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SICUREZZA SUL LAVORO KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N.153 DEL 17/03/14

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Academic year: 2022

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SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS ! NEWSLETTER N.153 DEL 17/03/14

NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI

(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

IL RAPPORTO TRA GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO E LE FUNZIONI DEL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE 1 IL DATORE DI LAVORO E NON I LAVORATORI SONO RESPONSABILI DELLA IN-

FORMAZIONE/FORMAZIONE IN MATERIA DI SICUREZZA 6 CAMPI ELETTROMAGNETICI: EFFETTI SULLA SALUTE E SORVEGLIANZA SANITA-

RIA 9

IL PRIMO SOCCORSO NEI LUOGHI DI LAVORO: LA CATENA DELLA SOPRAVVI-

VENZA 12

IMPARARE DAGLI ERRORI: SPAZI CONFINATI, RISCHIO CHIMICO E AZOTO 14 NOMINA, COMPITI E RESPONSABILITA’ DEL RSPP NELLA SCUOLA 17

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IL RAPPORTO TRA GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO E LE FUNZIONI DEL RE- SPONSABILE DEL SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

LE CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.41

Come sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.

Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire che per me è stato mo- tivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a fare chiarezza sui diritti del lavoratori.

Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie new- sletters, queste consulenze.

Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi simili o analoghi.

Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.

Marco Spezia

QUESITO Ciao Marco,

avevo bisogno di un paio di chiarimenti relativi al ruolo del datore di lavoro e del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.

E’ possibile che, secondo il D.Lgs 81/08, il datore di lavoro e il RSPP siano la stessa persona, considerando che l’azienda ha 700 dipendenti?

Nei verbali delle riunioni annuali sotto la voce datore di lavoro c’è la firma del RSPP. E’ legale?

Oppure, in altri termini, può il RSPP ricevere la delega da parte del datore di lavoro per firmare al suo posto i verbali delle riunioni annuali?

RISPOSTA Ciao,

a seguire le mie considerazioni relative alle tue domande, stilate sulla base di quanto previsto dalla vigente normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

DEFINIZIONE E RUOLI DI DATORE DI LAVORO E RSPP

Parto da alcune considerazioni sul ruolo di datore di lavoro e di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), come definite dal D.Lgs.81/08 (Decreto).

Secondo la definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), il datore di lavoro è:

“il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, se- condo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attivi - tà, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Invece, secondo la definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera f) e l) il RSPP è:

“persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali [...] designata dal datore di la- voro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi”, il quale è

“insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di pre- venzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”.

Da queste due definizioni, si capisce bene come, mentre il datore di lavoro sia il pieno respon- sabile della salute e della sicurezza dei lavoratori, “in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa” dell’azienda, il RSPP sia persona “designata dal datore di lavoro, a cui risponde” incari- cata delle definizione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi, senza avere però al- cun potere decisionale e di spesa per attuare e fare rispettare tali misure.

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Da ciò deriva che, mentre il datore di lavoro è la persona garante del rispetto di tutti gli obbli- ghi previsti dal Decreto (o direttamente, o in quanto figura apicale con precisi ruoli di controllo e vigilanza) ed è per questo penalmente perseguibile, il RSPP riveste un ruolo, sicuramente fondamentale, di “consulente” del datore di lavoro, al quale solo deve rispondere, senza però essere investito da specifici obblighi.

Non a caso, mentre il datore di lavoro appare nell’apparato sanzionatorio di tutti i Titoli del De- creto, il RSPP non è sanzionabile secondo quanto stabilito dal Decreto.

Il rapporto tra datore di lavoro e RSPP è chiarito fin dall’articolo 17 del Decreto, che definisce i due obblighi non delegabili da parte del datore di lavoro e che sono quindi di sua esclusiva re- sponsabilità. Tale articolo stabilisce infatti che:

“Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività:

a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’

articolo 28;

b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi”.

E’ pertanto solo il datore di lavoro (in quanto esercitante i poteri decisionali e di spesa) a poter nominare il RSPP, e solo il datore di lavoro che ne può utilizzare il servizio, come ben specifica- to dall’articolo 33, comma 3):

“Il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro”.

POSSIBILITA’ O MENO DI SVOLGERE IL RUOLO DI RSPP DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO Specificato quanto sopra, vengo ora al tuo primo quesito, cioè se il datore di lavoro può svol- gere il ruolo di RSPP, secondo quanto stabilito dal Decreto.

L’articolo 34 del Decreto definisce in maniera chiara quale sono le condizioni alle quali il datore di lavoro può svolgere direttamente il ruolo di RSPP.

Il comma 1 dell’articolo 34 stabilisce infatti che:

“Salvo che nei casi di cui all’articolo 31, comma 6, il datore di lavoro può svolgere direttamen- te i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi [...], nelle ipotesi previste nell’allegato 2 dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurez- za ed alle condizioni di cui ai commi successivi”.

A sua volta il comma 6 dell’articolo 31 (che specifica le condizioni alle quali il Servizio di Pre- venzione e Protezione deve essere interno all’azienda) specifica che:

“L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:

a) nelle aziende industriali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto [aziende a rischio di incidente rilevante secondo la Direttiva 96/82/CE, cosiddetta “Direttiva Seveso”];

b) nelle centrali termoelettriche;

c) negli impianti ed installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni [impianti e laboratori nucleari e installazioni di deposi- to o di smaltimento di rifiuti radioattivi];

d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;

e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;

f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;

g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori”.

Quindi per tutte le aziende elencate nel comma 6 dell’articolo 31 del Decreto, il datore di lavo - ro non può svolgere il ruolo di RSPP.

Per tutte le altre aziende, affinché il datore di lavoro possa svolgere il ruolo di RSPP, devono comunque essere rispettate le ipotesi di cui all’allegato 2 del Decreto, cioè:

“Aziende artigiane e industriali fino a 30 addetti Aziende agricole e zootecniche fino a 30 addetti Aziende della pesca fino a 20 addetti

Altre aziende fino a 200 addetti.”

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Pertanto il combinato disposto dell’articolo 34, comma 1, dell’articolo 31, comma 6 e dell’alle- gato 2 del Decreto specifica in maniera chiara che per aziende (qualunque sia la loro natura) sopra i 200 lavoratori è esclusa la possibilità per il datore di lavoro di svolgere direttamente il ruolo di RSPP.

E’ evidente che nel tuo caso (azienda di natura non meglio specificata, ma comunque avente 700 dipendenti) il datore di lavoro non può assolutamente svolgere anche il servizio di RSPP, ma lo deve obbligatoriamente nominare, secondo quanti disposto dall’articolo 17, comma 1, lettera b) del Decreto. Tale nomina (in quanto quelli di cui all’articolo 17 sono obblighi non de- legabili) può essere effettuata solo dal datore di lavoro.

Nell’eventualità di mancata nomina del RSPP, nei casi in cui il suo ruolo non possa essere svol- to dal datore di lavoro, ovvero nel caso in cui il datore di lavoro si assuma il ruolo di RSPP sen- za averne la possibilità e firmi documentazione in sua vece, si configura il reato di omesso adempimento dell’articolo articolo 17, comma 1, lettera b) del Decreto (omessa nomina del RSPP).

