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Capitolo II L’isola di Pianosa e il sito di Cala Giovanna Piano

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Capitolo II

L’isola di Pianosa e il sito di Cala Giovanna Piano

Fig. 7. Carta topografica IGM 1:25000 (reticolo 1 km). Isola di Pianosa.

1. Aspetti geologici e geomorfologici

L’isola di Pianosa (Fig. 7) si trova a sud dell’estremo occidentale dell’Elba, in posizione centrale rispetto alle principali isole dell’Arcipelago Toscano e della Corsica.

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Come alcune altre isole dell’Arcipelago, è la parte emergente di una vasta dorsale sottomarina i cui estremi nord e sud sono rispettivamente Capraia e lo Scoglio d’Affrica. Questa vera e propria catena sottomarina è connessa alla Penisola italiana da un tratto più breve di dorsale ad andamento latitudinale, il cui tratto principale affiorante è l’isola d’Elba.

Questi due aspetti hanno influenzato la storia della presenza dell’uomo sull’Isola nell’antichità. Durante il Tardiglaciale il livello del mare ha subito un abbassamento di circa 130 m che ha creato un collegamento diretto tra Pianosa e il continente attraverso l’Isola d’Elba.

Dopo l’innalzamento che causò la definitiva separazione di Pianosa dal Continente, l’isola assunse un ruolo strategico per la navigazione e per gli scambi grazie alla sua posizione centrale nel medio Tirreno.

I termini più antichi delle formazioni pre-quaternarie dell’Isola risalgono al Miocene inferiore (Burdigaliano); tutta la successione è costituita da una ordinata sequenza di sedimenti marini, intercalati da fasi di emersione che sono all’origine di lacune databili al Miocene medio, al Pliocene inferiore e medio, e al Pleistocene inferiore e medio (COLANTONI, BORSETTI 1973; BOSCHIAN 2007; BOSCHIAN et al. 2007).

Il Miocene di Pianosa è stato distinto in due formazioni (BOSSIO et al. 2000): la Formazione di Marina del Marchese, di età burdigaliana, caratterizzata da uno spessore affiorante di circa 150 m e costituita prevalentemente da argille grigio-bluastre con scarsa componente grossolana; la Formazione di Golfo della Botte, di età Tortoniano superiore – Messiniano, contraddistinta da circa 300 m di depositi argillosi ricchi di intercalazioni sabbiose.

Gli affioramenti di queste formazioni sono limitati alla falesia della costa occidentale (Marina del Marchese – Golfo della Botte) ed a parte di quella meridionale (Cala della Ruta).

Su questa formazione poggia, in discordanza angolare e con assetto sub-orizzontale, la Formazione di Pianosa, di età pliocenica e costituita da circa 30 m

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di biocalcareniti ricche in fossili, in particolare Molluschi e Alghe (BOSCHIAN 2007).

L’assetto prevalentemente sub-orizzontale delle formazioni indicate, non disturbato da fatti tettonici rilevanti, conferisce all’isola la forma piatta che la caratterizza (la quota massima raggiunta è di 29 s.l.m, 32 m nel caso dell’Isolotto de La Scola).

La morfologia della parte interna dell’isola è determinata dalla litologia carbonatica delle rocce affioranti, ma le grandi forme carsiche sono quasi del tutto assenti (COLANTONI, BORSETTI 1973; BOSCHIAN 2007; BOSCHIAN et al. 2007). Al contrario, le grotte sono relativamente frequenti e si trovano spesso lungo la costa in corrispondenza delle falesie.

La morfologia delle coste è controllata, oltre che dalle litologie e dall’assetto strutturale, dai processi erosivi marini attuali e passati; in particolare, le variazioni del livello marino e i processi erosivi del Pleistocene superiore hanno lasciato evidenti tracce (BOSCHIAN 2007), come la formazione di falesie in diversi settori della costa e soprattutto spianate d’abrasione marina profonde.

Al di sopra di queste spianate si trovano i depositi quaternari dell’isola, costituiti prevalentemente da “panchine” contenenti abbondanti faune del Pleistocene superiore (COLANTONI, BORSETTI 1973; BOSCHIAN 2007; BOSCHIAN et al. 2007).

I depositi quaternari continentali sono costituiti da depositi del Pleistocene superiore e dell’Olocene. Quelli del Pleistocene superiore non interessano direttamente l’area di scavo di Cala Giovanna Piano, tuttavia possono essere di qualche interesse quali fonti di materia prima per la produzione ceramica (COLANTONI, BORSETTI 1973; BOSCHIAN 2007). In realtà le analisi mineralogico-petrografiche effettuate su frammenti ceramici rinvenuti nel sito di Cala Giovanna Piano hanno posto in evidenza la provenienza esterna all’Isola delle materie prime utilizzate (BOSCHIAN, GABRIELE 2007).

I depositi sono costituiti in genere da sedimenti argilloso-sabbiosi e suoli caratterizzati generalmente da colore giallastro oppure rosso e rosato che sono

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presenti lungo le coste e all’interno dell’isola. Successioni tipiche affiorano a Cala Giovanna, al Porto Romano e in numerosi altri punti della zona costiera.

