• Non ci sono risultati.

W.W. Jacobs, La casa del dazio. Traduzione e cura di Silvana Seghetti

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "W.W. Jacobs, La casa del dazio. Traduzione e cura di Silvana Seghetti"

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)

W.W. Jacobs

LA CASA DEL DAZIO (1909)

Introduzione e traduzione dall’inglese a cura di Silvana Seghetti1

Introduzione

“La casa del dazio” (“The Toll-House”) uscì per la prima volta nella raccolta Sailors’ Knots, pubblicata nel 1909 a Londra da Methuen & Co., con le bellissime illustrazioni di Will Owen, che collaborò a quasi tutte le opere di W.W. Jacobs, e digitalizzata in The Internet Archives nel 2008.2 Come ogni libro di grande successo ebbe anche l’onore di edizioni pirata, per esempio quella di Lipsia del 1913.

W. W. Jacobs si affermò abbastanza tardi con racconti umoristici nello stile di Dickens. “La casa del dazio,” però, non è una delle solite avventure di quei simpatici marinai ingenui e sbruffoni, maldestri e attaccabrighe che valsero all’autore il primo favore di pubblico, né una storia dell’immaginario villaggio rurale di Clayton popolato di contadini testardi e generosi e di imbroglioni da quattro soldi, o della Londra suburbana e popolare di bottegai e impiegati che tanto affascinarono Jacobs per la loro vocazione al perbenismo e la stretta osservanza delle regole sociali. È, come il suo celeberrimo “La zampa di scimmia” (“The Monkey’s Paw”) e pochi altri, un racconto macabro nato dalla convinzione di Jacobs che non si devono mai, nemmeno per scherzo, sfidare le forze dell’occulto.

Quattro giovani, apparentemente colti e benestanti, disincantati se non addirittura cinici, sportivi, un po’ pedanti, in cerca di avventure, epigoni forse dei Tre uomini in barca di Jerome K. Jerome, sono in vacanza a spasso per la campagna inglese e ostentano un’ironica superiorità nei confronti dello stile di vita e delle credenze della popolazione locale. Alla fine della storia saranno crudelmente puniti per la loro eccessiva razionalità, che esclude qualunque forma di esistenza soprannaturale, ed è questa la morale che Jacobs vuole consegnarci.

L’argomento del racconto, le case infestate dai fantasmi, è introdotto in medias res. L’atmosfera è tranquilla e serena, la conversazione è vivace, lo scambio di battute è veloce, quasi un dialogo teatrale. I personaggi si chiamano tra di loro con il solo cognome, come nella miglior tradizione dei college inglesi, ed è tutto perfettamente sotto controllo.

La situazione cambia completamente con il calar della notte, quando il quartetto si ritrova a bere e a fumare in una stanza della casa incantata e il buio si popola di presenze inspiegabili. Ogni cosa pare animarsi di vita propria e non soltanto le ombre tutt’intorno, ma anche il suono stesso delle chiacchiere e delle risate dei quattro amici, che “si disperdono controvoglia nei corridoi lontani,” sembrano diventare vivi all’improvviso. Gli eventi si fanno poi concitati e alquanto confusi anche perché l’autore, per aumentare la suspence, omette spesso di attribuire battute e azioni a questo o a quel personaggio, generando così nel lettore una grande incertezza. Ma a differenza dei gialli classici, il finale di “La casa del dazio” non prevede rivelazione né spiegazione alcuna.

La lingua presenta l’uso di espressioni arcaiche, com’è ovvio trattandosi di uno scritto di un secolo fa, che necessitano quindi di essere aggiornate: per esempio la “sovrana,” moneta in corso all’incirca fino al 1930 e attualmente coniata soltanto per essere utilizzata in oreficeria o in numismatica, è stata tradotta con “sterlina.“

Inoltre, per facilitare la comprensione dello svolgimento degli eventi vitali del racconto, ho aggiunto alcuni

1Silvana Seghetti ha insegnato inglese e italiano in varie scuole e università in Italia e all’estero. Si è

perfezionata all’Università di Verona in Traduzione per l’editoria e il teatro, ha curato per l’editrice La Scuola il volume Racconti umoristici di W.W. Jacobs e ha tradotto sottotitoli di film dall’inglese e dal francese.