Tale reato è punito dall’articolo 55, comma 1, lettera b) del medesimo Decreto con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.

FIRMA DEL SOLO RSPP DEL VERBALE DELLA RIUNIONE ANNUALE

Nel tuo secondo quesito poni la questione se è possibile che il RSPP firmi il verbale della riunio- ne annuale ex articolo 35 del Decreto in vece del datore di lavoro.

Per risponderti, occorre analizzare gli obblighi a carico del datore di lavoro che possono essere delegati e in che forma essi devono essere delegati.

La convocazione della riunione annuale ex articolo 35 del Decreto è un obbligo a carico del da- tore di lavoro oppure dei dirigenti, stabilito dall’articolo 18, comma 1, lettera v):

“Il datore di lavoro, che esercita le attività di cui all’articolo 3, e i dirigenti, che organizzano e dirigono le stesse attività secondo le attribuzioni e competenze ad essi conferite, devono, nelle unità produttive con più di 15 lavoratori, convocare la riunione periodica di cui all’articolo 35”.

Il mancato adempimento di tale obbligo è sanzionato penalmente dall’articolo 55, comma 5, lettera e) con l’ammenda da 2.000 a 4.000 euro.

Tutti gli obblighi di cui all’articolo 18 (posti dal Decreto a carico “del datore di lavoro e del diri- gente”) possono essere delegati (ricordo che solo gli obblighi di cui all’articolo 17 non sono de- legabili) dal datore di lavoro ai dirigenti.

La figura di dirigente è definita dall’articolo 2, comma 1, lettera c) del Decreto, secondo il qua- le è dirigente:

“persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali ade- guati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”.

E’ evidente da tale definizione che il dirigente all’interno dell’azienda ha poteri limitati, ma co- munque ben definiti e “adeguati alla natura dell’incarico conferitogli”. In tale posizione il diri- gente egli può, in parte, sostituirsi il datore di lavoro, nel senso che “attua le direttive del da- tore di lavoro”.

Per poter delegare parte o tutti gli obblighi delegabili di cui all’articolo 18 del Decreto, il diri - gente deve però essere investito in tal senso da specifica delega di funzioni.

Le condizioni di validità della delega di funzioni sono definite ora in maniera chiara dall’articolo 16, comma 1 del Decreto:

“La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa [articolo 17], è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:

a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;

b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla speci- fica natura delle funzioni delegate;

c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;

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d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle fun- zioni delegate;

e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto”.

Pertanto, il dirigente per poter ottemperare al posto del datore di lavoro agli obblighi di cui al- l’articolo 18 del Decreto (compresa la convocazione della riunione annuale) deve avere ricevuto dal datore di lavoro stesso, delega formale, i cui contenuti sono definiti dall’articolo 16.

Al contrario in assenza di delega o in presenza di delega non coerente in pieno con quanto sta- bilito dall’articolo 16, gli obblighi di cui all’articolo 18, rimangono di fatto di piena responsabilità del datore di lavoro e di conseguenza il dirigente non può nemmeno convocare in maniera vali- da la riunione annuale di cui all’articolo 35.

Il ruolo di RSPP non è incompatibile con quello di dirigente.

E’ pertanto possibile che, se il RSPP è anche dirigente aziendale (secondo la definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c) del Decreto, sopra riportato), egli possa essere delegato dal datore di lavoro per l’ottemperanza di uno o più degli obblighi di cui all’articolo 18, compreso quello relativo alla convocazione della riunione annuale (articolo 18, comma 1, lettera v) del Decreto).

Ovviamente la possibilità che il RSPP convochi, in vece del datore di lavoro, la riunione annua- le, deve risultare da delega formale, i cui contenuti sono definiti dall’articolo 16.

In merito ai partecipanti e alla forma con cui ufficializzare la riunione annuale, occorre fare ri- ferimento all’articolo 35 del Decreto.

Il comma 1) di tale articolo definisce chi deve partecipare a tale riunione:

“Nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori, il datore di lavoro, di- rettamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, indice almeno una volta all’anno una riunione cui partecipano:

a) il datore di lavoro o un suo rappresentante;

b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;

c) il medico competente, ove nominato;

d) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.

Poiché alla lettera a) è precisato che alla riunione deve partecipare “il datore di lavoro o un suo rappresentante”, è possibile che anche la partecipazione alla riunione annuale sia delegata dal datore di lavoro a un suo rappresentante (dirigente) e se del caso anche al RSPP (dirigente), purché egli sia dirigente formalmente delegato ai sensi dell’articolo 16.

L’articolo 35, comma 5 stabilisce poi che:

“Della riunione deve essere redatto un verbale che è a disposizione dei partecipanti per la sua consultazione”.

Il mancato rispetto di tale obbligo (a carico dl datore di lavoro o del dirigente delegato) è san- zionato dall’articolo 55, comma 5, lettera h) con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.800 euro.

Tale verbale, per poter avere una validità effettiva, deve essere ovviamente controfirmato da tutti i partecipanti.

Pertanto, se il RSPP è stato, in quanto dirigente aziendale, delegato formalmente dal datore di lavoro a convocare la riunione annuale e a parteciparvi, può essere possibile che il RSPP stesso firmi il relativo verbale in vece del datore di lavoro.

Poiché alla riunione ex articolo 35 devono partecipare sia il datore di lavoro (o suo delegato), sia il RSPP, in caso di delega, il RSPP dovrà firmare sia come rappresentante del datore di lavo- ro, sia come RSPP.

Anche in questo caso ciò è possibile a patto che sia stata stilata delega di tale funzione, secon- do l’articolo 16.

CONCLUSIONI

Il datore di lavoro di un’azienda di qualunque tipo con più di 200 dipendenti non si può avvale- re della possibilità di svolgere direttamente il ruolo del RSPP.

In tal caso il datore di lavoro deve obbligatoriamente nominare un RSPP (obbligo non delegabi- le a carico del datore di lavoro).

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Nei casi previsti, la mancata nomina da parte del datore di lavoro del RSPP, costituisce reato penale perseguibile secondo l’apparato sanzionatorio del Decreto.

Il datore di lavoro può delegare, in maniera formale e secondo i contenuti stabiliti dall’articolo 16 del Decreto, un dirigente a ottemperare in sua vece agli obblighi delegabili di cui all’articolo 18 del Decreto.

Se il RSPP è anche dirigente, secondo la definizione del Decreto, può essere analogamente de- legato dal datore di lavoro a svolgere in sua vece gli obblighi delegabili.

Di conseguenza il RSPP può convocare la riunione annuale ex articolo 35, partecipare ad essa in rappresentanza del datore di lavoro e firmarne il relativo verbale in vece del datore di lavo- ro, solo però è dirigente aziendale ed è stato formalmente delegato ad espletare tali obblighi da parte del datore di lavoro.

