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N. 1-2/2014 PARTE III DOCUMENTAZIONE CORTE DI CASSAZIONE

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CORTE DI CASSAZIONE

5805 – Corte di cassazione; Sezioni unite civili; ordinanza 13 marzo 2014; Pres. Adamo, Est. Rordorf, P.M.

Capasso (concl. conf.); Corte dei conti e altri c. Comune di Cefalù e altri.

Giurisdizione e competenza – Giudizio di merito – Provvedimento cautelare – Ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione – Ammissibilità.

C.p.c., art. 41.

Giurisdizione e competenza – Comune e provincia – Dissesto finanziario – Deliberazione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti – Diniego di accesso alla procedura alternativa di riequi- librio finanziario pluriennale – Impugnazione – Giurisdizione esclusiva delle Sezioni riunite della Corte dei conti.

Cost., artt. 100, 103; d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, artt. 243- bis, 243-ter, 243-quater; d.lgs. 6 settembre 2011 n. 149, meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli artt. 2, 17 e 26 l. 5 maggio 2009 n. 42, artt. 6, 13; d.l. 10 ottobre 2012 n.

174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicembre 2012 n. 213, disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, art. 3).

Giurisdizione e competenza – Regolamento preventivo di giurisdizione – Ricorso – Norma applicata dal giudice di merito – Sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità – Irrilevanza sulla decisione del ricorso.

È ammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione in relazione a un giudizio di merito nel quale il giudice (nella specie, un tribunale amministrativo regionale), la cui competenza è oggetto del ricorso, abbia in precedenza già emesso un provvedimento cautelare. (1)

(1-3) I. Nello stesso senso di cui alla massima (1), v., citata in motivazione, Cass., ord. 9 febbraio 2011, n. 3167, in Rep. Foro it., 2011, voce Giurisdizione civile, n. 230; nonché Cass., ord. 22 settembre 2003, n. 14070, ivi, 2003, voce cit., n. 200; ord. 7 mag- gio 2003, n. 6954, ibidem, n. 199. Nel senso, invece, che è inammissibile il regolamento di giurisdizione nei procedimenti caute- lari ante causam, v., da ultimo, Cass., 28 dicembre 2007, n. 27187, in Foro it., 2008, I, 766, con nota di richiami.

II. La massima (2) estende la giurisdizione della Corte dei conti-Sezioni riunite a tutte le controversie concernenti l’“ammis- sione” degli enti locali in situazione di crisi finanziaria (c.d. pre-dissesto) alla procedura di risanamento prevista dal d.l. 174/2012 (art. 3, c. 1, lett. r, che ha introdotto nel Tuel l’art. 243-quater), il quale, per offrire agli enti locali l’opportunità di evitare la dichia- razione di dissesto, con le conseguenti limitazioni delle loro prerogative di autonomia, ha previsto, da un lato, la facoltà degli en- ti di elaborare “piani pluriennali di riequilibrio”, finalizzati al loro risanamento finanziario e, dall’altra, la possibilità di impugna- re, davanti – appunto – alle Sezioni riunite della Corte dei conti, le deliberazioni delle sezioni regionali di controllo che negano agli enti in pre-dissesto l’approvazione dei citati piani. Le Sezioni unite precisano, comunque, che “resta ferma […] la giurisdizio- ne del giudice amministrativo quanto all’impugnazione del provvedimento prefettizio [per l’avvio della procedura di dichiarazio- ne del dissesto], che sotto nessun profilo potrebbe essere fatto rientrare nella sfera giurisdizionale della Corte dei conti”.

II.1. Da segnalare che, a norma del citato art. 243-quater, c. 5, Tuel, sui ricorsi avverso le citate pronunce delle sezioni regio- nali le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono “in speciale composizione”, con le forme del giudizio a istanza di parte,

“nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica, ai sensi dell’art. 103, c. 2, Cost.”, entro trenta giorni dal deposito del ricorso.

Sulla “speciale composizione” delle Sezioni riunite della Corte dei conti in attuazione della menzionata disposizione, v. l’ord.

pres. Corte conti 4 marzo 2013, n. 5, in questa Rivista, fasc. 3-4, 302, nonché Corte conti, Sez. riun. (spec. comp.), 12 giugno 2013, n. 2, ibidem, 301, con nota di richiami.

II.2. Circa l’impugnazione delle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo della Corte in materia di piani di risanamen- to finanziario, v., da ultimo, Sez. riun. (spec. comp.), 13 dicembre 2013, n. 9, ibidem, fasc. 5-6, 298, con nota di richiami.

Sulla facoltà degli enti locali di riproporre, nel solo esercizio finanziario 2014, il piano di riequilibrio finanziario non appro- vato dall’assemblea rappresentativa dell’ente, v. Corte conti, Sez. autonomie, 15 aprile 2014, n. 6, in questo fascicolo, 94.