I depositici olocenici sono costituiti prevalentemente da sabbie fresche contenenti grandi quantità di clasti carbonatici spesso costituiti da gusci di Molluschi marini frammentati finemente.

2. Storia delle ricerche

Le prime ricerche e scoperte paletnologiche sull’Isola risalgono alla seconda metà dell’Ottocento. Infatti le attività di ricerca ad opera di Raffaello Foresi e successivamente dell’abate Gaetano Chierici (FORESI 1867; CHIERICI 1875; GRIFONI 1966; DUCCI, PERAZZI 2002a) avevano portato alla luce siti in cavità naturali, come la Grotta di Cala Giovanna e la Grotta di Punta Secca, e in cavità artificiali come le “cavità artificiali di 3° tipo” altrimenti dette “grotticelle a forno con pozzetto” (DUCCI SANNA RANDACCIO 2001a; 2001b).

In particolare nella Grotta di Cala Giovanna il Foresi raccolse pochi materiali litici, tra cui una scheggia non ritoccata in diaspro rosso, e nel 1874 il Chierici vi condusse due campagne di scavo.

Durante gli scavi nella Grotta Giovanna (così indicata dal Chierici) furono rinvenuti tre focolari, resti di pasto (caprovini, maiale, bue, cervo) e materiali di epoche diverse. L’industria litica infatti, prevalentemente in selce, è a tutt’oggi attribuita al Paleolitico superiore mentre il materiale ceramico al Neolitico antico e all’Età dei Metalli (GRIFONI 1966; COLOMBO, GRIFONI CREMONESI 2007; DINI 2007).

Negli ultimi anni del Novecento, tra il 1987 e il 1990, nuove ricerche e prospezioni sull’Isola sono state riprese ad opera della Soprintendenza Archeologica della Toscana, le quali hanno mostrato l’esistenza di numerosi siti pre-protostorici (LA MORGIA, SPINELLI 1994; DUCCI, PERAZZI 2002a): nel 1988 in un riparo sottoroccia sull’Isolotto de La Scola è stato praticato un saggio di

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scavo e portato alla luce un insediamento del Neolitico antico con focolari e ceramica impressa cardiale (DUCCI, PERAZZI 1998; 2002b; DUCCI et al. 2000). Inoltre sull’Isolotto de La Scola sono state rinvenute testimonianze di frequentazioni successive: un frammento ceramico forse attribuibile alla Cultura di Ripoli, “mentre altri frammenti pertinenti a vasi globosi con collo” (DUCCI, PERAZZI 2002: 405) ed una sepoltura sono probabilmente relativi alla prima Età dei Metalli.

Successivamente, con l’avvio del Progetto Interreg II Toscana-Corsica, è stato effettuato un sopralluogo da parte di A. Pessina, quindi l’individuazione del sito di Cala Giovanna Piano. Nel 1998 l’Università di Pisa, in collaborazione con l’Università della Corsica, ha condotto una prima campagna di scavo. Dopo alcuni anni di interruzione le attività di ricerca sono riprese nel Maggio 2003 e proseguite periodicamente fino all’Ottobre 2006, nell’ambito del Progetto Interreg IIIA Corsica-Toscana-Sardegna.

3. Il sito di Pianosa-Cala Giovanna Piano

Il sito si trova nella costa orientale dell’Isola su una sella di modesta elevazione, in corso di erosione da parte dell’azione marina ed eolica, che congiunge l'estremo roccioso e nettamente più elevato del promontorio in cui si apre la Grotta Giovanna con la parte restante dell’Isola a circa 500 m a Sud-Est del paese attuale. L’area dove è ubicato il sito è compresa tra la Cala Giovanna (erroneamente indicata Cala S. Giovanni sulla Tavoletta I.G.M. F. 126 III SE “Pomonte-Isola di Pianosa”) a Sud, la Cala dei Turchi a Nord e l’Isolotto de La Scola ad Est (Fig. 8).

Durante le cinque campagne di scavo effettuate e dirette dal Prof. Carlo Tozzi, in collaborazione con l’Università della Corsica, è stato messo in luce un insediamento che l’analisi tipologica dei materiali rinvenuti, in particolare quello ceramico (BONATO et al. 2000a; CAPONI, RADI 2007), e le datazioni

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radiometriche effettuate su carboni con il metodo AMS (COLOMBO, TOZZI 2007), hanno permesso di inquadrare, culturalmente e cronologicamente, nel Neolitico antico e in particolare alla fase avanzata della Ceramica Impressa Cardiale e alla fase antica della Ceramica Lineare tosco-laziale.

Fig. 8. Foto panoramica dell’area di Cala Giovanna Piano; sullo sfondo l’Isolotto de La Scola.

3.1 L’area di scavo, la stratigrafia e la cronologia

L’area di scavo principale, a scavi ultimati (Ottobre 2006), risulta avere una forma grosso modo rettangolare, da cui si distaccano due prolungamenti sul lato est e uno sul lato ovest. La superficie complessiva risulta essere di circa 85 mq ed è compresa in una griglia di quadrati dalla lettera L ad U e dal numero 16 a 29 (Fig. 9).

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Fig. 9. Pianta generale dell’area di scavo (da COLOMBO, TOZZI 2007).