2 “The Toll-House” si può leggere in versione originale e con le illustrazioni di Will Owen a p. 127 della raccolta Sailors’ Knots: http://www.archive.org/details/sailorsknots00jaco oppure in

(2)

nomi propri dei personaggi nei punti più salienti, quando l’azione diventa particolarmente confusa, perché in inglese la coesione testuale viene comunque mantenuta tramite l’obbligo della ripetizione costante del pronome personale soggetto, mentre questa regola in italiano non c’è.

Infine è stato necessario spiegare che il “dazio” di cui parla Jacobs in riferimento alla casa è un tributo in vite umane.

Biografia dell’autore

William Wydmark Jacobs (1863-1943) nacque e morì a Londra, dove suo padre lavorava come contabile per una compagnia portuale e dove “WW,” come veniva familiarmente chiamato, ebbe modo di osservare da vicino per molti anni l’andirivieni delle navi mercantili e la vita dei marinai che avrebbero ispirato in seguito gran parte delle sue storie.

A sedici anni, per guadagnarsi da vivere, trovò da lavorare come impiegato, ma dopo qualche anno cominciò a scrivere racconti umoristici, sullo stile di Dickens, che vide finalmente pubblicati nei primi anni Novanta dell’Ottocento in The Idler di Jerome K. Jerome e in Today di R. Barr, ricevendo recensioni favorevoli da Henry James, G. K. Chesterton e C. Morley.

Nel 1896 la rivista satirica Punch pubblicò la sua prima raccolta di racconti, Many Cargoes, che vide come protagonisti i marinai e la loro vita. Il successo che ottenne lo convinse a lasciare nel 1899 il lavoro di impiegato per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.

L’anno successivo sposò Agnes Williams, una famosa suffragetta che gli ispirerà alcune delle sue figure femminili.

Dal 1896 al 1926 pubblicò altre dieci raccolte di racconti, tra le quali ricordiamo The Lady of the Barge (1902), che contiene “The Monkey’s Paw,” in assoluto il suo più grande successo, Odd Craft (1903) con “The Money Box,” che trent’anni più tardi fornirà lo spunto per la sceneggiatura del film di Laurel & Hardy

Our Relations, e Sailors’ Knots, da cui è tratto “The Toll-House.”

I suoi racconti godettero di una straordinaria fortuna di pubblico non soltanto in Inghilterra ma anche negli Stati Uniti tanto da essere adattati, soprattutto il racconto macabro “The Monkey’s Paw,” numerose volte per il teatro, per il cinema e per la radio (l’ultima è stata nel 2011). Dalle sue storie sono stati tratti e tradotti in molte lingue anche numerosi adattamenti per ragazzi.

Scrisse inoltre sei romanzi che non ebbero però grande successo essendo lo stile, il ritmo e l’incisività della penna di Jacobs più adatti a una narrazione breve o a uno sketch che a opere di più lungo respiro.

In italiano è stato tradotto finora il racconto “The Monkey’s Paw” e sono stati tradotti e adattati per ragazzi “Keeping Up Appearances,” “A Change of Treatment,” “The Understudy,” “In Borrowed Plumes” e “The Bequest” (W.W. Jacobs, Racconti Umoristici. Brescia, La Scuola, 2013).

Traduzione

“Tutte sciocchezze,” esclamò Jack Barnes. “È naturale che in quella casa ci siano morte delle persone, la gente muore dappertutto! I rumori poi, il vento su per il camino o i topi dietro i pannelli di legno, sembrano perfetti per spaventare chi è fragile di nervi. Dammi un’altra tazza di tè, Meagle.”

“Prima a Lester e a White,” rispose Meagle che faceva gli onori di casa alla locanda Le tre piume. “Tu ne hai già prese due.”

Lester e White finirono le loro con una lentezza esasperante, fermandosi tra un sorso e l’altro a odorare l’aroma della bevanda e a stabilire il sesso e l’ordine di arrivo dei numerosi “sconosciuti” che galleggiavano nel tè.

