• Non ci sono risultati.

IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA CRA AL DDL SUL SUOLO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA CRA AL DDL SUL SUOLO"

Copied!
39
0
0

Testo completo

(1)

IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA CRA AL DDL SUL SUOLO

C o s a s i p o t r e b b e c oncretamente ottenere se il nostro Paese si dotasse di una legge quadro sul suolo come quella attualmente in itinere? Se ne è parlato al convegno di presentazione del disegno di legge, che si è svolto oggi alla Camera.

Il suolo, insieme all’acqua e all’aria, rappresenta un elemento essenziale per la vita e per il paesaggio. E’ molto fragile e il suo degrado, a causa delle crescenti pressioni ambientali, comporta tra l’altro erosione, salinizzazione, frane, alluvioni e perdita di biodiversità. Il DDL mira a contrastare questi fenomeni: riportando i suoli degradati, quando tecnicamente possibile, alla loro piena e naturale funzionalità, migliorando la gestione di quelli integri per preservarli e favorendo il miglior uso di quelli compromessi.

Il provvedimento è frutto dell’elaborazione approfondita e unitaria da parte dei ricercatori delle Società scientifiche agrarie (AISSA), con il fattivo sostegno dell’Unione nazionale

(2)

delle accademie per le scienze applicate allo sviluppo dell’agricoltura, alla sicurezza alimentare e alla tutela ambientale (UNASA) e del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA).

“Abbiamo contribuito con le nostre strutture di ricerca specializzate ad approfondire la conoscenza del suolo per indirizzare il legislatore nella giusta direzione” – ha affermato il Presidente del CRA, Prof. Giuseppe Alonzo, intervenuto al convegno – “L’attività dei ricercatori è stata a trecentosessanta gradi: dalla messa a punto di banche dati aggiornate dei vari tipi di suolo (Centro nazionale di cartografia pedologica) allo sviluppo e alla sperimentazione di metodi e tecniche agronomiche, zootecniche e selvicolturali finalizzate alla gestione sostenibile del territorio rurale e all’utilizzo dei suoli in termini conservativi e produttivi, secondo la loro specifica vocazione”.

IL CRA METTE ON LINE “GUIDA

ALLA LETTURA DELLE ETICHETTE

DI OLIO E VINO”.

(3)

D o p o i l b o o m d i c o n tatti ottenuto sul sito con “Le etichette alimentari”, guida on line per il consumatore, il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) replica con “Guida alla Lettura delle Etichette di Olio e Vino”. E’ un approfondimento tematico, scaricabile sempre gratuitamente da www.entecra.it, relativo a due prodotti cardine della tavola e della tradizione alimentare italiana: olio e vino. Come per la guida precedente, il lavoro è stato svolto da un gruppo di ricercatori del CRA, coordinati da Gabriella Lo Feudo, anche lei ricercatore CRA.

L’obiettivo, anche stavolta, è stato quello di rendere il consumatore consapevole di cosa deve cercare nel prodotto che acquista e dove sono riportate in etichetta tutte le informazioni necessarie: dall’origine del prodotto alle caratteristiche nutrizionali, dalla sua denominazione all’importanza dei pesi dichiarati, dall’elenco e dalla tipologia degli ingredienti alla simbologia apposta.

Inoltre, nella etichetta di olio e vino giocano altri fattori oltre alle regole generali comunitarie, già ampiamente illustrate nella guida generale alle etichette (tuttora on

(4)

line su www.entecra.it). Non solo sono prodotti di largo consumo, ma vere e proprie bandiere del made in Italy nel mondo, che però, appunto per questo, sono spesso contraffatte.

Per rendere più facilmente riconoscibile la qualità e l’autenticità di questi alimenti-simbolo, la Guida alla Lettura delle Etichette di Olio e Vino contiene anche il Decalogo del consumatore, autorevole contributo del Comando Carabinieri-Nucleo Antifrode del Ministero delle Politiche Agricole.

Infine, conclude il presidente CRA Giuseppe Alonzo, commentando l’iniziativa “la guida intende essere anche uno strumento utile alle imprese, sia sotto il profilo del supporto pratico sia per la trasferibilità delle conoscenze.

Infatti, una etichetta appropriata, efficace e leggibile comporta un impegno non indifferente, soprattutto per le piccole aziende, che devono destreggiarsi tra le innumerevoli regole da armonizzare, i continui progressi della tecnologia e le esigenze di un mercato di consumatori che cambia rapidamente gusti e interessi”.

SVELATO IL “SEGRETO” DELLA

PESCA NOCE

(5)

Un gruppo di r i c e r c a t o r i d e l C R A d i R o m a , d e l P a r c o P a r c o T e c n o l o g i c o Padano di Lodi e

dell’Universit à Statale di Milano, hanno i d e n t i f i c a t o i l g e n e responsabile della perdita della caratteristica peluria della p e s c a . S t u d i o s u P l o s O n e (http://dx.plos.org/10.1371/journal.pone.0090574).

L’Italia presenta una produzione annua di 1.3 milioni di tonnellate di nettarine, o pesche noci, che la porta ad essere il secondo produttore mondiale dopo la Cina, luogo di domesticamento di questa specie. Particolarmente apprezzate grazie alla loro buccia liscia e lucente, le nettarine hanno negli anni acquisito importanti fette di mercato: oggi coprono ad esempio circa il 30% di quello italiano.

Tuttavia, fino od oggi, da cosa dipendesse il loro caratteristico aspetto restava un mistero.

Ora un team di ricercatori del Consiglio della Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) Centro di Ricerca per la Frutticoltura di Roma, Parco Tecnologico Padano di Lodi e Università Statale di Milano, in collaborazione con l’Università di Bologna l’IGA di Udine ha svelato, in un articolo apparso su Plos ONE, l’arcano, individuando il gene responsabile della perdita della peluria nella pesca: si chiama PpeMYB25 e sembra essere il controllore della formazione sul frutto dei tricomi che sono le strutture filiformi che creano la peluria nei vegetali.

(6)

Questa scoperta permetterà ora di distinguere con assoluta certezza pesca e nettarina, grazie all’analisi del loro DNA.

Finora le si potevano distinguere unicamente grazie alla storia della pianta o, ovviamente, dal frutto. Questo, ad esempio, richiedeva, nel caso di coltivazione di piante ottenute da seme dopo incrocio, 2-3 anni per attendere che la pianta arrivasse a frutto. Ora non dovremo più attendere che l’albero fruttifichi, basterà leggere il suo DNA.

Già precedenti studi condotti da gruppi di ricerca in tutto il mondo avevano cercato di trovare il bandolo della matassa, non riuscendo tuttavia a giungere oltre l’identificazione della regione (ancora troppo grande, oltre 1 milione di basi) in cui si supponeva si trovasse il gene.

