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CAPITOLO 2 – Massa: il territorio

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

2.1 Morfologia

Il territorio comunale di Massa è segnato da tre elementi naturali principali: le Alpi Apuane e il Mar Tirreno, orientativamente paralleli tra loro, e l’asta del Fiume Frigido, che può essere considerata ortogonale ai primi due.

La morfologia del Comune è costituita da tre zone con caratteristiche ben definite e diverse tra loro:

- La zona della pianura, costituita da depositi alluvionali e marini. Si estende dal mare sino ad oltre la via Aurelia, comprendendo anche Turano, La Rocca, Massa Centro, Castagnetola e Mirteto.

- La zona della collina, caratterizzata da una morfologia dolce, ricca di detriti di falda e materiali scistosi ed argillosi. E’ delimitata verso monte dal Fosso delle Madielle, dal Canale di Antona e da una linea virtuale che da Canevara arriva fino al Monte Brugiana. I paesaggio è ricco di vegetazione.

- La zona della montagna, che comprende i massicci calcarei caratterizzanti tutto l’anfiteatro delle Apuane, con vette che sfiorano i 2000 metri di altezza. Questa è costituita per la maggior parte dal complesso dei Grezzoni e dei Marmi. Il paesaggio si presenta aspro

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con versanti ripidi con pendenze a volte superiori al 100% e con vegetazione scarsa o inesistente.

Zona ha

Pianura 3100

Collina 980

Montagna 5307

Totale 9387

Figura 18 – La zona collinare in primo piano e, sullo sfondo, le Apuane

La morfologia della zona di pianura è determinata dalla presenza del Frigido, il cui cono di deiezione presenta la caratteristica forma a ventaglio.

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L’orlo della scarpata fluviale, sia in destra che in sinistra idrografica del Fiume, è presente fino all’intersezione del fiume col ponte di via Marina Vecchia, in località San Leonardo. La zona inferiore del cono di deiezione termina bruscamente in corrispondenza di un gradino morfologico di circa tre metri. Questo, ubicato all’altezza del tracciato autostradale, si estende, con andamento sub-parallello alla costa, dalla zona dello svincolo autostradale, ad occidente, fino al laghetto artificiale di Casa Giorgini, prossimo al confine al confine con Montignoso, ad oriente. In corrispondenza di questo salto i depositi alluvionali antichi sono sostituiti da più recenti sedimenti marini costieri, caratterizzati da limi e sabbie di deposizione lagunare salmastra. Il cono di deiezione del Canal Magro, minore per estensione rispetto a quello del Frigido, interessa con il proprio fronte arcuato l’area compresa tra Turano ed il confine con il Comuna di Montignoso, dove s’interseca con il cono di deiezione dell’omonimo torrente.

La pianura risulta altamente urbanizzata e l’azione antropica ha determinato alcune peculiari forme del paesaggio. Le aste fluviali minori che presentano arginatura lungo il corso sono Canal Magro, Poveromo, Magliano, Brugiano, Ricortola, Lavello.

L’intensa urbanizzazione della zona ha quasi completamente cancellato le tracce dell’antica morfologia del conoide del Frigido, caratterizzata da terrazzi degradanti verso il mare.

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La spiaggia emersa è costituita da un deposito sabbioso marino attuale, rimaneggiato dall’azione eolica, determinato dallo “spiaggiamento” di barre costiere che, a seconda dell’intensità della forza del mare, possono essere in continuo accrescimento o in erosione. Attualmente la spiaggia emersa si trova in fase di erosione, tanto da richiedere il ripascimento artificiale e la costruzione di opere di protezione.

Figura 19 - Opere di protezione

Il litorale è costituito dalla piana costiera alluvionale che,a seguito delle bonifiche settecentesche, è divenuto prima un produttivo terreno agricolo, poi una appetibile porzione di territorio edificabile. L’area è attraversata da

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innumerevoli canali e fossi che originariamente rappresentavano elemento indispensabile per l’approvigionamento idrico a fine agricolo, ma che oggi, a causa della scarsa manutenzione e del venire meno della funzione irrigua, presentano fenomeni di inquinamento e costituiscono elementi di degrado ambientale, causando potenzialmente, con le abbondanti precipitazioni, situazioni di rischio. In questa zona sono presenti fenomeni di erosione della duna costiera,seppure ancora di entità limitata.

Figura 20 - Duna costiera

Tra le forme più importanti di dissesto idrogeologico, inteso come disordine o situazione di squilibrio che l’acqua produce nel suolo e nel sottosuolo, possono essere inclusi tutti i vari stadi di erosione idrica e l’arretramento dei litorali.

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2.2 Il fiume Frigido

Il bacino del Frigido è delimitato, a nord, dalla dorsale in cui spiccano i rilievi del M. Sagro, M. Grondilice, M. Tambura, M. Contrario e M. Sella che rappresenta anche i limiti amministrativi tra i comuni della costa ed i comuni della Garfagnana; a sud est, il bacino del Frigido è limitato dal crinale che scende dal monte Macina, passa per il monte Pelato, il passo del Pitone e scende sino al monte Carchio, prosegue per il monte Belvedere e poi, passando per la località Tombara, arriva ai limiti del castello Malaspina per scende nella pianura alluvionale. A nord ovest, il limite del bacino è dato dai crinali che vanno dal Monte Sagro al Vergheto al monte Tamburone, attraversa il bacino marmifero di Gioia e Rocchetta, sale sino alla vetta del Monte Brugiana e ridiscende verso valle lambendo a sud il paese di Mirteto. L’orientamento del bacino è NE-SW, circa perpendicolare all’asse della catena Apuana, l’estensione del bacino è di circa 62 km2.