In caso di mancata delega formale da parte del datore di lavoro al RSPP relativamente alla convocazione e alla partecipazione alla riunione annuale, la firma del RSPP del relativo verbale in vece del datore di lavoro non ha alcuna valenza legale. Il verbale risulta pertanto non firma- to dal datore di lavoro e perde la sua validità. Ciò, costituisce reato penale perseguibile secon- do l’apparato sanzionatorio del Decreto.

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IL DATORE DI LAVORO E NON I LAVORATORI SONO RESPONSABILI DELLA INFORMA- ZIONE/FORMAZIONE IN MATERIA DI SICUREZZA

Da: Cobas Pisa

http://www.cobaspisa.it/

10 marzo 2014

La Sentenza n.9693 del 27 febbraio 2014 della Corte di Cassazione torna sulle responsabilità penali del datore di lavoro colpevole di non avere adempiuto agli obblighi di informazione e for- mazione in materia di sicurezza.

Su tale aspetto non è ammessa delega ai lavoratori perché questi adempimenti sono sempre e comunque a carico del datore di lavoro.

SENTENZA N.9693 DEL 27 FEBBRAIO 2014 DELLA CORTE DI CASSAZIONE RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Pordenone, Sezione Distaccata di San Vito al Tagliamento, con sentenza del 28/04/10, condannò I.L.R. alla pena stimata di giustizia, per avere causato, svolgendo l’attività di legale rappresentante (insieme al fratello I.M., la cui posizione risulta essere stata definita a parte) dell’impresa I.E., lesioni personali gravi ai danni dell’operario dipendente D.C., per colpa generica e specifica. In particolare, emerge dalle statuizioni giudiziarie che il D.C., non utiliz- zando i dispositivi di protezione individuale, che tuttavia l’istruttoria aveva appurato essere stati messi a sua disposizione, e non adeguatamente formato ed informato, nell’espletamento della propria attività lavorativa, dopo aver assemblato erroneamente un trabattello, montava sullo stesso in maniera incongrua (dall’esterno), così precipitando al suolo e procurandosi le le- sioni di cui al capo d’imputazione.

1.1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza 28/11/12, assolse l’imputato perché il fatto non costituisce reato. Assume, in sintesi, la Corte territoriale, pur affermando che l’imputato, sicco- me il socio e congiunto I.M., rivestiva il ruolo di datore di lavoro, che “Pur non contestando [...] che le violazioni indicate nell’imputazione siano ascrivibili al datore di lavoro [...], debbano essere distinti due piani: sotto il profilo generale e astratto i lavoratori erano stati informati cir- ca il metodo corretto di salita sui ponteggi, circa il divieto di utilizzare per la salita e discesa i montanti esterni ed erano stati messi a loro disposizione i necessari DPI [Dispositivi di Prote- zione Individuali] [...]; l’obbligo di verificare che tali istruzioni fossero puntualmente recepite e attuate non può essere posto a carico di chi operava stabilmente in cantieri diversi e con squa- dre diverse. L’appellante aveva provveduto a perfezionare il percorso formativo di coloro che dipendevano direttamente da lui e che aveva la possibilità di controllare continuativamente [...], analogo obbligo gravava su I.M. che era l’unico dei due amministratori in grado di verifi- care l’operato dei dipendenti della propria squadra. Al di là, quindi, delle qualifiche formali, gli obblighi concretamente violati facevano carico in via esclusiva a I.M., di talché l’appellante va ritenuto esente da colpa”.

2. Avverso la sentenza d’appello proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Trieste.

2.1. Con l’unitaria, articolata censura posta a corredo dell’impugnazione il ricorrente denunzia vizio motivazionale in questa sede rilevabile, evidenziando i profili di cui, in sintesi, appresso.

Incongruamente, la Corte territoriale, dopo aver affermato (condividendo sul punto le conclu- sioni del giudice di primo grado) che le lesioni erano ascrivibili alla violazione di regole cautela - ri; che l’imputato, in quanto rappresentante ed amministratore della società I.E. doveva consi- derarsi datore di lavoro dell’operaio infortunato; che sul datore di lavoro gravava l’obbligo di formare e informare i lavoratori, assicurandosi che le istruzioni venissero comprese effettiva- mente e concretamente rispettate; che il D.C. era caduto per essere salito sopra un trabattello, dal medesimo assemblato senza rispettare le istruzioni di montaggio, che lo stesso ignorava, sebbene avesse partecipato ad una riunione formativa nella quale era stato invitato a prendere visione del POS [Piano Operativo di Sicurezza]; che, pertanto, quest’ultimo non era stato

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istruito “circa le corrette modalità di montaggio del trabattello”, tanto che l’infortunato, non avendo predisposto la scala interna, si era maldestramente arrampicato lungo i montanti esterni, aveva affermato che “I lavoratori erano stati informati circa il metodo corretto di salita sui ponteggi”. Inoltre, dopo aver attribuito al datore di lavoro il dovere di verificare che le istruzioni antinfortunistiche fossero comprese e rispettate, aveva ritenuto di escludere la pena- le responsabilità dell’imputato valorizzando la suddivisione di fatto della direzione sui cantieri, elidendo la responsabilità derivante dalla posizione di coamministratore. Infine, assume l’illogi- cità di aver giudicato soddisfatto il dovere di informazione sul contenuto del POS mediante il mero invito a prendere lettura del documento (siccome era avvenuto sulla base del verbale del 10/01/06 redatto in azienda), così scaricando sui lavoratori il compito di formarsi e informarsi.

Né poteva sostenersi che l’obbligo di formazione e informazione gravasse solo in capo ad I.M.

quanto agli operai che svolgevano la loro attività nel cantiere ove si ebbe a verificare l’infortu- nio, stante che la qualifica di amministratore e legale rappresentante, e, quindi, di datore di la- voro, apparteneva anche ad I.L.R..

3. Con memoria pervenuta il 13/01/14 il Difensore dell’imputato, rilevato che il ricorso del Pro- curatore Generale locale non era stato notificato alla parte privata, in violazione dell’art.584 del Codice di Procedura Penale, chiedeva trasmettersi gli atti al giudice a quo perché la relativa cancelleria facesse luogo all’incombente omesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. L’eccezione procedurale sollevata dall’imputato non è fondata, stante che secondo il condivi- so orientamento di questa Corte l’omessa notifica dell’atto d’impugnazione della pubblica accu- sa alle parti private, o viceversa, non è causa di nullità di ordine generale né dà luogo all’inam- missibilità del gravame, comportando unicamente la mancata decorrenza del termine per la proposizione, da parte del soggetto interessato dell’eventuale (ove prevista) impugnazione in- cidentale (confronta fra le tante, Sentenza n.3266 del 10/12/09, Sentenza n.5525 del 25/11/08, Sentenza n.16891 dell’11/04/07). Nessun vulnus, infatti, al contrario dell’assunto, patisce la parte che non ha ricevuto la notificazione (parti private) o la comunicazione (Pubbli- co Ministero) in quanto, pervenutagli tempestiva comunicazione dell’udienza viene posta in uti- le condizione per conoscere il contenuto dell’impugnazione.