III. La vicenda di cui all’ordinanza in epigrafe trae origine dalla deliberazione Corte conti, Sez. contr. reg. Sicilia, 10 gennaio 2013, n. 1, ibidem, 265, con nota di richiami, che ha accertato la sussistenza delle condizioni di legge per far luogo alla dichiara- zione di dissesto finanziario del Comune di Cefalù, atteso il perdurante inadempimento dell’ente rispetto all’adozione delle misu- re correttive necessarie a ripristinare gli equilibri di bilancio e a risanare la situazione finanziaria.

A tale pronuncia aveva fatto seguito Tar Sicilia-Palermo, Sez. I, decr. 16 gennaio 2013, n. 19, ibidem, 471, nei cui confronti è stato proposto il regolamento di giurisdizione risolto con l’ordinanza in epigrafe, col quale è stata dichiarata la sospensione caute-

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Spetta alle Sezioni riunite della Corte dei conti la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto l’im- pugnazione, da parte di un comune, della deliberazione con cui la competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, avendo accertato la sussistenza delle condizioni previste per la dichiarazione di dissesto finanziario del comune, abbia negato a questo la possibilità di accedere alla procedura alternativa di riequi- librio finanziario pluriennale ed abbia comunicato la deliberazione al prefetto, per l’avvio del procedimento relativo alla dichiarazione del dissesto. (2)

Ove, successivamente alla proposizione di un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, sia stata dichiarata incostituzionale una delle norme sulle quali si fondava la pronuncia del giudice in relazione alla quale era stato proposto il ricorso, il venir meno di tale norma può essere eventualmente suscettibile di influire sul me- rito della decisione che il giudice competente dovrà adottare all’esito del giudizio sul ricorso, ma non si riflette in alcun modo sui criteri di attribuzione della giurisdizione da parte delle Sezioni unite della Corte di cassazione. (3)

Considerato, in diritto, che:

- non osta all’ammissibilità del ricorso la circostanza che sia stato in precedenza già emesso un provvedi- mento cautelare da parte del giudice della cui competenza giurisdizionale si discute (cfr. in proposito, tra le altre, S.U. n. 3167/2011 e n. 1470/2003);

- quanto all’intervento spiegato dal Comune di Ispica, questa Corte ha già in passato rilevato come colui il quale non abbia, anche in senso formale, la qualità di parte in causa non soltanto non può esperire il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, ma neppure può intervenire in sede di regolamento da altri proposto, dato che il regolamento medesimo configura un procedimento non autonomo, ma meramente strumentale ed incidentale, in cui non sono consentite questioni non attinenti alla giurisdizione, ivi incluse quelle sulla legitti- mazione di un terzo a partecipare al giudizio a quo, ovvero sulla ricorrenza dei presupposti e delle condizioni per un suo intervento (S.U. n. 20340/2005 e n. 5992/1984);

- da ciò si deduce che, viceversa, sono legittimati a partecipare al regolamento tutti coloro i quali abbiano veste di parte nel giudizio di merito (S.U. n. 12167/1993), e quindi anche coloro che, in quel giudizio, siano spontaneamente intervenuti, esulando dai poteri della Corte di cassazione ogni verifica in ordine all’ammissi- bilità dell’intervento svolto nella causa di merito;

- pertanto, non può negarsi al Comune di Ispica la legittimazione a partecipare al presente procedimento per regolamento di giurisdizione, volta che detto comune è intervenuto anche nel giudizio di merito pendente dinanzi al tribunale amministrativo;

lare della delib. Sez. contr. reg. Sicilia n. 1/2013, cit., e del successivo provvedimento col quale il prefetto diffidava il comune a dichiarare lo stato di dissesto.

Il decreto del Tar Sicilia-Palermo è stato, poi, confermato da Tar Sicilia-Palermo, Sez. I, ord. 14 febbraio 2013, n. 121, ibidem, 471, a sua volta riformata da Cons. giust. amm. regione Sicilia, ord. 10 maggio 2013, n. 217, ibidem, 472, che ha, invece, ritenuto l’inimpugnabilità davanti al giudice amministrativo della deliberazione pronunciata dalla Corte dei conti.

Nella vicenda, per molti versi analoga, relativa al Comune di Ispica (il cui intervento nel giudizio in esame è stato ammesso dall’ordinanza in epigrafe), v. Sez. contr. reg. Sicilia, 29 marzo 2013, n. 28, ibidem, fasc. 5-6, 209; Tar Sicilia-Catania, Sez. III, 10 luglio 2013, n. 1980, ibidem, 578, con nota di richiami; Corte conti, Sez. riun. (spec. comp.), 11 ottobre 2013, n. 5, ibidem, 278, con nota di richiami.

