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CORSO di CHIMICA (06AHM)

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Facoltà di Ingegneria – POLITECNICO di TORINO Anno Accademico 2014-2015

CORSO di CHIMICA (06AHM)

Giacomo Balla: Velocità astratta (è passata l'automobile) 1913 - olio su tela

Emma Angelini

Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia - Politecnico di Torino e-mail : [email protected]

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Lezione 7

Ingegnerizzare gli elementi: Strutture atomiche e molecolari : la velocità delle reazioni e gli equilibri

Cinetica chimica

Quando si studia una reazione chimica, se ne determina dapprima la stechiometria; ma quando l'equazione simbolica che usiamo è equilibrata, non sappiamo ancora nulla sul suo effettivo andamento.

Da una parte, la termodinamica chimica esamina le condizioni che devono essere soddisfatte perché una certa reazione avvenga spontaneamente, da un'altra parte la cinetica chimica esamina i fattori che influiscono sul tempo necessario perché una reazione giunga a completezza.

Per esempio, la reazione di ossidazione del diossido di zolfo (anidride solforosa) a triossido (anidride solforica)

2 SO2 (g) + O2(g) 2 SO3 (g)

a T ambiente non dà risultati apprezzabili neanche dopo molti giorni; ma se aumentiamo la temperatura o se introduciamo un catalizzatore (per esempio V2O5), la reazione è velocissima.

Analogamente la reazione di formazione dell'acqua dagli elementi

2 H2 (g) + O2 (g) 2 H2O (g)

è veloce a T alta, ma a T ambiente non lo è affatto.

E' ovvia perciò l'importanza di studiare le velocità delle reazioni, i fattori che le influenzano, il meccanismo che esse seguono.

Tra i fattori che possono influenzarle, possono essere, per esempio:

• la natura dei reagenti (durante la reazione si debbono rompere dei legami)

• la concentrazione dei reagenti (con la concentrazione varia il numero di collisioni possibili)

• la temperatura (con la T varia il numero di urti efficaci, dato che cambia l'energia cinetica)

• i catalizzatori (fanno aumentare la velocità)

• l'area di contatto tra le fasi (nel caso di reazioni eterogenee)

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• l'agitazione della miscela...etc

La velocità di reazione v può essere determinata dalla variazione della quantità di un componente nell'unità di tempo: normalmente ci si riferisce alla concentrazione C

v = ⏐d C / d t⏐

v è espressa come valore assoluto (simboleggiato dalle due barre verticali) poiché, se si controlla la variazione di concentrazione di un reagente, la variazione sarà negativa (-dC/dt), se si controlla quella di un prodotto, sarà positiva (+dC/dt); ma la velocità che misuriamo deve essere sempre positiva.

Poiché generalmente i prodotti possono reagire dando la reazione inversa, ciò che noi misuriamo effettivamente è la differenza fra le velocità della reazione diretta e di quella inversa; per fare in modo che la velocità misurata sperimentalmente sia il più possibile uguale a quella diretta dobbiamo perciò effettuare la misura all'inizio della reazione, quando cioè il contributo della reazione inversa è nullo o trascurabile.

Per la reazione generale: a A + b B ← c C + d D

esprimeremo la velocità come variazione nel tempo di uno qualsiasi dei componenti della reazione (sia uno dei reagenti sia uno dei prodotti); la velocità, determinata sperimentalmente, è proporzionale, secondo la costante di velocità "specifica" K (corrispondente alla velocità della reazione per concentrazioni unitarie: solo in quel caso, infatti, v = K), al prodotto della concentrazione di A elevata alla m per la concentrazione di B elevata alla n.

E' evidente che la K dipende dalla natura dei reagenti A e B oltre che dalla temperatura.

Gli esponenti m e n possono essere sia interi sia frazionari; rappresentano l'ordine della reazione:

m rispetto ad A, n rispetto a B; (m+n) rappresenta l'ordine totale della reazione.

Gli ordini di reazione possono essere dedotti solo sperimentalmente e non coincidono necessariamente con i coefficienti stechiometrici della reazione a e b (in taluni casi possono essere anche zero).

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Reazione del I ordine

Possiamo considerare, invece delle derivate, differenze finite di concentrazione e di tempo ΔC/Δt:

Diagramma concentrazione contro tempo, C/t, per una reazione.

Si può notare che la concentrazione C di un reagente cala nel tempo con andamento asintotico verso un valore limite.

Si può notare inoltre che, al procedere della reazione, il ΔC diminuisce progressivamente, tendendo a zero, a parità di intervallo di tempo Δt considerato.

Oppure che, al procedere della reazione, per avere la stessa variazione di concentrazione ΔC, occorrono tempi sempre più lunghi.

Se v aumenta proporzionalmente al crescere della concentrazione C del reagente X, si dice che la reazione è del primo ordine rispetto a X; la K di velocità è del I ordine ed è data dalla pendenza della retta v = K C

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Grafici V/C e ΔC/C contro il tempo, per una reazione del I ordine.

a) i punti rossi rappresentano dati ottenuti sperimentalmente, misurando la velocità a concentrazioni diverse di X; la K è data dalla pendenza della retta che si ottiene ottimizzando (generalmente col metodo dei minimi quadrati) la retta individuata dai punti sperimentali; i punti non giacciono tutti esattamente sulla retta dato che sono soggetti a errori sperimentali.

b) C rappresenta la concentrazione attuale ed è perciò variabile nel tempo; ma in questo caso l'andamento del grafico ΔC/C contro il tempo è lineare e costante.