L’individuazione della reale estensione del bacino idrogeologico del fiume Frigido è estremamente complicata, sia per la complessità geologica dell’area sia per l’estesa ed articolata rete di grotte e canali carsici che si sviluppano al di sotto dei complessi cartonatici delle Apuane. Dall’analisi dei dati di letteratura, risulta la presenza di incertezze sui percorsi carsici effettuati dalle acque di infiltrazione e sui lunghi tempi di corrivazione osservati in rapporto tra piogge e sorgenti in ambiente carsico. I lunghi tempi di corrivazione rendono limitato il

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“pericolo” che elevate quantità di acque sotterranee provenienti da aree esterne al bacino idrografico vadano ad incrementare i picchi di piena del fiume Frigido.

Figura 21 – Massa dal Monte Brugiana

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Il fiume Frigido, secondo i dati pubblicati negli Annali dell’Ufficio Idrografico, porta un quantitativo d’acqua maggiore all’acqua che cade nel suo bacino imbrifero; la spiegazione di tali dati sta nella maggiore estensione del bacino idrogeologico del Frigido rispetto al bacino idrografico. Infatti il bacino idrografico è stato stimato in 46,7 km2 (chiusura Canevara), mentre il bacino

idrogeologico ha un’estensione di circa 72,9 km2.

Figura 24 – Il massiccio delle Alpi Apuane

Il bacino idrogeologico del Frigido è conseguenza della stratigrafia delle Alpi Apuane. Per conoscere l’andamento della circolazione idrica all’interno delle fratture e delle cavità carsiche è fondamentale, per l’individuazione delle unità idrogeologiche, conoscere ed analizzare la storia geologica e l’aspetto

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Frigido rientrano nel Complesso Metamorfico Apuano, ad esclusione della parte sud-occidentale dove affiorano i termini dell’Unità di Massa, sopra a queste due unità si trova la Falda Toscana che affiora ai margini del complesso montuoso.

Le Alpi Apuane costituiscono un caratteristico gruppo montuoso della Toscana del nord e, seppur facenti parte dell’Appennino Settentrionale, presentano caratteristiche geografiche e geologiche ben distinte. La catena si allunga in dierezione NW-SE per una lunghezza di circa 50 km. La vetta più alta è quella del M. Pisanino che sfiora i 2000 metri, seguito da creste secondarie. Il versante marittimo presenta una serie di bacini idrografici che sfociano direttamente nella pianura costiera versiliese, i principali sono il Torrente Frigido, Carrione, Vezza e il Fosso di Camaiore.

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Le Alpi Apuane sono un’importante finestra tettonica in cui affiorano le unità tettoniche strutturalmente più profonde di tutto il settore settentrionale della catena appenninica.

L’individuazione dei limiti del bacino idrogeologico del Fiume Frigido richiede la definizione del grado di permeabilità delle varie formazioni geologiche; una classificazione può essere effettuata con l’individuazione di quattro classi di permeabilità.

I classe: Rocce ad alta permeabilità per fessurazione e carsismo. Grezzoni (gr) e Marmi (m), dell'Unità Apuana. Calcare Cavernoso e Brecce Poligeniche (cv) e Calcare Massiccio (cm), della Falda Toscana.

II classe: Rocce a media permeabilità per fessurazione e limitate cavità carsiche. Calcari Selciferi (cs), Calcescisti (esc) e Calcari Selciferi ad Entrochi (csE), dell'Unità Apuana. Marmi a Crinoidi (mC) dell'Unità di Massa. Calcari e Marne a Rhaetavicula contorta (cR) e Calcari ad Angulati (cA), della Falda Toscana.

III classe: Rocce a bassa permeabilità per fratturazione. Formazione di Vinca (fV), Brecce di Seravezza (br), Diaspri (d), Cipollini (cp), Calcari a Nummulitì (scN) e Pseudomacigno (prng), dell'Unità Apuana. Brecce marmoree (brm) dell'Unità di Massa. Rosso Ammonitico (crA) e Macigno (mg), della Falda Toscana.

IV classe: Rocce praticamente impermeabili. Filladi Inferiori (fl), Porfiroidi e Scisti Porfirici (pf) e Scisti Sericitici (se), dell'Unità Apuana. Filladi Inferiori (fi') e

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Filladi Superiori (fs) dell'Unità di Massa. Scaglia Toscana (st) della Falda Toscana.

Nella prima classe sono presenti le formazioni ad alta permeabilità per fessurazione e carsismo come i Grezzoni ed i Marmi, anche se la loro differente composizione fa sì che questi ultimi abbiano una permeabilità maggiore in quanto più solubili, ma l’elevato grado di fratturazione dei Grezzoni è tale che si equilibri il grado di permeabilità, cosicché il carsismo di sottosuolo risulta ben sviluppato in entrambe le formazioni. Lo stesso vale per il Calcare Cavernoso e il Calcare Massiccio.

La seconda classe comprende rocce meno carsificate a causa della componente silicea dei calcari (Calcari Selciferi, Calcescisti, ecc.), ma l’elevato grado di fratturazione e la presenza di cavità di dissoluzione, pur piccole che siano, fanno sì che le rocce siano discretamente permeabili. Infine le rimanenti due classi, dato il minor grado di fratturazione e la predominanza di formazioni argillose, presentano una permeabilità bassa o nulla.

Il bacino del Frigido drena tre diversi acquiferi attraverso altrettante sorgenti. Il primo acquifero è compreso fra la sinclinale di Carrara e le strutture minori associate, le sue acque alimentano la sorgente del Cartaro ed altre poste nel bacino del Carrione. Un acquifero più vasto è quello che alimenta la sorgente di Forno e comprende l’anticlinale del Monte Sumbra e la sinclinale di Orto di Donna. Un terzo acquifero carsico è localizzato al nucleo della sinclinale del

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Monte Altissimo, separato dal precedente dal Canale di Renara e non da barriere idrogeologiche. Infine è stato individuato un piccolo acquifero costituito dal nucleo carbonatico della piccola sinclinale del Monte Carchio, che alimenta la sorgente di Altagnana. L’acquifero carsico principale all’interno del bacino del fiume Frigido può essere individuato nella successione dei Grezzoni-Marmi limitato in basso da Filladi e Porfiroidi impermeabili.