IV. Non sono noti precedenti nei termini di cui alla massima (3), il cui principio va ricollegato all’orientamento per cui, in se- de di regolamento preventivo di giurisdizione, sono irrilevanti eventuali questioni di legittimità costituzionale (e, quindi, le senten- ze che facciano seguito a precedenti impugnative davanti alla Corte costituzionale) di norme che attengono al merito della contro- versia, ove l’eventuale giudizio della Corte costituzionale (e, poi, la pronuncia da questa emanata) non sia suscettibile di modifi- care il quadro normativo cui far riferimento per riconoscere la giurisdizione di questo o di quel giudice, o non abbia, comunque, specifica influenza ai fini della designazione del giudice investito della giurisdizione: v. Cass., ord. 24 settembre 2002, n. 13918, in Foro it., 2003, I, 316, con nota di richiami.

Nella specie, la Corte di cassazione ha ritenuto irrilevante, ai fini della decisione relativa alla giurisdizione, la circostanza che Corte cost., 19 luglio 2013, n. 219 (in Foro it., 2014, I, 386, con nota di richiami) abbia dichiarato incostituzionale l’art. 13, secon- do periodo, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149 (in materia di “meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comu- ni”, a norma della legge sul federalismo n. 42/2009), nella parte in cui, con riguardo alle regioni a statuto speciale, prevedeva l’im- mediata applicazione del decreto e, quindi, della disposizione sulla quale Sez. contr. reg. Sicilia, n. 1/2013, cit. aveva fondato l’ob- bligo del comune di avviare la procedura di dissesto, qualora, entro sei mesi dall’entrata in vigore dello stesso decreto, non fosse- ro risultate concluse – come, appunto, non lo sono state – le procedure pattizie di attuazione statutaria per definire la decorrenza e le modalità di applicazione del decreto.

(3)

- venendo a trattare la questione di giurisdizione, giova ricordare che l’art. 6, c. 2, d.lgs. n. 149/2011 preve- de, anzitutto, che “qualora dalle pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti emergano ...

comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allar- gata e irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio dell’ente locale in grado di provocarne il dissesto finanziario e lo stesso ente non abbia adottato, entro il termine assegnato dalla Corte dei conti, le necessarie misure correttive previste dall’art. 1, c. 168, l. 23 dicembre 2005, n. 266, la competente sezione regionale, ac- certato l’inadempimento, trasmette gli atti al prefetto e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica”; e che successivamente, “ove sia accertato, entro trenta giorni dalla predetta trasmissione, da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti, il perdurare dell’inadempimento da parte dell’ente locale delle citate misure correttive e la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 244 del citato t.u. di cui al d.lgs. n. 267/2000, il prefetto assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto”; infine che, “decorso infruttuosamente il termine di cui al precedente periodo, il prefetto nomina un commissario per la deliberazione dello stato di dissesto e dà corso alla procedura per lo scioglimento del consiglio dell’ente ai sensi dell’art. 141, del citato t.u. di cui al d.lgs. n. 267/2000”;

- la funzione di controllo sulla contabilità degli enti locali che le citate disposizioni attribuiscono alla Corte dei conti – controllo che si manifesta nell’accertamento di pregresse disfunzioni, nella prescrizione di possi- bili rimedi e nella successiva verifica dell’effettiva attuazione di questi – s’inserisce in un più ampio contesto normativo, testimoniato anche dall’art. 1, cc. 166 ss., l. 23 dicembre 2005, n. 266, caratterizzato da un nuovo tipo di controllo affidato alla Corte dei conti, in vista della tutela dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, sulla sana gestione finanziaria degli enti locali, nonché sul rispetto, da parte di questi ultimi, del patto di stabilità interno e del vincolo in materia d’indebitamento posto dall’art. 119, c. 6, Cost. (si veda, in argomento, Corte cost. n. 179/2007);

- tale attribuzione trova diretto fondamento nell’art. 100 Cost., che assegna alla Corte di conti il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato, come controllo esterno ed imparziale, da intendersi oggi esteso ai bilanci di tutti gli enti pubblici che, nel loro insieme, concorrono alla nozione di “finanza pubblica allargata” (Corte cost. n. 179/2007, cit., e n. 198/2012);

- tale inquadramento non è però sufficiente a far concludere per la radicale ed assoluta inimpugnabilità degli atti di controllo successivo dei quali qui si discute, quando tali atti, come è avvenuto nel caso in esame, s’inse- riscano in un più ampio procedimento e fungano da presupposto per l’emanazione di ulteriori provvedimenti di natura incontestabilmente amministrativa;

