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Imposizione diretta e doganale: tavolo congiunto Dogane-Entrate

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9 Novembre 2015

Agenzia delle Entrate

Imposizione diretta e doganale: tavolo congiunto Dogane-Entrate

L’Agenzia delle Entrate pubblica oggi, 9 novembre 2015, il comunicato relativo al tavolo congiunto Dogane-Entrate sull’imposizione diretta e doganale.

È stato pubblicato in data odierna dall’Agenzia delle Entrate il comunicato stampa relativo al tavolo congiunto Dogane-Entrate che contribuisce ad intensificare la collaborazione sull’imposizione diretta e doganale.

Lo scopo principale del tavolo congiunto è quello, appunto, di incrementare la collaborazione e condividere l’esperienza maturata in materia di imposizione diretta e doganale con riferimento al tema del transfer pricing.

Negli ultimi anni, infatti, in seguito al continuo mutare del contesto normativo, la tematica dei prezzi di trasferimento è stata oggetto di numerosi dibattiti, anche a livello internazionale, i quali hanno evidenziato la necessità di trovare punti di convergenza tecnica tra la normativa fiscale e quella doganale (la prima avente come riferimento il prezzo di libera concorrenza, la seconda il cosiddetto valore di transazione tra compratore e venditore legati) ed è questo infatti l’obiettivo prefissato dal gruppo di lavoro tra l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e l’Agenzia delle Entrate.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Agenzia delle Entrate, comunicato stampa 09/11/2015

Tramite mod. F24

Autoliquidazione premi INAIL: ultima rata entro il 16 novembre

In scadenza l’ultima rata del premio INAIL da autoliquidazione per il 2015. Il pagamento deve essere effettuato tramite il mod. F24 utilizzando il numero di riferimento 902015. Il pagamento tardivo comporta l’applicazione delle sanzioni civili, calcolate dal 16 novembre alla data di pagamento. La rata di novembre è maggiorata di interessi pari, per l’anno 2015, al 1,35%.

Il 16 novembre scade l’ultima rata del premio INAIL da autoliquidazione.

Il premio, scaturito dal calcolo dell’autoliquidazione, può essere pagato in 4 rate a scadenza fissa.

Nel caso di autoliquidazione con scadenza giugno, le rate sono 3, la prima delle quali pari al 50% dell’importo dovuto.

Le rate successiva alla prima sono maggiorate di interessi, la misura dei quali, per l’anno 2015, è pari al 1,35%.

Il prossimo 16 novembre scade il termine per il pagamento dell’ultima rata che deve essere effettuato tramite il mod. F24 utilizzando il numero di riferimento 902015.

Il pagamento oltre il termine comporta l’applicazione delle sanzioni civili, calcolate dal 16.11 alla data di pagamento, che verranno chieste dall’INAIL con provvedimento e scadenza propria.

Da ultimo di evidenzia che, in carenza anche di uno dei precedenti pagamenti, l’importo versato andrà a copertura delle rate non pagate e con il conseguente calcolo delle sanzioni civili.

Nota bene:

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- Il mancato o tardato pagamento delle rate non comporta alcuna decadenza e non impedisce la fruizione di tale modalità per gli anni successivi

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata

Agenzia delle Entrate

Consolidato fiscale: nuovo modello di designazione per le società estere senza stabile

Novità in vista per i soggetti aderenti al regime del Consolidato fiscale. Con provvedimento del 6 novembre 2015, l’Agenzia delle Entrate ha infatti reso disponibile la modulistica aggiornata per consentire l’opzione per il regime di tassazione di gruppo anche alle società estere prive di una stabile organizzazione in Italia, purché residenti in Stati appartenenti all’Unione europea o con è in vigore un accordo sullo scambio di informazioni. Il provvedimento dà attuazione alle novità introdotte dal D.Lgs. 147/2015.

Con provvedimento del 6 novembre 2015 l’Agenzia delle Entrate ha approvato la nuova modulistica per la designazione della controllata ai fini dell’esercizio dell’opzione per il consolidato fiscale.

Il provvedimento è stato adottato in attuazione dell’art. 6 del D.Lgs. 147/2015 (c.d. decreto internazionalizzazione), con il quale è stata estesa la possibilità di esercitare l’opzione per il regime di tassazione di gruppo anche ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), del TUIR, residenti in Stati appartenenti all’Unione europea ovvero aderenti

all’Accordo sullo Spazio economico europeo con cui l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, ancorché privi di una stabile organizzazione in Italia.

La modifica normativa interviene al fine di rendere compatibili le disposizioni in materia di accesso ai regimi di tassazione di gruppo con i principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria, consentendo alle società “sorelle”, sia residenti in Italia, sia stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di società residenti in Stati UE o SEE, di consolidare le proprie basi imponibili.