Figura 26 - Il Monte Altissimo

Nel bacino del Frigido e nelle aree limitrofe sono presenti più di 300 grotte, molte delle quali sono in collegamento idraulico. Difatti le sorgenti presenti

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all’interno del bacino del Frigido sono alimentate anche dalle acque provenienti da bacini contigui.

Le sorgenti che alimentano il Frigido sono la sorgente di Forno, quella del Cartaro e di Renara che globalmente hanno una portata di 2100 litri al secondo, pari al 95% della portata globale delle sorgenti. Tali sorgenti sono tutte nei pressi del contatto Grezzoni-basamento.

Figura 27 - Il Fiume Frigido nell'abitato di Forno

La sorgente di Forno, conosciuta anche come Sorgente del Frigido in quanto nasce dal fiume stesso, è la maggiore sorgente carsica delle Apuane.

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Attualmente l’acqua di questa sorgente viene captata parzialmente per alimentare l’abitato di Forno. La sorgente presenta un troppo pieno a circa 500 metri a monte del canale principale, da cui in piena fuoriesce una cascata. L’area di alimentazione comprende la parte settentrionale del massiccio delle Alpi Apuane (35 km2), dove affiorano rocce carbonatiche interessate da

fenomeni carsici molto sviluppati sia in superficie che in profondità. Il vasto acquifero carsico è costituito dalle rocce carbonatiche racchiuse tra l’anticlinale di Vinca, il nucleo impermeabile che divide l’idrostruttura del Frigido da quella del bacino di Carrara e la sinclinale del Fiocca. Nei pressi della vetta del monte Tambura, si apre l’Abisso di P. Roversi, le acque che circolano in questa grotta emergono dopo 56 ore alla Sorgente di Forno.

All’interno del perimetro geografico del bacino idrografico del Frigido, la cavità di maggior interesse idrogeologico è la Buca del Piantone o Abisso della Tambura, in quanto nelle parti più profonde di questa grotta scorre un grosso collettore con portata media di 100 l/s che alimenta la Sorgente di Forno.

La Sorgente di Cartaro sgorga da una quota di 205 m s.l.m. in un canale che scende a destra del paese di Canevara. Tale sorgente è ad oggi la principale fonte di approvvigionamento della città di Massa. La captazione delle acque avviene mediante brevi gallerie artificiali. L’alimentazione della sorgente del Cartaro avviene mediante le acque che attraversano un sistema di gallerie freatiche della Buca di Fonte Luccica, la velocità di scorrimento rilevata è di circa 30 m/h.

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La Sorgente di Renara è caratterizzata da una serie di emergenze sepolte dai detriti che vanno a riempire il canale. L’emergenza maggiore rappresenta lo sbocco del torrente che fuoriesce dalla vicina Buca del Rocciolo; tale collettore sotterraneo contribuisce alla quasi totalità della portata del canale di Renara. Inoltre nelle vicinanze è presente la Buca di Renara che rappresenta un troppo pieno della sorgente. Alla sorgente di Renara arrivano le acque provenienti dal torrente (la portata oscilla fra 30-100 l/s) presente nella parte finale della Buca di M. Pelato nella zona del M.Altissimo. La sorgente La Polla nel bacino della Vezza è posta nella parte meridionale del M. Altissimo, poco sopra il contatto con i Grezzoni-Porfiroidi. L’area di alimentazione della sorgente comprende parte del M. Altissimo ed è quindi in continuità con quella della Sorgente di Renara nel bacino del Frigido, infatti l’acquifero racchiuso nella sinclinale del M. Altissimo è la continuazione meridionale della struttura di Orto di Donna che alimenta la Sorgente di Renara e la Polla dell’Altissimo.

Nella tabella sottostante sono riportati valori della portata media annua delle diverse sorgenti del Fiume Frigido.

Sorgenti Portata media annua

Sorgente di Forno 1500 l/s

Sorgente di Cartaro 400 l/s

Sorgente di Renara 157 l/s

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Per la determinazione delle portate di massima piena per tempi di ritorno duecentennali e trentennali, il bacino idrogeologico del fiume Frigido non influisce sulle portate di piena, in quanto come sopra descritto, i tempi che intercorrono tra la filtrazione dell’acqua nel terreno e la risorgiva alla sorgente sono generalmente superiori al giorno, per cui le acque drenate dal bacino idrogeologico non concorrono a incrementare l’onda di piena.

2.2.1 Il trasporto solido

La tipologia dei corsi d’acqua che drenano dalle Apuane è molto uniforme, ovvero aste idriche di breve lunghezza interessate da elevata pendenza sia dei rami principali e secondari che del bacino stesso. Altro fattore caratteristico dei corsi d’acqua è la intensa antropizzazione che si sviluppa in conseguenza delle attività estrattive.

La produzione di materiale incoerente, movimentato dai processi di erosione-trasporto-deposizione non avviene infatti per azione naturale delle condizioni climatiche, se non per una percentuale limitata, ma è il risultato di una attività antropica, legata alla lavorazione di cava, con conseguente produzione di materiale di scarto di varia granulometria.

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Figura 28 – Scarti di materiale di cava (ravaneto)

La dinamica d’alveo, per quanto riguarda gli elementi di maggiori dimensioni, diametro maggiore di 30 cm, risulta limitata ad eventi di piena importanti e circoscritta a brevi tratti fluviali, mentre la frazione fine (ghiaie, sabbie, limi e argille ) raggiunge le aree di pianura dove, in conseguenza della riduzione della pendenza dell’alveo, dà luogo a depositi distribuiti con una certa continuità nel tempo, anche se con picchi in corrispondenza delle piene maggiori .

Il trasporto solido è quindi alimentato principalmente dalla asportazione dei materiali di scarto derivanti dalla vagliatura dei detriti e solo occasionalmente dai materiali derivanti dalla mobilitazione delle coltri di copertura del substrato roccioso e dalla mobilitazione dei detriti di maggiori dimensioni presenti nel bacino.