- già in passato le Sezioni unite di questa Corte – ricollegandosi alla motivazione in base alla quale la Corte costituzionale aveva fugato il sospetto d’illegittimità dell’art. 3, c. 4, l. 14 gennaio 1994, n. 20, per contrasto con l’art. 100 Cost., in riferimento anche agli artt. 103 e 113 Cost., nella parte in cui detta disposizione rimette alla Corte dei conti l’individuazione degli enti da sottoporre al controllo sulla gestione, pur nella riconosciuta immunità dell’organo di controllo dal sindacato giurisdizionale (Corte cost., n. 470/1997) – hanno chiarito che il sistema di controllo successivo di gestione, affidato alla Corte dei conti, non sottrae i relativi atti di esercizio alla verifica giurisdizionale della loro legittimità: “da un lato, in riferimento alla disciplina delle modalità di svolgimento dell’attività riconducibile al potere attribuito alla Corte dei conti; dall’altro lato, in riferimento alle condizioni cui la norma di previsione subordina la stessa attribuzione” (S.U., n. 5762/1998);

- in tale pronuncia (a prescindere dalla forse non del tutto condivisibile esclusione del controllo successivo sulla gestione dal modello risultante dall’art. 100 Cost.) è ben chiarito che, qualora, pur essendo l’attività della Corte dei conti anche contrassegnata da “un momento di neutralizzazione rispetto alla conformazione legisla- tiva (politica) degli interessi”, essa si connoti per l’esistenza di un rapporto “fortemente collaborativo” tra il titolare del potere di controllo e le amministrazioni interessate, di cui vengano stimolati i processi di autocor- rezione in vista del conseguimento degli scopi comuni di pubblico interesse, l’esercizio di tale potere, stretta- mente correlato all’azione amministrativa, ne condivide l’assoggettamento al vaglio giurisdizionale secondo i consueti canoni di riparto tra giudice ordinario ed amministrativo;

- alla stregua di siffatto indirizzo, dal quale in via di principio neppure l’Avvocatura ricorrente dichiara di dissentire (limitandosi a sostenere – ma infondatamente – che esso non si attaglierebbe al caso in esame), si dovrebbe concludere per la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo: giacché la controversia in atto, senza investire nel merito il contenuto e le valutazioni tipiche dell’attività di controllo demandate alla

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Corte di conti, si è sviluppata proprio intorno alle condizioni che legittimano l’intervento operato da detta corte ed alla correttezza procedurale di esso, in particolare investendo la questione se la speciale normativa riguardante la Regione siciliana sia o meno compatibile con l’adozione dei provvedimenti previsti per il caso di dissesto di enti locali dal citato art. 6 d.lgs. n. 149/2011, e se la possibilità per l’ente di accedere alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (contemplata dal sopravvenuto art. 243-bis Tuel) non avrebbe comunque dovuto indurre la medesima Corte dei conti a sospendere il procedimento diretto a provocare, tramite il succes- sivo intervento prefettizio, la dichiarazione di dissesto;

- l’assunto del Comune di Cefalù, secondo cui la procedura di “dissesto guidato” posta in essere dalla sezione di controllo della Corte dei conti avrebbe dovuto cedere il passo a quella di riequilibrio finanziario pluriennale alla quale la medesima Corte dei conti avrebbe dovuto quindi dare libero corso, costituisce, a ben vedere, il petitum sostanziale – o almeno uno dei petita sostanziali – dell’impugnazione proposta dall’ente locale dinanzi al tribunale amministrativo regionale;

- proprio il profilo cui da ultimo s’è accennato, ossia l’interferenza tra le due suaccennate procedure, l’una alternativa all’altra, impone però di svolgere ulteriori considerazioni destinate a condurre, in punto dì giurisdi- zione, ad una conclusione diversa da quella dianzi adombrata;

- occorre tener conto, infatti, di quanto ora dispone l’art. 243-quater Tuel (introdotto dall’art. 3, c. 1, lett.

r, d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213), il cui c. 3, attri- buisce alla competente sezione regionale della Corte dei conti il compito di approvare il piano di riequilibrio finanziario prospettato dall’ente locale, eventualmente poi vigilando sulla relativa esecuzione, mentre il suc- cessivo quinto comma assegna alle sezioni riunite della stessa Corte dei conti la giurisdizione esclusiva in tema d’impugnazione avverso la delibera di approvazione o di diniego del piano, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, espressamente richiamando a tal proposito l’art. 103, c. 2, Cost., con un’ulteriore analoga previsione di giurisdizione esclusiva anche sui ricorsi avverso i provvedimenti di ammissione al Fondo di rotazione di cui al precedente art. 243-ter;

- da tali disposizioni chiaramente si evince l’intento del legislatore di collegare strettamente, in questa materia, la funzione di controllo della Corte dei conti a quella giurisdizionale ad essa attribuita dal citato art.