5. Il ricorso è fondato.

E’ radicale ed insanabile la contraddizione logica nella quale è caduta la Corte territoriale affer- mando, ad un tempo, che l’operaio infortunatosi non era stato istruito in ordine alle correte modalità di montaggio del trabattello e che tale omessa istruzione non era in alcun modo giu - stificabile; che anche l’imputato rivestiva il ruolo di datore di lavoro, assieme al congiunto I.M.;

che era innegabile che l’omissione di formazione e informazione era da ascriversi a responsabi- lità del datore di lavoro e, tuttavia, che l’imputato dovesse andare esente da penale responsa- bilità poiché la vigilanza concreta in quel cantiere competeva a I. M..

Di conseguenza risulta incomprensibile l’affermazione, smentita dalla premessa sopra riporta- ta, che i lavoratori erano stati informati delle corrette modalità di montaggio dei ponteggi.

5.1. Inoltre, senza necessità di approfondire l’aspetto dell’indelegabilità della posizione di ga- ranzia in relazione a contesti aziendali minimi (sul punto nulla è dato sapere dalle sentenze di merito), non può certamente sollevare da responsabilità il datore di lavoro la pretesa assunzio- ne fattuale di esclusivo garante da parte di altro soggetto rivestente lo stesso ruolo datoriale.

Invero, sarebbe occorso ben altro per procurare l’effetto dell’esonero di I.L.R., secondo la con- solidata e pluridecennale interpretazione giurisprudenziale, che ha, poi, trovato scrittura nor- mativa nell’articolo 16 del D.Lgs.81/08 (atto scritto con data certa, accettato espressamente e per iscritto, pienezza dei poteri, con corrispondente autonomia di spesa). Esonero che, in ogni caso, non potrebbe giammai sollevare il delegante dal dovere di vigilanza, pur esercitato, evi- dentemente per le aziende di grandi dimensioni, attraverso adozione d’idoneo sistema di con- trollo del modello gestionale ed organizzativo (articolo 30, comma 4, richiamato dall’articolo 16, stesso corpo normativo).

L’analisi deve essere correttamente mirata tenendo presente la funzione e lo scopo della re- sponsabilità penale derivante da posizione di garanzia. Senza necessità di ripercorrere un ter- reno ampiamente arato, che qui basterà dare per noto, può essere utile ricordare solo che una

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tale responsabilità serve ad assicurare la tutela di valori primari (quali la vita e l’integrità psico- fisica) i cui titolari, per ragioni le più varie che l’Ordinamento prende in considerazione, da soli non sarebbero in grado di garantire appieno.

6. Per le esposte ragioni la sentenza deve essere annullata. Il giudice del rinvio nel giudicare dell’impugnazione dovrà impegnarsi in adeguata motivazione alla luce di quanto chiarito.

PER QUANTO MENZIONATO

Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di appello di Trieste.

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CAMPI ELETTROMAGNETICI: EFFETTI SULLA SALUTE E SORVEGLIANZA SANITARIA Da: PuntoSicuro

http://www.puntosicuro.it

05 marzo 2014 di Tiziano Menduto

Gli effetti sulla salute e la sorveglianza sanitaria relativa ai rischi di esposizione ai campi elet- tromagnetici. I lavoratori particolarmente sensibili al rischio e la valutazione per portatori di protesi ed altri dispositivi medici impiantati.

Il tema della protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione ai campi elettromagnetici (CEM), trattato nel titolo VIII, capo IV del D.Lgs.81/08, è stato recentemente oggetto d’attenzione in relazione proprio all’ulteriore rinvio dell’entrata in vigore di questa parte del Testo Unico in ma- teria di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Entrata in vigore che è slittata dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea della direttiva 2013/35/UE del 26 giugno 2013 che abroga la direttiva 2004/40/CE e che dovrà essere recepita dagli stati membri entro il 1 luglio 2016.

Per tornare a parlare di prevenzione e protezione dagli effetti dei CEM, ci soffermiamo su un documento presentato sul sito dell’ASL 6 di Vicenza dal titolo “CEM: effetti sulla salute e sorve- glianza sanitaria” a cura del dottor Pierantonio Zanon (SPISAL ASL n.6).

Si tratta di una scheda di sintesi (precedente all’ultima proroga dell’entrata in vigore del Titolo VIII, Capo IV) relativa agli effetti sulla salute e alla sorveglianza sanitaria per gli esposti ai campi elettromagnetici e inserita nel sito come documentazione per i Medici Competenti (MC).

Inevitabile partire dal D.Lgs.81/08 dove all’articolo 206 (Capo IV, Titolo VIII), si indica che le disposizioni riguardano la protezione dai rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori dovuti agli effetti nocivi a breve termine conosciuti nel corpo umano derivanti dalla circolazione di cor- renti indotte e dall’assorbimento di energia, e da correnti di contatto. Mentre il capo IV non ri- guarda la protezione da eventuali effetti a lungo termine e i rischi risultanti dal contatto con i conduttori in tensione.

In particolare (articolo 211 del Decreto) la sorveglianza sanitaria viene effettuata periodica- mente, di norma una volta l’anno o con periodicità inferiore decisa dal medico competente con particolare riguardo ai lavoratori particolarmente sensibili al rischio di cui all’articolo 183, tenu- to conto dei risultati della valutazione dei rischi trasmessi dal datore di lavoro. Inoltre fermo restando il rispetto di quanto stabilito dall’articolo 182, sono tempestivamente sottoposti a controllo medico i lavoratori per i quali è stata rilevata un’esposizione superiore ai valori di azione di cui all’articolo 208, comma 2, a meno che la valutazione effettuata a norma dell’arti - colo 209, comma 2, dimostri che i valori limite di esposizione non sono superati e che possono essere esclusi rischi relativi alla sicurezza.

Il documento riporta poi alcuni approfondimenti sul tema tratti dalle “Indicazioni operative”, del Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro, relative al Ti- tolo VIII, capo I, II, III, IV e V del D.Lgs.81/08 in merito alla prevenzione e protezione dai ri - schi dovuti all’esposizione ad agenti fisici.

Ad esempio si risponde alla domanda: quali sono gli effetti sulla salute e sulla sicurezza che si vogliono prevenire con le misure previste dal Titolo VIII?

Tali misure sono specificamente mirate alla protezione dagli effetti certi che hanno una ricadu- ta in termini sanitari. Si tratta cioè degli effetti conosciuti di tipo deterministico, di cui cioè esi - ste, ed è stata definita, una soglia di insorgenza, e la cui gravità può variare in funzione dell’in- tensità dell’esposizione (articolo 206 comma 1 del DLgs.81/08).

In particolare le correnti indotte citate nel testo sono essenzialmente dovute ai CEM a bassa frequenza (fino a 10 MHz), e possono indurre vari effetti avversi principalmente a carico del si-

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stema cardiovascolare (aritmie, fibrillazione, asistolia, ecc.) e nervoso (contrazione neuromu- scolare, induzione di lampi luminosi nel campo visivo noti come magnetofosfeni o altri).