In questo modo le società controllanti non residenti, purché identificate nel territorio dello Stato, potranno presentare il modello di designazione. Con l’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo da parte della società designata, la società non residente assume le responsabilità previste dal TUIR per le società o enti controllanti. Il modello va trasmesso per via telematica all’Agenzia delle Entrate

Il provvedimento chiarisce che la controllante non residente può designare una sola controllata e che la designazione mantiene la propria validità anche nelle ipotesi di rinnovo dell’opzione per la tassazione di gruppo. La controllata designata però non può consolidare società da cui sia essa stessa controllata. Il Provvedimento chiarisce la nozione di controllo ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1) del c.c., in presenza dei requisiti indicati dall’articolo 120 del TUIR.

Nelle ipotesi di interruzione della tassazione di gruppo prima del compimento del triennio o di mancato rinnovo dell’opzione, qualora all’atto dell’opzione non venga espresso il criterio di attribuzione delle perdite fiscali, le stesse sono attribuite proporzionalmente alle controllate che le hanno prodotte.

Il provvedimento reca anche le disposizioni transitorie. In particolare, qualora la consolidante sia designata ad esercitare l’opzione ai sensi del comma 2-bis, per il consolidato preesistente non si producono gli effetti di cui all’articolo 124 del TUIR.

Nell’ipotesi in cui, invece, la consolidante del consolidato in vigenza di opzione opti in qualità di consolidata unitamente a una diversa società designata, il consolidato preesistente si interrompe. Tale disposizione opera anche a regime.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Agenzia delle Entrate, provvedimento 06/11/2015

Modello

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Tutela della privacy

Registrazione delle conversazioni sul lavoro: quali limiti per il datore di lavoro?

La registrazione delle conversazioni da parte del dipendente sul luogo di lavoro e all’insaputa della controparte ha assunto profili nuovi e inesplorati. Un esempio è rappresentato dal caso del “whistleblower” che, volendo accreditare le proprie rivelazioni, adotti la cautela di registrare i colloqui con i suoi interlocutori prima di riferirne ai superiori, all’organismo di vigilanza o all’autorità giudiziaria. Il Garante per la privacy, pronunciandosi sulla produzione in giudizio di registrazione di conversazioni telefoniche, ha collocato la registrazione tra le legittime forme di memorizzazione.

Stefano Maria Corso - Dottore di ricerca in Diritto dell'Impresa presso l'Università L. Bocconi di Milano

In un contesto lavorativo di forte contrapposizione tra datore di lavoro e prestatore d’opera le modalità difensive possono assumere forme di inusuale aggressività e far sorgere l’interrogativo circa la liceità della condotta: si pensi alla

produzione in giudizio di documenti sottratti all’azienda, in relazione alla quale si oscilla tra un giudizio di legittimità, basato sulla finalità difensiva, e un giudizio di rilevanza penale in quanto determinata dalla previa sottrazione di documenti il cui possesso si giustificava solo con ragioni lavorative e la cui appropriazione è avvenuta contro la volontà dell’avente diritto.

Un caso sempre più ricorrente è rappresentato dalla registrazione di una conversazione tra presenti avvenuta all’insaputa del soggetto non registrante.

La finalità – ove non sia estorsiva – appare probatoria, volendo il soggetto registrante togliere ogni dubbio sul fatto storico della intervenuta conversazione e sul suo esatto contenuto.

Ben potrebbe l’interlocutore registrante deporre in veste di testimone su data, contenuto e identità dell’altro soggetto conversante, ma non vi è dubbio che l’utilizzo processuale di una registrazione della conversazione (anche telefonica) appare in grado di superare ogni diversa “verità” altrui e di risultare altamente credibile e potenzialmente decisiva per le sorti della causa.

Va osservato, al riguardo, che non si può parlare di intercettazione (sicuramente illecita ove posta in essere da un privato anche per finalità difensive), perché non siamo in presenza di una captazione di una conversazione tra terze persone, ma della registrazione che un interlocutore fa della propria conversazione con altro soggetto.

Siamo fuori dell’area dirilevanza penale, che concerne la presa di cognizione di una comunicazione “tra altre persone o comunque a lui non dirette” (cfr. art. 617 c.p.), in quanto è pacifica la volontà dei conversanti di parlare tra loro, è pacifica la consapevolezza di ognuno che l’altro potrà riferire in ogni sede il contenuto della conversazione intervenuta, è pacifica la consapevolezza che l’unico modo per non rischiare la divulgazione è non prestarsi alla conversazione.

Quello della registrazione “all’insaputa” è un rischio che ogni interlocutore sa di correre, anche se conta sul fair play altrui.

Esclusa la illiceità penale, va riconosciuta l’utilizzabilità processuale, perché non può assolutamente essere evocata la categoria delle prove contra legem.

Il profilo della legittimità di registrazione di conversazioni tra presenti è stato affrontato anche sotto il profilo della normativa sulla privacy.

