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Il sito della ricerca in agricoltura

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Academic year: 2022

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www.agricoltura.regione.lombardia.it Il sito della ricerca in agricoltura

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il sistema agricolo lombardo

I dati del Servizio Agrometeorologico

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Presentazione 3

L’acqua come risorsa per il sistema agricolo lombardo.

I dati del Servizio Agrometeorologico

L’acqua rappresenta attualmente un limite fondamentale per la salute e il benessere del- la popolazione della Terra. La sua richiesta tenderà ad aumentare nel prossimo futuro e questo impone già oggi la necessità di definire ed adottare politiche di gestione che inve- stono le scelte urbanistiche, territoriali e infrastrutturali con ricadute importanti sotto l’aspetto economico ed ambientale. L’agenda degli ultimi anni, a partire dagli eventi cli- matici del 2003, lo ha già imposto all’attenzione dei decisori pubblici. Nel comparto agri- colo le richieste idriche si faranno sempre più pressanti per aumentare il livello della pro- duttività agricola, per far fronte agli effetti del riscaldamento dell’aria causati dal cosid- detto “effetto serra” e al deterioramento della qualità delle acque.

La minaccia della siccità e della desertificazione nell’area del Mediterraneo deve esse- re affrontata per tempo, studiando la corretta gestione dell’acqua. Nello specifico dell’agri- coltura, migliorare l’efficienza d’utilizzazione dell’acqua irrigua comporta un notevole risparmio di risorse a vantaggio di altre superfici da irrigare, dell’ambiente e di altri set- tori produttivi.

La ricerca e l’innovazione nel comparto agricolo possono fornire un valido supporto di conoscenze per misurare i consumi d’acqua delle piante coltivate e simulare i processi produttivi attraverso il modelli colturali. Grazie a queste conoscenze tecniche si possono ot- tenere indicazioni sull’impatto di nuovi possibili scenari climatici sulla produttività agri- cola di un territorio.

Nuovi strumenti possono essere offerti agli agricoltori per orientare le loro decisioni con il fine di distribuire l'acqua al momento più opportuno per la pianta, effettuando ade- guate scelte colturali, evitando gli sprechi e gli eccessi.

Occorre, infine, fare una serena valutazione in termini tecnici e sociali dei rischi de- rivanti dalle variazioni climatiche e dalla contrazione della disponibilità di acqua per l’ir- rigazione affrontando un confronto trasparente con gli altri soggetti presenti nei diversi comparti produttivi, turistici e commerciali interessati all’uso di questa importante risorsa.

Francesco Mapelli Viviana Beccalossi

Presidente ERSAF Vicepresidente Regione Lombardia

Assessore all’Agricoltura

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Il miglioramento della gestione delle risorse idriche in agricoltura è uno degli obiettivi cen- trali del Piano di Sviluppo Rurale. L’emergenza idrica del 2003 ha dimostrato che è neces- sario raggiungere questo obiettivo considerando le relazioni con l'ambiente, il territorio rurale e il paesaggio agrario. L’acqua è un bene pubblico da salvaguardare, il suo utiliz- zo va razionalizzato promuovendo il risparmio idrico e l’uso plurimo di questa risorsa.

Tutto questo consente, fra l’altro, di tutelare e valorizzare il territorio rurale e il paesaggio agrario.

Nella nostra regione le acque sono utilizzate da secoli per molteplici scopi. La naviga- zione e l’irrigazione sono presenti sin dal medioevo e il loro sviluppo ha portato alla crea- zione di una fitta rete di rogge e canali che caratterizza fortemente molte aree del territo- rio lombardo. A questi usi si sono aggiunti nel secolo scorso le utilizzazioni industriali e ricreative, sia dei fiumi sia dei laghi e, più recentemente, l’interesse per la tutela del deli- cato ambiente fluviale che in diverse zone significa anche tutela delle popolazioni riviera- sche dalle esondazioni.