Ora il gruppo di ricercatori italiani, che avevano già partecipato al consorzio internazionale per il sequenziamento del genoma del pesco (230 milioni di basi in totale), sono riusciti a fare centro scoprendo che il gene in questione è in realtà un gene della famiglia MYB, che riunisce diversi fattori di trascrizione, cioè geni capaci di attivare specifiche vie metaboliche e funzioni nelle cellule, come ad esempio la colorazione del seme in mais.

“Per cercare di capire – spiega Laura Rossini, ricercatrice dell’Università di Milano che opera presso il Parco Tecnologico Padano – quale gene controlla questo carattere, abbiamo utilizzato un incrocio fra una varietà di pesca (Contender) con una di nettarina (Ambra) andando poi a cercare il gene responsabile di questo carattere in una regione ristretta del genoma. Confrontando la sequenza del DNA di questa regione in diverse pesche e nettarine abbiamo identificato 291 differenze tra le une e le altre. Una di queste differenze suggeriva come candidato un gene MYB che è strettamente imparentato con un gene responsabile della formazione delle fibre del cotone. Questa differenza abbiamo scoperto era dovuta alla presenza nelle nettarine, all’interno

(7)

di questo gene, di un frammento di DNA che ne distrugge la funzionalità”.

“Grazie a questa scoperta – spiega Ignazio Verde del CRA Centro di Ricerca per la Frutticoltura di Roma – potremo ora selezionare a uno stadio molto precoce le piante di pesco senza mai perdere di vista il carattere nettarina, rendendo più efficiente il processo di selezione varietale”.

I risultati sono stati ottenuti all’interno delle attività di ricerca dei progetti DRUPOMICS e MASPES, sostenuti rispettivamente dal MiPAAF e da CRPV e FONDAZIONI DELLE CASSE DI RISPARMIO DELLA ROMAGNA.

I partner coinvolti

Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Centro di Ricerca per la Frutticultura di Roma (CRA-FRU)

Parco Tecnologico Padano di Lodi

Università degli Studi di Milano

Università di Bologna

Istituto di Genomica Applicata di Udine

(8)

AMALATTEA-CRA INSIEME PER LO SVILUPPO DELLA FILIERA DEL LATTE DI CAPRA ALTA QUALITA’

IN ITALIA

S v i l u p p o f i l i e r a c a p r i n a n a z i o n a l e, ampliamento della gamma di prodotti funzionali a base di latte di capra garantiti al consumatore “100% da latte italiano”, di “alta qualità” e validazione delle proprietà medico nutrizionali del latte di capra, attraverso il contributo scientifico degli esperti del CRA.

Questi sono in sintesi gli obiettivi del primo – e finora unico nel suo genere – protocollo di collaborazione definito tra la Amalattea SpA, primo player nazionale nel settore della trasformazione e commercializzazione di latte di capra e derivati con una quota di mercato del 68% ed un fatturato annuo in costante crescita, ed il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA), l’ente italiano che

(9)

fa ricerca dal seme alla stalla alla tavola, con sedi operanti su tutto il territorio nazionale. Ad un consumatore che guarda con sempre più interesse al latte di capra quale valida alternativa al latte vaccino, mondo produttivo e ricerca rispondono insieme, garantendo qualità, sicurezza e sostenibilità lungo tutta la filiera.

Grande soddisfazione è stata espressa da Maurizio Sperati amministratore delegato di Amalattea che, con Giuseppe Alonzo, presidente del CRA, e Gianpiero Calzolari, presidente del Gruppo Granarolo (che ha intrapreso una partnership industriale e societaria con Amalattea), dialoga alla tavola rotonda del meeting “latte di capra: un patto per lo sviluppo”

nella sede CRA di via Nazionale a Roma. Questo accordo ambisce ad avviare un processo epocale di sviluppo della filiera caprina in Italia grazie a giuste sinergie, programmi condivisi e le migliori risorse messe in campo con l’obiettivo di stimolare la produttività del primario, valorizzare il latte di capra, promuovere i prodotti da questo derivati sul mercato nazionale ed internazionale.

“E’ un importante risultato – dichiara Sperati – che consentirà di focalizzare e mettere a punto strategie di ricerca comuni per imprenditori-allevatori che perseguono gli stessi interessi e che, facendo rete, potranno essere attori di filiera e raggiungere ambiziosi traguardi in termini di produttività, redditività e alta qualità della materia prima rispondendo alle richieste dell’industria”. Da questo patto per lo sviluppo della filiera caprina escono rafforzati i legami tra allevamento e trasformazione e tra trasformazione e consumatore, che sono alla base del successo dei prodotti sul mercato nello spazio e nel tempo, oltre ad essere un segnale importante di ripresa sia economica che occupazionale del primario in questo periodo ancora segnato da una crisi profonda e diffusa. “E’ un grande segnale di sfida per gli altri Paesi Europei, Francia e Olanda in particolare, nei

(10)

confronti dei quali l’Italia deve colmare un gap enorme causato da una storica arretratezza culturale e normativa e tornare a competere alla pari” sottolinea ancora Sperati

“Secondo le stime Assolatte in Italia si producono circa 115 mln litri di latte di capra, contro i 657 della Francia, i 540 della Spagna, i 402 della Grecia e i 190 dell’Olanda. Dobbiamo tornare a produrre materia prima e recenti osservazioni economiche rilanciano l’allevamento caprino come una attività redditizia di sicura attrazione per molti giovani allevatori che vogliono fare impresa in un settore innovativo”.

Altrettanta soddisfazione è stata espressa dal presidente CRA, prof. Giuseppe Alonzo “E’ davvero un risultato molto positivo – commenta – per la ricerca, per le imprese e per il Paese. Ed è la dimostrazione che insieme si possono vincere tante partite decisive: dalla crisi economica alla competitività sui mercati nazionali ed esteri al rilancio di territori marginali per cui la filiera del latte di capra può rappresentare il volano decisivo per uno sviluppo sostenibile”.

Entra nel merito il direttore del Dipartimento di Biologia e Produzioni CRA, dott. Riccardo Aleandri “L’intero progetto si basa sulla creazione, presso la struttura del CRA-ZOE a Foggia, di un grande allevamento nucleo di oltre 1000 capre, dove verrà reso operativo un nuovo progetto genetico ideato e supervisionato dal CRA-PCM che costituirà il volano per il rafforzamento e l’ ammodernamento della produzione nazionale del latte di capra. E’ una sfida ambiziosa, ma realistica che si ritiene possa andare a regime in un quinquennio con un appropriato investimento iniziale, i cui ritorni per l’ intera filiera saranno tali da renderlo sicuramente vantaggioso ed efficace.”