Se consideriamo la reazione: A à prodotti V = K [A] = -d[A]/dt da cui -d[A]/[A] = Kdt

Cioè il rapporto tra la variazione di concentrazione di A d[A], rispetto alla sua concentrazione attuale [A] è costante se si considerano intervalli di tempo costanti; che è quanto appare dal grafico b.

La K ha anche delle dimensioni; in questo caso (I ordine): K (sec-1), poiché, ricavandola dalla espressione precedente è K = -d[A]/[A] dt.

Nella valutazione della velocità si usa spesso anche un altro parametro, il tempo di dimezzamento t1/2 che è il tempo necessario perché la concentrazione iniziale di un reagente sia ridotta a metà (con 2 t1/2 si avrà 1/4 della concentrazione iniziale, con 3 t1/2 1/8 etc.; dopo 7 t1/2 la concentrazione è ridotta a meno dell'1% dell'iniziale).

Se integriamo la precedente equazione differenziale avremo che ln [A]/[A]0 = -K (t-t0)

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(ln = logaritmo naturale) e se in questa poniamo [A] = 1/2 [A]0, (se vogliamo cioè che la concentrazione sia la metà dell'iniziale, come definito per il tempo di dimezzamento), e dato che t0

= 0 (inizio della reazione), avremo:

Grafico ln C contro t per una reazione del I ordine.

E' possibile capire se una reazione è del I ordine calcolando i logaritmi delle concentrazioni misurate a tempi definiti e riportando in diagramma le coppie di valori.

Se i punti stanno su una retta, allora la reazione è del I ordine, la K è l'inverso della pendenza della retta e la concentrazione iniziale è calcolabile dall'intercetta sull'asse delle ordinate.

Una osservazione importante: per reazioni del primo ordine t1/2 non dipende dalla concentrazione del reagente; tipiche reazioni di ordine I sono i decadimenti radioattivi.

Unità di misura della radioattività è il becquerel (Bq). 1 Bq corrisponde a 1 disintegrazione al secondo. Poiché questa unità di misura è assai piccola, la radioattività si esprime molto spesso in multipli di Bq: il kilo-becquerel (kBq) = 103 Bq, il Mega-becquerel (MBq) = 106 Bq e il Gigabecquerel (GBq) = 109 Bq.

Cesio-137 (137Cs) è un isotopo radioattivo del metallo alcalino cesio che si forma principalmente come un sottoprodotto della fissione nucleare dell'uranio, specialmente nel reattore nucleare a fissione. Ha un'emivita di circa 30,17 anni, e va incontro a decadimento beta per emissione di raggi beta, formando un isomero nucleare metastabile del bario-137. Piccoli quantitativi di cesio-134 e di cesio-137 vennero rilasciati nell'ambiente all'epoca delle esplosioni nucleari in atmosfera e da alcuni incidenti nucleari, specialmente dal disastro di Cernobil. Nel 2005, il cesio-137 era la principale fonte di radiazione nella zona di alienazione attorno alla centrale elettronucleare di Cernobil. Assieme al cesio-134, allo iodio-131, e allo stronzio-90, il cesio-137 era uno dei

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radioisotopi che ponevano il maggiore rischio per la salute, tra quelli dispersi dall'esplosione della bolla d'idrogeno de reattore e il successivo incendio della grafite. 25 anni di distanza dal disastro di Cernobyl, si rilevano alti livelli di contaminazione radioattiva in molti alimenti di base, come latte e funghi. In Ucraina, 18.000 chilometri quadrati di terreni agricoli sono stati contaminati in seguito all’esplosione di Cernobyl e si stima che il 40% dei boschi, pari a una superficie di 35.000 km2 , siano contaminati. A 21 anni dalla tragedia di Chernobyl, pesci e funghi della zona della Finlandia più vicina al confine con la Russia sono ancora contaminati da elementi radioattivi. Uno studio sulla sicurezza alimentare, ha mostrato che pesci e funghi prelevati dalla zona sud-ovest del paese, a 230 km da Helsinki, hanno una densità di cesio-137 superiore a quella massima raccomandata dall'Unione Europea, fissata a 600 Bequerel per kg (Bq/kg). I valori arrivano a 2000 Bq/kg per i pesci e addirittura a 5400 Bq/kg, per i funghi. Le autorità finlandesi hanno raccomandato agli abitanti della zona, la più colpita al di fuori del territorio dell'allora Unione Sovietica dal fall-out radioattivo seguito al disastro del 26 aprile 1986, di non mangiare i pesci del lago per più di due volte al mese e di lavare bene i funghi.

Un esempio di reazione di ordine I è la reazione coinvolta nella datazione dei reperti archeologici con la misura del 14C (t1/2 = 5730 anni) , (14C, per decadimento b, dà 14N).