103, c. 3, Cost.;

- ci si potrebbe chiedere se, come adombrato nelle difese dell’Avvocatura dello Stato, questo stretto colle- gamento, ancorché testualmente sembri riguardare le sole ipotesi di approvazione (o diniego di approvazione) del piano di riequilibrio elaborato dal comune in dissesto finanziario e di ammissione al Fondo di rotazione, non sia espressione di un più generale ampliamento della funzione giurisdizionale della Corte dei conti: da intendersi ormai estesa all’intera area del controllo successivo che la medesima Corte dei conti attualmente esercita sulla gestione finanziaria degli enti locali, ricompresi nella nozione di “finanza pubblica allargata”, se ed in quanto gli atti in cui tale controllo si esplica siano assoggettabili, come prima s’è detto, al sindacato giurisdizionale;

- non è tuttavia necessario, ai fini della decisione sul presente regolamento, rispondere ad un quesito posto in termini così generali;

- è sufficiente osservare come, nell’ambito di applicazione della citata disposizione dell’art. 243-quater Tuel, pur se testualmente riferita solo all’impugnazione delle delibere di approvazione o diniego del piano (oltre che ai ricorsi contro i provvedimento di ammissione al Fondo di rotazione), appaia del tutto irragione- vole non far rientrare, per palese identità di ratio, anche provvedimenti quali quelli che – come nel caso in esame – neghino in radice ingresso alla possibilità dell’ente locale di accedere alla procedura di riequilibrio finanziario e diano precedenza al procedimento volto alla dichiarazione di dissesto, e come nello stesso am- bito giurisdizionale siano di necessità da ricomprendere anche le ulteriori doglianze prospettate nei confronti del suddetto provvedimento della sezione di controllo della Corte dei conti, trattandosi di doglianze sempre afferenti alle modalità di esercizio di tale controllo e così indissolubilmente connesse con quella sopra specifi- camente richiamata da rendere impensabile (oltre che contraria ad ogni principio di concentrazione processuale e di ragionevole durata dei giudizi) una distinta attribuzione di giurisdizione;

- si deve perciò concludere che la controversia avente ad oggetto l’impugnazione, da parte del Comune di Cefalù, della deliberazione con cui la Sezione di controllo per la Regione siciliana della Corte dei conti ha accertato la sussistenza delle condizioni previste per la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario di detto comune, dandone notizia al prefetto per i provvedimenti conseguenti e senza eventualmente dar corso alla

(5)

alternativa procedura di riequilibrio finanziario del comune, ricade nella giurisdizione esclusiva delle Sezioni riunite della Corte dei conti, né a ciò è di ostacolo la circostanza che, nel frattempo, è stata dichiarata l’illegit- timità costituzionale del secondo periodo dell’art. 143 del più volte citato d.lgs. n. 149/2011, il quale rendeva direttamente applicabili nel territorio delle regioni a statuto speciale le disposizioni del menzionato decreto qualora, entro il termine di sei mesi, decorrenza e modalità applicative di quelle medesime disposizioni non fossero state stabilite, in conformità ai relativi statuti, con le procedure di cui all’art. 27 l. 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni (Corte cost., n. 219/2013);

- il venir meno della norma ora richiamata, infatti, può essere eventualmente suscettibile d’influire sul merito della decisione che il giudice competente dovrà adottare, all’esito della trattazione della presente con- troversia, ma non si riflette in alcun modo sui criteri di attribuzione della giurisdizione, quali dianzi definiti;

- resta ferma, ovviamente, la giurisdizione del giudice amministrativo quanto all’impugnazione del prov- vedimento prefettizio, che sotto nessun profilo potrebbe essere fatto rientrare nella sfera giurisdizionale della Corte dei conti;

- la novità della questione esaminata suggerisce di compensare per intero tra le parti le spese del presente regolamento.

P.q.m., la Corte, pronunciando sul ricorso, dichiara che la giurisdizione in ordine all’impugnazione da parte del Comune di Cefalù della deliberazione con cui la Sezione controllo Regione siciliana della Corte dei conti ha accertato la sussistenza delle condizioni previste per la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario di detto comune, negando ingresso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, spetta alle Sezioni riunite della Corte dei conti, e compensa tra le parti le spese del regolamento.

12021 – Corte di cassazione, Sezione VI penale; sentenza 13 marzo 2014; Pres. ed Est. de Roberto, P.G. Sel- vaggi (concl. Conf.); Kutufà e altro.

Rigetta ricorso avverso Gup. Trib. Livorno, 30 gennaio 2013.

Omissione di denuncia o di referto – Pubblico ufficiale – Fatto avente possibile rilievo penale – Elementi di mero sospetto – Non sufficienza – Effettiva sussistenza di una notitia criminis – Necessità.

C.p., art. 361; c.p.p., art. 331.