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Il problema non è quindi rappresentato dalla valutazione quantitativa del trasporto solido naturale del torrente ma, piuttosto, dalla necessità di realizzare sia interventi di sistemazione delle aree estrattive tali da impedire la mobilizzazione dei depositi di materiali antropici, ed in particolar modo della loro frazione più fine, che interventi di stabilizzazione delle coltri di copertura dei versanti.

Nelle sistemazioni dei corsi d'acqua montani, i fenomeni legati al trasporto di materiale solido da parte delle correnti esercitano un'importanza fondamentale. Con la denominazione di “trasporto solido”, si fa normalmente riferimento al trasporto di materiale litoide. Si ritiene opportuno ricordare che, oltre al materiale litoide, possono essere trasportati dalla corrente anche materiali vegetali galleggianti, a seguito dello sradicamento di arbusti e di tronchi d'albero da parte delle acque; la presenza di tali materiali può avere conseguenze notevoli.

Il trasporto di materiale vegetale flottante (trasporto per fluitazione) può essere, infatti, causa di ostruzioni parziali o totali delle luci di ponti o di altri manufatti sporgenti in alveo. Da ciò può derivare un rialzamento del profilo del pelo libero a monte dell' ostruzione per effetto di rigurgito, che può determinare esondazioni delle portate di piena e compromettere anche l'integrità del manufatto. Per effetto della formazione della barriera, quest'ultimo si trova infatti ad essere sottoposto a sollecitazioni anomale che ne possono determinare il crollo per sfondamento; d'altro canto, a seguito del rialzamento del pelo libero a

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monte del manufatto, si può verificare l'aggiramento o lo scavalcamento dello stesso da parte della corrente, eventualità che ne possono determinare lo scalzamento delle fondazioni ed il crollo. È poi da valutare attentamente l'eventualità che, a causa del formarsi di tali ostruzioni, si determinino incrementi anche notevoli delle portate di piena a valle, dovuti ad effetti di tipo impulsivo; a monte delle barriere si può infatti determinare la formazione di invasi temporanei anche cospicui, con conseguenti repentini rilasci di portata a valle, a seguito dello sfondamento delle barriere stesse, del crollo del manufatto o del suo aggiramento.

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E' stato riconosciuto che la presenza di materiale vegetale flottante ha esercitato un ruolo nefasto in alcune fra le più catastrofiche alluvioni che hanno recentemente interessato varie zone del nostro Paese (ad esempio, l'alluvione del Piemonte meridionale del novembre 1994 e, per altri versi, quella dell'alta Versilia del giugno 1996). La mancanza di appropriati interventi di sistemazione idraulico-forestale dei versanti e di manutenzione periodica degli alvei fluviali, al fine di preservarne la conduttanza idraulica attraverso il controllo della crescita della vegetazione e l'eliminazione delle quantità in eccesso, sembrano al giorno d'oggi costituire fattori di rischio non sufficientemente considerati per molti corsi d'acqua italiani.

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Tornando al trasporto di materiale litoide, il meccanismo cui normalmente si fa riferimento quando si analizza il trasporto solido negli alvei torrentizi e fluviali è quello del trasporto del singolo granulo di materiale litoide (trasporto isolato). In questa prima modalità di trasporto, che è di gran lunga la più frequente, il singolo elemento litoide si muove trasportato dalla corrente liquida in maniera essenzialmente indipendente dalla presenza degli altri elementi, con i quali peraltro può venire saltuariamente a contatto e che pertanto possono, ma solo occasionalmente, condizionare il suo movimento. Una seconda modalità di trasporto, meno frequente ma ben più temibile per le sue conseguenze spesso catastrofiche, è quella del cosiddetto trasporto di massa; i fenomeni che ricadono in tale ambito vengono solitamente indicati sotto la denominazione di “debris flows “(colate detritiche). Il bacino del fiume Frigido è interessato nelle località Cerignano e Renara da eventi di movimentazione di massa riconducibili ai debris flows.

Gli interventi individuati dall’Amministrazione per ridurre il rischio di fenomeni di debris flows, che interessa l’alveo del Frigido nel tratto montano, seguono principalmente due strade: da un lato interventi intesi a ridurre il volume di materiale depositato e potenzialmente mobilitabile, dall’altro la realizzazione di opere trasversali come briglie, dissuasori, rimodellazione dei profili, ecc.

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2.2.2 Misure di mitigazione

Si riportano di seguito le principali misure di mitigazione da realizzarsi per la messa in sicurezza del fiume Frigido:

- allungamento e riprofilatura dello sbocco a mare; - ricostruzione del ponte di Via mascagni;

- rimodellamento e riprofilatura del fondo alveo e adeguamento argini nel tratto vallivo (tratto a monte della Foce per circa 1.2 Km);

- mantenimento della funzionalità delle briglie a monte del tracciato autostradale mediante asportazione periodica del materiale di sovralluvionamento;

- realizzazione della cassa di espansione in località Remola;

- adeguamento sezioni idrauliche e pulizia dell’alveo dal materiale di sovralluvionamento nel tratto a valle dell’abitato di Borgo del Ponte;

- pulizia (periodica) e ripristino delle briglie esistenti poste lungo l’asta idrica principale a monte dell’abitato di S. Lucia per tutta l’asta idrica;

- realizzazione di nuove briglie selettive a monte dell’abitato di Forno; - realizzazione di nuove briglie selettive a monte dell’abitato di Guadine

lungo il Torrente Renara;

- opere di difesa di sponda ed interventi di sistemazione idraulico forestale nelle aree di Biforco, Renara e Madielle.

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Figura 31 – Briglia idraulica

Dall’analisi dei vari interventi individuati dall’Amministrazione comunale, nella persona dell’ingegner Bontempi a cura del geologo Ceccarelli e del geologo Niccoli, coadiuvati dall’ingegner Pucci, appare evidente come le zone più a rischio siano localizzate nella zona montana e nella zona marina del Comune di Massa. E’ importante sottolineare come l’alveo del Fiume Frigido adiacente il centro cittadino debba essere interessato esclusivamente da opere di pulizia delle sezioni idrauliche che conducano ad un adeguamento delle stesse. Inoltre, come più volte sottolineato nella relazione tecnica dai Professionisti sopra citati, è indispensabile, per l’efficacia degli interventi, la previsione di una manutenzione programmata.