Meagle riempì le loro tazze fino all’orlo e poi, girandosi verso Barnes che aspettava con ansia, gli chiese con tutta tranquillità di ordinare dell’altra acqua bollente.

“Cerchiamo di mantenere i nervi saldi,” osservò. “Per parte mia credo nel soprannaturale fino a un certo punto.”

“Come tutte le persone di buon senso,” concordò Lester. “Una volta una mia zia vide un fantasma.” White annuì.

(3)

“Nel mio caso, invece, a vederlo fu mio zio,” aggiunse. “Già, è sempre qualcun altro che li vede,” commentò Barnes.

“Comunque, c’è questa casa,” riprese Meagle, “una casa grande con un affitto ridicolo e nessuno che la vuole. Ha preteso il tributo di almeno una vita da ogni famiglia che ci ha abitato, anche se per poco tempo, e da quando è rimasta sfitta tutti i custodi che ci sono andati a vivere ci sono anche morti. L’ultimo è stato quindici anni fa.”

“Ecco,” spiegò Barnes. “Quanto basta a fare sì che le leggende crescano a dismisura.”

“Per quante chiacchiere tu faccia, ci scommetto una sterlina d’oro che non ti andrebbe di passarci una notte da solo,” esclamò White d’un tratto.

“Anch’io,” aggiunse Lester.

“No,” ammise Barnes con calma. “Non credo nei fantasmi né in qualunque altra cosa riguardante il soprannaturale; tuttavia devo confessare che non ci terrei proprio a passare una notte da solo in quella casa.”

“Ma perché no?” chiese White.

“Il vento su per il camino,” disse sorridendo Meagle. “I topi dietro i pannelli di legno,” si intromise Lester. “Come volete voi,” sbottò Barnes, seccato.

“E se ci andassimo tutti?” propose Meagle. “Partiamo dopo cena e arriviamo là verso le undici? In fin dei conti camminiamo da dieci giorni senza che ci sia capitato niente, a parte il fatto che Barnes ha scoperto che la puzza dell’acqua dei fossi è molto persistente. Sarà una cosa nuova e comunque, se rompiamo l’incantesimo e sopravviviamo tutti quanti, il proprietario ce ne sarà grato e ci dovrà ricompensare con una bella sommetta.”

“Prima sentiamo che cosa ha da dirci il padrone della locanda,” disse Lester. “Non è divertente passare la notte in una banale casa vuota. Facciamoci conferrmare che i fantasmi ci sono per davvero.” Suonò il campanello, lo mandò a chiamare e, facendo appello al senso di solidarietà che accomuna tutti, lo pregò di non fargli sprecare una notte di sonno in una casa senza spettri né spiriti maligni. La risposta fu più che rassicurante e, dopo avere descritto con precisione notevole tutti i particolari dell’apparizione di una testa che penzolava fuori da una finestra al chiaro di luna, il padrone concluse con una garbata ma urgente richiesta di saldare il conto prima di partire.

“Voi avete tutto il diritto di divertirvi finché siete giovani,” spiegò con indulgenza, “ma mettiamo il caso che vi trovino tutti morti l’indomani mattina, a me che cosa resterebbe? Non si chiama la Casa del Dazio per niente, non vi pare?”

“Chi è stato l’ultimo a morirci?” chiese Barnes con aria di benevola presa in giro.

“Un vagabondo,” fu la risposta. “Ci è andato per guadagnarsi una mezza sterlina e lo hanno trovato morto la mattina dopo, appeso alla ringhiera delle scale.”

“Suicidio,” replicò Barnes. “Non era sano di mente.”

Il padrone scosse la testa. “È quello che disse anche la giuria,” aggiunse con calma, “ma aveva il cervello a posto quando è entrato là dentro. Lo so perché lo conoscevo di vista da molto tempo. Sono povero ma non passerei una notte in quella casa neanche se mi dessero cento sterline.”