Sono stati inoltre effettuati quattro nuovi sondaggi esplorativi di un metro quadro l’uno, collocati uno a sud-est (Saggio 2), mentre gli altri a sud-ovest dell’area di scavo principale (saggi 3, 3a e 4).

A circa 50 m a nord dell’area principale, lungo il sentiero percorso per raggiungere il sito, è stata individuata una struttura di combustione isolata e sezionata dall’erosione (Fig. 10).

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Fig. 10. La struttura di combustione individuata all’esterno dell’area di scavo.

L’estensione attuale dell’insediamento è assai modesta e si stima in poco più di 300 mq: infatti verso nord essa termina circa due metri oltre il limite dello scavo, verso est il saggio 2 e il quadrato U 17 (area di scavo principale) sono risultati essere al limite della superficie abitata, che quindi non arriva alla base della falesia rocciosa; verso ovest sia i saggi 3, 3a, 4 sia il quadrato F 28 (area di scavo principale) hanno restituito solo poche tracce di frequentazione neolitica e sono risultati essere esterni all’area abitata.

Originariamente tuttavia la superficie del sito era sicuramente più ampia sia verso Sud che verso Nord anche se non molto estesa (BOSCHIAN 2007), come dimostra la già citata struttura di combustione presente a nord del sito. La risalita del livello marino da circa -8 m, al momento dell’insediamento, alla situazione attuale ha infatti determinato un sensibile restringimento dell’area occupata, unitamente all’azione di erosione marina ed eolica a cui è esposta l’area indagata (BOSCHIAN 2007).

Nell’area indagata il deposito archeologico ha uno spessore in media di circa 20 cm, che aumenta verso est fino a un massimo di 40 cm; è costituito da sabbie più o meno fini, che poggiano sul deposito sterile di base di natura sabbiosa

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(BOSCHIAN 2007). Il deposito archeologico si presentava sconvolto alla sommità per circa 10-15 cm, mentre alla base riempiva varie cavità e strutture di combustione neolitiche ed era attraversato da buche recenti e da sepolture di età classica, appartenenti a due individui adulti e un adolescente (Fig. 16) (CANCI et al. 2007).

Sono state inoltre individuate 20 buche quadrangolari disposte in 5 filari che hanno intaccato profondamente il livello preistorico e le sepolture dei due soggetti adulti; sono perciò posteriori alle inumazioni, ma non vi sono elementi per una datazione più precisa, anche se sono connesse con molta probabilità a un uso agricolo dell’area assai recente (COLOMBO, TOZZI 2007).

Nonostante lo spessore limitato e in alcune zone molto compattata (BOSCHIAN 2007), la sequenza stratigrafica presenta ovunque caratteristiche costanti che si possono così riassumere, dall’alto verso il basso:

– 10/15 cm di terreno sabbioso rimaneggiato, contenente abbondante materia organica non decomposta, grandi e piccole radici e materiali diversi per tipologia e databili dal Neolitico all’epoca moderna;

– 15/40 cm di sabbia limosa pedogenizzata, in cui sono numerosi i frammenti ceramici, l’industria litica e i resti di pasto, soprattutto patelle e altri molluschi marini e terrestri; in sezione appare un certo allineamento dei materiali più grossolani, che tuttavia non si riesce a seguire con sicurezza in fase di scavo;

– Il substrato sterile di natura sabbiosa debolmente concrezionato e di colore chiaro, in cui sono state scavate le strutture presenti nel sito;

La pedogenesi ha interessato tutto il deposito coinvolgendo anche il materiale archeologico. Infatti i resti ossei e le superfici della ceramica, con impasti di mediocre o cattiva qualità, sono spesso alterati o ricoperti da incrostazioni calcaree difficilmente asportabili. Nonostante l’abbondanza dei materiali rinvenuti, nel complesso non sembra che le attività antropiche nel sito siano state particolarmente intense o comunque tali da permettere un accumulo più consistente di sedimenti di origine antropica.

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L’analisi del complesso ceramico (CAPONI, RADI 2007; BONATO et al. 2000) ha permesso di individuare un quadro cronologico-culturale di frequentazione del sito di Cala Giovanna Piano riferibile a una fase avanzata del Neolitico antico. Il quadro è confermato con maggiore precisione dalle datazioni assolute effettuate con il metodo AMS su resti carboniosi raccolti nelle ultime campagne di scavo (COLOMBO, TOZZI 2007) (Fig. 11):

– LTL 1468A: 6222 ± 60 BP; 5320/5020 cal. BC. Datazione ottenuta da un frammento di carbone prelevato alla base del deposito archeologico nel quadrato M 20;

– LTL 1153A: 6200 ± 70 BP; 5320/4980 cal. BC. Datazione ottenuta da un campione ricco in materia organica prelevato all’interno della struttura di combustione dei quadrati O/P 20/21;

– Beta 181546: 6090 ± 40; 5210/4980 cal. BC. Datazione ottenuta da un frammento di carbone raccolto alla base del riempimento della struttura di combustione a nord dell’area di scavo principale;

– LTL 1778A: 5877 ± 55 BP; 4900/4590 cal. BC. Datazione ottenuta da un frammento di carbone rinvenuto all’interno della grande struttura di combustione dei quadrati M/N 22/23.