Il Garante, pronunciandosi sulla produzione in giudizio di registrazione di conversazioni telefoniche, ha collocato laregistrazione tra le legittime forme di memorizzazione di un fatto storico eventualmente utilizzabile, in sede processuale, per il diritto di difesa e tra i trattamenti, effettuati da persone fisiche, di dati non destinati a una

comunicazione sistematica o alla diffusione e ciò indipendentemente dal fatto che manchi il consenso dell’interessato sia alla registrazione che all’utilizzo di questa e che sia assolutamente certo il suo dissenso (anche se non esplicitato).

L’irrilevanza penale o ai fini del codice della privacy non consente alcun automatismo ove la occulta registrazione tra presenti venga ad essere valutata ai fini lavoristici, disciplinari e non.

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Così come l’assoluzione anche nel merito del dipendente imputato non impedisce di per sé una autonoma valutazione della condotta del lavoratore, non vi è dubbio che l’illecito disciplinare possa essere ravvisato anche con riguardo a fatti penalmente e civilisticamente irrilevanti, fermo restando il particolare impegno probatorio richiesto al datore di lavoro, intenzionato a valorizzare come lesione del rapporto fiduciario l’occasionale (o, peggio, sistematica) registrazione di colloqui tra prestatore d’opera e colleghi e/o superiori gerarchici, nonché il controllo giudiziario sulla proporzione tra asserito illecito e sanzione ad esso ricollegata.

Il problema ha, di recente, assunto profili nuovi per lo più inesplorati: si pensi al whistleblower che, volendo accreditare le proprie rivelazioni, adotti la cautela di registrare i colloqui con i suoi interlocutori prima di riferirne ai superiori,

all’organismo di vigilanza o all’autorità giudiziaria.

Di certo vi è che la liceità della registrazione non può resistere ad un uso illecito della stessa: la volontà estorsiva (e cioè di un utilizzo per conseguire vantaggi non dovuti) non trova alcuna tutela né penale né nel codice della privacy né nell’ambito giuslavoristico di cui integra sicura violazione dell’art. 2105 c.c.

Copyright © - Riproduzione riservata

Agenzia delle Entrate

Voluntary disclosure: al Centro Operativo di Pescara le istanze presentate dal 10 novembre 2015

Al fine di consentire un’efficiente lavorazione delle istanze già pervenute alle Direzioni Provinciali competenti, le istanze di adesione alla voluntary disclosure che perverranno per la prima volta a partire dal 10 novembre 2015, usufruendo del differimento dei termini di attivazione della procedura di collaborazione volontaria disposto dall’art.

2 del D.L. 153/2015, saranno assegnate per la loro gestione ad una specifica articolazione dell'Agenzia delle entrate, individuata nel Centro operativo di Pescara.

Anticipando i tempi rispetto al completamento dell’iter di conversione del D.L. 153/2015 – il quale, si ricorda, ha disposto la proroga al 30 novembre 2015 del termine per l’invio delle istanze di adesione alla procedura di collaborazione volontaria e al 30 dicembre per la trasmissione dei documenti e della relazione di accompagnamento – l’Agenzia delle Entrate, con provvedimento del 6 novembre 2015, ha introdotto una deroga al principio di territorialità in forza del quale le domande di accesso alla collaborazione volontaria devono essere lavorate nell'Agenzia territoriale della residenza fiscale del soggetto.

La novità, si ricorda, è frutto di un emendamento al Ddl n. 2070 di conversione del D.L. n. 153 del 2015, approvato in Senato il 28 ottobre scorso.

Il provvedimento – al fine di consentire un’efficiente lavorazione delle istanze già pervenute alle Direzioni Provinciali competenti – dispone che le istanze che perverranno per la prima volta a partire dal 10 novembre 2015, usufruendo del differimento dei termini di attivazione della procedura, siano assegnate per la loro gestione ad una specifica articolazione delle Entrate, individuata nel Centro operativo di Pescara.

Il documento stesso precisa che un ulteriore provvedimento sarà emanato a seguito del completamento dell’iter di conversione in legge del D.L. 153/2015 per assegnare al medesimo Centro operativo le ulteriori attribuzioni per la gestione del complessivo procedimento e per gli ulteriori adempimenti connessi alla gestione delle istanze. Nell’ottica di agevolare il rapporto con i contribuenti, sarà inoltre prevista la possibilità, su istanza del contribuente, di effettuare eventuali fasi del procedimento in contradditorio presso altre sedi dell’Agenzia.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Agenzia delle Entrate, provvedimento 06/11/2015, n. 142716

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Catasto

Nelle visure anche i metri quadrati ai fini TARI

È stato pubblicato oggi, 9 novembre 2015, dall’Agenzia delle Entrate il comunicato inerente il debutto della superficie catastale (in metri quadri) nelle visure di abitazioni, negozi, uffici e altre unità immobiliari censite nelle categorie dei gruppi A, B e C.

L’Agenzia delle Entrate pubblica in data odierna un comunicato stampa nel quale rende noto che nelle visure delle unità immobiliari sono da oggi disponibili le superfici catastali degli immobili censiti nelle categorie dei Gruppi A, B e C.