L’assorbimento di energia è connesso ai CEM a frequenze oltre i 100 kHz e può causare un ri- scaldamento localizzato di organi e tessuti o uno stress termico generalizzato; gli effetti avver- si più rilevanti sono le ustioni, il colpo di calore, la cataratta e la sterilità maschile temporanea.

Invece, le correnti di contatto considerate dalla legge sono quelle che fluiscono al contatto di un individuo con oggetti metallici posti nel campo elettromagnetico e che, in funzione dell’in- tensità, possono indurre effetti quali percezioni dolorose, contrazioni muscolari, ustioni. Da no- tare che la maggior parte degli effetti avversi considerati nel D.Lgs.81/08 compaiono immedia- tamente (ad esempio aritmie, contrazioni muscolari, ustioni), ma alcuni, come la cataratta o la sterilità maschile, essendo la conseguenza di un meccanismo cumulativo, possono manifestarsi a distanza di tempo.

Inoltre la normativa è volta anche alla protezione da alcune tipologie di effetti indiretti, quali l’interferenza elettromagnetica con attrezzature e dispositivi medici elettronici (compresi stimo- latori cardiaci e altri dispositivi impiantati), l’effetto propulsivo di oggetti ferromagnetici all’in- terno di intensi campi magnetici statici, l’innesco di elettrodetonatori e il rischio incendio per scintille provocate dalla presenza dei CEM nell’ambiente (articolo 209, comma 4, lettera d) del Decreto).

Dopo aver riportato anche il parere del Consiglio superiore di sanità sui rischi potenziali di uno smodato uso di telefoni cellulari (parere relativo alla seduta del 15 novembre 2011), il docu- mento si sofferma in modo particolare sulla valutazione del rischio per portatori di protesi ed altri dispositivi medici impiantati.

Infatti i lavoratori portatori di dispositivi medici o protesi impiantate devono essere considerati lavoratori particolarmente sensibili al rischio, secondo la definizione dell’articolo 183 del D.Lgs.81/08. La valutazione del rischio per tali soggetti sarà quindi del tutto peculiare e pre- scinderà dal mero rispetto dei valori di azione e limiti di esposizione, avvalendosi peraltro della collaborazione del medico competente. I livelli d’azione prescritti dall’Allegato XXXVI del D.Lgs.81/08 sono stati infatti fissati al fine di prevenire gli effetti noti dell’esposizione su sog- getti sani.

Infatti l’esposizione a campi elettromagnetici di entità inferiore anche ai livelli di riferimento per il pubblico di cui alla Raccomandazione europea 1999/519/CE può comportare problemi per persone portatrici di stimolatori cardiaci, impianti ferromagnetici e dispositivi medicali impian- tati.

Si ricorda che la maggior parte degli stimolatori cardiaci può presentare disturbi e malfunziona- menti per campi magnetici statici superiori a 0,5 mTesla (il flusso di induzione magnetica si può esprimere in Tesla e nei suoi sottomultipli, come il microtesla µT e il millitesla mT).

Vi sono inoltre anche altri sistemi elettronici di uso crescente, come protesi auricolari elettroni- che, pompe per insulina, ecc. che possono risultare suscettibili ad induzioni magnetiche di po- chi mTesla. A partire da campi statici dell’ordine di 3-5 mT possono inoltre essere indotti spo- stamenti e torsioni di schegge interne al corpo umano o impianti ferromagnetici, con conse- guente grave rischio per la salute e l’incolumità del soggetto esposto. Per quel che riguarda i campi a frequenza di rete (50 Hz), l’ACGIH raccomanda che i soggetti portatori di dispositivi attivi non siano esposti a livelli superiori a 1 kV/m per il campo elettrico, e 100 T per il campo magnetico.

Concludiamo riportando i soggetti e le situazioni fisiologiche e patologiche che possono com- portare condizioni di maggiore suscettibilità ai CEM.

Rientrano in tale categoria i soggetti portatori di:

 schegge o frammenti metallici;

 clips su aneurismi (vasi sanguigni), aorta, cervello;

 valvole cardiache;

 stents;

 defibrillatori impiantati;

 pompe di infusione di insulina o altri farmaci;

 pace maker cardiaci;

 corpi metallici nel condotto uditivo o impianti per udito;

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 neurostimolatori o elettrodi impiantati nel cervello o subdurali;

 protesi metalliche per pregresse fratture o interventi correttivi articolari;

 chiodi e viti impiantati;

 espansori mammari.

Risultano inoltre a rischio da esposizione a CEM i soggetti con:

 stato di gravidanza;

 patologie del sistema nervoso centrale (con particolare riferimento all’epilessia);

 patologie del sistema cardiovascolare (in particolare soggetti che hanno subito di recente infarto del miocardio).

Il documento della ASL n.6 di Vicenza, “CEM: effetti sulla salute e sorveglianza sanitaria”, a cura del dottor Pierantonio Zanon dello SPISAL è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_ULSS_Vi_Campi_Elettromagnetici_

effetti_sulla_salute_sorveglianza_sanitaria.pdf

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IL PRIMO SOCCORSO NEI LUOGHI DI LAVORO: LA CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA Da: PuntoSicuro

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06 marzo 2014

Informazioni sul primo soccorso sanitario nei luoghi di lavoro con particolare riferimento alla normativa vigente. La differenza tra urgenze e emergenze, la catena della sopravvivenza e il concetto di golden hour. Focus sulle crisi epilettiche.

Un intervento corretto e tempestivo in un’emergenza sanitaria (una situazione improvvisa e imprevista che mette in pericolo la sopravvivenza di una o più persone immediatamente o a brevissima distanza di tempo dall’inizio del malessere o del trauma) è molto importante anche negli ambienti di lavoro.

Per favorire una idonea informazione e formazione l’Azienda USL 3 di Pistoia ha pubblicato sul proprio sito il documento “Corso Primo Soccorso Sanitario nei luoghi di lavoro” con riferimento al Decreto Ministeriale n.388 del 15 luglio 2003 che ha introdotto una particolare classificazio- ne aziendale per quanto attiene le modalità di organizzazione del pronto soccorso, individuan- do le tipologie di formazione degli addetti al pronto soccorso e specificando le attrezzature mi- nime di equipaggiamento e di protezione individuale che il datore di lavoro deve mettere a di- sposizione degli addetti.

Si sottolinea inoltre anche che, ai sensi del D.Lgs.81/08 il datore di lavoro deve prendere i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessa- ri rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati.

Riguardo alle differenze tra emergenza e urgenza si indica che fra le più importanti emergenze sanitarie si possono annoverare: l’arresto cardiocircolatorio, le alterazioni emodinamiche, gli stati asfittici, le situazioni d’instabilità respiratoria, il politrauma. E come emergenze sanitarie si riconoscono anche quelle situazioni come l’amputazione di un arto, le lesioni facciali o le le- sioni midollari basse, che ledono pesantemente l’integrità psicofisica del paziente.

Per urgenza sanitaria, invece, s’intende una situazione che di per sè non pone in pericolo im- mediato la vita del paziente ma che crea sofferenza: anch’essa deve essere affrontata, control- lata e risolta, possibilmente, in breve tempo.