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2.3 La vegetazione

La copertura vegetale del Comune presenta due situazioni nettamente distinte: mentre la zona di pianura e quella rivierasca hanno subito nei secoli, in particolare nella seconda metà del novecento, un’intensa attività di disboscamento che ha portato ad una situazione di povertà di vegetazione, la situazione della collina e della montagna presenta ancora una realtà boschiva apprezzabile. Infatti circa i due terzi della superficie del territorio comunale è tuttora coperta di boschi e soggetta a vincolo paesaggistico ed idrogeologico. Le principali forme di copertura vegetale sono le seguenti:

- Querceto–carpineto. Occupa una vasta area a monte dei paesi di Forno e Casania lungo i terreni calcarei, da quota 400 m sino a 1400 m, nei versanti del Monte Contrario, del Monte Tambura e del Monte Sella. La specie arborea dominante è il carpino nero, frequente anche la presenza della roverella. Altre zone di tale copertura, meno estese, sono riscontrabili sul Monte di Antona e al confine con il Comune di Montignoso.

- Cerro. Il cerro è presente in forma non molto intensiva lungo i versanti del Canale Regollo.

- Castagneto. I castagneti ricoprono una vasta area che raggiunge circa i 1000 m di altitudine soprattutto nei versanti situati attorno ai paesi di Pariana, Altagnana, Antona e Monte Belvedere in sponda

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sinistra del Fiume Frigido. Un altro vasto bosco è quello di Vergheto in sponda destra, a monte del paese di Forno. Attualmente il bosco di castagno, non più coltivato, presenta evidenti sintomi di degrado. - Faggeta. Nel versante tirrenico delle Alpi Apuane le faggete sono

poco estese, nella zona di Massa alcune stazioni importanti sono presenti sui pendii del Monte Tambura e del Monte Sella, fra i 1200 m e i 1400 m di altitudine.

- Pineta collinare. La pineta attualmente ricopre, fino 600-700 m di altitudine, ampia aree delle colline che sovrastano la pianura costiera: Monte Brugiana, Monte Pepe e le Colline del Candia. - Oliveto. Le colline calcaree sono in parte coltivate ad oliveti,

prodotti di un lavoro secolare che ha modellato i fianchi delle colline in piccoli terrazzamenti sostenuti sia da poggi erbosi sia da muretti a secco. In genere l’olivo ha occupato aree originariamente occupate dalla macchia mediterranea. Un tempo la coltura dell’olivo era molto diffusa anche nella zona di pianura dove oggi persiste in lembi sparsi.

Complessivamente la copertura vegetale forestale del territorio massese vede una superficie totale di 3132 ettari.

La fascia costiera, prima del tornado del 1978, era caratterizzata da ampie zone a pineta e lecceta; oggi non rimangono che pochi residui di queste specie arboree ed aree nelle quali si sta tentendo il rimboschimento.

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Figura 32 - Pineta

2.4 Dati climatici

Il territorio massese è caratterizzato da un clima fortemente influenzato dalla ravvicianata presenza del mare e dalla barriera montana, carattestiche che rendono Massa una città particolare. Ne risulta un clima dolce con una costante, ma non eccessiva, ventilazione caratterizzata da quotidiane brezze e da venti generalmente provenienti da nord.

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Figura 33 - Le Alpi Apuane dal pontile di Marina di Massa

Il mese più freddo è gennaio, con temperature medie minime e massime rispettivamente di 4ºC e di 11,6ºC. I mesi più caldi sono luglio ed agosto con 18,9ºC e 28,4ºC. La temperatura massima rilevata è stata di 38,3ºC il 5 agosto 1981. Il territorio comunale, per quanto riguarda la radiazione solare media annua si trova nella fascia compresa tra i valori di 3,6 kW/m2 e 3,8

kW/m2 sul piano orizzontale e circa 4 kW/m2 sul piano inclinato.

Nella zona costiera le brezze spirano al mattino da sud-est per ruotare, successivamente, verso sud. Durante la notte il flusso spira da est.

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2.5 Risorse idriche

Le risorse idriche rappresentano una ricchezza abbondante per il comprensorio del Comune di Massa.

Il Fiume Frigido è la maggior asta fluviale di una vasta rete di torrenti e canali che percorrono il territorio comunale. Numerose sono le sorgenti naturali, alcune delle quali dotate di acque oligominerali di eccellente qualità, oggetto di imbottigliamento e commercializzazione.

Questa abbondanza si riflette, in pianura, in un acquifero di falda notevolissimo per ampiezza e capienza, alimentato soprattutto dal cono di deiezione del Frigido che rifornisce numerosi pozzi utlizzati anche per scopi industriali.

La vicinanza del mare e dei monti esercita nel territorio massese un’influenza determinante sull’andamento pluviometrico a causa dei fenomeni provocati dalle masse di aria umida che si sollevano per superare le Alpi Apuane. Per questo motivo, le precipitazioni aumentano sensibilmente procedendo verso le zone interne montuose. Il massimo di piovosità si raggiunge nei mesi autunnali, il minimo nei mesi estivi. L’evento piovoso massimo ha registrato un livello di 148,4 mm.