Una quinta data, effettuata su un frammento d’osso rinvenuto durante gli scavi del 1998, si aggiunge a quelle precedentemente citate. La validità e la confrontabilità della data rimangono tuttavia incerte: l’osso esaminato infatti risulta molto alterato e le misurazioni effettuate su materiali di natura diversa forniscono sovente risultati discordanti. L’età che ha fornito è comunque attribuibile al Neolitico:

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Fig 11. Grafico delle datazioni radiometriche effettuate per il sito di Cala Giovanna Piano (da COLOMBO,TOZZI 2007).

3.2 Le strutture

L’ampliamento dello scavo rispetto alla trincea del 1998, e quindi una maggiore conoscenza della geografia del sito, ha permesso di riesaminare alcune delle ipotesi allora formulate.

L’ipotesi dell’esistenza nei quadrati P 24/25 dei resti di un muretto frangivento (BONATO et al. 2000) deve essere abbandonata in quanto l’ampliamento dell’area di scavo ha permesso di vedere che la concentrazione di pietre nei quadrati P-Q 25/26 e N-O 26/28 è dovuta alla caduta di massi dal promontorio roccioso soprastante il sito. Sembra plausibile comunque che l’area immediatamente a sud sia stata liberata intenzionalmente dalle pietre più grandi per facilitare l’insediamento.

Per quanto riguarda l’ipotesi dell’esistenza nei quadrati P 21/22 di un acciottolato a forma di “U” costituito da pietre di piccole dimensioni, l’allargamento dell’area di scavo ha permesso di riconoscere che il suddetto acciottolato, le cui pietre sono contenute nel livello superficiale rimaneggiato, è un accumulo legato alle attività agricole recenti.

Atmospheric data from Reimer et al (2004);OxCal v3.10 Bronk Ramsey (2005); cub r:5 sd:12 prob usp[chron]

7000CalBC 6500CalBC 6000CalBC 5500CalBC 5000CalBC 4500CalBC 4000CalBC Calibrated date

M20 - T. 14a (LTL 1468A) 6222±60BP O20 - Int. Str. (LTL 1153A) 6200±70BP Str. comb. (Beta 181546) 6090±40BP

M/N 22/23 - T. 15A (LTL 1778A) 5877±55BP Frammento osso (Gr A 13474) 5680±40BP

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In nessuna parte del sito si è conservato in modo chiaro il livello di calpestio dell’abitato neolitico, fatto senza dubbio dovuto al sottile spessore del livello archeologico, ai fenomeni pedogenetici che lo hanno interessato, al modesto accumulo di materiali di origine antropica; ciò che resta si limita quasi esclusivamente alle fosse e alle buche che hanno intaccato più o meno profondamente il substrato sabbioso debolmente concrezionato.

Le strutture di epoca neolitica riconosciute nell’insediamento possono essere suddivise in “strutture di combustione” e in “cavità circolari a vocazione imprecisata” (COLOMBO, TOZZI 2007).

Le strutture di combustione comprendono cinque fosse (tra le quali la struttura esterna allo scavo) e un focolare a fior di terra (Fig. 13). Le fosse sono delle cavità di forma generalmente sub-circolare e di dimensioni variabili, abbastanza profonde se si considera il rapporto tra il diametro dell’imboccatura e la profondità.

Tre di queste strutture infatti presentano il diametro all’imboccatura compreso tra 80 e 100 cm e la profondità tra 35 e 50 cm; a queste si può aggiungere una struttura messa in luce nel quadrato M 29 che, pur non essendo stata scavata, presenta caratteristiche simili alle altre strutture, come la forma sub-circolare e il diametro di 60-70 cm.

Solamente la struttura di combustione localizzata nei quadrati M/N 22/23 presenta differenze rispetto al suddetto gruppo. Infatti ha una forma pressappoco ellissoidale con assi di 180 × 130 cm, ma con una profondità simile alle altre strutture (Fig. 12).

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Fig 12. La struttura di combustione localizzata nei quadrati M-N 22-23 a scavo ultimato (da COLOMBO,TOZZI 2007).

Le strutture di combustione a fossa presentano le pareti e il fondo alterati nella consistenza e nel colore dall’azione diretta del fuoco: infatti il substrato sabbioso in cui sono state scavate (BOSCHIAN 2007) mostra maggiore compattezza e tonalità di colore tendenti al rosa nella parte di contatto con il riempimento della struttura stessa.

Il riempimento è molto simile a quello delle fosse di combustione note in altri insediamenti neolitici ed è costituito da pietre calcinate di medie dimensioni e generalmente di provenienza locale, con evidenti tracce di azione del fuoco, immerse in una scarsa matrice di terreno scuro molto ricco in materia organica e con carboni talvolta di grandi dimensioni. Contengono di solito rari e minuti resti di materiale archeologico.

Sul fondo della struttura M/N 22/23 è stato rinvenuto un grosso macinello in granito fortemente alterato dall’azione del fuoco e rotto in vari frammenti trovati in connessione (ZAMAGNI 2007). La presenza di frammenti in connessione indica che in queste strutture il fuoco è stato acceso direttamente e che non vi venivano poste pietre scaldate altrove, né tanto meno che queste

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cavità erano utilizzate per gettarvi materiale proveniente dallo svuotamento di focolari.