Il protocollo d’intesa prevede la definizione di un documento tecnico nel quale verranno specificate le azioni necessarie, i tempi operativi, le persone coinvolte ed i costi relativi per la realizzazione di ciascun allevamento pilota nelle sedi CRA opportunamente individuate. Ciò consentirà di definire linee

(11)

comuni d’azione su tutti i dossier di maggiore interesse, come ad esempio la ricerca di base sugli aspetti qualitativi, funzionali e innovativi del latte di capra; la divulgazione delle proprietà medico nutrizionali del latte di capra e suoi derivati; la selezione genetica di razze di capra idonee delle esigenze industriali di Amalattea; il miglioramento delle tecniche di allevamento intensivo; la generazione di animali da rimonta certificati da utilizzare come start up di nuovi allevamenti in ogni regione italiana; la garanzia per l’allevatore e per il mercato di un rapporto qualità/prezzo del latte di capra ben definito e remunerativo; la messa a punto di strategie concordate per l’acquisizione dei necessari mezzi finanziari di natura agevolata a supporto degli investimenti programmati.

FIERAGRICOLA, CRA-NUT: DALLA RICERCA SCIENTIFICA LE INDICAZIONI SULLA QUALITA’

DELLE PRODUZIONI BIOLOGICHE

(12)

I l C R A ( C o n s i g l i o per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura) e, in particolare, il CRA-NUT (Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione) ha una lunga esperienza negli studi sulla qualità nutrizionale ed organolettica di produzioni biologiche, acquisita attraverso la partecipazione a numerosi progetti di ricerca nazionali ed europei.

Da questa esperienza diretta, dal numero crescente di studi scientifici pubblicati negli ultimi venti anni sul confronto della composizione chimica tra prodotti dell’agricoltura biologica e convenzionali e dalle elaborazioni di risultati di tali lavori pubblicate di recente, emerge che:

a) i prodotti ortofrutticoli biologici tendono ad avere un maggior contenuto di vitamina C e di composti fenolici rispetto ai convenzionali, ma un minor contenuto di carotenoidi;

b) gli ortaggi biologici mostrano una minore presenza di nitrati rispetto ai convenzionali;

c) i cereali biologici contengono meno proteine di quelli convenzionali;

d) per quanto riguarda latte e derivati, i prodotti ottenuti da animali allevati con il sistema biologico sono più ricchi in acidi grassi polinsaturi e acido linoleico coniugato.

A questi risultati riguardanti la composizione chimica va

(13)

aggiunta la minore probabilità che i prodotti biologici contengano residui di pesticidi rispetto ai convenzionali.

Inoltre, non ci sono differenze nella probabilità di contaminazione da micotossine tra prodotti biologici e convenzionali.

Ad un primo esame, quindi, sembra ci siano i presupposti per poter pensare che il consumo di prodotti biologici possa avere effetti positivi per la salute del consumatore. Tuttavia, è discutibile che le differenze di concentrazione di una certa sostanza o di un’altra possano realmente avere un qualche riflesso sulla salute umana. Per di più, a causa della complessità degli alimenti e dei molteplici fattori metabolici coinvolti, non è possibile ricavare l’effetto che un alimento ha sulla salute basandosi solo sulla sua composizione chimica.

Infine, sono ancora molto scarsi, anche perché molto complessi, gli studi scientifici sulla relazione tra consumo di prodotti biologici e stato di salute per poter trarre delle conclusioni al riguardo.

di Flavio Paoletti

FIERAGRICOLA, CRA: LA

DIFFICILE EQUAZIONE TRA CIBO

E SALUTE

(14)

Q u a l è i l g i u s t o

r a p p o r t o

a l i m e n t i e s a l u t e ? S i t r a t t a d i u n ’ e q u a z i o n e per la quale la salute (a l i v e l l o

individuale) è p a r i a l p r o d o t t o

risultante tra il mio genotipo (il mio personale patrimonio genetico) x il mio fenotipo (ciò che sono) x l’ambiente ( cioè sia il mondo che ci circonda sia la parte che chiamiamo cibo e che introduciamo quotidianamente all’interno dell’organismo per tutta la durata della nostra vita, fornendoci energia e nutrienti necessari alla sopravvivenza). Per risolvere, almeno in parte, l’equazione occorrono evidenze scientifiche solide.

Purtroppo, realizziamo immediatamente che non è così facile.

Un primo problema risiede nella stessa definizione del termine salute, da momento che siamo in grado di definire molto accuratamente un soggetto “malato“, ma oggettivamente non possiamo identificare una condizione di sanità, se non ricorrendo a una relazione al negativo (non malato) che ha ovviamente limiti semantici e operativi.

Nel rapporto dieta-salute occorre poi considerare le implicazioni del sequenziamento del genoma umano, conclusosi da più di 10 anni. La scienza ha rivelato che il nostro genoma contiene molti meno geni di quanto pensassimo e soprattutto ha evidenziato una inaspettata eterogeneicità all’interno della popolazione umana. A tutt’oggi sono stati identificate almeno 10 milioni di varianti alleliche “single nucleotide” (SNPs),

(15)

moltissime delle quali hanno una significativa “penetranza”

sul carattere che codificano e che sono verosimilmente la principale causa delle differenze evidenti tra individui diversi. Ed è proprio questa diversità a determinare le variazioni individuali nella risposta all’ambiente, ai farmaci, ad agenti tossici e, per quanto ci riguarda, alla dieta.

L’opinione pubblica ovviamente ha grosse aspettative ma, come spesso capita, ha anche una limitata capacità, o se vogliamo possibilità, di “separare il grano dal miglio”. Nel recente passato è stato possibile dimostrare che la dieta è coinvolta in modo significativo in un ampio numero di malattie e questo ha portato alla disponibilità di “cibi funzionali” ovvero a cibi “con un valore salutistico aggiunto”. Sfortunatamente sono pochissimi i prodotti per i quali è stato possibile dimostrare un robusto effetto salutistico. I più noti sono gli stannoli con effetto ipocolesterolemizzante, i probiotici e gli acidi grassi della serie “omega-3”. Il problema principale nella dimostrabilità di un effetto salutistico di un alimento (o di una molecola di derivazione alimentare o di un estratto) è probabilmente nel fatto che mentre un farmaco viene sviluppato per il trattamento di una patologia ben definita, i componenti bio-attivi nutrizionali si indirizzano alla prevenzione e all’ottimizzazione della salute, e come descritto in precedenza, non esistono indicatori affidabili per la sua definizione ed identificazione univoca.

Purtroppo, interessi di tipo principalmente commerciale (per i quali non abbiamo nessuna controindicazione preventiva) hanno portato ad una accelerazione della disponibilità sul mercato di “oggetti” con una attività benefica putativa, ma non chiaramente dimostrata, generando spesso nell’ordine, false aspettative, delusione e talvolta danni per la salute stessa.

Quindi, la posizione da tenere è inevitabilmente quella di suggerire la massima cautela e l’opportunità di attendere

(16)

maggiori, più solide indicazioni. La possibilità di medicalizzare l’alimentazione è lontana. E, per quanto riguarda il buon senso comune, forse non è nemmeno auspicabile.