Non integra il reato di omissione di denunzia la condotta dei pubblici ufficiali che, dinanzi alla segnalazio- ne di un fatto avente connotazioni di possibile rilievo penale, sussistendo elementi di mero sospetto, dispon- gano approfondimenti all’interno del proprio ufficio, al fine di verificare l’effettiva sussistenza di una notitia criminis (nella specie, il presidente ed il dirigente di ragioneria di una provincia, essendo venuti a conoscenza, in ragione del loro ufficio, dell’elevato consumo di una chiavetta dati in possesso di un assessore, concordava- no di omettere di darne comunicazione all’autorità giudiziaria e di convocare il responsabile della “possibile”

condotta delittuosa).

Osserva – 1. Giorgio Kutufà, presidente della Provincia di Livorno e Alberto Bartalucci, dirigente della ragioneria generale della stessa provincia, venivano rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all’art.

361 c.p. perché, essendo a conoscenza, in ragione del loro ufficio e nell’esercizio delle loro funzioni di pubblici ufficiali, del fatto che 1’assessore Rocco Garufo, avendo, per ragioni del suo ufficio la disponibilità di una chia- vetta dati pmcia onda pc card n50, con Imei relativa alla scheda Tim con utenza 335/1779003, aveva generato, con condotta costituente reato, un traffico di collegamenti abnorme del costo di 50 mila euro (interamente po- sto a carico della provincia) per ragioni esclusivamente o prevalentemente estranee al servizio, concordavano di omettere di darne doverosa comunicazione all’autorità giudiziaria, limitandosi a convocare il Garufo e a richiedere semplicemente il rimborso del costo delle connessioni effettuate; omissione che reiteravano anche successivamente, quando il Garufo interrompeva deliberatamente il pagamento delle rate in favore dell’ente, avendo versato complessivamente circa 5.100 euro a fronte di un totale di circa 50 mila, limitandosi a quel punto ad effettuare la denuncia alla Corte di conti.

La posizione del Garufo era stata separata avendo costui chiesto il giudizio abbreviato all’esito del quale veniva assolto dal delitto di peculato perché il fatto non sussiste.

(6)

Con sentenza 30 gennaio 2013 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Livorno dichiarava non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati per il delitto di cui all’art. 361 c.p. perché il fatto non sussiste.

Riferiva il giudice per le indagini preliminari che, a sèguito delle indagini espletate, era risultato un’esorbi- tante anomalia circa il traffico sul computer assegnato al Garufo (che, peraltro il 12 settembre 2008, ne aveva denunciato il furto), e che gli attuali imputati gli avevano imposto il pagamento delle somme dovute.

Successivamente, a seguito di consulenza tecnica della difesa, era risultato un utilizzo della chiavetta per connessione internet del tutto compatibile con 1’attività istituzionale per durata, entità di traffico e tipologia di connessione. La perizia informatica – disposta nel corso dell’udienza preliminare – aveva, in proposito, con- fermato integralmente 1’esito della consulenza di parte; in effetti, il costo derivante dalla connessione era la conseguenza della tariffa convenzionalmente, quanto inopintamente, stipulata, vale a dire la tariffa maxi Tim data professional.

Scendendo alla valutazione della condotta addebitata al Kutufà e al Bartalucci, il giudice dell’udienza pre- liminare osserva come non fosse ipotizzabile qualsivoglia fattispecie di reato al momento in cui gli imputati vennero a conoscenza del fatto. Quando, poi, il Garufo cessò i versamenti, gli imputati si limitarono a fare rapporto alla Corte dei conti. Il giudice per le indagini preliminari conclude che i soggetti ora imputati avevano disposto immediatamente accertamenti interni e la nomina di una commissione per 1’analisi della documenta- zione al fine di chiarire la vicenda. Una procedura che si era rivelata necessaria e decisiva tanto che al termine del procedimento penale il Garufo era stato prosciolto perché il fatto non sussiste.

2. (Omissis)

Il ricorso è infondato.

Occorre premettere che la fattispecie di reato contestata agli imputati va interpretata in consonanza con il disposto dell’art. 331, c. 1, c.p.p. (un precetto collocato nel titolo II del libro V, intitolato, appunto, “Notizia di reato”) a norma del quale “i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche se non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito”; la norma in parola è collo- cata immediatamente dopo quella regolatrice del regime dell’acquisizione delle notizie di reato.

Ciò non sta a significare che 1’art. 361 c.p. costituisca una norma in bianco. Il suo contenuto precettivo appare, infatti – pur nell’ampiezza delle soggettività destinatarie del dovere la cui omissione è penalmente ri- levante, oltre che per la “selezione oggettiva” delle fattispecie, ricavabile dalla necessità che del reato si abbia notizia in relazione alla funzione o al servizio -autosufficiente in quanto la detta norma punisce proprio la con- dotta del pubblico ufficiale il quale omette o ritarda di denunciare all’autorità giudiziaria o ad altra autorità un reato di cui ha avuto notizia a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. È certo però che la nozione di notizia di reato oggetto della previsione di cui all’art. 331, c. 1, c.p.p. coincide con “il reato di cui” (il pubblico ufficiale o 1’incaricato di un pubblico servizio) “ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni”.