Si sentirono ripetere le stesse cose poche ore dopo, mentre si stavano preparando per la loro spedizione. Partirono che la locanda stava chiudendo i battenti. La chiave girò rumorosamente alle loro spalle e, mentre i clienti abituali si trascinavano lentamente verso casa, i quattro si incamminarono a passo svelto verso la loro meta. La maggior parte delle case erano già al buio e le luci delle altre si stavano spegnendo a una a una. “Roba da matti pensare di dovere perdere una notte di sonno per convincere Barnes che i fantasmi esistono,” borbottò White.

“È per una buona causa,” disse Meagle. “Una causa giusta, e qualcosa mi dice che avremo successo. Non hai dimenticato le candele, vero Lester?”

“Ne ho prese due,” fu la risposta; “tutte quelle che il vecchio mi ha potuto dare.”

C’era poca luna e il cielo era coperto. La strada fiancheggiata da alte siepi era buia e nel punto in cui attraversava un bosco era talmente scura che inciamparono un paio di volte nel terreno irregolare del ciglio. “Pensare che abbiamo lasciato i nostri bei letti per questo!” brontolò di nuovo White. “Vediamo un po’: questo tanto allettante sepolcro residenziale si trova sulla destra se non sbaglio.”

(4)

“Più avanti,” precisò Meagle.

Continuarono a camminare in silenzio per un po’, interrotti solo da White che continuava a lodare le comodità del letto pulito e soffice dal quale si stavano allontanando sempre più.

Guidati da Meagle svoltarono finalmente a destra e dopo un quarto di miglio circa di cammino si trovarono davanti al cancello della casa.

La portineria era quasi completamente nascosta da cespugli enormi e il vialetto d’ingresso era soffocato dalle erbacce. Con Meagle sempre davanti si fecero largo finché arrivarono al nero edificio che incombeva sopra le loro teste.

“Stando a quanto dice il padrone della locanda, c’è una finestra sul retro dalla quale si può entrare,” disse Lester quando si trovarono davanti al portone d’ingresso.

“Finestra?” esclamò Meagle. “Non se ne parla nemmeno. Facciamo le cose per bene. Dov’è il battente?” Lo trovò a tentoni nel buio e picchiò sulla porta con un toc-toc assordante.

“Non fare lo stupido,” fece Barnes arrabbiato.

“I fantasmi della servitù sono addormentati,” annunciò con serietà Meagle, “ma io li sveglierò prima di licenziarli tutti quanti. È scandaloso che ci tengano qui fuori al buio!”

Bussò di nuovo e il suono rimbombò nel vuoto oltre la soglia. Poi appoggiò le mani sulla porta e cadde in avanti.

“Ma guarda, era già aperta!” esclamò con una strana esitazione nella voce. “Venite.”

“Non ci credo che fosse aperta” obiettò Lester rimanendo indietro. “C’è qualcuno che ci vuole fare uno scherzo.”

“Sciocchezze,” disse Meagle bruscamente. “Dammi una candela. Grazie. Chi ha un fiammifero?”

Barnes tirò fuori la scatola, ne accese uno e Meagle, proteggendo la fiamma con la mano, fece strada fino ai piedi delle scale.

“Qualcuno chiuda la porta,” disse, “c’è troppa corrente.”

“Ma è chiusa,” rispose White guardandosi indietro. Meagle si grattò il mento perplesso. “Chi l’ha chiusa?” gli chiese con uno sguardo indagatore. “Chi è entrato per ultimo?” “Io,” rispose Lester, “ma non ricordo di averla chiusa… forse però l’ho fatto.”

Meagle stava per ribattere, poi però ci ripensò e, continuando a riparare la fiamma con la mano, cominciò a esplorare la casa con gli altri che lo seguivano da vicino. Mentre il gruppetto avanzava, le ombre danzavano sui muri e si nascondevano negli angoli. In fondo al corridoio trovarono un’altra scala, la salirono lentamente e arrivarono al secondo piano.

“Attenti!” esclamò Meagle quando furono sul ballatoio.

Tenendo la candela bene in alto mostrò dove la ringhiera era rotta, poi lanciò una strana occhiata nel vuoto. “Credo che questo sia il punto dove il vagabondo si è impiccato,” osservò pensieroso.