Uno studio con la tecnica radiometrica del Carbonio 14 è stato condotto sulla Sindone di Torino, nel 1988 svolta in tre laboratori, per la datazione del celebre lenzuolo. La prova del carbonio ha stabilito che il telo risale, con un intervallo di confidenza di almeno il 95% e un'approssimazione di 10 anni in più o in meno, a una data compresa tra il 1260 e il 1390, periodo compatibile con le prime testimonianze storiche certe dell'esistenza della Sindone (circa 1353). Esistono molti altri indizi (contaminazione organica del lenzuolo, sostituzione di parte del tessuto in epoca recente) che suggeriscono a molti che la Sindone sia più antica di quanto la datazione al radiocarbonio permetta e quindi ulteriori ricerche sono certamente necessarie. Rimane aperto il dibattito tra chi sostiene che la prova del Carbonio 14 accerta la falsità della Sindone e chi invece non accetta questi risultati.

Reazione del II ordine

Esaminiamo ora una reazione del II ordine che può essere, per esempio,

2 A prodotti

V = K [A]2 = -d[A]/dt da cui -d[A]/[A]2 = K dt

Se integriamo questa equazione differenziale otteniamo che

K è espressa in (sec-1 mol-1 dm3)

Un'altra reazione del II ordine può essere:

A + B à prodotti

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V = K [A] [B] = -d[A]/dt = -d[B]/dt

(le concentrazioni iniziali dovrebbero essere dello stesso ordine di grandezza).

Nelle reazioni del II ordine sarà 1/[X] che è lineare rispetto al tempo.

Grafico 1/[A] contro t per una reazione del II ordine.

I punti rossi rappresentano coppie di misure di concentrazione a dati tempi di reazione.

Anche in questo caso si utilizza un sistema matematico di ottimizzazione dei dati (spesso il metodo dei minimi quadrati), che permette di definire la retta migliore individuata

dai punti sperimentali; "migliore" significa, generalmente, che la sommatoria degli errori per ogni punto è la minima possibile. Se i punti sperimentali stanno ragionevolmente sulla retta, allora la reazione è del II ordine rispetto ad A.

Del II ordine è, per esempio, la reazione H2 (g) + I2 (g) 2 HI (g) Per essa infatti la velocità di reazione è V = K [H2] [I2]

Ma nel caso della reazione analoga H2 (g) + Br2 (g) 2HBr (g)

la velocità sperimentale è V = K' [H2] [Br2]1/2

Perciò l'ordine totale di reazione è 3/2 e la K sarà espressa in C-1/2 t-1. Evidentemente le due reazioni, apparentemente analoghe, avvengono in modo diverso.

Che cosa si intende per "meccanismo di una reazione"? E' una successione teorica di processi elementari, in ognuno dei quali si forma un composto intermedio, fino a raggiungere il prodotto finale. Normalmente questi intermedi sono instabili e non rivelabili sperimentalmente: si può solo dedurne l'esistenza dal "modello meccanicistico" proposto. Quando si parla però di meccanismo di reazione, non si può parlare di ordine di reazione, bensì di "molecolarità", che indica il numero di molecole coinvolte in ogni singolo stadio intermedio o processo elementare in cui si pensa, modellisticamente, di suddividere il processo totale di reazione.

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Molecolarità superiori a 3 sono assolutamente improbabili, dato che già è molto improbabile un urto triplo (che esige l'incontro contemporaneo di 3 unità diverse e spesso secondo una geometria molto precisa).

Stadio Reazione

Monomolecolare X S

Bimolecolare X + X S

X + Y S

Trimolecolare X + X + X S

X + X + Y S

X + Y + Z S

Tipologia generale delle possibili molecolarità ipotizzabili in un modello di meccanismo di reazione.

La molecolarità non è un dato sperimentale (come è invece l'ordine di reazione), ma un concetto teorico mediante il quale viene proposto uno stadio del meccanismo di reazione.

Per chiarire concretamente la differenza tra ordine di reazione e molecolarità, vediamo un esempio.

La reazione globale di formazione del diossido di azoto da monossido e ossigeno ha, come si vede dalla definizione della velocità v, in rosso, ordine di reazione 3. La reazione in effetti ha un meccanismo in due stadi:

1) stadio di formazione di una molecola di triossido da una di monossido e una di ossigeno, con molecolarità 2

2) stadio di formazione di due molecole di diossido da una di triossido e una di monossido, con molecolarità 2. Se la reazione di formazione del triossido fosse isolabile (se, cioè, il triossido in quelle condizioni potesse essere individuato come tale e non fosse un intermedio instabile), allora potremmo determinare la velocità di reazione (e anche il suo ordine) del primo stadio; ma questo non succede. In effetti ogni processo elementare avrebbe una sua velocità di reazione: ma solo quando ognuna di esse è misurabile si può pensare ad una coincidenza della molecolarità con l'ordine di reazione (poiché, in tal caso, potremmo considerare reazioni separate e potremmo perciò determinarne le velocità sperimentali separatamente).

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Ma spesso non si può misurare la velocità di uno stadio elementare: infatti di solito misuriamo la velocità globale della reazione, che è sempre condizionata dallo stadio più lento (rate determining step). Nel caso specifico della reazione mostrata sopra, il secondo stadio è evidentemente molto più veloce del primo, dato che non è possibile "vedere" il triossido: questo, appena si forma, reagisce col monossido per dare il diossido.