La gestione del quotidiano conflitto tra questi usi multipli nella regolazione dei deflus- si dei laghi è un tema di grande attualità sul quale occorre promuovere la concertazione di azioni condivise con l’individuazione di un insieme di alternative di compromesso tra i portatori d’interesse coinvolti nella regolazione dei laghi. Questi processi richiedono la de- finizione di una fase di pianificazione del sistema idrico regionale (bacini idroelettrici dei vari bacini imbriferi, laghi, fiumi, sistemi irrigui).

È un impegno complesso che richiede anche un’attenzione particolare per la Gestione partecipata di tutti gli attori del sistema. Occorre infatti elaborare e condividere strumen- ti a supporto delle scelte del Gestore competente per ogni asta fluviale interessata sia nel de- cidere ogni giorno il volume da erogare nelle successive 24 ore, sia il suo riparto tra gli uten- ti a valle, tenendo conto delle informazioni e/o previsioni idro-meteorologiche disponibili e dello scenario agricolo territoriale di riferimento. Non è possibile infine, pianificare la regolazione delle acque superficiali senza tener conto dell’effetto che essa induce su quel- le sotterranee. Si tratta pertanto di mettere a punto azioni di governo capaci di risolvere i conflitti tra utenti irrigui, idroelettrici, ambientali (i Parchi) e civili, nonché la complessa interazione tra acque superficiali e sotterranee perché la gestione delle acque è vitale per l’economia del territorio.

Paolo Lassini Dirigente U.O. Sviluppo e tutela

del territorio rurale e montano

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Introduzione 5

L’aggiornamento delle serie storiche dei dati acquisiti dalla rete agrometeorologica regio- nale gestita da ERSAF è un’interessante occasione per offrire a tutti coloro che seguono le vicende dell’agricoltura lombarda alcuni elementi di riflessione sul tema acqua. Riteniamo che la raccolta dei contributi di studiosi e tecnici che operano nel settore rappresenti un osservatorio significativo per offrire, non solo un insieme di dati e informazioni che aiu- tano ad aggiornare ed estendere le conoscenze ma anche, e soprattutto, per riflettere e pro- porre indicazioni utili alla gestione pratica del problema.

Il tema della gestione delle risorse idriche in campo agricolo non può e non deve es- sere disgiunto dal più generale ragionamento sulle politiche che, a livello locale ed inter- nazionale, si mettono in campo per tutelare un bene pubblico primario il cui utilizzo de- ve rispondere sia a logiche economiche sia ad esigenze di tutela ambientale.

L’andamento delle variabili meteorologiche non può essere letto oggi semplicemente come analisi statistica delle serie disponibili ma può essere interpretato per una valutazio- ne dell’impatto a scala locale dei cambiamenti climatici.

L’aumento della temperatura, la modificazione delle precipitazioni sia come quantità/in- tensità sia come forma (pioggia, grandine, neve), la variazione dell’umidità dell’aria e del- l’insolazione, l’aumento della CO2, influenzano le modificazioni del rapporto fra agricol- tura e ambiente e provocano effetti sulla vita animale e vegetale.

Le modificazioni nella gestione della risorsa idrica investono tutto l’insieme delle scien- ze e delle tecniche agronomiche. Diverse colture vedranno spostarsi verso nord il proprio areale di produzione; si modificheranno i meccanismi che regolano i processi di umifica- zione e di mineralizzazione del terreno; cambieranno i rapporti tra parassiti, patogeni e specie coltivate con inevitabili modificazioni delle strategie di difesa delle colture, ci sa- ranno variazioni nei fabbisogni irrigui delle coltivazioni.

Le conseguenze delle variazioni climatiche comportano quindi per il comparto agro-fo- restale l’adozione di strategie di adattamento che interessano le tecniche agronomiche, la fi- siologia delle piante e le scelte di programmazione economica. Le strategie di tecnica agro- nomica riguardano l’individuazione di cultivar e varietà coltivate che si adattano alle nuove condizioni ambientali, cambiamenti nelle pratiche agronomiche (tipo e modalità di distribu- zione di fertilizzanti e antiparassitari), tecniche più efficaci per conservare l’umidità del suo- lo e gestire l’irrigazione. Le strategie di gestione aziendale riguardano il cambio d’uso del suo- lo, la sostituzione delle specie coltivate e le modifiche del microclima delle colture.