“Hai proprio una mente perversa,” lo rimproverò White passando oltre. “Questo posto fa già venire la pelle d’oca senza che tu ci ricordi continuamente quello che è successo. Ora cerchiamo una bella stanza, ci facciamo un goccio di whisky e ci fumiamo la pipa. Che cosa ne dite?”

In fondo al corridoio c’era una porta che si apriva su una piccola stanza quadrata. Meagle entrò per primo con la candela accesa, che fissò sulla mensola del camino con un paio di gocce di cera fusa mentre gli altri si sedevano sul pavimento a guardare con piacere White che tirava fuori dalla tasca una fiaschetta di whisky e una tazza di alluminio.

“Oh!” esclamò “ho dimenticato l’acqua.” “Te la prendo subito,” disse Meagle.

Diede uno strattone violento a un cordone e il tintinnio di un campanello arrugginito risuonò in una cucina lontana. Tirò di nuovo.

“Non fare lo scemo,” lo rimproverò Barnes, ma Meagle si mise a ridere. “Volevo solo convincerti,” rispose gentilmente. “Dovrebbe esserci sempre un fantasma in servizio nella stanza dei domestici.”

Barnes alzò una mano per ottenere silenzio.

“Sì?” chiese Meagle, guardando gli altri due con un gran sorriso. “Sta arrivando qualcuno?”

“E se lasciassimo perdere questo gioco stupido e ce ne andassimo?” propose Barnes inaspettatamente. “Non credo negli spiriti ma i nervi non si possono controllare. Tu puoi ridere finché vuoi ma a me è sembrato veramente di sentire una porta che si apriva e rumore di passi per le scale.”

(5)

La sua voce fu subissata da un coro di risate.

“Sta cedendo,” confermò Meagle con un sorrisetto compiaciuto. “Quando avrò finito la cura sarà un fervente sostenitore dei fantasmi. Beh, chi va a prendere l’acqua? Ci vai tu, Barnes?”

“No,” fu la risposta.

“Se anche ce ne fosse, non sarebbe buona da bere dopo tutti questi anni,” spiegò Lester. “Dobbiamo farne a meno.”

Meagle fu d’accordo, si mise a sedere e allungò la mano per prendere la tazza. Accesero la pipa e l’odore pieno e pulito del tabacco si diffuse nell’aria, White tirò fuori un mazzo di carte, chiacchiere e risate risuonarono nella stanza e si dispersero controvoglia nei corridoi lontani.

“Le stanze vuote mi fanno sempre credere di avere una voce profonda,” disse Meagle. “Domani…”

Si alzò di scatto soffocando un’imprecazione quando la luce si spense all’improvviso e qualcosa lo colpì sulla testa. Anche gli altri scattarono in piedi. Poi però Meagle scoppiò a ridere.

“È la candela,” esclamò. “Non l’ho fissata bene.”

Barnes prese un fiammifero, la riaccese e la saldò di nuovo sulla mensola del camino, poi si sedette e riprese in mano le carte.

“Che cosa stavo dicendo?” riprese Meagle. “Ah, sì. Domani io…”

“Ascolta!” lo interruppe White, prendendolo per un braccio. “Giuro che mi è sembrato davvero di sentire una risata.”

“Datemi retta,” insistette Barnes. “Che cosa ne dite di tornare indietro? Ne ho avuto abbastanza. Anche a me pare continuamente di sentire dei rumori e che qualcosa si stia muovendo nel corridoio qui fuori. Lo so che è soltanto la mia immaginazione ma mi mette a disagio.”

“Tu puoi andartene quando vuoi,” ribatté Meagle, “e noi restiamo qui a giocare a carte col morto. Oppure mentre scendi le scale potresti chiedere al vagabondo di venire qui a prendere il tuo posto.”

Barnes rabbrividì e imprecò, poi si alzò e andò a mettersi in ascolto dietro la porta socchiusa.

“Va’ fuori,” lo invitò Meagle facendo l’occhiolino agli altri due. “Ti sfido a scendere fino alla porta d’ingresso e risalire tutto da solo.”