Questa novità semplificherà sicuramente la vita ai proprietari di 57 milioni di immobili, mettendo a loro disposizione un dato finora visibile solo nelle applicazioni degli uffici.

Potrà essere individuata in visura anche la superficie ai fini TARI, al fine di consentire ai cittadini di verificare con facilità i dati utilizzati dai Comuni in fase di controllo della tassa rifiuti.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Agenzia delle Entrate, comunicato stampa 09/11/2015

Nuove tutele in arrivo

Legge di Stabilità 2016, lavoro autonomo e dipendente: verso la parificazione

Il DDL collegato alla Legge di Stabilità 2016 sul lavoro autonomo, che completa la manovra del Governo per il prossimo anno, si pone l’obiettivo di completare la riforma del Jobs Act. Il DDL collegato, infatti, ridisegna la disciplina del rapporto di lavoro “non dipendente” ampliando le tutele per i lavoratori autonomi. Si delinea, inoltre, un nuovo sistema in virtù del quale i futuri rapporti di lavoro autonomo diversi dalla libera professione degli iscritti agli Albi saranno una forma di lavoro con pari dignità e tutela rispetto alle altre, prioritariamente nelle ipotesi di malattia e maternità.

di Riccardo Pallotta - Esperto di Previdenza Professionale, Organizzazione e Funzionamento della Pubblica Amministrazione

Il Governo si appresta a completare il disegno normativo avviato con l’approvazione della Legge n. 183/14. Tale normativa, non a caso declinata al plurale (Jobs Act) sta prendendo forma, per quanto attiene al rapporto di lavoro subordinato “ordinario” ed al mercato del lavoro, attraverso i molteplici decreti attuativi già entrati in vigore e, ancor più, attraverso gli ulteriori regolamenti attuativi in corso di elaborazione.

Ma un suo ulteriore e rilevante tassello è rappresentato dal DDL, collegato alla Legge di Stabilità 2016, che detterà una sorta di “codice del lavoro autonomo”: codice che intende disciplinare quel “terzo tipo” di fattispecie lavorative diverse dal lavoro subordinato e dalla libera professione “tipica” degli iscritti agli Albi professionali.

Quella ampia fascia che va dal lavoro subordinato “agile” ai nuovi rapporti di lavoro autonomo “non ordinistici” di quelle migliaia di lavoratori che esercitano attività, prevalentemente nel terziario, in forma autonoma effettiva (e, quindi, non quali lavoratori subordinati “mascherati”.

Uno degli elementi caratterizzanti delle norme di questo DDL ancora in costruzione è il capitolo sulle tutele.

Tutele relative alle modalità di esercizio della prestazione lavorativa ma anche e – verrebbe da dire – soprattutto, relative alle gestione delle situazioni di “debolezza”, quali, tipicamente, la malattia e la maternità. Vediamo, di seguito, il disegno della futura normativa riguardo a tali ultimi aspetti.

La disciplina in questione è attualmente articolata in 4 articoli relativi ai lavoratori autonomi che – peraltro – si legano concettualmente alle norme, già illustrate nel precedente articolo sul lavoro “agile”, in materia di infortuni e sicurezza sul lavoro.

Indennità di maternità

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Nel dettaglio, si prevede, innanzitutto, la modifica della disciplina dell’indennità di maternità in favore delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici agricole, contenuta nell’art. 66 del TU di cui al D. Lgs. 151/2001. Al riguardo, prima di illustrare la proposta modificativa, va precisato che tale disposizione attiene, appunto, alle sole “lavoratrici autonome” alle quali la tutela in questione viene assicurata dall’INPS e, quindi, non riguarda le libere professioniste iscritte ad Albi, per le quali la tutela di maternità è già assicurata dalla rispettiva Cassa di previdenza professionale di appartenenza ai sensi dei successivi articoli del TU in questione.

L’indennità in questione è, oggi, corrisposta su base giornaliera per il periodo di gravidanza e per quello successivo al parto e, alla luce delle recenti modifiche apportate al testo dal D. Lgs. 80/15 attuativo del Jobs Act, spetta anche al padre lavoratore autonomo, per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre lavoratrice autonoma o per la parte residua, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. L’importo dell’indennità è calcolato, ai sensi del successivo art. 68 ed è sostanzialmente parametrato all’80% del pregresso salario di riferimento, differenziato per le diverse categorie di personale destinatario della tutela.

La proposta di riformulazione operata dal DDL in commento, intervenendo sull’art. 66 del TU, specifica che l’indennità

“viene erogata, indipendentemente dalla effettiva astensione dall’attività, dall'INPS a seguito di apposita domanda in carta libera, corredata da un certificato medico rilasciato dall'azienda sanitaria locale competente per territorio, attestante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto ovvero dell'interruzione della gravidanza spontanea o volontaria ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 194” (dal momento che, lo si rammenta, l’indennità viene corrisposta – in misura proporzionalmente ridotta - anche in caso di interruzione di gravidanza, con riferimento al minor periodo oggetto di tutela).