Dobbiamo accettare un’evidenza scomoda: la nutrizione rappresenta al momento lo scenario peggiore possibile per poter avere immediatamente un idea chiara del “cosa fare e dove farlo”. Abbiamo molte “piccole” differenze genetiche, che vengono modulate in modo differente da moltissime variabili nutrizionali, che quindi risultano in variazioni minimali del fenotipo (lo stato di salute) e che si accumulano nel tempo.

In generale, possiamo soltanto definire (potrebbe non essere poca cosa…) che esistono nutrienti ovvero molecole di derivazione nutrizionale indispensabili alla sopravvivenza, e molecole bioattive o potenzialmente “benefiche per la salute”.

Attribuire a queste ultime le qualità di panacea (è accaduto nelle ultime decadi per esempio con la promessa mai mantenuta che “gli antiossidanti di origine nutrizionale ci avrebbero protetto da tutti i mali”) è rischioso e fuorviante. E, aggiungiamo, talvolta sembra paradossalmente giustificare stili di vita insalubri.

Per contro, la possibilità di definire i fabbisogni di nutrienti e la necessità/utilità di consumare alimenti specifici in base ad uno specifico profilo genetico è ancora molto distante. Quindi, i test genetici proposti per la generazione di diete “ad personam” appaiono assolutamente inutili, senza considerare, infine, i problemi di tipo etico/legale ancora irrisolti. Il “messaggio da portare a casa” in questo momento non può essere che cautelativo:

lasciate lavorare i ricercatori perché nei prossimi anni riescano a definire meglio questo intricato groviglio di variabili complesse che chiamiamo “rapporto nutrizione- salute”.

(17)

di Fabio Virgili, ricercatore CRA-NUT

FIERAGRICOLA, CRA: DALLA SOSTENIBILITA’ IL FUTURO PER L’UOMO E L’AMBIENTE

A l l ’ i n i z i o d e g l i a n n i N o v a n t a , s o t t o l a spinta di un necessario rinnovamento degli impianti, cominciò a farsi sentire la necessità di affrontare in modo diverso la pratica viticola con l’adozione di impianti più fitti e meno vigorosi, rese più contenute e miglioramento della qualità.

Tutto questo però conteneva ancora un generico intento verso la tutela dell’ambiente che troverà solo in questi ultimi anni un vero e sentito proposito di difesa del patrimonio naturale.

(18)

Questa accelerazione verso un nuovo modo di considerare l’attività viticola è dovuta anche alla maggior sensibilità del consumatore verso le problematiche ambientali che trasmette al produttore con richieste e garanzie sempre più precise. Qualunque sia la motivazione, è comunque certo che oggi il mondo viticolo sta affrontando un nuovo cruciale cambiamento che riunisce sia valori tecnici, culturali ed etici: una viticoltura sostenibile che pensi anche alle generazioni future, dando una profonda svolta all’impostazione della propria attività, dove diventa prioritario il rispetto per le risorse naturali e la conservazione dell’acqua, dell’aria, del suolo. In questo nuovo contesto produttivo, non viene certamente perso di vista l’obiettivo primario dell’utile economico, ma questo traguardo si inserisce in una domanda di sostenibilità che ha coinvolto a pieno titolo anche il produttore di uva e il trasformatore in vino.

Pensando alla vite in modo sostenibile, si dovranno allora ridurre gli apporti di concimi minerali in considerazione delle reali necessità della pianta, dei momenti di reale assorbimento e di una miglior funzionalità degli apparati radicali quando fatti coabitare con suoli arieggiati e con buona dotazione di sostanza organica. E’ oramai concretamente applicabile il reintegro nel vigneto dei sarmenti di potatura e delle vinacce a scopo nutritivo riducendo del 60% l’apporto di concimi chimici. Sostenibile significa anche recupero della capacità della pianta di affrontare le non sempre ottimali condizioni colturali. Da troppo tempo stiamo infatti perseguendo una viticoltura eccessivamente protetta e assistita con azioni quasi quotidiane, la vite ha perso la sua capacità di rapportarsi pienamente con l’ambiente, perdendo lentamente la piena espressione del proprio patrimonio genetico. Ulteriore riduzione delle concimazioni, potature meno geometriche e più fisiologiche, in sintesi una nuova mentalità volta ad alleggerire la presa sulla pianta, pensando invece all’equilibrio complessivo del vigneto e al suo rapportarsi con l’ambiente circostante. Assieme all’aria e

(19)

all’acqua, il suolo costituisce uno degli elementi produttivi essenziali in stretta relazione con il benessere degli apparati radicali. Il terreno è un ambiente complesso in continua evoluzione le cui caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche sono strettamente connesse tra loro, ma anche estremamente fragili e difficilmente ricomponibili.

Sostenibile significa maggior rispetto per l’ambiente e per la salute dell’uomo, quindi riduzione dell’uso dei diserbanti adottando nuove strategie di intervento e sistemi alternativi, significa evitare la deriva dei principi attivi nella difesa della vite e qualsiasi altro spreco fino a ieri non seriamente considerato.

Si vuole però ricordare anche il paesaggio, che dell’ambiente ne è l’immagine più immediata e in grado di condizionare il consumatore nelle sue scelte e nei suoi giudizi. Una viticoltura sostenibile dovrà prestare attenzione anche a questa grande risorsa che sempre più sta dimostrando la sua valenza, ma anche la sua fragilità. Tutto questo deve però trovare azione nella professionalità del viticoltore e nella sua trasparenza operativa, che deve persuadere il consumatore sempre più timoroso del rispetto che viene riservato al nostro ambiente. Produrre qualità risparmiando Per il mondo viti- vinicolo, sostenibilità significa pensare alla salvaguardia dei fattori non rinnovabili dell’ambiente e alla salute umana, senza perdere di vista il reddito aziendale. E’ questo un netto cambio di impostazione dell’attività del viti- vinicoltore che impone un netto progresso di innovazione e l’applicazione di moderne strategie produttive. L’approccio al vigneto sarà totalmente diverso in quanto bisognerà fare leva sulla capacità della vite di esprimere al meglio le proprie difese e di recuperare un equilibrio minato da un eccesso di interventi al vigneto (di difesa, di diserbo, agronomici, di forte riduzione della biodiversità sopra e sotto suolo). Vien quasi da pensare che la salvaguardia del prodotto uva sarà secondaria alla salubrità dell’ambiente, al valore salutistico del vino e alla salute umana, al rispetto dei caratteri

(20)

originari del suolo e delle riserve idriche, alla tutela del paesaggio. Siamo di fronte ad un momento importante, forse storico, che nel giro di pochi anni richiederà un completo cambio di mentalità, operando per un futuro dove anche i sottoprodotti saranno risorsa.