Barnes tornò al suo posto e, chinandosi in avanti, si accese la pipa con la candela.

“Ho paura ma sono razionale,” spiegò sbuffando fuori una sottile nuvola di fumo. “L’istinto mi suggerisce che c’è qualcosa che si aggira su e giù per il corridoio qui fuori, mentre il buonsenso mi dice che sono tutte assurdità. Dove sono le mie carte?”

Si risedette, esaminò con attenzione la sua mano, poi giocò.

“Tocca a te, White,” aggiunse dopo una pausa. White non si mosse.

“Questa poi… si è addormentato!” esclamò Meagle. “Svegliati vecchio mio, svegliati e gioca.”

Lester, che era seduto vicino a lui, lo prese per un braccio e lo scosse, prima piano poi con forza ma White, la schiena appoggiata al muro e la testa china, non dava segni di vita. Meagle si mise a urlargli nelle orecchie, poi lanciò agli altri uno sguardo sconcertato.

“Si vede che era stanco morto,” disse facendo una smorfia. “Beh, siamo ancora in tre a tenerci compagnia.” “Sì,” rispose Lester scuotendo la testa. “A meno che… Dio mio! Non è che per caso…”

Si interruppe bruscamente e li guardò, tremando. “Per caso che cosa?” gli domandò Meagle.

“Niente,” balbettò Lester. “Svegliamolo! Prova di nuovo. White! WHITE!”

“Non serve a niente,” borbottò Meagle, scuro in volto; “c’è qualcosa di innaturale in questo sonno.”

“È esattamente quello che volevo dire io,” rispose Lester. “E se lui si addormenta in questo modo, perché non dovrebbe…”

Meagle si alzò di scatto. “Scemenze,” replicò sgarbatamente. “È stanco, tutto qui. Comunque tiriamolo su e andiamocene. Tu prendilo per i piedi e Barnes ci farà strada con la candela. Sì? Chi va là?”

Diede una rapida occhiata verso la porta. “Mi è sembrato di sentire qualcuno bussare,” spiegò con una risatina imbarazzata. “Ora Lester su, alzalo, uno, due… Lester! Lester!”

Si slanciò in avanti, ma troppo tardi. Lester, con la testa tra le braccia, era rotolato sul pavimento profondamente addormentato e nonostante tutti gli sforzi non riuscì a svegliarlo.

“È… è… addormentato,” balbettò. “Addormentato!”

(6)

sul pavimento, rimase in silenzio a fissare i due che dormivano. “Dobbiamo andare via da qui,” esclamò Meagle. “Subito!” Barnes esitava. “Ma non possiamo lasciarli così,” disse infine.

“E invece dobbiamo,” gli ordinò Meagle con un tono stridulo. “Se ti addormenti anche tu, io me ne vado… Forza, fa presto!”

Lo prese per un braccio e cercò di trascinarlo verso la porta, ma Barnes lo respinse, rimise la candela sulla mensola e tentò nuovamente di svegliare i due che dormivano.

“È inutile,” ammise alla fine, e girandosi a fissare Meagle gli ordinò preoccupato: “e tu non dormire!” Meagle scosse la testa e rimasero così per un po’, in un silenzio imbarazzato.

“Tanto vale chiudere la porta, allora,” concluse Barnes.

Attraversò la stanza e andò ad accostarla piano, poi sentendo un rumore indistinto dietro di sé si voltò e vide Meagle raggomitolato sulla pietra del camino. Rimase immobile, senza fiato. Nella stanza la luce della candela, tremolante per le correnti d’aria, lasciava intravvedere nella penombra le figure grottesche dei due che dormivano. Oltre la porta la sua immaginazione sovraeccitata percepiva dei movimenti strani e furtivi. Tentò di fischiettare, ma le sue labbra erano secche e allora si chinò e si mise a raccogliere meccanicamente le carte sparse sul pavimento. Si fermò un paio di volte in ascolto con la testa china, i movimenti all’esterno sembravano aumentare e si udì un forte scricchiolio provenire dalle scale.

“Chi è là?” urlò.