Congedi parentali

L’odierno articolo 69 del medesimo TU (D. Lgs. 151/01) dispone, oggi, in favore delle madri lavoratrici autonome (sempre nell’accezione che esclude le libere professioniste della cui tutela si occupa il successivo Titolo XII del TU), l’estensione del diritto al congedo parentale previsto per le lavoratrici (e i lavoratori padri titolari di rapporto di lavoro subordinato) dall'articolo 32, compresi il relativo trattamento economico e il trattamento previdenziale di cui all'articolo 35, ancorchè limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino. Il medesimo articolo dispone inoltre l’applicabilità di tali congedi anche nei confronti dei genitori adottivi o affidatari.

La modifica prevista dal DDL in commento estende la tutela, disponendo che “alle lavoratrici o ai lavoratori autonomi, identificati in base ai criteri previsti dall’art. 66 …, genitori di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2016, è esteso il diritto al congedo parentale …, limitatamente ad un periodo di 6 mesi entro i primi tre anni di vita del bambino”.

Tutele contrattuali in caso di gravidanza, malattia e infortunio

Come già accennato, una rilevante parte delle tutele (oggi assenti) per il lavoro autonomo sono quelle che attengono alla sorte dei rapporti di lavoro nei casi nei quali la lavoratrice entri in gravidanza e i lavoratori (uomini e donne) patiscano malattie o infortuni.

Attualmente, infatti, il datore di lavoro o, meglio, il committente, non è tenuto ad alcuna forma di garanzia in ordine al rapporto contrattuale che può essere, quindi, in tali casi cessato.

Il DDL in commento – nel testo oggi disponibile – ribalta completamente tale assunto disponendo espressamente che “La gravidanza, la malattia e l'infortunio dei lavoratori autonomi non comportano l’estinzione del rapporto contrattuale che rimane sospeso, senza erogazione né maturazione del corrispettivo.”

E, tuttavia, a fronte di tale disposizione di principio, dovendosi comunque contemperare il diritto del lavoratore con le esigenze del committente la norma proposta prosegue affermando che “Salva diversa previsione del contratto

individuale, in caso di malattia la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza.

Il committente può comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile. In caso di malattia di gravità tale da impedire lo svolgimento dell’attività professionale per una durata superiore ai 60 giorni, il versamento degli oneri previdenziali è sospeso per l’intera durata del periodo di malattia fino ad

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un massimo di due anni. A decorrere dall’ultimo giorno del mese successivo a quello di cessazione della malattia il lavoratore autonomo è tenuto ad effettuare il pagamento del debito previdenziale maturato durante il periodo di sospensione, in rate mensili nell’arco di un periodo pari a tre volte quello di sospensione.”

Questa disposizione, nella forma “neutralizza” la malattia/infortunio, ma non sembra poter avere oggettiva rilevanza pratica per le parti del rapporto e, peraltro, non pare tecnicamente ben formulata. Infatti:

1) indipendentemente dalla “sospensione formale” del contratto, il lavoratore non percepisce alcun compenso e il datore di lavoro – che comunque nella generalità dei casi versa il compenso solo in relazione a prestazioni effettuate - non risparmierebbe alcunchè e, comunque, in caso di necessità, dovrebbe avvalersi di altri lavoratori autonomi per ottenere il risultato atteso dal rapporto di lavoro sospeso;

2) quanto agli aspetti previdenziali ed alla sospensione dei versamenti contributivi con possibilità di successivo saldo rateale, la norma sembra “inutile” se è vero come è vero che i versamenti alla Gestione Separata INPS sono funzione dei redditi percepiti. Nel caso in esame, infatti, la sospensione del contratto e della percezione dei compensi comporta già in sè il venir meno – per il relativo periodo – dell’obbligo contributivo in quanto correlato a compensi in concreto non percepiti e, quindi, il mancato introito comporta l’assenza “sostanziale” del versamento e del suo obbligo, di tal che il versamento successivo di contributi slegati da un compenso non rappresenterebbe il recupero di un “sospeso” ma il vero e proprio versamenti di contributi volontari. Appare evidente, quindi, che tale norma dovrà essere ripensata.

Indennità di malattia per gli iscritti alla Gestione Separata INPS

Il DDL in commento prevede, al riguardo, l’estensione dell’ambito di applicazione dell’indennità di malattia per degenza ospedaliera prevista dal Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali disponendo che – ai fini della percezione di tale indennità “I periodi di malattia certificata come conseguente a trattamenti terapeutici delle malattie oncologiche sono equiparati alla degenza ospedaliera”.

Disposizioni in materia di salute e sicurezza del luogo di lavoro

Per concludere sulle tutele contrattuali il DDL dispone – con norma forse in parte pleonastica - che ai rapporti di lavoro autonomo diversi da quelli “ordinistici” svolti da iscritti agli Albi professionali ed oggetto della disciplina di cui al medesimo DDL, si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al D. Lgs. 81/05, “quando la prestazione

lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente” oltre che le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le norme in materia di assegni familiari e quelle in materia di indennità di malattia di cui al citato D.