Un caso particolare ed unico nell’area di scavo è rappresentato da un probabile focolare piatto localizzato nei quadrati P/Q 16/17 (Fig. 13). La struttura è costituita da una concentrazione di forma sub-circolare ma non totalmente ordinata di pietre di varie dimensioni, disposte in modo fitto e regolare nella parte nord e disconnesse nella parte a sud della struttura; le pietre, generalmente disposte su di un unico livello, possono essere disposte in due livelli quando sovrapposte da elementi più piccoli.

Come spesso si rinviene nei focolari piatti, le pietre non sembrano alterate dall’azione del fuoco; questo conferma l’utilizzazione per breve tempo di questi focolari e il fatto che al loro interno le pietre sono state poste solo quando il fuoco era già acceso (GASCO, 1985; COLOMBO, TOZZI 2007).

Da notare la scarsità di materiali archeologici mentre abbondanti risultano essere i resti di natura animale. Questi ultimi non sembrano presentare tracce di combustione, ma occorre sottolineare che un osso cambia aspetto a livello macroscopico solamente se la cottura è avvenuta a temperature superiori ai 300°C, assumendo una colorazione bruno-nera, mentre diventa avorio o bianco

Fig. 14. Particolare delle grosse pietre infisse nel substrato: vista laterale (da COLOMBO,

TOZZI 2007).

Fig. 13. Il focolare piatto localizzato nei quadrati P-Q 16-17.

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soltanto con una temperatura che supera i 700°C, ossia, nel caso di un focolare piatto, a diretto contatto con la fiamma (GASCO 1985).

A circa 40 cm a nord del focolare si trovano sette pietre piatte di maggiori dimensioni infisse verticalmente nel terreno sabbioso del substrato (Fig. 14); una delle pietre è un frammento di macina e non mostra tracce di alterazione derivate dall’azione del fuoco (ZAMAGNI 2007). La sua presenza indica con sicurezza che le pietre sono state infisse intenzionalmente nel terreno sterile, probabilmente al fine di riparare il vicino focolare (COLOMBO, TOZZI 2007).

Le altre strutture di età neolitica, precedentemente accennate, sono le cosiddette “cavità rotondeggianti a vocazione imprecisata”, rappresentate da due unità. La loro forma sub-cilindrica e la regolarità del loro profilo fanno ipotizzare che si tratti di strutture di origine antropica e non di semplici avvallamenti della superficie. «Inoltre, il fatto che entrambe sembrano essere scavate a partire dal probabile livello di frequentazione neolitica, ossia poco al di sopra del substrato sabbioso concrezionato, aiuta ad attribuire le due cavità al primo periodo di frequentazione dell’area. Al loro interno non sono stati infatti rinvenuti materiali databili ad epoche posteriori, presenti invece nella parte più alta del livello antropico» (COLOMBO, TOZZI 2007 : 79).

Le due cavità presentano differenze nelle caratteristiche strutturali: la struttura in M 25 ha forma ellittica e profilo conico, mentre la struttura in N 17 presenta forma circolare e profilo sub-cilindrico con fondo piatto (Fig. 15).

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Fig. 15. La struttura infossata localizzata nel quadrato N 17 a scavo ultimato.

Il riempimento di entrambe è costituito da:

· abbondanti pietre calcaree, che sembrano ricoprire in particolare le pareti (N 17) e il fondo (M 25);

· abbondante materiale archeologico (soprattutto industria ceramica e litica; soltanto in N 17 abbondano resti faunistici;

· terreno sabbioso bruno che difficilmente si distingue dal terreno sterile incassante e dal terreno antropico sovrastante.

In nessuna delle due strutture si possono riconoscere elementi peculiari nella forma, nel tipo di riempimento o nei materiali contenuti, che facciano ipotizzare il loro specifico uso. Potrebbero tuttavia essere assimilate alle fosse “tipo silos” frequenti nei villaggi neolitici italiani (COLOMBO, TOZZI 2007).

Alle strutture di epoca neolitica si aggiungono tre sepolture in fossa terragna di due adulti e di un adolescente di circa 15 anni; queste, sulla base dei corredi rinvenuti nelle sepolture dei due adulti, possono essere attribuite ad epoca classica e datate tra la metà del I e la fine del III secolo d.C. (CANCI et al. 2007) (Fig. 16).

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Fig. 16. La sepoltura nei quadrati L-M 16-18.

Il deposito archeologico è inoltre disturbato, come precedentemente accennato, da una ventina di buche di forma quadrangolare con il lato di circa 65/85 cm, disposte in cinque file parallele e distanti da 90 a 150 cm l’una dall’altra. Tutte intaccano il substrato sterile per una profondità di 15/25 cm.

Come per le altre strutture infossate presenti nel sito, il loro taglio è ben identificabile solo a livello del substrato o poco sopra; in alcuni casi la loro presenza era già riconoscibile a partire dai livelli più alti grazie a frammenti ceramici posti in posizione verticale o alla presenza di fitte radici. La loro disposizione molto regolare ha permesso di prevederne la posizione durante l’ampliamento dell’area di scavo. Questi elementi ulteriori fanno attribuire le buche ad una sistemazione agricola recente (COLOMBO, TOZZI 2007).