Il che consente altresì di trascurare – perché del tutto al di fuori della problematica riguardante 1’art. 361 c.p.p. – la diversa progressione procedimentale vigente all’epoca in cui è sorta la norma di diritto sostanziale non certamente condizionata dallo spostamento in avanti, nel sistema del codice del 1989, del momento di eser- cizio dell’azione penale. Pure se occorre rammentare che la notitia, quale elemento cognitivo, non costituisce un fatto processuale perché essa si forma al di fuori del procedimento, costituendo anche la condizione perché proprio la sequenza procedimentale possa venire in essere; il che si verifica proprio al momento in cui la notizia di reato viene iscritta nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p.

La necessaria procedimentalizzazione della notitia criminis, rilevabile dagli effetti che ad essa conseguono (basti pensare al dovere di iscrizione dal cui esercizio decorrono i termini per il compimento delle indagini preliminari) impone, dunque, di ravvisare in tale nozione la presenza di dati univoci (di precisione e di atten- dibilità), non molto distanti dalla nozione di “probabilità”, indicata – per 1’insorgere del dovere penalmente sanzionato – proprio nel ricorso del procuratore generale.

5. Posta tale premessa, occorre verificare se al momento della conoscenza del fatto o al momento in cui gli imputati furono informati delle irregolarità riscontrate si era in presenza di una notizia di reato a carico del Garufo che venne deliberatamente nascosta all’autorità giudiziaria o ad altra autorità che a questa abbia obbligo di riferire. Il che potrebbe comunque escludere nonostante qualche scelta interpretativa che parrebbe di segno

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contrario, v. ad esempio, Sez. VI, 11 ottobre 1995, Gastaldi proprio verificando le esigenze teleologiche alla base del precetto la cui violazione è addebitata agli imputati, la stessa perseguibilità del secondo momento ritenuto penalmente rilevante alla stregua dell’imputazione; un momento, peraltro, neppure preso in considera- zione nel ricorso del procuratore generale.

La sentenza impugnata richiama un “quadro di incertezza e di verosimile dubbio da parte della dirigenza circa la sussistenza e commissione di un reato da parte del Garufo” che non avrebbe reso doverosa 1’immediata denuncia all’autorità giudiziaria; non senza evocare i disposti necessari accertamenti interni, la nomina di una commissione per 1’analisi della documentazione e la definitiva chiarificazione della vicenda.

Nella sostanza, quindi, al di là del lessico talora non rigorosamente utilizzato dal giudice a quo ad esempio, la dicotomia “certezza-incertezza” (su cui pare insistere il ricorso) appartiene più precisamente quanto meno alla fase processuale, rilevando nel momento procedimentale la sola ipotetica (ma concreta) configurazione di un fatto costituente reato la situazione che si presentava di fronte agli attuali imputati, non poteva definirsi una vera e propria notitia criminis, ma esclusivamente la rappresentazione di un fatto (le descritte anomalie derivanti dall’uso del computer) che nella sua stessa obiettività era insufficiente a delineare una fattispecie di reato, variegate profilandosi le ragioni dell’esorbitante entità degli accessi e delle relative conseguenze patri- moniali. In più, l’attività spiegata per accertare le rilevate anomalie era presumibilmente funzionale come pare desumersi, valicando la sommarietà argomentativa ed una certa cripticità che talora designano la sentenza impugnata non soltanto a fugare ogni sospetto circa la criminosità dell’utilizzatore del computer, ma anche alla “formazione” eventuale di una notitia criminis (un tema assolutamente non esplorato dalla giurisprudenza ma che riveste un sicuro valore designante nell’interpretazione teleologicamente orientata dell’art. 361 c.p.).

Del resto la quasi unanime dottrina (in fondo proprio per le ragioni sopra rammentate), pur (ovviamente) non richiedendo la certezza in ordine all’esistenza del reato oggetto della notizia, presuppone che questo si pre- senti nelle sue linee essenziali, in base ad elementi affidabili; è sufficiente, in altri termini, che il fatto abbia la parvenza della verità; senza per nulla escludere che, soprattutto, nell’area di soggetti estranei a quelli tenuti ad acquisire la notizia di reato, questa possa formarsi progressivamente proprio in forza di più puntuali approfon- dimenti che consentano al titolare dell’azione penale di dare inizio al procedimento attraverso 1’iscrizione. Ciò anche considerando che se la denuncia è funzionale all’inizio delle indagini da parte del pubblico ministero (l’effettivo destinatario della notitia) essa deve tendere al buon esito di tali indagini, con la necessità, insita in quella che si è già definita “selezione oggettiva”, di colmare quelle lacune che impediscono qualificare il fatto conosciuto come vera e propria notizia di reato.