M. 12 gennaio 2001.

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Istanza da inviare a Equitalia

Dilazione dei ruoli: domande di riammissione entro il 21 novembre

I contribuenti decaduti da un piano di rateazione con Equitalia nei due anni precedenti al 22 ottobre 2015 possono richiedere una nuova dilazione delle somme non versate, fino a un massimo di 72 rate mensili, presentando istanza al concessionario della riscossione entro il 21 novembre 2015. Il nuovo piano di rateazione non sarà ulteriormente prorogabile e decadrà con il mancato pagamento di due sole rate, anche non consecutive.

di Giovanni Petruzzellis - Dottore commercialista e pubblicista

L’art. 15, D.Lgs. 159/2015 di riforma della riscossione ha introdotto, nell’ambito delle disposizioni transitorie, una speciale forma di riammissione alla dilazione dei ruoli per i contribuenti decaduti da una precedente rateizzazione.

La norma dispone che le somme iscritte a ruolo non ancora versate, oggetto di piani di rateazione concessi dagli agenti della riscossione e decaduti nei 24 mesi antecedenti l’entrata in vigore del decreto (22 ottobre 2015) possono - su richiesta del contribuente, da presentarsi inderogabilmente entro il 21 novembre 2015 - essere nuovamente ripartite fino a un massimo di 72 rate mensili.

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La disposizione è applicabile nei confronti di tutti i contribuenti decaduti da un precedente piano di dilazione nei termini indicati, a prescindere dalla natura del soggetto (persona fisica, società ed enti) e dalla forma giuridica rivestita. Non sono, inoltre, previste specifiche limitazioni sul piano oggettivo.

Il nuovo piano dilatorio non potrà essere ulteriormente prorogato; inoltre, a differenza della disciplina ordinaria, è prevista la decadenza a seguito del mancato pagamento di due sole rate, anche non consecutive.

Con riferimento ai piani di rateazione in oggetto non operano, dunque, le nuove regole introdotte dal D.Lgs. 159/2015 (in vigore dal 21 ottobre scorso), sulla cui base la decadenza si verifica a seguito del mancato pagamento di cinque rate complessive.

L’accoglimento della domanda inibisce l’avvio di nuove azioni esecutive. L’agente della riscossione, pertanto, non potrà attivare né proseguire azioni di pignoramento o espropriazione forzata; al contrario, mantengono i loro effetti le eventuali misure cautelari già disposte in passato.

L’ottenimento di una nuova dilazione comporta, inoltre, la perdita della qualifica di debitore inadempiente, con conseguente possibilità di richiedere il rilascio del Documento unico di regolarità contributiva (DURC) e del certificato di regolarità fiscale necessari per partecipare alle gare di affidamento delle concessioni e degli appalti pubblici.

L’istanza da inviare a Equitalia

Il modulo per richiedere la riammissione alla dilazione è disponibile sul sito di Equitalia, nella sezione

“Modulistica-Rateizzazione”.

La domanda si compone di due pagine.

Nella prima è necessario riportare i dati anagrafici (nome o denominazione, codice fiscale, e-mail/PEC, etc.) e l’elezione di domicilio, specificando se la richiesta è presentata in proprio o in qualità di titolare o rappresentante legale della società/ente richiedente.

Il contribuente deve poi attestare l’intervenuta decadenza da un precedente piano di rateazione nel periodo ricompreso tra il 22 ottobre 2013 e il 21 ottobre 2015, elencando i singoli atti (cartelle di pagamento, avvisi di accertamento, avvisi di addebito emessi dall’INPS) in relazione ai quali si chiede il rilascio del nuovo piano dilatorio e il numero delle rate richieste. Tale dato, in particolare, è strettamente connesso alla precedente dilazione, essendo il nuovo piano

riconosciuto sulla base delle condizioni economiche rappresentate dal contribuente al momento della concessione della prima richiesta di rateazione. Si evidenzia, pertanto, che la richiesta non deve essere accompagnata da alcuna ulteriore documentazione comprovante la situazione di difficoltà economica, a prescindere dall’ammontare complessivo del debito.

La seconda pagina del modello contiene l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai sensi del D.Lgs. n.

196/2003 e lo spazio per l’eventuale delega.

L’istanza deve essere inviata a Equitalia entro il 21 novembre 2015, accompagnata da un documento di riconoscimento del richiedente. La consegna può avvenire a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno oppure direttamente a mano presso uno degli sportelli dell’agente della riscossione competente per territorio.

Copyright © - Riproduzione riservata Modello Equitalia

Scade il 30 novembre

Cedolare secca: il versamento del secondo acconto e il problema del contratto rescisso in corso d’anno

Per il contribuente che ha optato per la cd. cedolare secca, scade il 30 novembre 2015 il termine per effettuare il versamento del secondo acconto 2015; il contribuente effettua il versamento con il modello F24 ovvero con la trattenuta in busta paga da parte del sostituto di imposta.