Nella realtà, continua la pubblicazione, questa distinzione fra emergenza ed urgenza non è sempre così netta e, di fatto, esistono situazioni di urgenza/emergenza e di emergenza/urgen- za. Le prime sono rappresentate da situazioni poco gestibili dalla vittima e dai presenti per le quali gli operatori sanitari, costretti dall’instabilità emotiva delle persone coinvolte sia diretta- mente che indirettamente, devono intervenire in emergenza. Le seconde sono, invece, reali si- tuazioni di pericolo imminente i cui segni e sintomi non sono allarmanti e risultano sottostimati dal paziente nella fase iniziale, ma che evolvono, poi, in situazioni letali o potenzialmente lesi- ve.

Dopo aver affrontato il tema dei corsi di pronto soccorso, conformi ai contenuti del D.M.388/03, della designazione degli incaricati al pronto soccorso e del sistema di soccorso, il documento si sofferma sulla catena della sopravvivenza e sul concetto di Golden Hour.

La morte inattesa è un evento drammatico che si può e si deve non solo prevenire, limitando i fattori di rischio cardiovascolare e traumatico, ma anche combattere, impedendo che un arre- sto cardiorespiratorio improvviso duri così a lungo da causare la morte dell’individuo. Ciò è realizzabile se si attiva tempestivamente una sequenza d’interventi critici cui partecipano, coordinandosi, cittadini e operatori sanitari, per formare quella che viene chiamata “catena del- la sopravvivenza”.

Tale catena consiste in quella serie continua di procedure da mettere in pratica per il pieno successo della rianimazione di pazienti definiti critici a causa d’eventi lesivi che avvengono al di fuori dell’ospedale.

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I suoi anelli sono rappresentati da:

 allarme immediato (chiamata al numero gratuito nazionale 118 per l’Italia);

 precoce rianimazione cardiopolmonare (BLS);

 Defibrillazione Precoce;

 manovre di supporto vitale avanzato (ALS).

Questa visione del problema rivaluta notevolmente la figura del primo soccorritore: infatti, molte delle situazioni che possono mettere in pericolo la vita del paziente si realizzano al di fuori delle strutture ospedaliere, conseguentemente il primo soccorso è portato generalmente da personale non medico (soccorritore occasionale) che si trova costretto ad affrontare una si- tuazione d’emergenza, in alcuni casi, senza gli strumenti adatti. Il concetto di catena della so- pravvivenza si applica a tutte le situazioni di emergenza, comprese quelle traumatologiche, in cui l’importanza del fattore tempo è sottolineata dal concetto di golden hour vale a dire quell’o- ra d’oro entro la quale devono svolgersi le azioni di valutazione e trattamento iniziale sul cam- po, trasporto rapido e assistito alla struttura ospedaliera idonea, per il completamento della fase diagnostica e l’instaurazione delle terapie mirate.

Concludiamo questa breve presentazione soffermandoci su quanto riportato dall’ASL a proposi- to delle crisi epilettiche

La crisi epilettica si può manifestare attraverso la convulsione del corpo. La manifestazione di queste crisi convulsive si rivela sempre molto violenta ed inaspettata, la vittima di queste crisi crolla nella maggior parte dei casi al suolo, contorcendosi ripetutamente come in preda ad una forte scarica elettrica. Si ha in quell’istante una contrattura generale dei muscoli con relativo rilascio, e può avvenire in molti casi una manifestazione di rigurgito o anche vomito. Si noterà la presenza di saliva e muco attorno alla bocca della vittima, questa è la conseguenza delle ri- petute contrazione anche a livello gastrointestinale che spingono le sostanze presenti all’inter- no dell’apparato digerente verso la bocca che si rivela l’unica uscita. Si ha una rotazione degli occhi all’indietro da parte della vittima, che può rimanere addirittura cosciente durante tutta la crisi.

Una crisi epilettica può anche essere distinta in crisi di piccolo male e crisi di grande male. Nel- la prima situazione si ha una grande varietà di sintomi: il più tipico è l’assenza, breve perdita di coscienza della durata di pochi secondi, di cui il paziente non conserva alcun ricordo, non se- guita da caduta a terra ed è difficilmente avvertibile persino da chi risiede vicino alla vittima colpita da epilessia di piccolo male.

Il documento segnala anche cosa è possibile fare:

 non cercare di impedire la crisi, ma evitare che il soggetto nella caduta possa procurarsi le- sioni traumatiche;

 controllare la durata;

 controllare polso e respiro, assicurandosi che le vie aeree siano libere;

 evitare, se possibile, il morso della lingua;

 slacciare cravatte o cinture;

 non abbandonare il soggetto da solo.

Il documento “Corso Primo Soccorso Sanitario nei luoghi di lavoro” a cura della Centrale Ope- rativa 118 dell’ASL 3 di Pistoia, edizione giugno 2008 è scaricabile all’indirizzo:

http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/131220_USL_3_Primo_Soccorso_sul_Lavo- ro.pdf

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IMPARARE DAGLI ERRORI: SPAZI CONFINATI, RISCHIO CHIMICO E AZOTO Da: PuntoSicuro

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06 marzo 2014 di Tiziano Menduto

Alcuni casi di incidenti avvenuti in ambienti confinati e correlati all’impiego dell’azoto. Il rischio chimico negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, la prevenzione, le caratteristiche dell’azoto e il suo impiego nei luoghi di lavoro.

La rubrica “Imparare dagli errori” si è soffermata più volte sugli incidenti e sulla prevenzione in relazione alle attività nei luoghi di lavoro confinati.

Tuttavia non l’abbiamo mai fatto focalizzando i problemi del rischio chimico a partire dalle so- stanze inquinanti, dagli agenti chimici pericolosi che in questi spazi confinati possono essere un pericolo anche letale per i lavoratori.

Spesso l’analisi delle cause e delle dinamiche degli incidenti in questi ambienti non solo eviden- zia una carenza di misure di prevenzione, di procedure di lavoro e di gestione delle emergenze.

Denota anche una mancanza di formazione e una scarsa consapevolezza del rischio e dei peri- coli degli agenti chimici con cui si può entrare in contatto.

Per favorire questa consapevolezza ci occupiamo del rischio chimico negli ambienti confinati con l’ausilio dei documenti messi a disposizione dall’ASL 5 dell’Ovest vicentino in relazione a una campagna di promozione e controllo sulle misure messe in atto dai Datori di Lavoro a se- guito dell’entrata in vigore del D.P.R.177/11 relativo alla Prevenzione degli Infortuni negli Am- bienti Confinati.

In particolare lo facciamo con l’aiuto del documento “La valutazione e la prevenzione del ri- schio chimico negli ambienti confinati: un caso storico di rischio chimico per la sicurezza” a cura di Lucio Ros (SPISAL ASL 9), Alberto Brocco (SPISAL ASL21), Celestino Piz (SPISAL ASL 6) e Franco Zanin (SPISAL ASL 6).