La ragione della diversa velocità delle reazioni risiede, in base al modello adottato, nell'energia coinvolta nel processo.

Se consideriamo l'energia totale del sistema iniziale (cioè dei reagenti) ER e l'energia totale del sistema finale (cioè dei prodotti) EP, per passare da una situazione all'altra è necessario superare una barriera di potenziale, relativa alla formazione di un intermedio di reazione detto complesso attivato, anch'esso caratterizzato da una sua energia detta energia di attivazione Ea o E*.

Per capire questo, possiamo presentare il processo energetico con un grafico, detto profilo di reazione.

Schema di profilo di reazione.

L'ascissa si chiama "coordinata di reazione", ma non ha un significato fisico preciso, benché, per la reazione

reagenti → prodotti

essa possa avere una certa affinità con il tempo di reazione (o, quantomeno, ne ha la stessa direzione).

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Il complesso attivato è lo stesso, sia per la reazione diretta, sia per la reazione inversa; cambia invece l'energia di attivazione poiché cambia la situazione di partenza: nel caso della reazione reagenti → prodotti l'energia di attivazione corrisponde a ΔE1; nel caso della reazione inversa, prodotti → reagenti l'energia di attivazione corrisponde a ΔE1+ ΔE2

E' facile da intuire che la velocità della reazione è proporzionale, in qualche modo, al numero di molecole che hanno energia sufficiente per superare la barriera di potenziale; ogni molecola possiede una energia che non è necessariamente eguale a quella delle sue simili se non a livello statistico: esisterà cioè una distribuzione della E (e perciò della velocità) tra molecole dello stesso tipo, distribuzione espressa dalla legge di Maxwell-Boltzmann (Maxwell, Scozia, 1831-1879), Boltzmann (Austria, 1844-1906).

Legge di distribuzione di Maxwell-Boltzmann.

Ogni curva di distribuzione ha la forma di una campana irregolare.

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E' una legge sperimentale che rappresenta il numero di particelle che possiedono una certa energia, in funzione dell'energia stessa: cioè ad ogni valore di energia (a una data T) corrisponde un numero definito di particelle con quella energia. A T1 < T2 la maggior parte delle molecole è distribuita in un intervallo più ridotto di E: poche molecole perciò potranno avere E sufficiente per superare la barriera energetica. All'aumentare della T (curva T2) aumenta il numero di molecole con E sufficiente, perciò aumenta la velocità della reazione. Le aree sottese dalle due curve sono eguali poiché rappresentano lo stesso numero totale di molecole N.

J.Jacob Berzelius (1789-1848), chimico svedese. È merito suo l'attuale sistema di notazione, che prevede che ogni elemento sia rappresentato da una o due lettere dell'alfabeto, e la determinazione dei pesi atomici degli elementi, uno dei risultati fondamentali della sua attività di ricerca. Si interessò anche della velocità delle reazioni, per la quale definì "catalizzatori" le sostanze che permettono di accelerare una reazione, cosa che si può ottenere anche con un aumento di temperatura.

L'azione dei catalizzatori consiste nel ridurre la barriera di potenziale cioè, in pratica, l'energia di attivazione del processo; poiché alla fine della reazione i catalizzatori (almeno quelli ideali) risultano non modificati, si può dedurre che agiscano sul meccanismo di reazione, dando luogo a qualche stadio intermedio nuovo o diverso o ancora ad uno stato attivato diverso ad energia minore di quello della reazione base.

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Abbiamo detto che la velocità di reazione aumenta se aumenta la temperatura T. Ma come è possibile sapere di quanto aumenta?

Questo problema è molto interessante per determinare le condizioni operative più adatte in un processo chimico industriale; in effetti si cerca di accelerare le reazioni con catalizzatori specifici piuttosto che con l'aumento di temperatura (dato che aumentare la T costa molto economicamente e può facilitare anche reazioni collaterali dannose). E' comunque importante sapere quale relazione matematica esista tra velocità e temperatura.

Svante August Arrhenius (Uppsala 1859 - Stoccolma 1927), chimico e fisico svedese, contribuì a porre le basi della chimica moderna. Compì gli studi superiori presso l'università di Uppsala e ancora studente approfondì le proprietà di conducibilità elettrica delle soluzioni elettrolitiche. Nel 1889 egli osservò che la velocità delle reazioni chimiche aumenta al crescere della temperatura con ritmo proporzionale alla concentrazione delle molecole attivate. Nel 1895 Arrhenius divenne professore ordinario di chimica all'università di Stoccolma e nel 1905 presidente dell'Istituto Nobel per la chimica e la fisica. Tra i riconoscimenti dei quali fu insignito ricordiamo il premio Nobel per la chimica, ottenuto nel 1903.

L'equazione di Arrhenius mette in relazione la T con l'energia di attivazione Ea (cioè la minima energia che le molecole debbono possedere perché la reazione proceda).

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L'equazione è: lg K = lg A - Ea/2,303 R (1/T)

in cui: K rappresenta la costante specifica di velocità; A la costante specifica della reazione; Ea

l'energia di attivazione; R la costante universale dei gas; T la temperatura assoluta.

Diagramma lg K contro 1/T per applicare l'Equazione di Arrhenius (e per ricavare l'energia di attivazione di una reazione).