Di Diego Tomasi

CRA, PRESENTATO A FIERAGRICOLA METODO SEMINA PER CONTRASTO ERBE INFESTANTI

L a c o m p e t i z i o n e e s e r c

(21)

itata dalle infestanti rappresenta una delle problematiche più importanti da affrontare nei sistemi agricoli sia di tipo biologico che convenzionale per il danno produttivo e qualitativo che esse determinano. Il Cra, Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, a Fieragricola presenta un metodo di semina per il contrasto delle erbe infestanti e le apparecchiatura per la attuazione di tale metodo. Il brevetto industriale è stato realizzato nella forma di “prototipo” di seminatrice, dotato di organi lavoranti

“assolcatori” mobili (regolabili) in grado di: ottimizzare la disposizione spaziale dei semi, oltre che la profondità di semina; garantire una migliore copertura del suolo da parte delle piante ed assicurare alla coltura una maggiore abilità competitiva nei confronti delle erbe infestanti.

Esperienze preliminari, condotte presso il CRA-CER, hanno confermato la validità di questa ipotesi di lavoro. Al momento del deposito non esisteva in commercio un modello di seminatrice per cereali, dotato di un sistema di regolazione della distanza tra le fila per valori molto ridotti (≤ 5 cm), capace cioè di simulare una semina a spaglio senza compromettere la corretta profondità di semina. Migliorando l’abilità competitiva della coltura principale nei confronti delle infestanti, il metodo di semina proposto, potrebbe contribuire a limitare il consumo di prodotti fitosanitari secondo quanto previsto dalla direttiva 2009/128/CE del 21 ottobre 2009 e dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 (art. 3 comma 8).

L’attuale modalità di semina dei cereali e delle leguminose prevede l’impiego di seminatrici a righe (meccaniche o pneumatiche) che distribuiscono i semi in file distanti tra 12 e 20 cm, oppure di seminatrici che distribuiscono il seme a spaglio. A parità di investimento (numero di piante per unità di superficie) la semina a righe garantisce una minore copertura del terreno ed espone la coltura all’azione competitiva esercitata dalle erbe infestanti che si sviluppano

(22)

nell’interfila. In queste condizioni, infatti, le erbe infestanti possiedono una maggiore capacità di sfruttamento delle risorse ambientali disponibili (luce, acqua ed elementi nutritivi) e spesso impediscono alla coltura di svilupparsi in maniera conforme alle proprie potenzialità. Per contro, con la modalità a spaglio, sebbene la distribuzione delle piante sia più uniforme, l’interramento dei semi risulta irregolare (profondità non ottimale e molto variabile). L’eccessivo e/o ridotto interramento dei semi compromette sia la nascita delle plantule (emergenza scalare) che la capacità di accestimento della coltura. Per queste ragioni la semina a spaglio è attualmente utilizzata solo per colture fitte che non richiedono lavorazioni successive (colture foraggere, risaie s o m m e r s e ) o p p u r e i n s i t u a z i o n i e s t r e m e l e g a t e all’impraticabilità del campo.

Il prototipo, ideato combinando una seminatrice pneumatica con un vibrocoltivatore (vibro seminatrice), non incide sull’investimento e/o densità di semina bensì sul “sesto d’impianto” delle piante, ossia sulla disposizione geometrica delle piante in campo. In questo modo il sistema simula una semina a spaglio (uniforme) e garantisce una corretta profondità di semina (righe). In questo modo ciascuna pianta avrà modo di ottimizzare lo spazio circostante in termini di disponibilità di luce, acqua e sostanze nutritive ed esercitare una maggiore azione competitiva nei confronti delle erbe infestati. Questo permetterà, inoltre, di assicurare un maggiore controllo delle malerbe senza adottare epoche di semina non ottimali per la coltura. Il dispositivo potrebbe essere utilizzato per la semina dei cereali ma anche delle leguminose da granella e gli agricoltori rappresentano i potenziali utilizzatori, con particolare riferimento ai cerealicoltori.

L’applicabilità nelle aziende agricole è vincolata allo sviluppo industriale del “prototipo”. Al momento alcune ditte che operano nel settore della costruzione delle macchine e

(23)

attrezzature agricole hanno manifestato interesse e volontà di approfondimento. Potenzialmente tutte le ditte che operano nel settore della costruzione/commercializzazione delle seminatrici potrebbero essere interessate allo sfruttamento commerciale del brevetto.

OXAM, CRA: ITALIA TRISTE PRIMATO OBESITA’, ASSIEME AI PAESI DELLA DIETA MEDITERRANEA

I l C o n s i g l i o p e r l a R i c

(24)

erca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA), con gli studiosi specializzati del Centro Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (CRA-NUT), commenta il Good Enough to Eat Index – l’ indice globale sull’alimentazione lanciato da Oxfam nei giorni scorsi – che confronta i dati di 125 paesi, analizzando come riescono a garantire una alimentazione sufficiente, nutriente, sana e accessibile a tutti i propri abitanti. La classifica prende in considerazione la qualità degli alimenti, l’accessibilità, la presenza di una dieta salutare e si domanda quanti abbiano a disposizione una quantità di cibo sufficiente. Ed è l’Olanda a svettare al primo posto, subito davanti a Francia e Svizzera. L’Italia risulta in ottava posizione, a pari merito con Irlanda, Portogallo e altri paesi e subito dietro ad Austria, Danimarca, Svezia e Belgio.

Secondo i ricercatori del CRA-NUT, questo dato non sorprende e coincide, anzi, con il triste primato di Italia, Spagna e Grecia (cioè i Paesi del Mediterraneo, culla della celebratissima omonima dieta), che presentano i tassi di obesità più elevati di Europa. Sembra davvero rovesciato quanto descritto dal Seven Countries Study di Ancel Keys – lo studio alla base del primato della dieta mediterranea – che evidenziava minore mortalità e morbilità nelle nazioni sud europee rispetto a quelle del nord Europa. Oggi, lo stile di vita più sano e l’alimentazione più corretta sembrano essersi spostate a nord.

“Attenzione però, afferma Laura Rossi – ricercatore e nutrizionista CRA NUT – questo non vuol dire che la dieta mediterranea non funziona, ma che anche in posti con una tradizione alimentare di livello e con produzioni di qualità, se non si attuano strategie di salute pubblica per indirizzare le scelte verso modelli alimentari e stili di vita tesi a proteggere la salute del consumatore, si vanifica quanto di buono la tradizione mediterranea ha costruito finora”.

I l p r e s i d e n t e d e l C o n s i g l i o p e r l a R i c e r c a e l a sperimentazione in Agricoltura (CRA), prof. Giuseppe Alonzo,

(25)

commenta: “Forse la dieta mediterranea ha maggior bisogno di essere compresa e applicata che di essere celebrata. La promozione della ricerca applicata alla nutrizione che traduce i dati scientifici in strumenti di politica alimentare, come le Linee Guida per una Sana Alimentazione e le strategie preventive che coinvolgono la nutrizione, è il solo modo per favorire modelli salutari e sostenibili. Un passaggio obbligato questo – conclude il presidente – per ridurre l’impatto delle malattie che vedono una componente alimentare e determinare davvero una riduzione della spesa sanitaria.