Il documento, che elenca per ogni sostanza o situazione di rischio chimico una casistica esem- plificativa di incidenti, indica che i rischi nella maggior parte dei casi sono determinati dalla presenza di un’atmosfera asfissiante, cioè incompatibile con la vita umana, che può agire con modalità diverse incidendo sull’assunzione (anossia anossica), sul trasporto (anossia anemica), sull’utilizzazione a livello cellulare (anossia istotossica) dell’ossigeno.

E in particolare l’atmosfera asfissiante si può avere per:

 carenza di ossigeno a seguito del suo consumo o sostituzione;

 inalazione/assorbimento di sostanze tossiche con conseguente intossicazione acuta.

In questa puntata di “Imparare dagli errori” ci occupiamo in modo particolare dei problemi re- lativi all’impiego dell’azoto.

GLI INCIDENTI

Nel primo caso un addetto di cantina introduce la testa nello sportello posto inferiormente ad un’autoclave vuota che aveva contenuto vino protetto da azoto. Rimane svenuto con il capo al- l’interno dell’autoclave. Tempestivamente soccorso (con respirazione bocca a bocca) riporta ef- fetti reversibili.

Nel secondo caso in un’azienda farmaceutica, nel corso del collaudo di un nuovo serbatoio mi- scelatore viene immesso azoto gassoso, anziché aria, a causa di un errore di etichettatura del- la pipe-line. In un successivo intervento all’interno del serbatoio due addetti rimangono vittime della carenza di ossigeno. Uno dei due era entrato per soccorrere l’altro.

Nel terzo caso durante il collaudo con azoto di una tubazione in pressione, posta all’interno di

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un cunicolo, l’addetto entra per verificare la presenza di una perdita udibile, ma muore a causa dell’atmosfera sotto-ossigenata.

Il quarto caso è relativo all’ingresso di un lavoratore in una cisterna utilizzata per il trasporto di prepolimeri in granuli in atmosfera satura di azoto presente come antiossidante. L’evento è mortale.

Nel quinto caso un operaio, entrato all’interno di un serbatoio che era stato lavato con azoto, sviene per la carenza di ossigeno. Due compagni che lo soccorrono senza Apparecchio di Prote- zione delle Vie Respiratorie muoiono nell’inutile tentativo di salvarlo.

Il sesto caso riguarda due lavoratori che per consumare il pasto al riparo dal freddo si introdu- cono in un box per la conservazione delle mele in atmosfera modificata con azoto. Muoiono en- trambi per asfissia.

Infine un settimo caso: in una cantina, svuotata un’autoclave con flusso d’azoto, dopo aver la- sciato passare un certo tempo ritenuto sufficiente per l’allontanamento dell’azoto residuo, un lavoratore si introduce attraverso l’apertura, posta a circa 1,5 metri da terra, per un’operazio- ne di controllo/manutenzione. Dopo qualche istante, si adagia privo di sensi sul fondo dell’au- toclave. Un collega si introduce per soccorrerlo ma rinuncia immediatamente sentendo difficol- tà di respiro. Un terzo lavoratore entra, riesce a tirare fuori il collega, ma subito dopo sviene all’interno dell’autoclave. Altri soccorritori non riescono ad estrarlo. Si decide quindi di immet- tere aria compressa vicino al volto dell’infortunato. Quando arriva il soccorso medico viene ap- plicata la maschera a ossigeno al lavoratore. Successivamente con l’intervento dei Vigili del Fuoco la persona viene estratta dall’autoclave. I tre infortunati subiscono danni reversibili.

LA SOSTANZA

L’azoto (N2) è un gas incolore, inodore, non infiammabile, non reattivo, non tossico. E’ di gran lunga il gas che provoca più infortuni per asfissia, non essendo né percepito il pericolo né av- vertita la presenza. La maggior parte dei casi di incidente riportati da EIGA-Assogastecnici ri- guardano questo gas (14 su 22 casi totali).

In particolare l’azoto, contenuto nell’atmosfera al 78%, è pesante all’incirca come l’aria e di conseguenza non tende né a stratificarsi verso il basso né a sfuggire verso l’alto; se è freddo rispetto all’atmosfera ovviamente si accumula in basso.

Inoltre un litro di azoto liquido, in condizioni normali di temperatura e pressione, sviluppa 680 litri di gas. Questo comporta che in un ambiente di 10 metri cubi la concentrazione di ossigeno si riduce al 15%.

L’azoto viene utilizzato come liquido criogenico nell’industria alimentare, chimica, metallurgica.

E’ usato come gas inerte per equilibrare la pressione di altri gas sciolti in liquidi contenuti in autoclave, come gas inerte di copertura di liquidi per impedirne l’ossidazione atmosferica, come conservante nel confezionamento di alimenti per evitare l’ossidazione. Utilizzato anche come gas di lavaggio di reattori, silos, autoclavi per vino.

Di azoto parla anche il “Manuale illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi dell’articolo 3 comma 3 del D.P.R.177/11” nell’allegato 6 Sostanze tossiche e asfissianti e incidenti tipo. Allegato che ricorda come, tra gli effetti del gas, ci siano anche stato d’incoscienza, debolezza e senso di soffocamento.

LA PREVENZIONE

Per la prevenzione rimandiamo innanzitutto ai molti articoli di PuntoSicuro e in particolare alle diverse puntate di “Imparare dagli errori” dedicate ai rischi chimici negli spazi confinati.

Concludiamo tuttavia questa prima puntata con un breve approfondimento del rischio di asfis- sia e di avvelenamento in riferimento a quanto contenuto nel documento dell’ASL di Bergamo

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dal titolo “Istruzioni operative per lavori in ambienti confinati”.

Il rischio di asfissia (ovvero mancanza di ossigeno) si può avere a causa di:

 permanenza prolungata e/o sovraffollamento, con scarso ricambio di aria;

 reazioni chimiche di ossidoriduzione di sostanze (ad esempio, combustione con rilascio di anidride carbonica, di ammoniaca, di acido cianidrico, di acido solfidrico).

Mentre il rischio di avvelenamento per inalazione o per contatto epidermico può dipendere ad esempio da:

 gas, fumi o vapori velenosi normalmente presenti (ad esempio, residui in recipienti di stoc- caggio o trasporto di gas);

 gas, fumi o vapori velenosi che possono penetrare da ambienti circostanti (ad esempio, ri- lascio di monossido di carbonio), in relazione all’evaporazione di liquidi o sublimazione;

 solidi normalmente presenti (ad esempio, serbatoi e recipienti);

 gas, fumi o vapori velenosi che possono improvvisamente riempire gli spazi, o rilasciarvi gas, quando agitati o spostati (ad esempio: acido solforico, acido muriatico, zolfo solido).

Il link relativo allo spazio web della ASL 5 con i materiali per la prevenzione negli ambienti con- finati è:

http://www.ulss5.it/contenuti_speciali/contspec_spisal/-categoria16/pagina137.html

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NOMINA, COMPITI E RESPONSABILITA’ DEL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI PRE- VENZIONE E PROTEZIONE NELLA SCUOLA

Da: PuntoSicuro

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07 marzo 2014

Il ruolo del Servizio di Prevenzione e Protezione con riferimento a quanto contenuto nella nuo- va edizione di un manuale Inail in tema di sicurezza e salute nel mondo della scuola. RSSP in - terni e esterni.