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Precipitazioni [mm] Anno Mese 2002 2001 2000 1999 1998 1997 1996 Gen 27,0 170,0 27,6 94,5 141,5 150,4 168,4 Feb 105,3 69,0 19,0 67,3 17,4 36,5 167,7 Mar 14,0 253,2 84,9 79,8 43,4 22,5 48,0 Apr 75,0 61,0 101,0 142,3 161,9 65,0 222,6 Mag 76,0 69,0 24,3 51,3 21,4 27,2 110,9 Giu 113,5 27,8 50,2 28,2 25,3 108,4 189,6 Lug 86,5 46,5 31,1 26,4 0,2 26,0 15,4 Ago 159,0 3,0 32,8 109,7 7,9 50,0 165,2 Set 265,0 122,5 82,5 182,0 191,0 96,0 135,2 Ott 112,5 141,0 297,6 257,9 182,1 48,9 190,9 Nov 203,5 139,5 320,2 164,1 63,5 217,2 236,5 Dic 219,5 33,8 137,0 185,4 39,4 182,0 240,3 Totale 1456,8 1136,3 1208,2 1388,9 895,0 1030,1 1890,7

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2.6 Il rischio sismico

L’involucro più superficiale e rigido della Terra, la litosfera, di spessore medio variabile tra 65 km negli oceani e 130 km circa nelle aree continentali, è suddiviso in porzioni, le cosiddette placche, che “galleggiano” sulle sottostante astenosfera, dal comportamento visco-plastico, assimilabile a quello di un magma. Questo, in virtù di moti convettivi, induce lungo i bordi delle sovrastanti placche continui movimenti diffrenziali. Questi moti tra le placche hanno determinato nel corso delle Ere geologiche la nascita e l’evoluzione delgi oceani, la genesi delle catene montuose, la formazione dei continenti e la loro disgregazione. I moti relativi tra le placche generano enormi tensioni nelle rocce che tendono a deformarsi. La parte più superficiale, a temperatura più bassa, della litosfera (la crosta superiore, spessa mediamente 15-20 km in Italia) è caratterizzata da un comportamento di tipo fragile, per cui tende a fratturarsi in blocchi che scorrono reciprocamente lungo piani di taglio, le faglie, quando viene superato il limite elastico.

Fratturazioni e scorrimenti non avvengono in modo continuo, ma a scatti, quando vengono raggiunti i limiti di resistenza della roccia. In questi scatti parte dell’energia accumulata viene liberata sotto forma di energia cinetica, onde sismiche, che si propagano anche a grandi distanze, determinando in prosimità della supericie terrestre uno scuotimento noto comunemente come

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terremoto. La sottostante porzione di crosta ha invece un comportamento essenzialmente duttile, pertanto reagisce alle tensioni in maniera plastica.

La sismicità costituisce una sorgente di pericolosità naturale che, associata all’elevata vulnerabilità del territorio, dovuta alla massiccia presenza di insediamenti umani e delle relative infrastrutture, determina un elevato livello di rischio.

Gli eventi di magnitudo elevata, di cui si ha notizia in epoca storica o in tempi geologicamente recenti sono numerosissimi. Sono questi, ovvero le faglie che li hanno generati, a destare la maggiore preoccupazione, dal momento che la probabilità che le stesse strutture tettoniche possano riattivarsi è elevata. Le metodologie di indagine per mezzo delle quali è possibile risalire agli eventi recenti sono moltepici. Le notizie storiche raccolte, come le testimonianze dei testi classici e le più recenti cronache, hanno permesso di catalogare un grande numero di terremoti di intensità tale da essere stati annotati dagli autori del tempo. Gli studi geologici, geomorfologici e paleosismologici delle lacerazioni del terreno indotte in superficie e nel sottosuolo da eventi sismici recenti permettono, attraverso l’ananlisi dei rigetti e dei terreni contrapposti, dei rapporti con superfici di erosione, dei corpi sedimentari ed di altri elementi strutturali che dissecano o saturano le faglie, di attribuire loro un’età relativa ed in qualche caso di associarle ad un evento sismico noto. Le rilevazioni strumentali consentono infine di monitorare costantemente il territorio.

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I cataloghi storici disponibili in Italia, compilati sintetizzando tutte le notizie relative ad eventi sismici dall’epoca Romana ad oggi, suggeriscono che effetti dannosi dovuti ai terremoti si possono riscontrare in gran parte del territorio italiano. Allo stato attuale le regioni a maggiore pericolosità sismica si individuano nelle Alpi Orientali, lungo tutta la catena appenninica, la Calabria e la Sicilia orientale.

Terremoti recentissimi come quello dell’Irpinia del 1980, caratterizzato da un’elevata magnitudo, hanno evidenziato la non conformità di gran parte delle costruzioni italiane ai criteri antisismici solo recentemente introdotti nella legislazione nazionale. Proprio per questo motivo eventi sismici anche di modesta entità in termini di magnitudo possono provocare danni considerevoli a cose e persone, come purtroppo tragicamente confermato dal terremoto del Molise del 2002. Strumento indispensabile per la corretta definizione del livello di pericolosità sismica è la sistematica investigazione e catalogazione degli “elementi” generanti i terremoti, in particolare delle faglie attive, che deve servire di base per la verifica degli edifici già in essere e per la pianificazione territoriale.

L’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 marzo 2003 n.3274, modificata dall’OPCM del 3 maggio 2005 n.3431 e successivamente integrata dall’OPCM del 28 aprile 2006 n.3519, ha approvato i criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni di nuova edificazione ed esistenti in zona sismica e, con

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essi, la nuova riclassificazione secondo le indicazioni del Gruppo di Lavoro del Dipartimento della Protezione Civile del 1998. Con il trasferimento di alcune competenze dallo Stato alle Regioni ed Enti Locali (in applicazione dell’art. 94, comma 2, lettera a) del Decreto Legislativo del 31 marzo 1998 n.112) l’individuazione delle zone sismiche, la formazione e l’aggiornamento degli elenchi nelle medesime zone è compito delle Regioni. Restano a carico dello Stato (ai sensi dell’art. 93, comma 1, lettera g) del citato Decreto 112/98) ed in particolare del Dipartimento della Protezione Civile, la definizione dei criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche e delle norme tecniche per le costruzioni nelle medesime zone, sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni.