LA RICERCA DEL CRA CONQUISTA LA GERMANIA, CHE COMPRA LE FRAGOLE “GARDA”

Il Consiglio per la R i c e r c a e l a Sperimentazione in Agricoltura (CRA) h a v e n d u t o a 2 g r a n d i a z i e n d e tedesche i diritti s u G a r d a , l a v a r i e t à f r u t t o d e l l a r i c e r c a i t a l i a n a s u l l a fragola. Infatti, Walther Faedi, direttore dell’unità di ricerca per la frutticoltura di Forlì (CRA FRF) ha firmato un contratto per l a c e s s i o n e d e i d i r i t t i d i m o l t i p l i c a z i o n e e commercializzazione della varietà di fragola GARDA in Germania

(26)

e Austria con due aziende leader: la KRAEGE www.kraege.de e la MALE SAMENHANDEL www.erdbeerhof-leicht.de.

GARDA si presenta come una vera novità nel panorama varietale della fragola nel periodo precoce. Alla precocità unisce perfetta regolarità della forma, facilità del distacco dei frutti, consistenza e buon sapore. Caratteristiche molto apprezzate sia dai produttori che dai consumatori.Diffusa commercialmente nel 2012, GARDA è già diventata un’importante realtà produttiva in Veneto, dove si presume che nel 2014 rappresenterà circa il 20% dei fragoleti.

Kraege Beerenpflanzen è da oltre 40 anni una rilevante impresa vivaistica del Nord-Ovest della Germania, che moltiplica su circa 100 ettari più di 20 varietà di fragola e di lampone.

MaLe Samenhandel, costituita nel 1996, è situata nella Valle del Reno, vicino a Karlsruhe, ed è leader nella coltivazione della fragola.

Queste due aziende hanno acquisito i diritti, non esclusivi, per la produzione e vendita di piante di GARDA per 20 campagne vivaistiche la scadenza del contratto, infatti, è prevista per il 31 dicembre 2034.

Kraege e MaLe si uniscono al gruppo dei tre concessionari italiani: Aposcaligera di Verona, Coviro di Ravenna e Vivai F.lli Zanzi di Ferrara a cui il CRA-FRF ha affidato la diffusione di questa creazione varietale nell’Unione Europea.

Grande soddisfazione da parte del presidente del CRA prof.

Giuseppe Alonzo: “Dimostriamo così con i fatti che la ricerca è sviluppo e crescita economica a beneficio del Paese”.

(27)

CRA: PRESENTATI I RISULTATI DEL PROGETTO “AGRITRASFER-IN- SUD”

I l C o n s i g l i o p e r l a Ricerca e sperimentazione in Agricoltura (CRA) ha presentato i risultati di “Agritrasfer-In-Sud”, il progetto finanziato dal MiPAAF e coordinato dal CRA stesso, per facilitare il trasferimento di conoscenze e risultati dal mondo della ricerca a quello delle imprese. Ad Agritrasfer-In-Sud hanno collaborato anche l’ INEA, le Regioni Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia, la Rete Interregionale per la Ricerca, i Servizi di Sviluppo Agricolo regionali. Un insieme di competenze ed esperienze che, sfruttando i moderni sistemi di archiviazione e comunicazione, ha permesso la messa a punto di un modello di lavoro, finalizzato alla circolazione e alla condivisione delle conoscenze, in grado di vivere oltre il progetto e replicabile anche in altri contesti produttivi. Uno strumento davvero innovativo, che consente la partecipazione degli stakeholder alla diffusione dell’innovazione, alla

(28)

realizzazione di attività dimostrative e formative, nonché alla individuazione delle nuove esigenze di ricerca.

In particolare, il progetto ha prodotto

• un archivio di risultati e innovazioni trasferibili, prodotti dalle strutture di ricerca del CRA, disponibile on

l i n e s u

http://sito.entecra.it/portale/cra_atis.php?lingua=IT&opz_menu

=4&access_flag=0

• la costituzione di “Comunità di pratiche” tra ricercatori e tecnici/divulgatori regionali per lo scambio di esperienze su specifiche tematiche e la costruzione di percorsi condivisi di sviluppo locale, con il coordinamento di un gruppo di animazione e il supporto di una piattaforma informatica per la formazione e la collaborazione a distanza. In tal senso, un caso emblematico è il supporto che i ricercatori del CRA, di concerto con la Regione Campania, hanno dato alle Cooperative di giovani che operano sui terreni confiscati alla malavita organizzata, per la coltivazione di alcune tipiche leguminose da granella campane

• l ’ a p p r o f o n d i m e n t o d i p r o b l e m a t i c h e a t t r a v e r s o l’organizzazione di incontri tecnici territoriali con i portatori di interesse e con l’ausilio della piattaforma informatica.

“Nel rapporto tra ricerca e imprese – afferma il presidente del CRA, Prof. Giuseppe Alonzo – il trasferimento dei risultati rappresenta l’anello debole della catena, sul quale è necessario rafforzare le attività, per garantire competitività al sistema produttivo. E non è un caso che le politiche comunitarie e nazionali abbiano mostrato negli ultimi anni un crescente interesse per questo tema, considerandolo un elemento essenziale per lo sviluppo sostenibile dei territori e delle imprese. Auspico, pertanto –

(29)

conclude Alonzo – che la valorizzazione di tutti i prodotti della conoscenza scientifica del CRA, attraverso un’offerta sistematica di risultati e di innovazioni e il coinvolgimento delle istituzioni locali, come le Regioni, possa consentire alle imprese di settore di coglierne i frutti e trarne profitto e all’Ente di ricerca di sviluppare nuove attività di ricerca e sperimentazione”.

IL CRA METTE ON LINE “LE ETICHETTE ALIMENTARI”

Quante v o l t e davant i a d u n o scaffa le del superm ercato c i interr oghiamo su quale prodotto scegliere? Sappiamo davvero leggere le etichette? Come distinguere le diciture ingannevoli? Come riuscire ad individuare il migliore rapporto qualità prezzo?

Per aiutare il consumatore ad orientarsi nel “paese delle meraviglie” dei prodotti agro-alimentari, il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) ha messo on line la guida “Le etichette alimentari – guida alla lettura”, realizzato da un gruppo di suoi ricercatori e scaricabile gratuitamente dal sito www.entecra.it.

(30)

Si tratta di uno strumento di agile lettura e facile consultazione, che fornisce preziosi consigli e indicazioni utili per acquistare al meglio, sfruttando tutte le informazioni riportate in etichetta. Dagli ingredienti al peso, dalla tracciabilità alla scadenza, dai dati nutrizionali agli health claims: ogni aspetto viene affrontato con chiarezza e semplicità, facendo ricorso ad una grafica che riproduce fedelmente le etichette più diffuse di numerosi tipologie di prodotto (olio, tonno, marmellata ecc).