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Tra le diverse problematiche che possono emergere in corso d’anno occorre prestare attenzione alla rescissione del contratto di locazione nel 2015.

di Federico Gavioli

Il 30 novembre 2015, rappresenta il termine ultimo per il versamento del secondo acconto 2015, della cd. cedolare secca: il versamento dell’acconto, pari al 95 per cento dell’imposta dovuta per l’anno precedente ai sensi dell’art. 3, comma 4, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 e del Provv. Ag. Entrate 7 aprile 2011, deve essere effettuato:

in unica soluzione, entro il 30 novembre 2015, se inferiore a euro 257,52

in due rate, se l’importo dovuto è pari o superiore ad euro 257,52, di cui:

-

la prima, nella misura del 40 per cento, entro i termini previsti per l’acconto IRPEF;

-

la seconda, nella restante misura del 60 per cento, entro il 30 novembre.

Non è ammesso il pagamento rateale della rata d’acconto di novembre, mentre è consentito il calcolo secondo il metodo previsionale.

La cedolare secca: cenni

L’articolo 3, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, ha istituito una nuova forma di tassazione sui redditi provenienti dai contratti di locazione, meglio conosciuta come la “cedolare secca sugli affitti”, che permette al proprietario dell’abitazione locata di scegliere, in alternativa alla tassazione progressiva IRPEF, l’applicazione di un tributo ad aliquota fissa.

Il decreto inquadra la cedolare secca come imposta opzionale: in sostanza si tratta di una scelta del contribuente in quanto non è obbligatoria, ma rappresenta un regime alternativo a quello ordinario; il contribuente che vi intende aderire ha l’obbligo di manifestare tale scelta in modo che l’amministrazione finanziaria ne sia al corrente (modello RLI).

Possono optare, per il regime della cedolare secca, le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento (per esempio, usufrutto), che non locano l’immobile nell’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni.

Il contribuente ha l’onere di comunicare all’inquilino, prima dell’inizio del rapporto e mediante lettera raccomandata, la sua volontà di aderire al regime di imposizione sostitutiva, nonché la correlata rinuncia al diritto di aggiornamento annuale del canone. Tale rinuncia può essere esclusa nell’ipotesi di contratti di locazione di durata complessiva, nell’anno, inferiore a 30 giorni, per i quali vige l’obbligo della registrazione in termine fisso (contratti di breve durata).

L’imposta sostitutiva presenta il vantaggio che i soggetti interessati non devono corrispondere:

l’imposta di registro sui canoni di locazione di fabbricati abitativi;

l’imposta di bollo, di cui al D.P.R. n. 642/1972.

Come si effettua il pagamento

La cedolare secca è dovuta a saldo, relativamente all’anno precedente, e in acconto per l’anno in corso, entro i termini di versamento a saldo e in acconto dell’IRPEF. Il versamento va effettuato, anche in compensazione, tramite il modello di pagamento F24, utilizzando i seguenti codici tributo:

1840 (acconto prima rata);

1841 (acconto seconda rata o acconto in unica soluzione);

1842 saldo.

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Per i soggetti che presentano il modello 730, il pagamento degli importi dovuti è effettuato con le modalità previste per l’IRPEF e relative addizionali, tramite il sostituto di imposta.

La rescissione del contratto in corso d’anno: quali comportamenti

Un problema per chi opta per la cedolare secca si pone se, in corso d’anno, il contratto di locazione è risolto

anticipatamente. A differenza dei contratti di locazione a tassazione ordinaria , infatti, per quelli in cui si è optato per la cedolare secca si pone il comportamento corretto da tenere; il canone non confluisce nel reddito complessivo ai fini Irpef del proprietario, ma è tassato a parte, con una imposta sostitutiva.

In sede di dichiarazione redditi, dunque, nel caso di cedolare secca il proprietario dell’immobile, è chiamato a liquidare saldo e acconto.

Nell’ipotesi in cui il contratto si “risolva” nel corso del 2015 il proprietario deve rivedere in propri conteggi in quanto, deve certamente corrispondere il saldo per il 2015. Con riferimento agli acconti non è tenuto, invece, a versarli, applicando il cd. metodo previsionale; attenzione però perché se l’immobile è stato nuovamente locato nel corso a terzi nel 2015, occorre versare gli acconti.

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ISEE

Nuovo ISEE: per gli immobili non locati si applicano le regole fiscali

La dichiarazione ai fini ISEE dei beni non locati deve seguire le regole fiscali: ovvero va indicata la rendita catastale rivalutata del 5% (15% in caso di terreni) aumentata della maggiorazione di un terzo trattandosi di bene a disposizione. E' soltanto una delle risposte fornite dal Ministero del Lavoro e dall'Inps su alcuni quesiti relativi al nuovo ISEE.

di Francesco Brandi

Per la dichiarazione ai fini ISEE dei redditi fondiari relativi a immobili non locati vanno seguite le regole fiscali: si tratta di un’importante precisazione fornita congiuntamente dal Ministero del lavoro e dall’Inps in risposta ad alcuni quesiti sul nuovo Isee.