6. Per i soggetti che non rivestano la qualità di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria non può attribuirsi alcun potere di indagine in presenza della notitia, a meno che questa non consista nel semplice sospetto, legitti- mante come è avvenuto nel caso di specie un’indagine interna da cui ricavare eventualmente la notitia criminis.

Vero è che la notizia di reato, benché non definita dalla legge, rappresenta, secondo la communis opinio, un’informazione che sia in grado di richiamare la commissione di un reato, un fatto cioè, corrispondente ad una fattispecie incriminatrice; resta, dunque, sempre da verificare perché sorga 1’obbligo di denuncia, non soltanto la corrispondenza ma anche il grado di corrispondenza ricavabile dal fatto così come si presenta al soggetto tenuto al dovere di informazione.

Né potrebbe correttamente sostenersi che una simile valutazione esula dai compiti del destinatario dell’ob- bligo di informazione perché presupposto del concretizzarsi di tale obbligo è proprio 1’esistenza di una notizia di reato, secondo lo stesso canone che informa i doveri gravanti sull’autorità giudiziaria allorché 1’informazio- ne pervenga direttamente ad essa.

Da ciò discende che, pur non occorrendo perché 1’obbligo insorga per i soggetti indicati nell’art. 331, c. 1, c.p.p., la certezza o anche il solo dubbio sull’esistenza di un reato, è necessario che sia profilabile una fattispe- cie obiettivamente riconducibile pur in assenza di ogni giudizio di valore complementare (antigiuridicità, dolo) a una ipotesi riconoscibile come fattispecie di reato.

In termini normativi la distinzione tra sospetto e indizio di reato (il secondo soltanto riconducibile alla no- zione di notizia di reato) emerge con chiarezza dal raffronto tra 1’art. 116 e 1’art. 220 delle norme di attuazione:

il primo richiama il “sospetto di reato” a proposito dell’accertamento della morte ai fini dell’eventuale autopsia (ma v. anche, quale deroga al principio per cui il mero sospetto non fa sorgere il dovere di denuncia, 1’art. 9, c. 3 (rectius: art. 45, c. 5), d.p.r. 10 settembre 1990, n. 285, a norma del quale “Quando nel corso di un’autop- sia non ordinata dall’autorità giudiziaria si abbia il sospetto che la morte sia dovuta a reato, il medico settore

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deve sospendere le operazioni e dare immediata comunicazione all’autorità giudiziaria”); il secondo, impone nell’ipotesi in cui nel corso di attività ispettive e di vigilanza emergano “indizi di reato” il dovere di assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro per l’applicazione della legge penale osservando le disposizioni del codice di rito, dando per presupposta l’esistenza di una notizia di reato. Il che, del reato appare conforme con- siderando che solo 1’informazione che si sostanzi in una notizia di reato in grado di essere iscritta nel registro di cui all’art. 335 deve essere trasmessa all’autorità giudiziaria alla giurisprudenza di questa Corte, costante nel ritenere che la presenza di meri e generici sospetti non è sufficiente per disporre 1’iscrizione nel registro degli indagati (v., da ultimo, Sez. I, 22 maggio 2013, Longo).

7. Interpretando i dati normativi or ora rammentati, pare evidente che la verifica circa il presupposto del dovere di denuncia richiede come è stato rilevato in dottrina 1’apprensione di un elemento concreto costituente il momento più significativo di una norma incriminatrice. Spingere più avanti un simile argomento è reso pos- sibile soltanto considerando la situazione di fatto quale si presenta di fronte al destinatario dell’obbligo (recte, del dovere). E a tale riguardo non può prescindersi dalle diverse tipologie di reato e dallo specifico ruolo espo- nenziale che assumono i momenti di ciascuna fattispecie al fine di determinare il dato significante, il frammento di corrispondenza, individuabile sia nell’elemento oggettivo sia nell’elemento soggettivo. Pure considerando che nei reati a evento naturalistico come sarebbe quello nella specie non denunciato (ma solo ipotizzato alla stregua dell’imputazione) è il momento oggettivo ad assumere valenza dirimente.

Non può negarsi, dunque, al soggetto destinatario del dovere di denuncia, 1’altrettanto significativo dovere di verifica per sondarne la sua capacità penalmente significativa, pure disponendo accertamenti di ordinamento particolare destinati ad eliminare ogni sospetto sull’esistenza di un reato, ma anche per progredire dalla mera informazione di un fatto non significante ad una verifica che, se positiva, si sostanzierà nell’emergere di una notizia di reato la cui mancata denuncia integrerà il delitto di cui all’art. 361 c.p.

P.q.m., rigetta il ricorso.

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