Lo scricchiolio cessò. Andò verso la porta e, spalancatala di colpo, si precipitò nel corridoio. Gli bastò muoversi per fare svanire improvvisamente tutte le sue paure.

“Dai!” gridò Barnes con una risatina sommessa. “Fuori tutti! Fuori tutti! Fatevi vedere! Mostrate le vostre facce d’inferno! Non tiratevi indietro!” Rise di nuovo e fece qualche passo nel buio.

La figura raggomitolata nel camino tirò fuori la testa come una tartaruga dal guscio, ascoltò inorridita i passi di Barnes che si allontanavano e fu soltanto quando non si udirono più che Meagle si rilassò.

“Mio Dio, Lester, lo abbiamo fatto impazzire,” sussurrò con voce allarmata. “Dobbiamo seguirlo.” Non ci fu alcuna risposta e allora Meagle scattò in piedi.

“Mi sentite?” gridò. “Ora basta con gli scherzi, voi due; questa è una cosa seria. White! Lester! Mi sentite?” e si chinò a esaminarli sconcertato e arrabbiato.

“Va bene,” disse poi con voce tremante. “Non crederete mica di spaventare me, sapete?”

Si voltò e si diresse con esagerata indifferenza verso la porta. Uscì perfino nel corridoio e si mise a spiare dentro la stanza attraverso la porta socchiusa, ma i due non si mossero. Lanciò un’occhiata nel buio dietro le sue spalle e poi rientrò velocemente.

Rimase fermo per alcuni secondi a guardarli. Il silenzio nella casa era agghiacciante; non si sentiva più nemmeno il loro respiro. Con una mossa improvvisa staccò la candela dalla mensola del camino e avvicinò la fiamma a un dito di White. Poi, mentre si tirava indietro stupefatto, udì ancora quel rumore di passi.

Si fermò in ascolto con la candela nella mano tremante. Li udì salire le scale di servizio ma si fermarono di nuovo quando lui si diresse verso la porta. Avanzò un poco nel corridoio e i passi scesero precipitosamente i gradini e trotterellarono lungo il corridoio del piano di sotto. Ritornò verso la scala principale e allora cessarono del tutto.

Per un po’ si sporse dalla ringhiera, rimanendo in ascolto e cercando di penetrare con lo sguardo nel buio sottostante. Poi, lentamente, un passo alla volta, scese i gradini e tenendo la candela ben alta sopra la testa scrutò tutt’intorno a lui.

“Barnes!” gridò. “Dove sei?”

Tremando di paura s’incamminò lungo il corridoio e facendo appello a tutto il suo coraggio spalancò le porte e fissò con occhi sbarrati le stanze vuote. Poi, improvvisamente, i passi furono di fronte a lui.

Li seguì lentamente per paura di fare spegnere la fiamma e alla fine arrivò in una vasta cucina vuota, con le pareti piene di umidità e il pavimento rotto. Davanti a lui, una porta che conduceva a una stanza interna si era appena chiusa. Corse ad aprirla e una folata d’aria fredda spense la candela. Si fermò inorridito.

“Barnes!” chiamò di nuovo. “Non aver paura, sono io… Meagle.”

Nessuno rispose. Rimase a fissare il buio, avendo per tutto il tempo la netta sensazione che qualcosa di molto vicino lo stesse osservando. Poi all’improvviso i passi ricominciarono sopra la sua testa.

(7)

a orientarsi meglio nell’oscurità, e quando finalmente si trovò ai piedi delle scale cominciò a salirle senza fare rumore. Raggiunse il pianerottolo appena in tempo per vedere una figura sparire dietro l’angolo. Stando sempre attento a non farsi sentire, continuò a seguire i passi finché non lo condussero al secondo piano e la caccia si concluse alla fine di un breve passaggio.

“Barnes,” sussurrò. “Barnes!”

Qualcosa si mosse nel buio. Alla fine del corridoio una finestrella rotonda che faceva entrare un po’ di luce rivelò la sagoma confusa di una figura immobile. Invece di proseguire, Meagle rimase completamente bloccato mentre all’improvviso un terribile sospetto si impadroniva di lui. Con gli occhi fissi sulla figura camminò lentamente all’indietro e mentre questa avanzava verso di lui urlò terrorizzato: “Barnes, per l’amor di Dio, sei tu?”