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La Giunta Regionale della Regione Toscana, con delibera n. 604 del 16 giugno 2003, in prima applicazione dell’Ordinanza, ha preso atto della classificazione proposta. La Commissione Grandi Rischi – Sezione Rischio Sismico ha approvato, il 6 aprile 2004, la mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale elaborata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ai sensi dell’OPCM 3274/2003. La Giunta Regionale con propria delibera n. 431 del 19 giugno 2006 ha approvato la nuova riclassificazione sismica del territorio.

Nella definizione dell’azione sismica, ai sensi dell’OPCM 3274/2003 come modificata dall’OPCM 3431/2005, vengono definite cinque categorie di profili stratigrafici del suolo di fondazione e il territorio nazionale viene suddiviso in zone sismiche, ciascuna contrassegnata da un diverso valore del parametro ag (accelerazione orizzontale massima su suolo omogeneo) con probabilità

di superamento del 10% in cinquant’anni. I valori di ag, espressi come

frazione dell’accelerazione di gravità g.

Il territorio del Comune di Massa cade in zona 2 di pericolosità sismica.

2.7 Urbanizzazione

L’evoluzione storica del territorio del Comune di Massa si è andata concentrando sino in tempi recenti essenzialmente nell’area pianeggiante

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lungo la fascia costiera. L’edificato più recente ha occupato, nella forma del tessuto urbano discontinuo, un’ampia superficie che congiunge il centro storico alla linea di costa.

Dopo un lungo periodo caratterizzato da una configurazione urbana e territoriale sostanzialmente immutata, il territorio massese è stato investito, intorno alla metà del XIX secolo, da un processo di sviluppo insediativo abbastanza significativo, legato alle attività di estrazione e lavorazione del marmo. La città è ancora limitata dal perimetro delle mura cinquecentesche e vi rimarrà fino alla fine dello stesso secolo. Nel territorio extraurbano di collina, segnato da una fitta rete viaria, prevale il tessuto agricolo con modesti insediamenti lungo le arterie principali.

Come altrove in Toscana, la costruzione della ferrovia, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, rappresenta l’evento che provoca il processo di crescita verso l’attuale configurazione. La stazione diventa un polo di importanza strategica sul quale si innestano nuove strutture viarie funzionali, tra le altre, al trasporto del marmo verso la ferrovia. La nuova viabilità diventa il canale preferenziale per lo sviluppo edilizio caratterizzato dalla tipologia del villino su tre livelli.

I primi anni del XX secolo vedono svilupparsi il nuovo insediamento alla Marina, sia per motivi commerciali legati al marmo che per la diffusione del prototurismo balneare. Determinante è il collegamento della Marina al centro, con il prolungamento della tramvia. La tipologia edilizia più frequente è la villa

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signorile al mare. Sorgono in questo periodo anche le prime colonie, che negli anni Trenta raggiungeranno un definitivo sviluppo per la politica fascista.

Il periodo tra le due guerre rappresenta una fase ricca di trasformazioni. Dopo lo sviluppo della rete viaria, tra cui il viale lungomare che avvia di fatto la dorsale infrastrutturale di collegamento lungo la linea costiera insieme al tracciato della via Aurelia, nascono numerosi edifici pubblici in fregio alla viabilità. Una delle trasformazione più significative è, senza dubbio, l’istituzione della Zona Industriale Apuana (ZIA) da cui derivano ammodernamenti alle infrastrutture di collegamento.

Gli anni Quaranta vedono il primo piano regolatore della città. Le più importanti trasformazioni del tessuto edilizio riguardano l’assetto della ZIA e la localizzazione delle case economiche e popolari distribuite a raggiera intorno alla stessa. Tali insediamenti abitativi determinano un primo sgretolamento del tessuto urbano che fino ad allora si era mantenuto compatto.

Dal dopoguerra ad oggi la struttura insediativa si è notevolmente ampliata anche attraverso la progressiva antropizzazione della fascia litoranea, dovuta in particolare al turismo di massa. Sono ora individuabili cinque aree strutturali: la fascia costiera, la zona industriale, l’area agricola urbanizzata, il centro abitato e la zona montana. A Marina di Massa tra il 1946 ed il 1981 vengono realizzate più di un terzo delle abitazioni presenti attualmente,

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profilando una futura saldatura tra la Marina e la Città. Sempre nello stesso periodo anche il centro città si espande a macchia d’olio.

L’area agricola è caratterizzata da una fitta maglia viaria e da un insediamento di abitazioni che le fanno perdere il carattere propriamente agricolo per farle assumere quello di una campagna urbanizzata che attribuisce a Massa il tipico carattere della città diffusa. Il sistema delle infrastrutture viarie si articola essenzialmente sull’asse ferroviario, la statale Aurelia, il viale a mare e l’autostrada Genova-Livorno. Le strade per la frazioni montane continuano ad essere il collegamento verso la zona delle cave di marmo.

2.8 La pianificazione territoriale

Il piano strutturale viene introdotto per la prima volta dalla legge regionale toscana n. 5 del 16 gennaio 1995, nel quadro di un profondo rinnovamento dei riferimenti istituzionali, delle procedure e degli strumenti della pianificazione territoriale ed urbanistica.

Il piano strutturale (PS) costituisce l'insieme coerente dei principi da rispettare e degli obiettivi strategici da conseguire nell'azione di conservazione/trasformazione del territorio di cui si dota un comune, in coerenza con gli indirizzi di livello provinciale (PTCP) e regionale (PIT) nonché

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dei princìpi generali espressi dalla legge stessa in materia di utilizzo delle risorse naturali ed essenziali. Questi ultimi vengono sintetizzati nel principio dello "sviluppo sostenibile" che deve essere assunto da tutti i livelli di pianificazione, vale a dire dello sviluppo che non determina apprezzabili consumi di risorse non rinnovabili. Esso viene approvato pertanto mediante un’intesa tra i tre livelli istituzionali, che la legge non immagina più fondata su rapporti gerarchici, bensì di collaborazione e di sussidiarietà nel rispetto dei princìpi di responsabilità e competenza.