“Troppe volte il consumatore è smarrito e confuso di fronte alla mole di informazioni riportate in etichetta – afferma il Prof. Alonzo, presidente CRA -. Eppure, come dimostra questa guida, bastano poche conoscenze in più per fare scelte alimentari consapevoli. Tra i nostri compiti istituzionali rientra anche la tutela del consumatore e mettere on line questo libretto è un significativo passo in tal senso”.

www.entecra.it

DAL CRA LE “PROTEINE” DELLA

FRAGOLA E IL SEGRETO DEL

COLORE DELLE PESCHE

(31)

La pubblicazione s c i e n t i f i c a

“Protein Synthesis Inhibition Activity b y S t r a w b e r r y T i s s u e P r o t e i n Extracts during Plant Life Cycle and under Biotic a n d A b i o t i c S t r e s s e s ” ,

p u b b l i c a t a s u International Journal of Molecular Sciences 2013, 14(8), è il risultato di una stretta e proficua collaborazione fra il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica (DIMES) dell’Università di Bologna e CRA-FRF.

Le RIP (Ribosome-Inactivating Proteins) sono proteine in grado di danneggiare irreversibilmente i ribosomi, con conseguente inibizione della sintesi proteica e quindi morte della cellula stessa.

La distribuzione delle RIP nel regno vegetale e il loro meccanismo d’azione non sono stati ancora completamente chiariti e diverse sono le ipotesi riguardo al loro ruolo fisiologico. Infatti, potrebbero giocare un ruolo importante nella risposta delle piante agli attacchi di parassiti, agli stati di stress, come pure ai processi di senescenza.

L’obiettivo principale di questo studio è stato quello di valutare l’attività delle RIP in estratti (di tessuti – out) di foglie, radici, rizomi, fiori, frutti e germogli prelevati in piante di fragola di due varietà caratterizzate da una contrapposta reazione ai principali patogeni fungini dell’apparato radicale presenti in suolo: una, Dora, considerata molto suscettibile e l’altra, Record, molto resistente. Questa ultima viene consigliata nelle coltivazioni in biologico. E’ stata, inoltre, valutata l’influenza del

(32)

metodo di coltivazione (coltivazione in biologico e tradizionale-integrata) e della carenza idrica sullo stato di stress delle piante.

I risultati hanno evidenziato un’aumentata attività RIP nelle foglie di piante di fragola esposte a stress di tipo sia endogeno (fruttificazione), sia esogeno (mancato apporto idrico). L’aumento dell’attività RIP sembra quindi coinvolto nei meccanismi di sensibilità delle piante allo stress. Questo indicatore biologico potrebbe rivelarsi un utile strumento per sviluppare nuovi metodi di screening precoce per la selezione di genotipi di fragola resistenti a stress biotici e abiotici.

P e s c h e g i a l l e o

p e s c h e bianche

? I l segreto è

racchiu s o i n un gene

Il lavoro, pubblicato online il 24 luglio 2013 su Plant Molecular Biology Reporter, è il risultato della stretta collaborazione fra CRA-FRF, che ha partecipato con i ricercatori Alessandro Liverani, Daniela Giovannini e Federica Brandi, ed altre due istituzioni di ricerca italiane: il Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna, e il Centro di Ricerca Trisaia dell’ENEA di Rotondella (MT).

La scoperta può portare a importanti ricadute pratiche per tutti coloro che operano nel settore del miglioramento

(33)

genetico e nella selezione di nuove varietà di pesco. Grazie agli strumenti di analisi del DNA messi a punto, sarà infatti possibile selezionare precocemente le piante sulla base del colore della polpa senza dover attendere il tempo necessario per la loro messa a frutto (generalmente 3-4 anni) con notevoli vantaggi in termini di spazio e di costi.

IL CRA VIT CELEBRA I SUOI 90 ANNI E FA IL PUNTO SULLA RICERCA SU VITE E VINO

I l c e n t r o d i r i c e r c a per la viticoltura del Consiglio per la Ricerca e la

(34)

sperimentazione in Agricoltura (CRA-VIT) di Conegliano Veneto ha celebrato il suo novantennale, con il convegno: “90 anni di vita dell’ISV/CRA-VIT di Conegliano (1923 – 2013):

l’evoluzione e le prospettive dell’ampelografia e del miglioramento genetico, della difesa e del legame vino- territorio”.

Un’occasione importante per fare il punto sull’evoluzione della ricerca scientifica in viticoltura e sulle sue prospettive, in particolare in settori quali l’ampelografia, il miglioramento genetico, la difesa dai parassiti e lo studio del legame vino-territorio, con particolare attenzione al contributo dato dall’ISV prima e dal CRA- VIT di Conegliano.

“La viti-vinicoltura italiana – ha affermato il Presidente CRA Prof. Giuseppe Alonzo – ha compiuto nell’ultimo secolo progressi enormi in termini economici, ambientali e sociali, vincendo sul mercato grazie a quei fattori unici che la rendono parte della nostra identità storico culturale: dalla notevole diversità pedo-climatica, alla ineguagliabile ricchezza varietale, al savoir faire affinatosi nel tempo.

Guardando al futuro, però, deve continuare ad essere vincente, puntando ancora di più sull’eccellenza e sull’export. In questo quadro, – continua il prof. Alonzo – l’innovazione scientifica è essenziale sia per essere competitivi nel mercato globale sia per risolvere e prevenire problemi che si incontrano in vivaio, in vigneto, in cantina, sempre nell’ottica della sostenibilità”.

Anche Domenico Zonin, Presidente Unione Italiana Vini (UIV), che ha partecipato alla tavola rotonda, ha posto – dal punto di vista delle imprese – l’accento sulla ricerca: ““La nostra organizzazione è motivata a coordinarsi con le istituzioni, in primis con i centri di ricerca nazionali di eccellenza ed il CRA, per definire i bisogni importanti ed urgenti delle aziende vitivinicole e trovare le soluzioni in materia di ricerca applicata in viticultura ed enologia. UIV si propone, coerentemente con il proprio ruolo, come coordinatore e

(35)

collettore di vari attori che possono attivamente rilanciare la ricerca in un settore così importante come quello vitivinicolo”.

Nel corso del convegno, inoltre, sono stati presentati i risultati del progetto di ricerca “Valorizzazione dei principali vitigni autoctoni italiani e dei loro terroir (VIGNETO)”, finanziato dal MiPAAF e coordinato dal CRA-VIT di Conegliano con la collaborazione di CRA-Centro di ricerca per la Genomica e la Postgenomica (CRA-GPG), Istituto di Genomica Applicata (IGA) di Udine, Università di Udine, Università di Verona, Università di Milano e Scuola Superiore di Studi S.