Portando in diagramma il logaritmo decimale della K di velocità contro 1/T (determinando perciò le K di velocità a diverse temperature), è possibile determinare l'energia di attivazione Ea di una reazione mediante il calcolo del coefficiente angolare (pendenza della retta).

Δy / Δx = - Ea/2,303 R

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MARMITTE CATALITICHE

Che cosa succede all’interno di una marmitta catalitica?

La marmitta catalitica ha il compito di convertire, per mezzo di reazioni chimiche nelle quali sono impegnati metalli nobili come il platino, il palladio e il rodio, alcune sostanze dannose in altre innocue. Nei gas di scarico delle autovetture sono infatti presenti tre tipi di sostanze particolarmente nocive alla salute dell’uomo: monossido di carbonio, idrocarburi incombusti e ossidi di azoto. Il catalizzatore vero e proprio consiste in un supporto monolitico a nido d’ape che, per poter resistere al calore interno sviluppato dalle reazioni chimiche, può essere o in ceramica o formato da fogli metallici in acciaio che, intersecati tra loro, formano piccole canalizzazioni a sezione quadra.

Questa struttura alveolare, di superficie estesissima e altamente porosa, è impregnata con una miscela di sostanze che accelerano la decomposizione chimica delle sostanze nocive dei gas di scarico. Sono proprio i gas di scarico che, attraversando le celle del nido d’ape a temperature superiori a 300-350 gradi, attivano i catalizzatori avviando le reazioni di ossidazione e riduzione: il palladio e il platino provocano l’ossidazione del monossido di carbonio e degli idrocarburi incombusti, convertendoli in anidride carbonica e acqua. Invece il rodio riduce gli ossidi d’azoto in azoto.

Mentre in passato le benzine "rosse" utilizzavano come agente antidetonante un composto organometallico di piombo, tossico e non degradabile, con l'introduzione delle benzine "verdi" si è passati a impiegare come agente antidetonante una miscela di composti aromatici semplici (benzene, toluene e xilene), indicati per brevità con la sigla BTX. Tali sostanze sono tossiche e accertatamente cancerogene, e non vengono degradate completamente nel processo di combustione.

Al fine dunque di promuoverne la completa combustione a dare anidride carbonica e acqua le autovetture a benzina verde sono attrezzate con una marmitta catalitica, cioè con un letto catalitico di platino, collocato nella marmitta, che rende rapida e completa l'ossidazione dei BTX. Pertanto, ove la marmitta catalitica operasse in maniera ideale, una automobile a benzina verde dovrebbe dar luogo a emissioni tossiche ridottissime. In realtà una serie di fattori addizionali rendono il quadro più complesso. In primo luogo, le benzine verdi contengono quantità non trascurabili di composti solforati e azotati, che nel processo di combustione generano ossidi di azoto e di zolfo che non vengono in alcun modo abbattuti dalla marmitta catalitica. In secondo luogo, i composti solforati, legandosi irreversibilmente con il platino del catalizzatore, ne provocano un lento ma costante degrado. Il catalizzatore viene "avvelenato" dallo zolfo e la sua capacità di catalizzare l'ossidazione dei BTX degrada nel giro di pochi anni. In terzo luogo, affinché l'intero sistema catalitico funzioni

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correttamente è essenziale che il letto catalitico raggiunga la corretta temperatura d'esercizio, cosa che avviene solo dopo un certo tempo dall'avviamento del motore.

Complessivamente, pertanto, le emissioni di una vettura "verde" dopo alcuni anni d'uso sono tutt'altro che trascurabili: essa emette CO, SOx e Nx (oltre a particolati micrometrici, le cosiddette polveri fini), e di regola a queste emissioni si aggiungono quantità rilevanti di sostanze aromatiche che vanno dai BTX non degradati a sostanze aromatiche policondensate che vengono prodotte durante la combustione della benzina. È davvero triste che né la normativa italiana né quella europea prevedano, nel controllo annuale delle emissioni degli autoveicoli, alcuna verifica dei livelli di emissione di gas aromatici. Questo porta normalmente gli automobilisti a non intervenire in alcun modo sulla marmitta catalitica, che andrebbe in realtà rimpiazzata con regolarità. Non essendo tuttavia questo imposto dalla legge ed essendo il costo della marmitta piuttosto elevato, il risultato netto è che i livelli di inquinamento da gas aromatici stanno rapidamente salendo nelle aree urbane, come quantitativamente rilevato da enti pubblici e privati che si occupano del monitoraggio atmosferico.

Spegnere il motore del proprio veicolo per soste di qualche minuto (semafori, passaggi a livello, ecc.) può non essere una buona politica se la vettura che si guida ha una marmitta catalitica perfettamente efficiente, dato che alla riaccensione il catalizzatore potrebbe restare per qualche decina di secondi a temperatura troppo bassa per operare correttamente. Il risparmio ambientale in termini di emissioni di NOx e SOx potrebbe non essere quindi compensato dall'accresciuta emissione di aromatici. La raccomandazione resta comunque quella di provvedere con regolarità alla sostituzione dell'impianto catalitico, secondo le tempistiche e i chilometraggi suggeriti dal costruttore, nell'attesa che le prossime benzine verdi possano essere prive di composti solforati.