L’agricoltura lombarda deve quindi sviluppare ricerche, innovazione tecnica e speri- mentazioni in direzione della sostenibilità delle coltivazioni.

Antonio Tagliaferri Dirigente Struttura Programmazione, Comunicazione e Innovazione - ERSAF

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Il contesto regionale

ERSAF - Struttura Programmazione, Comunicazione, Innovazione Via Copernico, 38 - 20136 MILANO Tel 02.67.40.46.73 e-mail: lorenzo.craveri@ersaf.lombardia.it www.ersaf.lombardia.it

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Il contesto regionale 9 Lorenzo Craveri

Il contesto geografico

Il territorio lombardo si estende dallo spartiacque alpino al Po, e dall’allineamento dei fiu- mi con i laghi prealpini Verbano-Ticino a quello Benaco-Mincio. I confini della circoscri- zione amministrativa, però, sono assai meno regolari. A sud-ovest la Lombardìa compren- de la Lomellina, alla destra del Ticino, e l’Oltrepò Pavese, a sud del Po; a sud-est, in pro- vincia di Mantova, due fasce pianeggianti alla destra del Po e alla sinistra del Mincio; a nord- est ne sono escluse le Valli Giudicarie. Ancor più irregolare e frutto di complesse vicen- de storiche è il confine settentrionale con la Svizzera, che lascia a quel Paese il territorio del Canton Ticino; più a est il confine segue la linea spartiacque, lasciando però in terri- torio elvetico l’alta Val Bregaglia e la Val di Poschiavo, tributarie del Po tramite l’Adda, e comprendendo in territorio lombardo le valli di Lei e di Livigno, che tributano rispettiva- mente al Mare del Nord tramite il Reno e al Mar Nero tramite i corsi dell’Inn e del Danu- bio. La struttura morfologica del territorio è alquanto semplice nelle sue grandi linee: a nord si eleva una fascia di alti rilievi montuosi, a cui succede a sud un’ampia fascia pia- neggiante, che costituisce buona parte della sezione centrale della Padania. Un sistema di solchi vallivi longitudinali alla disposizione della catena alpina (Val di Corteno, media e bassa Valtellina) separa i rilievi delle Alpi a nord da quelli prealpini a sud. Rientrano nei limiti amministrativi della Lombardìa solo una parte piuttosto esigua delle Alpi Lepontine e un settore assai più esteso delle Alpi Retiche. Della fascia prealpina fanno parte i rilie- vi della regione compresa tra i laghi Maggiore e di Como e specialmente la catena delle Alpi Orobie, profondamente incise da lunghe valli trasversali (Valsassina, Brembana, Se- riana, Camonica, Trompia, Sabbia). Ai piedi dei rilievi prealpini succede verso sud un si- stema irregolare di basse e regolari ondulazioni moreniche. Graduale e spesso inavverti- to è il passaggio dalla fascia collinare all’alta pianura lombarda, costituita da materiali in- coerenti e permeabili e incisa profondamente dai solchi vallivi dei fiumi che scendono dalle Prealpi. Ancor più graduale è il passaggio alla bassa pianura impermeabile e ben ir-

Per meglio comprendere quelle che sono le problematiche agrome- teorologiche tipiche di una grande regione del Nord Italia come la Lombardia è ne- cessario inquadrare le principali caratteristiche topografiche, meteorologiche e cli- matiche del territorio. In questa breve rassegna inquadreremo assieme le principali caratteristiche geografiche del territorio lombardo, che come sappiamo è rappresen- tato da vaste aree di pianura che occupano circa il 47% del territorio, ma non dimen- ticheremo la rilevanza del territorio montagnoso che da parte sua si estende su circa il 40% della Lombardia. Fondamentale sarà poi analizzare le principali caratteristi- che del clima Lombardo e dei suoi mesoclimi – padano, insubrico ed urbano – per ca- pire quelle che sono le ricadute sulle attività agricole.