Anna (SSSA) di Pisa.

Da un punto di vista applicativo il progetto ha permesso di:

– Stilare un vero e proprio passaporto genetico dei principali vitigni autoctoni italiani. Dalle nostre analisi approfondite si conferma l’elevata diversità di vitigni autoctoni italiani e conseguentemente la grande variabilità di vini che possono essere prodotti. Si tratta certamente di uno dei fattori determinanti per il successo commerciale dei nostri vini, soprattutto all’estero. E questo è il primo passo per difendere e valorizzare lo straordinario patrimonio viticolo nazionale.

– Conoscere la composizione dettagliata delle uve alla raccolta, per poter così indirizzare nel modo più opportuno la tecnica enologica, esaltando al massimo le peculiarità organolettiche dei diversi vitigni. In tal modo sarà possibile ottenere un ulteriore miglioramento qualitativo dei vini, con una distinta e sempre più spiccata connotazione.

– Conoscere l’espressione genica sia nelle fasi principali dello sviluppo vegetativo della pianta sia durante il processo della maturazione dell’uva dei diversi vitigni, permettendo in futuro di poter gestire in modo mirato le tecniche colturali, in rapporto alle variabili ambientali. Ciò consentirà di

(36)

intervenire, ad esempio, sui tempi e sui modi di concimare o irrigare il vigneto, sulla base di indici genetici e non più fisiologici.

– Capire il grado di adattamento dei vitigni ai vari terroir, per poter ottimizzare la loro espressione qualitativa in diversi ambienti.

DALLA CO2 TANTI PROBLEMI MA

ANCHE UN EFFETTO COLLATERALE

POSITIVO AUMENTA LA

PRODUZIONE AGRICOLA, DAL CRA

ECCO COME E PERCHE’

(37)

U n a u m e n t o d e l l a r e s a i n granella e una riduzione del contenuto proteico sono le maggiori conseguenze dell’aumento della concentrazione atmosferica in anidride carbonica (CO2) sulla produzione di frumento duro. Questo è il risultato della sperimentazione FACE effettuata presso il Centro di Ricerca per la Genomica del CRA di Fiorenzuola d’Arda in collaborazione con il CNR di Firenze”, fanno sapere ad AGRICOLAE dal Cra. FACE, acronimo di Free Air CO2 Enrichment, è un sistema sperimentale che consente di creare in pieno campo le condizioni atmosferiche che si verificheranno tra 40-50 anni.

Tra i cambiamenti climatici previsti per i prossimi decenni, oltre ad un riscaldamento globale del pianeta, crescenti rischi di siccità e di eventi meteorici più intensi, – come spiega Luigi Cattivelli, del CRA – c’è anche un rapido aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera. Quest’ultima aumenterà del 30- 40% nei prossimi 40 anni a causa del

(38)

crescente utilizzo a livello mondiale di carburanti fossili.

Tuttavia, la CO2 è anche la principale fonte di nutrimento delle piante che tramite il processo della fotosintesi la trasformano in carboidrati ed, in ultima istanza, in produzione agricola. Vista l’entità dei cambiamenti attesi nei prossimi decenni, è più che mai necessario studiare come le piante coltivate si adatteranno alle nuove condizioni atmosferiche e selezionare varietà che meglio di altre siano capaci di crescere e produrre nelle nuove condizioni climatiche.

I sistemi sperimentali FACE – proseguono dal Consiglio per la ricerca in agricoltura – permettono di studiare l’effetto dell’aumento della CO2 atmosferica sulla crescita delle piante in condizioni agricole reali e consentono pertanto di avere indicazioni molto precise sugli effetti dei cambiamenti climatici sulla produzione agricola. Presso Il Centro di Ricerca per la Genomica del CRA è stato installato un sistema FACE costruito in collaborazione con l’Istituto di Biometeorologia del CNR di Firenze attraverso un progetto finanziato da alcune Fondazioni bancarie tramite il programma

“AGER: ricerca agroalimentare”, progetto a cui partecipano anche l’ENEA ed il Centro di Ricerca per la Cerealicoltura del CRA.

Nel corso di due anni di funzionamento il FACE ha verificato il comportamento di 12 varietà di frumento duro cresciute in condizioni di campo alla concentrazione di CO2 prevista per il 2050. I primi risultati hanno dimostrato un generale aumento di produzione associata ad una diminuzione del contenuto proteico con un potenziale effetto negativo sulla qualità del frumento duro, tuttavia tali risposte sono estremamente variabili a seconda delle varietà testate. Da ciò ne consegue che un lungimirante lavoro di miglioramento genetico che tenga conto di questi risultati potrebbe realizzare nuove varietà capaci di sfruttare al meglio l’aumento della CO2 atmosferica evitando o limitando le conseguenze negative sulla qualità del

(39)

prodotto.

Il sistema FACE installato a Fiorenzuola rappresenta una infrastruttura scientifica di ultima generazione, l’unica operativa in Italia e tra le pochissime in Europa, che consente di attualizzare ad oggi condizioni climatiche che si realizzeranno nei prossimi decenni, una strumentazione fondamentale per preparare oggi le piante che ci serviranno domani. Ciò nonostante, l’assenza di nuovi progetti di ricerca in grado di sostenere l’accensione di questa infrastruttura ha causato la sua messa in “stand by” per il 2014 senza che ad oggi vi siano prospettive per gli anni a seguire.

Riferimenti

Documenti correlati

Accanto all’esposizione dei campioni delle cultivar delle specie frutticole che maturano in questo periodo in Italia, saranno presenti numerose accessioni conservate nella

Ore 10.20 Le pesche Buco Incavato e la pera Mora di Faenza: caratteristiche e storia Stefano Tellarini – Libero professionista, esperto vecchie varietà. Ore 10.40 Le pesche

L'Osservatorio Nazionale Miele e il CRA-API – Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura - Unità di ricerca di apicoltura e bachicoltura , al fine della

Gli scenari di cambio di uso del suolo sono stati creati in accordo con i possibili ef- fetti di Agenda2000 sulle colture della pianura lombarda. In particolare, si sono conside-

CRA- RPS Centro di ricerca per lo Studio delle Relazioni tra Pianta e

Analizzando la tabella 14, che analizza i costi ambientali derivanti dal consumo di 100 grammi di carne di bovino, maiale lavorato e pollo, si rileva come nel caso della carne

Tale voce di spesa non dovrà superare la soglia del 10% dei costi addizionali di progetto e dovrà comprendere i costi per missioni, partecipazioni a congressi, meeting tra

PREVISIONE DI SPESA: PIANO FINANZIARIO LOCALE PER GLI ANNI DELLA DURATA DEL PROGETTO In ML ANNI FINANZIARI.. Osservazioni del Direttore della Struttura in merito alla disponibilità