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L'equilibrio chimico

Quando nel rappresentare le reazioni si usa una sola freccia che indica la direzione da reagenti a prodotti, si intende che le reazioni vadano solo in quella direzione, reazioni irreversibili; in realtà quasi tutte le reazioni chimiche sono reversibili e si deve usare una doppia freccia e scrivere

Questo comporta che dai prodotti si possa ottenere i reagenti; in realtà avremo, quando il sistema si sarà stabilizzato, quando cioè sarà all'equilibrio, una situazione in cui saranno presenti tutti i componenti, ognuno con una concentrazione che non cambia nel tempo (sempre che non cambino i parametri: pressione p, numero di moli dei singoli componenti ni, temperatura T).

Nella figura vengono evidenziate le variazioni delle concentrazioni nel tempo, sia che si parta dai reagenti, sia che si parta dai prodotti. Notare che le concentrazioni di partenza possono essere casuali: quando si crea un sistema di reazione, non è necessario che le quantità dei componenti rispettino esattamente i coefficienti stechiometrici. La reazione procede comunque, in base ai coefficienti stechiometrici propri della reazione.

Per esempio: se ho una reazione del tipo: 2 A + B ←→ C

e se il sistema è formato da 1 mole di A e 10 moli di B, la reazione procede comunque ma, supponendo che reagiscano quasi tutte le moli di A (cioè che l'equilibrio sia spostato quasi

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completamente a destra), alla fine della reazione avrò circa 0,5 moli di C e resteranno ancora circa 9,5 moli di B.

Grafico C/t, Concentrazione contro tempo, che rappresenta la variazione di concentrazione di ogni singolo componente in un sistema chiuso in cui avviene la reazione sopra indicata.

Se si parte da A (verde) e B (viola), questi avranno una certa concentrazione a t=0, mentre C (rosso) e D (azzurro) hanno concentrazione nulla; mano a mano che la reazione procede le concentrazioni di A e B diminuiscono e contemporaneamente quelle di C e D aumentano fino a raggiungere un valore limite. Viceversa se si parte da C e D. Sia che si parta dai reagenti A e B, sia dai reagenti C e D, le concentrazioni finali sono le stesse e corrispondono alla situazione di equilibrio.

Questa situazione si chiama di equilibrio dinamico: si può considerare raggiunto quando la velocità di reazione diretta è eguale a quella della reazione inversa: per questo si chiama

"dinamico", perché, anche quando l'equilibrio è raggiunto, le reazioni diretta e inversa continuano ad avvenire, ma senza modificare le concentrazioni delle specie presenti.

La posizione dell'equilibrio, cioè le mutue concentrazioni dei componenti, dipende da vari fattori, ma, a parità di questi, non cambia, sia che si parta dai reagenti sia dai prodotti: il risultato finale, nelle stesse condizioni, è lo stesso, anche se la velocità di raggiungimento può essere diversa, ma questo è solo un problema cinetico.

Poiché all'equilibrio le concentrazioni dei componenti sono costanti, sarà costante anche un loro rapporto, che esprime la legge dell'azione di massa (nel senso che se modifico la concentrazione di un componente, automaticamente si modificano le altre in modo che il rapporto generale Kc resti costante).

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Per convenzione scriviamo al numeratore i prodotti della reazione così come noi l'abbiamo scritta:

se considerassimo la reazione inversa, avremmo al numeratore A e B, al denominatore C e D.

Gli esponenti sono i rispettivi coefficienti stechiometrici (ricordiamo che essi non sono necessariamente eguali a quelli che compaiono nella velocità di reazione, anche se è possibile trovare fra questi e quelli una relazione, purché si conosca il meccanismo di reazione).

La costante Kc viene chiamata costante di equilibrio che è una costante termodinamica; dipende solo dalle sostanze in equilibrio e dalla T del sistema; il simbolo "c" è dovuto al fatto che essa è espressa mediante le concentrazioni (mol dm-3).

Il valore di Kc è ovviamente costante, ma esso rappresenta la costante di equilibrio solo quando il sistema è effettivamente all'equilibrio; prima del raggiungimento esprime la legge dell'azione di massa.

Queste espressioni dell'azione di massa ci permettono di calcolare come variano le concentrazioni degli altri componenti del sistema se variamo la concentrazione (o la pressione pi o il numero di moli ni) di uno di essi (sempre però a T costante).

La K perciò potrà avere delle dimensioni, che dipendono dalla somma algebrica degli esponenti o essere adimensionale se (a+b) = (c+d).

Quest'ultima condizione significa che non c'è variazione del numero di moli nel corso della reazione.

Quando si tratta di gas, si usano spesso le pressioni parziali anziché le concentrazioni (basta ricordare che, per la legge di Dalton sulle miscele gassose ideali, la pi è proporzionale a ni);

otterremo, in questo caso, una Kp.

Kp = Kc solo quando le K sono adimensionali, quando cioè non c'è variazione del numero di moli.

Sarà così, per esempio per la reazione di dissociazione dell'acido iodidrico in fase gassosa

2 HI ←→H2 + I2, mentre per la reazione di sintesi dell'ammoniaca N2 + 3 H2 ←→ 2 NH3 sarà Kp ≠ Kc.

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Infatti, poiché la concentrazione, per definizione è ni/V, dalla legge generale dei gas avremo che ni/V = pi/RT, e se sostituiamo nella Kc avremo:

cioè la Kc è uguale alla Kp moltiplicata per un fattore (1/RT) elevato ad un esponente che rappresenta la variazione del numero di moli caratteristico del processo.

