l’influenza di tali manovre sui risultati l’impresa potrà utilizzare le informazioni disponibili rivedendo dinamicamente, per quanto possibile, la propria strategia; ovvero utilizzando tali informazioni come feedback per una strategia futura che preveda una revisione delle decisioni intraprese tenendo conto delle manovre di azione/risposta effettuate dai rivali.

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