L’eco della sua voce fece tremare l’aria, ma la figura davanti a lui rimase impassibile. Per un istante pensò di chiamare a raccolta tutto il suo coraggio e di affrontarla, poi con un grido soffocato si girò e scappò.

I corridoi erano contorti come un labirinto, e lui li percorse alla cieca nell’inutile ricerca delle scale. Se solo avesse potuto scendere al piano terra e aprire la porta d’ingresso…

Gli sfuggì un singhiozzo; i passi intanto erano ricominciati e rimbombavano lungo i corridoi vuoti con un trotto pesante, dentro e fuori, su e giù, come se lo stessero cercando. Si fermò atterrito e poi, mentre si stavano avvicinando, entrò in una stanzetta e si nascose dietro la porta fin quando non si allontanarono. Allora uscì fuori e corse velocemente e senza fare rumore nella direzione opposta, ma subito i passi ripresero a inseguirlo. Trovò il corridoio lungo e ci si infilò a tutta velocità. Sapeva che alla fine c’erano le scale e, con i passi ormai vicini, si lanciò correndo su per i gradini senza guardare. Quei passi stavano quasi per raggiungerlo e lui si accostò al muro per lasciarli passare, continuando tuttavia nella sua corsa disperata. Poi all’improvviso sembrò prendere il volo e perdersi nello spazio.

Lester si svegliò il mattino seguente con il sole che inondava la stanza e White seduto per terra che guardava con una certa perplessità una grossa scottatura sul suo dito.

“Dove sono gli altri?” chiese Lester.

“Penso che se ne siano andati,” rispose White. “Noi dobbiamo esserci addormentati.”

Lester si alzò e, stiracchiandosi tutto, con le mani si pulì i vestiti dalla polvere e uscì sul pianerottolo. White lo seguì. Una figura che dormiva raggomitolata in fondo al corridoio sentendoli arrivare si mise seduto: era Barnes.

“Beh, mi sono addormentato!” esclamò sorpreso. “Non mi ricordo di essere venuto qui. Come ci sono arrivato?”

“Bel posto per venire a farci un sonnellino,” lo rimproverò Lester, indicando un buco nella ringhiera. “Un altro passo e guarda qua dove saresti andato a finire.”

Barnes andò lentamente verso il bordo e guardò in basso. Anche gli altri si avvicinarono richiamati dal suo grido spaventato, e tutti e tre rimasero a fissare il morto giù di sotto.

Riferimenti

Documenti correlati

E’ un’occasione straordinaria, rivedere come sarà l’agricoltura fra vent’anni, cioè l’agricoltore, il pescatore, i pescherecci, come si pescherà, che tipo

- ha beneficiato, secondo la regola de minimis, degli aiuti di Stato dichiarati incompatibili con la decisione della Commissione Europea indicata nell’art. e di non

ETEINDRE LES ZONES DE CUISSON Pour éteindre une zone de cuisson, enfoncer la touche pour sélectionner la zone de cuisson, appuyer en même temps les touches. et , ou appuyer

L’idrogeno come vettore energetico rallenta il processo di transizione verso la neutralità carbonica Se, sfruttando appieno le potenzialità dei pompaggi idroelettrici, utilizzando

Couple the speaker to the support, inserting the threads of the screws (P) that protrude from the speaker in the slots of the support2. Adjust the angle of the speaker and tighten

scollegare la spina di alimentazione dalla rete per isolare completamente la macchina dall’alimentazione elettri- ca (Fig. Con una spugna umida asportare eventuali spruzzi

Oggi Global Marketing and Communication Director di Diadora Spa dopo aver ricoperto il ruolo di Head of Red Bull Media Network e aver maturato una solida esperienza nell’event

Schemi di sintesi sugli elementi della comunicazione e sull’uso di linguaggi e canali più appropriati in base al contesto e allo scopo della comunicazione. 3 ore + 1 Individua