Analogamente potremmo definire una Kn. Solo se Δn = O allora Kp = Kc = Kn.

La K, pur rappresentando la stessa situazione reale, può assumere valori diversi se scriviamo la reazione in modo diverso, perciò è molto importante sapere "come" è scritta la reazione, per dare il giusto valore e il giusto significato alla costante di equilibrio.

Un esempio: consideriamo la stessa reazione scritta in 3 modi diversi:

I) N2 + 3 H2 ←→ 2 NH3 II) 1/2 N2 + 3/2 H2 ←→ NH3 III) 2 NH3 ←→ N2 + 3 H2

Tre espressioni diverse della K e relative dimensioni, in funzione del diverso modo di scrittura della reazione

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Le tre K sono legate tra loro:

KI = KII2 = KIII-1

Di solito si può dedurre di quale reazione si tratti in base alle dimensioni della K relativa (purché Δn ≠ O).

In realtà le relazioni che esprimono le K e la legge dell'azione di massa (espresse considerando le concentrazioni o le pressioni parziali) sono perfettamente valide solo per sostanze ideali:

occorrerebbe utilizzare le "attività" al posto delle pressioni o delle concentrazioni, che corrispondono a concentrazioni o pressioni "efficaci".

L'attività è legata alla concentrazione o alla pressione ideali mediante un coefficiente di attività moltiplicativo.

Ma in prima approssimazione consideriamo che il sistema sia ideale.

Se, quando il sistema è in equilibrio, si cerca di modificare qualcosa dall'esterno, il sistema reagisce cercando di minimizzare l'effetto provocato.

Questo è detto principio dell'equilibrio mobile o principio di Le Chatelier (Henry Louis Le Chatelier, Francia, 1850-1936).

La posizione dell'equilibrio si sposta nella direzione che tende a ristabilire le condizioni iniziali.

Per esempio, se si impone dall'esterno un aumento di pressione, l'equilibrio si sposta verso una situazione di minore pressione (la pressione è però ininfluente se non c'è variazione del numero di moli); nel caso della reazione I di formazione dell'ammoniaca, vista sopra, poiché i reagenti comportano un numero maggiore di moli rispetto al prodotto (con rapporto 2/1) l'equilibrio si sposterà verso destra.

Oppure, se si cerca di aumentare la T, la posizione dell'equilibrio andrà nella direzione che comporta un assorbimento di calore.

Negli equilibri in sistemi omogenei (quelli fin qui considerati), occorre tener conto di tutti i componenti, mentre nei sistemi eterogenei si considera che i componenti in fase condensata (solida o liquida) abbiano "attività" costante (non "nulla" o eguale a 1!); perciò questa attività può venire conglobata nella K di equilibrio.

Consideriamo per esempio la reazione di equilibrio:

CaCO3 ←→ CaO + CO2 la costante Kp è semplicemente Kp = pCO2

dato che le "attività" di CaCO3 e di CaO, essendo solidi (e purché presenti), sono costanti.

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Molte reazioni di equilibrio sono reazioni di dissociazione; possiamo ragionare definendo il grado di dissociazione x, come il rapporto tra numero di molecole dissociate e numero di molecole iniziali.

Equilibrio di dissociazione gassosa e relativa K di equilibrio espressa anche mediante il grado di dissociazione

Si può perciò calcolare la situazione della reazione di dissociazione purché si conosca la K, oppure si può determinare la K se si conosce il grado di dissociazione.

Un esempio numerico: se abbiamo 1 mole iniziale di pentacloruro di fosforo e questo, a una certa T, ha un grado di dissociazione x del 30% (0,3), all'equilibrio avremo:

0,3 moli (x) di tricloruro; 0,3 moli di cloro; 0,7 moli (1-x) di pentacloruro. La K avrà perciò il valore 0,32/0,7.

In base al principio di Le Chatelier un aumento del volume del recipiente (o una diminuzione della p) favorisce la dissociazione del pentacloruro di fosforo.

In una reazione come la dissociazione dell'acido iodidrico 2 HI ←→ H2 + I2, dato che non c'è variazione del numero di moli nella dissociazione, una variazione di p o di V sarebbe ininfluente.

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SINTESI AMMONIACA

L'ammoniaca è un composto dell'azoto di formula chimica NH3. Si presenta come un gas incolore, dall'odore caratteristico. Sciolta in acqua, rende la soluzione nettamente basica. A temperatura ambiente ha un odore pungente molto forte e soffocante, è irritante e tossica. In presenza di ossigeno (all'aria) può intaccare l'alluminio, il rame, il nichel e le loro leghe.

A causa dei suoi molti usi, l'ammoniaca è uno dei composti chimici inorganici più prodotti. Ci sono molti impianti per la produzione di ammoniaca nel mondo. Nel 2004 la produzione mondiale di ammoniaca era di 109.000.000 tonnellate. Più dell'80% dell'ammoniaca prodotta viene utilizzata per la produzione di fertilizzanti, la parte rimanente trova impiego nella produzione di plastiche, fibre, esplosivi, farmaci ...). L'ammoniaca viene sintetizzata secondo la reazione diretta in fase gassosa:

3 H2 + N2 → 2 NH3

sfruttata dal processo Haber-Bosch e svolta in presenza di catalizzatori, a pressione di 20 MPa e temperatura di 400-500 °C. La reazione è esotermica.