3.3 Il materiale archeologico

Nel corso delle cinque campagne di scavo effettuate nel sito di Cala Giovanna Piano sono state rinvenute diverse tipologie di reperti.

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Nello specifico, i manufatti comprendono i prodotti ceramici (BONATO et al. 2000a; CAPONI, RADI 2007), i prodotti litici scheggiati (BONATO et al. 2000a; COSTA 2000; SERRADIMIGNI 2007), i prodotti litici non scheggiati (BONATO et al. 2000a; ZAMAGNI 2007) e gli oggetti di ornamento (BONATO et al. 2000a; BISCONTI, ZAMAGNI 2007). Abbondanti i resti faunistici, costituiti da macrofauna terrestre (SACCÀ 2007) e soprattutto da malacofauna terrestre e marina (CARNIERI, ZAMAGNI 2000; BISCONTI 2007).

Per quanto riguarda il complesso ceramico (BONATO et al. 2000a; CAPONI, RADI 2007) l’analisi del materiale ha permesso di attribuire la produzione fittile al Neolitico antico, in particolare alle facies culturali della Ceramica Impressa medio-tirrenica e della Ceramica a Linee Incise. Rari e di incerta attribuzione sono i materiali attribuiti all’Età di Metalli1.

Il complesso litico scheggiato (COSTA 2000; SERRADIMIGNI 2007) rinvenuto nel sito di Cala Giovanna Piano è stato attribuito al Neolitico antico; nel sito infatti non sono state rinvenute industrie litiche tipiche dell’Età dei Metalli.

L’industria è costituita nel suo complesso e senza distinzioni di materia prima da nuclei a vari stadi di sfruttamento e lavorazione, manufatti sia ritoccati che non ritoccati e abbondanti scarti di lavorazione.

I supporti riconosciuti sono prevalentemente su scheggia e in minor misura laminari. La maggior parte dei manufatti risulta piatta e molto piatta ma sono presenti comunque i tipi carenati, in particolare tra i manufatti in quarzo, presumibilmente a causa del difficoltoso débitage di questa materia.

La tipologia degli strumenti è caratterizzata da tipi primari con predominanza del substrato (lame, lamelle, microlamelle, punte, raschiatoi, e denticolati) rispetto agli strumenti a ritocco erto; le troncature sono poco rappresentate. Molto bassa è la percentuale dei geometrici ed è inoltre da segnalare la presenza dei microbulini.

Particolare è la presenza di numerosi bulini tra i manufatti in quarzo: l’alta percentuale di questo strumento, che distingue la produzione litica di Cala

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Giovanna Piano da quelle dei siti di confronto (Isola del Giglio e La Scola), potrebbe essere dovuta al modo di fratturazione dei cristalli di quarzo, che spesso può assumere aspetto buliniforme (SERRADIMIGNI 2007).

Il ritocco delle schegge e delle lame (marginale e inframarginale) risulta spesso parziale e poco specializzato. Si nota inoltre una elevata tendenza al microlitismo: tra i prodotti laminari ritoccati infatti le misure sono spesso inferiori ai 5 cm e tra le schegge i valori raggiungono misure comprese tra 2 e 3 cm. La maggior parte dei nuclei inoltre hanno dimensioni comprese tra 1,2 e 2,5 cm (SERRADIMIGNI 2007).

Le materie prime impiegate sono costituite da quarzo, nelle varietà ialino, fumé, rosa e latteo, ossidiana, quarzite, selce, diaspro e calcare.

La provenienza di questi materiali è sicuramente esterna all’Isola di Pianosa, dove non sono presenti materie prime atte alla produzione litica (BONATO 2000; SERRADIMIGNI 2007).

Il quarzo, materia prima maggiormente utilizzata, proviene con buona probabilità dall’area dell’Arcipelago Toscano, in particolare dalla vicina Isola d’Elba e/o dall’Isola del Giglio. Questo minerale arrivava allo stato grezzo nel sito di Cala Giovanna Piano e qui veniva lavorato per ottenere il prodotto finito, come indicano i numerosi scarti di lavorazione, di nuclei, di prismi originari non ancora lavorati o al primo stadio di lavorazione.

Anche la quarzite, il diaspro e il calcare potrebbero provenire dall’Isola d’Elba o dalla Toscana. Questi materiali però sembrano essere arrivati sotto forma di prodotti finiti o semilavorati: sono rari infatti i nuclei e gli scarti di lavorazione.

Per le materie prime cosiddette “esotiche” (oltre 50 km di distanza per l’approvvigionamento) (BIETTI 2006; SERRADIMIGNI 2007), in questo caso l’ossidiana e la selce, si osserva una situazione analoga: queste due materie non sembrano essere state lavorate in situ, quanto piuttosto importate a Cala Giovanna Piano sotto forma di prodotto finito o semilavorato, come dimostra la quasi totale assenza di nuclei e di scarti di lavorazione.