I contenuti del PS sono indicati all'art. 24 della legge, secondo cui “il piano strutturale definisce le indicazioni strategiche per il governo del territorio comunale, quali discendono dal P.T.C. provinciale, integrati con gli indirizzi di sviluppo espressi dalla comunità locale”.

2.8.1 Il Piano di Indirizzo Territoriale

La Regione Toscana ha approvato il Piano di Indirizzo Territoriale con delibera del Consiglio Regionale n.72 del 24 luglio 2007, pubblicata sul BURT n.42 del 17 ottobre 2007. Il PIT individua gli obiettivi strategici delle politiche di pianificazione territoriale ed identifica, ai fini delle strategie generali per lo sviluppo sostenibile quattro sistemi di programma tra i quali,

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quello che interessa il Comune di Massa, è il “sistema territoriale della costa e dell’arcipelago”.

Uno degli obiettivi generali è consolidare e rafforzare i processi di valorizzazione delle risorse naturali del paesaggio e degli insediamenti rurali, presenti nella realtà rurale toscana, finalizzati ad uno sviluppo sostenibile e relazionati alle varie realtà locali. Sono considerate invarianti strutturali le funzioni necessarie ad assicurare la salvaguardia delle risorse naturali e la loro riproducibilità, la conservazione attiva, la tutela della memoria collettiva e di testimonianza culturale degli elementi che costituiscono il paesaggio, la simbiosi con caratteri di tutela paessagistico-ambientale del territorio.

2.8.2 Il Piano Territoriale di Coordinamento

La Legge Regionale 1/05, che meglio specifica i nuovi strumenti di pianificazione territoriale introdotti dalla Legge Regionale 5/95, prevede per le Province il compito della programmazione di area vasta, attraverso il Piano Territoriale di Coordinamento con il quale esercitano un ruolo di coordinamento programmatico e di raccordo tra le politiche territoriali regionali e la pianificazione urbanistica comunale.

Il PTC definisce i principi circa l’uso del suolo e la tutela del territorio, indica gli obiettivi da perseguire nel governo del territorio, localizza gli

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interventi di competenza provinciale e regionale, individua i siti paesaggistici in osservanza al D.lgs. n.42/2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”.

La Provincia di Massa Carrara ha approvato il primo PTC con delibera del Consiglio Provinciale n.75 del 29 giugno 1999. La successiva approvazione del PIT ha obbligato la Provincia a conformare il proprio strumento alle prescrizioni di quest’ultimo con un’apposita variante adottata con atto del Consiglio Provinciale n.47°/2003 del 16 ottobre 2003 e definitivamente approvata con deliberazione del Consiglio Provinciale n.9 del 13 maggio 2005.

Le previsioni e gli indirizzi del PTC costituiscono il riferimento esclusivo per la formazione e l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali, unitamente alle leggi e alle norme, piani e programmi di settore provinciali e regionali.

2.8.3 Il Piano Strutturale

Il primo piano regolatore della città di Massa è stato il “Piano di Apuania” del 1941 che considerava anche il territorio di Carrara e Montignoso. Il Piano è stato elaborato con criteri di fondo sostanzialmente moderni e delinea lo sviluppo degli interventi sul territorio con una conformazione identificabile tutt’oggi in un centro ai piedi della zona collinare, una fascia costiera ed un

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collegamento secondo l’asse monti-mare. Il Piano è rimasto in vigore fino al 1972, portando a compimento però poco di quanto previsto. La realizzazione delle previsioni infrastrutturali è stata modesta e gli interventi concretizzati sono stati essenzialmente quelli edilizi privati.

La prima stesura del Piano elaborato dall’architetto Edoardo Detti risale al 1958 e conserva l’impostazione del Piano precedente, con uno sviluppo ai piedi della collina del nucleo abitativo centrale, un asse mare-monti attrezzato ed una fascia costiera. Dopo numerose polemiche ed alterne vicende, si arrivò all’approvazione nel 1972. Successivamente si resero necessarie numerose varianti parziali ed una variante generale approvata nel 1980 che portò ad una rivisitazione delle previsioni infrastrutturali, ad una riorganizzazione delle zone verdi, ad un ridimensionamento delle previsioni abitative e di conseguenza ad un ricalcolo degli standards urbanistici.

L’ultimo Piano Regolatore della città di Massa risale quindi al 1980. Nel frattempo è cambiato lo scenario normativo, poiché la Legge Regionale n.1 del 3 gennaio 2005 “Norme per il governo del territorio” costituisce il nuovo quadro normativo per gli enti territoriali per la formazione e gestione della strumentazione urbanistica e pianificatoria; il fine è quello di garantire lo sviluppo sostenibile delle attività pubbliche e private che incidono sul territorio medesimo. Lo strumento principale individuato dalla legge per perseguire tali obiettivi è il Piano Strutturale, in cui si individuano le risorse naturali ed essenziali presenti sul territorio, si definiscono i principi e le

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strategie per la loro salvaguardia, il loro svulippo e la loro possibile valorizzazione dettando indirizzi e prescrizioni operative per la regolazione urbanistica di dettaglio.

Figura 35 – Estratto relativo alla zona di progetto del Piano Regolatore Generale del Comune di Massa, modificato a seguito della approvazione della Regione Toscana con delibera della Giunta

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Attualmente la Giunta Comunale ha avviato il procedimento di formazione del Piano Strutturale con deliberazione n.12 del 22 dicembre 2006 e la fase di formazione è ancora in corso.

In questa fase è evidente come il tema dei parcheggi e la necessità di decongestione del centro cittadino dal traffico veicolare sia di grande attualità; molte sono le polemiche attorno alla vicenda e l’Amministrazione Comunale ha voluto aprire un forum di discussione sull’argomento, affinchè i cittadini stessi possano esprimere la propria opinione.

Figura

Figura 18 – La zona collinare in primo piano e, sullo sfondo, le Apuane
Figura 19 - Opere di protezione
Figura 20 - Duna costiera
Figura 22 – Il Monte Tambura
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