Sul nostro giornale si sono incrociati qualche settimana fa sia il lancio del convegno torinese

“Ruolo del RSPP tra responsabilità e sicurezza”, che rifletteva sul ruolo del RSPP dopo la sen- tenza della Corte di Appello in relazione al crollo del controsoffitto del Liceo Darwin di Rivoli, sia la presentazione di un nuovo documento dell’Inail sulla scuola.

Si trattava, in questo secondo caso, dell’edizione 2013 del manuale dal titolo “Gestione del si- stema sicurezza e cultura della prevenzione nella scuola”; un manuale per affrontare le temati- che concernenti le disposizioni legislative in materia di sicurezza e salute nel mondo della scuo- la.

In questo intreccio di notizie e eventi, viene spontaneo tornare sul manuale soffermandoci molto brevemente sulle indicazioni contenute in merito alle funzioni e al ruolo del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP).

Se i compiti del SPP sono stabiliti in via prioritaria dall’articolo 33 del D.Lgs.81/08, il dirigente scolastico ha facoltà di meglio puntualizzare tali compiti anno per anno, tenendo conto delle specificità dell’istituzione scolastica che dirige, di particolari problematiche, anche contingenti, e della politica della sicurezza che intende perseguire.

Dopo aver accennato all’articolo 11 del Testo Unico, relativamente all’introduzione nella scuola di percorsi formativi interdisciplinari, ci si sofferma sull’obbligo in capo al dirigente scolastico di nominare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) dell’istituzione scola- stica.

L’incarico, come indica il comma 8 dell’articolo 32 del Decreto, va affidato prioritariamente a personale interno all’istituto, ovvero, in subordine, interno ad un’altra istituzione scolastica, e, in entrambi i casi, che si dichiari disponibile in tal senso. Solo in via sussidiaria (comma 9), cioè nell’impossibilità di ottemperare alla norma secondo una delle due precedenti modalità, il dirigente scolastico può ricorrere a personale esterno all’Amministrazione scolastica, avvalen- dosi, assieme a un gruppo di altri istituti, dell’opera di un unico esperto, individuato all’interno degli Enti proprietari degli edifici scolastici o, in via subordinata, all’interno di Enti locali o isti- tuti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro (INAIL, Università, ecc.) oppure di un libero professionista. Alla stipula della convenzione potranno provvedere anche le autorità scolastiche territoriali.

Sul manuale è sintetizzata la gerarchia delle opzioni per l’individuazione del RSPP e si riportano indicazioni relative alle procedure che il dirigente scolastico deve seguire al fine di acquisire le disponibilità dei potenziali RSPP e di rendere trasparente l’intero procedimento.

Il documento continua segnalando che qualora l’RSPP sia un esperto esterno (dell’Ente locale, di enti specializzati in materia di salute e sicurezza o libero professionista), l’articolo 32 , com- ma 10 del D.Lgs.81/08 sottolinea l’obbligo in capo al dirigente scolastico di organizzare inter- namente alla propria scuola un vero e proprio Servizio, composto da un adeguato numero di Addetti (ASPP), lasciandogli tuttavia la massima libertà rispetto all’entità di tale numero e ai criteri di individuazione delle persone.

Secondo il documento dunque la “ratio” delle disposizioni contenute nell’articolo 32 è evidente:

è necessario considerare che, in materia di sicurezza, la scuola si trova in una posizione delica- ta, proprio in relazione al tipo d’utenza che la frequenta; rispetto a situazioni lavorative in cui vi siano esclusivamente persone adulte, gestire la prevenzione e la sicurezza in un luogo con

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predominanza di minori richiede particolari sensibilità, in grado di percepire con maggior cogni- zione di causa l’eventuale pericolosità delle situazioni e dei comportamenti.

In ogni caso appare utile e funzionale organizzare un Servizio composto da più persone. Il nu- mero di Addetti SPP va individuato in relazione alle dimensioni e alla complessità dell’istituto.

Due situazioni emblematiche riportate sono gli istituti secondari di secondo grado a indirizzo tecnico o professionale particolarmente complessi e articolati nell’offerta di indirizzi e le grosse istituzioni scolastiche suddivise in parecchi plessi, soprattutto se distanti tra loro.

In coerenza con la normativa e con quanto affermato, nel primo caso il dirigente scolastico co- stituisce il Servizio sulla base di un principio di diversificazione e complementarietà delle com- petenze necessarie e nel secondo caso assicura la presenza di una persona formata in ogni plesso del proprio istituto.

Si fa poi riferimento all’esperienza diffusa e alle buone pratiche messe in atto in moltissime scuole, anche del primo ciclo. Esperienze che sono assolutamente in sintonia con il dettato nor- mativo sull’organizzazione del SPP scolastico. In sostanza, la nomina di un RSPP interno, diver- so dal dirigente scolastico, deve essere intesa come la soluzione comunque preferibile.

In questo caso il dirigente avrà cura di verificare quali opportunità vi siano nell’istituto per in- quadrare funzionalmente il Responsabile interno con modalità che gli garantiscano risorse de- dicate in termini di tempo a disposizione e/o di compenso, da definire valutando la possibilità di procedere in accordo con gli organismi dell’istituto e le rappresentanze dei lavoratori, in re- lazione alle dimensioni e alla complessità dell’istituzione scolastica.

Dopo aver dato informazioni sulla distinzione concettuale tra nomina e incarico di ASPP e RSPP e sui vari requisiti informativi, il manuale si sofferma sulle responsabilità del RSPP.

Si precisa che il Responsabile del SPP non è assoggettato a responsabilità penale in relazione all’assolvimento dei suoi compiti di consulente del datore di lavoro, anche se diverso è il caso in cui nell’esercizio della sua attività il RSPP cagioni un infortunio o una malattia professionale.

Tuttavia il problema della sua eventuale responsabilità in caso di infortunio sul lavoro sarà va- lutato dalla magistratura sulla base di un’attenta analisi del processo che ha portato al verifi- carsi dell’infortunio. In generale, dove il Responsabile avesse, per colpa professionale, mancato di individuare un pericolo, e di conseguenza le necessarie misure preventive, non fornendo al dirigente scolastico l’informazione necessaria per attuare le stesse, potrebbe essere chiamato a rispondere, ovviamente in concorso con il dirigente stesso, dell’evento.

E ove invece il Responsabile avesse correttamente individuato il problema e indicate le soluzio- ni, ma il dirigente scolastico, o altra figura interna preposta all’applicazione delle direttive sulla sicurezza, non avesse dato seguito alle sue indicazioni, dovrebbe essere sollevato da qualsiasi responsabilità nel merito dell’evento. Sarà naturalmente l’autorità giudiziaria a pronunciarsi sui singoli casi.

Il documento di Inail, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, “Gestione del si- stema sicurezza e cultura della prevenzione nella scuola”, edizione 2013 è scaricabile all’indi- rizzo:

http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_112670.

pdf

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