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Per determinare la sua provenienza, l’ossidiana è stata analizzata con il metodo non distruttivo XRF (DE FRANCESCO, CRISCI 2000; DE FRANCESCO, BOCCI 2007). I risultati hanno mostrato che la maggior parte dell’ossidiana rinvenuta proviene dalla Sardegna, più precisamente dal Monte Arci, seguita da ossidiana dell’Arcipelago Pontino e dell’Isola di Lipari nelle Eolie.

Per quanto riguarda la selce presente a Cala Giovanna Piano, essa è presente in diverse varietà e conseguentemente da differenti provenienze: è stata rinvenuta selce di origine sarda, costituita da selce “anglona”, più precisamente dell’area di Perfugas e selce “nocciola” dell’area di Perfugas e della Sardegna settentrionale; selce della Toscana, da un’area non determinata; selce proveniente dalle Marche e dall’Umbria, la cosiddetta “scaglia” umbro-marchigiana; due manufatti in selce grigia presentano una patina bianca, puntinata o uniforme, che sembra caratteristica delle selci abruzzesi del Monte Genzana o della Maiella (SERRADIMIGNI 2007).

L’industria litica scheggiata sembra ricondursi (BONATO, 2000; COSTA 2000; SERRADIMIGNI 2007) alle industrie dei siti di Le Secche e Mortoleto sull’Isola del Giglio (BRANDAGLIA 1985; 1993; 1994; 2000; BONATO et al. 2000) e dell’Isolotto de La Scola a Pianosa (DUCCI, PERAZZI 1998; DUCCI et al. 2000): a Le Secche e all’Isolotto de La Scola l’industria litica in quarzo è presente in percentuali minori rispetto a Cala Giovanna Piano, al contrario è superiore la presenza di ossidiana; al Mortoleto la superiorità numerica del quarzo è quasi assoluta. Per quanto riguarda la tipologia, negli altri siti dell’Arcipelago Toscano la percentuale degli strumenti erti e in particolare dei geometrici è elevata, mentre a Pianosa la presenza di geometrici e di armature a tranciante trasversale è assai scarsa.

Quest’ultimo dato trova confronti con il sito di A Revellata in Corsica (NEUVILLE 1995) dove sono assenti le armature a tranciante trasversale, aspetto che fa pensare al sito di A Revellata del Neolitico antico come un insediamento temporaneo e specializzato nella pesca.2

2 Nel sito di A Revellata (NEUVILLE 1995)è stato trovato un manufatto in ossidiana a forma di

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Fig. 17. Cala Giovanna Piano. Lama di accetta in eclogite.

Il “complesso litico non scheggiato” è costituito da industria litica in “pietra verde” levigata e industria litica pesante (ZAMAGNI 2007).

L’industria litica levigata comprende strumenti con tagliente (lame di asce/accette, scalpelli), strumenti polifunzionali, levigatoi/brunitoi, percussori, schegge di strumenti, abbozzi e schegge (Fig. 17).

Le materie prime utilizzate sono state identificate attraverso analisi petrografiche al microscopio ottico su sezione sottile, analisi allo steromicroscopio e misurazione della densità.

I risultati delle analisi microscopiche hanno messo in evidenza la presenza di diversi litotipi ofiolitici, anche poco metamorfici, e di abbondanti metabasiti, che suggeriscono una loro origine dalla Corsica dove affiorano estese sequenze ofiolitiche nel settore nord-orientale dell’Isola. Le altre metodologie analitiche effettuate su due accettine integre in eclogite hanno permesso di determinare la provenienza alpina nord-occidentale di questa roccia.

«Il modello che viene proposto, per quanto riguarda l’approvvigionamento delle “pietre verdi” sull’Isola di Pianosa è a grandi linee questo: le genti neolitiche che hanno frequentato Cala Giovanna Piano praticano, inizialmente, un approvvigionamento di tipo sub locale per quanto riguarda le metabasiti, le serpentiniti e i gabbri, provenienti rispettivamente da Corsica, Elba e costa toscana, mentre solo in un secondo momento iniziano le importazioni delle ofioliti alpine nord occidentali, tramite la cultura della Ceramica Lineare» (ZAMAGNI 2007 : 131).

Per quanto riguarda l’industria litica pesante, essa comprende strumenti di varia funzione, come macine, macinelli, incudini, mazzuoli e strumenti di uso incerto.

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Fig. 18. Cala Giovanna Piano. Conchiglie forate (Conus,

Columbella), opercolo di Astrea rugosa e Dentalium

(modificato da BONATO et al. 2000).

Da segnalare è un frammento di macina in cui la superficie di lavoro piana presenta resti di colore rosso brillante, probabilmente cinabro.

Le materie prime usate per la produzione di questi strumenti sono il granito e il microgranito, probabilmente di origine elbana, la calcarenite locale e in misura sporadica altre litologie importate (ZAMAGNI 2007). Queste ultime litologie possono essere identificate con una roccia metamorfica fine, una probabile riolite e pietra pomice.

Dal sito di Cala Giovanna Piano provengono anche “oggetti di ornamento” (BISCONTI, ZAMAGNI 2007) (Fig. 18) costituiti soprattutto da alcune specie di molluschi marini forati che riportano apparenti tracce di lavorazione intenzionale: Columbella rustica, Antalis dentalis e A. panormum, Conus desidiosus e C. mediterraneus, Glycymeris glycymeris, Patella rustica e Patella cerulea, Osilinus turbinatus, Cerithium vulgatum e Haliotis lamellosa.