Invece l'idrogeno necessario si ricava dal syngas o per separazione dai gas di cokeria; l'azoto viene prodotto per frazionamento dell'aria con il processo Linde o con il processo Claude. Nel caso di syngas prodotti con reazione di reforming con vapore, l'N2 è già presente nella miscela perché il reforming secondario viene fatto con aria e non con O2 puro.

Altri metodi utilizzati per fabbricare l’ammoniaca sono quelli di Fauser, Casale, Claude, NEC, Mont-Cenis, ecc, che differiscono per la pressione a cui si fa avvenire la reazione e quindi nell'apparecchio di sintesi.

Si potrebbe osservare però che l'atmosfera è ricca di azoto: perché non lo usiamo nella fabbricazione dell’ammoniaca? Ma grazie al cielo l’atmosfera non è reattiva e l’azoto, in generale, non si combina con altri elementi. La strategia di base per la fabbricazione di ammoniaca, NH3 , è, pertanto, quella di combinare idrogeno gassoso, H2, con gas di azoto, N2, ad una temperatura elevata e ad alta pressione. Chimicamente, questa è una reazione difficile, quindi, come detto, richiede un agente esterno per accelerare il processo. Un catalizzatore è un composto che permette a una reazione di procedere più rapidamente. Nella sintesi dell’ammoniaca, il catalizzatore utilizzato è generalmente di ferro. Ci sono altre sostanze chimiche che possono essere utilizzati come catalizzatori, ma il ferro è il più comune (magnetite: FeO · Fe2O3). La fonte del gas di idrogeno è di solito il gas naturale, conosciuto anche come il metano, CH 4.

Tuttavia, nel processo di base della sintesi dell'ammoniaca se ne svolgono anche altri. Per esempio i composti di zolfo vengono prima rimossi dal gas naturale mediante reazione con ossido di zinco, che si trasforma in solfuro di zinco. Così viene liberato il metano, che passa attraverso varie trasformazioni prima di generare idrogeno gassoso. La temperatura utilizzata è di circa 1482 °F (400°C). La pressione utilizzata è inferiore a quella ottimale per la reazione. Infatti, per motivi di sicurezza, viene utilizzata la pressione di circa 200 atmosfere (Atm). La resa è di circa il 10-20% in queste condizioni. Come la miscela esce dal reattore, si raffredda, in modo che l'ammoniaca diventa liquida. Il calore viene catturato e riutilizzato per riscaldare il gas in entrata. Questo metodo di sintesi di ammoniaca è noto, come il processo di Haber, perché è stato creato dal chimico tedesco Fritz Haber, che ha studiato le condizioni perché avvenga la reazione chimica. L’idea fu sollecitata

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dal fatto che vi era una carenza di fertilizzanti contenenti azoto nei primi anni del 1900, e nello stesso tempo la Germania aveva bisogno di esplosivi per la prima guerra mondiale. Attualmente, come già detto, l'ammoniaca è prodotta su larga scala in tutto il mondo.

Un modo alternativo per fare l'idrogeno per la suddetta reazione è attraverso il processo elettrolitico dell'acqua. Elettrolisi utilizza energia elettrica per abbattere i composti. In questo caso, l'acqua è scissa in idrogeno e ossigeno. Questa soluzione però ha bisogno della produzione di elettricità da centrali elettriche. L'ammoniaca si può conservare e trasportare in due forme: o come liquido puro anidro, in serbatoi criogenici a pressione che la tengono al di sotto della sua temperatura di ebollizione (-33°C), oppure in soluzione acquosa (35 % ammoniaca/65 % acqua, in peso), in comuni contenitori a temperatura ambiente. La produzione dell'ammoniaca veniva considerata, specialmente in passato come un indice fondamentale dell'evoluzione dell'industria chimica di un paese e in particolare in Italia assunse uno sviluppo non indifferente. Nella storia dell'industria italiana i brevetti Fauser furono una pagina importante e portarono al sorgere a Novara di un polo industriale, poi confluito in Montecatini. Il successivo sviluppo fu legato a quello dell'industria dei fertilizzanti e del polo di Ferrara, Terni e di Porto Marghera. Nel frattempo si erano sviluppati impianti anche a San Giuseppe di Cairo (SV) e a Priolo (SR) nonché il grande polo di Ravenna per meglio utilizzare il metano. Tuttavia la successiva crisi dell'Enichem Agricoltura in cui erano confluiti gli impianti, portò ad un drastico ridimensionamento della produzione, concentrata solo a Ferrara e a Terni e alla cessione (1996) alla norvegese Norsk Hydro oggi Yara (2004). A seguito della cessazione della produzione di ammoniaca a Terni da parte di Yara avvenuta nel 2008, l'impianto di Ferrara è attualmente il solo in Italia a produrre ammoniaca, con una capacità massima di circa 600 mila tonnellate all'anno.

Schema impianto sintesi ammoniaca

Riferimenti

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