I quesiti completi di risposte sono stati pubblicati lo scorso 29 ottobre sul sito del ministero del lavoro.

La precisazione è quanto mai opportuna in quanto va a correggere le istruzioni per la compilazione della dichiarazione sostitutiva unica (DSU) secondo cui, invece, non dovrebbe tenersi conto della rivalutazione prevista per i redditi del 2013.

La risposta precisa che vanno seguite le regole fiscali per evitare disparità di trattamento: per questo motivo vanno copiati i dati della dichiarazione dei redditi o vanno calcolati nel caso di esonero dalla presentazione della stessa. Va inserita quindi la rendita rivalutata (5% per i fabbricati e 15% per i terreni, 5% se si tratta di coltivatori diretti) oltre alla maggiorazione di un terzo nel caso in cui l’immobile sia tenuto a disposizione.

A proposito dell’annualità di riferimento per i redditi alcuni Enti erogatori richiedono l'indicazione dei redditi relativi al 2014 e non al 2013 ai fini dell'attestazione ISEE 2015: il documento esclude la correttezza di tale indicazione poiché in netto contrasto con quanto espressamente previsto dall'art. 4, comma 1, DPCM 159/2013: "i redditi e gli importi di cui ai commi 2 e 3 sono riferiti al secondo anno solare precedente la presentazione della DSU".

Un altro quesito ha riguardato il reddito derivante dal riscatto anticipato del fondo pensione: in particolare è stato richiesto se tale riscatto rientri nei redditi da dichiarare nella Dsu. La risposta è stata negativa in quanto si tratta di redditi assimilati al Tfr, come tali non rilevanti ai fini Isee.

In merito alla sezione in cui devono essere dichiarati gli interessi su titoli, depositi, conti correnti, libretti di risparmio, il Ministero ha chiarito che gli stessi vanno inseriti nelle sezioni relative al patrimonio mobiliare ai sensi dell'art. 5, comma 4,

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lett. a) del DPCM n. 159 del 2013, laddove si prevede che il valore da indicare sia quello del saldo contabile attivo "al lordo degli interessi".

Inoltre, con riferimento agli interessi sulle altre tipologie di redditi non è necessaria alcuna dichiarazione, in quanto il predetto decreto prevede un sistema di calcolo fittizio (reddito figurativo delle attività finanziarie), basato su quanto dichiarato nel Quadro F5 dedicato al patrimonio mobiliare.

Per quanto concerne la voce "incremento del patrimonio immobiliare nell'anno precedente", nel caso di cessione dell’immobile e successivo riacquisto di altro immobile, la cifra da inserire dipende dal valore dell'immobile venduto e da quello acquistato. Nel caso in cui il valore dell'immobile venduto risulti maggiore del valore di quello acquistato non potrà essere compilata la Sezione relativa all'incremento del patrimonio immobiliare nell'anno precedente. Viceversa, se il valore dell'immobile venduto risulti inferiore a quello dell'immobile acquistato, dovrà essere indicata come cifra la differenza tra l'acquisto e la vendita.

Infine, un altro chiarimento interessante attiene al conto corrente utilizzato dal professionista per fini sia personali che professionali (cd. “promiscuo”). In particolare si chiedeva di sapere se il conto corrente (il saldo) sia da considerare parte del patrimonio mobiliare del soggetto e, in caso affermativo, in quale misura.

La prima risposta, ovviamente, è affermativa. Secondo il Ministero il conto corrente va considerato ai fini ISEE per l’intero valore in quanto non si è in grado di distinguere la parte “professionale” da quella utilizzata per scopi personali. Pertanto, nel quadro FC2, andrà assunto il valore del saldo contabile attivo, al lordo degli interessi, al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di compilazione della Dsu ovvero, se superiore, il valore della consistenza media annua riferita allo stesso anno.

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Dichiarazioni

Manifestazione di una nuova volontà del contribuente: inserimento del credito d’imposta nel quadro RU in origine omesso

Nel caso in cui il legislatore subordini la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, la dichiarazione diventa irretrattabile anche in caso di errore. Questo è quanto stabilisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20208 dell’8 ottobre 2015.

Sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo

predisposto dall’Erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’Amministrazione finanziaria.

Non vi è dubbio che la dichiarazione nel quadro RU del credito di imposta sia da considerarsi atto negoziale e non emendabile in ipotesi di omissione, atteso che si tratta di indicazioni volte a mutare la base imponibile e contestuale inserimento del citato credito di imposta, e perciò inidonee a costituire oggetto di un mero errore formale.

In siffatta situazione, pertanto, il contribuente, per far valere l’errore commesso, è onerato, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà, di fornire la prova della rilevanza dell’errore con riguardo ad entrambi i requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, ordinanza 08/10/2015, n. 20208

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