Gran parte degli esemplari di C. rustica, A. dentalis e A. panormum mostrano tracce sicure di lavorazione intenzionale a scopi ornamentali; invece negli altri taxa l’alterazione della conchiglia sembra dovuta ad eventi tafonomici post-deposizionali.

Oltre alle conchiglie forate sono stati rinvenuti in minor misura oggetti di ornamento di sicura produzione umana: 9 perline discoidi in conchiglia, 1 perlina ovoide in osso, 12 perline discoidi in “pietra verde” (4 in steatite, 8 in probabile serpentinite) (Fig. 19, 20) e un frammento di bracciale in Glycymeris sp., «di cui si osserva una parte in prossimità della cerniera (…)» (BISCONTI, ZAMAGNI 2007).

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Nelle conchiglie forate l’intervento umano è limitato alla semplice perforazione del guscio o persino alla sola raccolta di gusci con fori naturali; al contrario, nelle altre tipologie di oggetti ornamentali la lavorazione prevede un’elaborazione della materia prima basata su precise catene operative. A tale proposito, la mancanza di perline in corso di lavorazione o di scarti fa supporre che la lavorazione non avvenisse in situ ma che i vaghi di collana (in conchiglia, osso e pietra verde) venissero importati come prodotti finiti. A conferma di quanto detto è la presenza nell’area tosco-ligure ed emiliana di siti-laboratorio posti vicino agli affioramenti della materia prima, dove venivano prodotti vaghi in steatite e dove sono stati rinvenuti oggetti caratteristici delle diverse fasi del ciclo produttivo (ZAMAGNI 2007).

La “macrofauna terrestre” è costituita da scarsi resti faunistici in cattivo stato di conservazione. I frammenti appartengono a specie domestiche rappresentate in maggioranza da ovicaprini (NR 65,1%, NMI 64,7%), seguiti da suini (NR 28,1%, NMI 17,6%) e da pochi frammenti di bovini (NR 5,4%, NMI 11,8%) (SACCÀ 2007). Particolare è il rinvenimento di resti del genere Felis, benché rimanga l’interrogativo circa lo stato dell’esemplare, se domestico o selvatico. Nel primo caso si potrebbe pensare ad un’intrusione legata alla presenza delle sepolture romane; nel secondo caso, vista l’assenza di questo genere nelle faune pleistoceniche delle isole tirreniche, il suo rinvenimento nel sito non può che avere un’origine antropica (SACCÀ 2007). La profondità dei tagli in cui sono stati rinvenuti i frammenti e il loro stato di fossilizzazione fanno propendere piuttosto

Fig. 20. Perline discoidi in serpentinite e in steatite.

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per una attribuzione precedente l’epoca romana. Il fenomeno delle introduzioni oloceniche di faune selvatiche è testimoniato anche nel deposito neolitico del vicino Isolotto de La Scola, dove sono stati rinvenuti resti di volpe (DUCCI et al. 2000); non si può pertanto escludere che l’esemplare di gatto sia stato introdotto nel sito di Cala Giovanna Piano durante il Neolitico (SACCÀ 2007).

Gli “strumenti in osso” ammontano a soli 4 strumenti, frammentari e con superfici in pessimo stato di conservazione, di cui tre appartenenti alla categoria degli oggetti perforanti mentre uno risulta essere un frammento di spatola (SACCÀ 2007).

Nonostante l’esiguità del campione e la semplicità degli strumenti è possibile confrontare l’industria di Cala Giovanna Piano con l’industria su osso de l’Isolotto de La Scola, formata in gran parte da punte (DUCCI, PERAZZI 2000; SACCÀ 2007).

La “malacofauna marina e terrestre” comprende soprattutto specie eduli: Patella rustica, Patella cerulea, Patella ferruginea, Osilinus turbinatus e Cerithium vulgatum tra le specie marine; Bradybaena fruticum, Cepaea nemoralis e Eobania vermiculata tra le specie terrestri.

Le conchiglie di questi molluschi riportano spesso le tracce dell’azione dell’uomo con molta probabilità dovute a scopi alimentari. Il guscio di Patella presenta al suo interno tracce dell’asportazione del mollusco con uno strumento a lama (CARNIERI, ZAMAGNI 2000; BISCONTI 2007).

I gusci di Osilinus, Cerithium e i gusci dei molluschi terrestri mostrano invece l’asportazione del labbro della conchiglia e della spira prossima all’apertura, dovuta alla pressione effettuata per estrarre il mollusco.

Nel caso dei gasteropodi terrestri la conchiglia è molto fragile ed è sufficiente una leggera pressione per provocarne la frattura (BISCONTI 2007).

Figura

Fig. 7. Carta topografica IGM 1:25000 (reticolo 1 km). Isola di Pianosa.
Fig. 8. Foto panoramica dell’area di Cala Giovanna Piano; sullo sfondo l’Isolotto de La Scola
Fig. 9. Pianta generale dell’area di scavo (da C OLOMBO , T OZZI  2007).
Fig. 10. La struttura di combustione individuata all’esterno dell’area di scavo.
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Riferimenti

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