A b s t r a c t

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rigata, segnato dalla fascia dei fontanili o risorgive. Per quello che riguarda l’idrografia se si escludono le valli di Lei e di Livigno, l’intero territorio lombardo convoglia le sue ac- que al Po , che segna buona parte del confine amministrativo meridionale. Al Po scendo- no da sinistra i fiumi Ticino, Lambro, Adda, Oglio e Mincio , da destra i torrenti Scrivia e Staffora e il fiume Secchia. I principali fiumi alpini, e cioè il Ticino, l’Adda, l’Oglio e inol- tre il Mincio, immissario del Lago di Garda con il nome di Sarca, scendono dalle Alpi lun- go tronchi vallivi longitudinali e trasversali al sistema alpino, alimentano i vasti bacini la- custri prealpini (rispettivamente il Lago Maggiore, il Lago di Como, il Lago d’Iseo e il Lago di Garda), che ne regolano il regime idrico, e attraversano infine la pianura con un cor- so orientato a sud-est.

Gli aspetti agrometeorologici del clima Lombardo

Sul clima delle aree coltivate lombarde agisce anzitutto la latitudine (la regione è posta a metà strada fra il polo e l’equatore) e la localizzazione geografica, che vede la vicinanza del Mar Mediterraneo, che in tutte le stagioni è fonte di aria caldo - umida, dell’Oceano Atlantico, fonte di aria umida e mite, del Continente Eurasiatico, che in inverno è fonte di masse d’aria molto fredda ed asciutta, dell’area artica, fonte di masse d’aria fredda e del continente africano, fonte di aria molto calda che, originariamente asciutta, si umidifica du- rante il transito sul Mediterraneo.

A tali elementi primari si associano i caratteri della copertura del suolo (tipo di coper- tura, vegetazione naturale o coltivata, ecc.) ed i caratteri della superficie (giacitura, pen- denza, esposizione, altitudine), cooperando a determinare il clima alle diverse scale, dal- la macroscala al clima locale ed al microclima. L’azione sul clima degli elementi sopra de- scritti è mediata dalla circolazione atmosferica, la cui relazione con le grandezze meteo - climatiche al suolo è oggetto di studio da parte della climatologia dinamica. È sufficiente osservare le carte meteorologiche dell’area europea per rendersi conto che le diverse sca- le spaziali ci regalano una varietà assai elevata di strutture. Ad esempio alla macroscala le medie latitudini vedono la presenza di grandi strutture circolatorie quali gli anticicloni sub- tropicali (es: anticiclone delle Azzorre) le depressioni delle alte latitudini (es. depressione d’Islanda) e le grandi correnti occidentali, mentre a scala locale troviamo, come elemen- to più caratteristico, le brezze.

Per gli aspetti circolatori si deve osser- vare che la Valpadana è a tutti gli effetti un enorme catino, delimitato da Alpi ed Appennini e con un’unica grande apertura verso est. Nel suo insieme tale conforma- zione la espone, ad esempio, alle irruzioni di aria fredda eurasiatica in inverno, piut- tosto che all’ingresso di aria umida adriati- ca nelle fasi perturbate, mentre a livello lo- cale ed in condizioni di stabilità assumo-

Figura 1 - Le precipitazioni medie sulla pianura lombarda - periodo 1976-2000

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Il contesto regionale 11 Lorenzo Craveri

no importanza i drenaggi notturni di aria fredda che dalle montagne scivolano verso val- le, piuttosto che la risalita diurna lungo le pendici di masse d’aria più calde. Da notare poi che le alte montagne che incorniciano il bacino padano impediscono la miscelazione del- le masse d’aria che stazionano al suo interno con quelle delle aree al contorno; a prova di ciò si potrebbero osservare la sensibile differenza delle temperature invernali fra le sta- zioni padane e quelle della vicina riviera ligure (secondo i dati del Servizio Meteorologi- co dell’Aeronautica nel trentennio 1961-1990, che possiamo comunque ritenere indica- tivi anche della realtà attuale, la temperatura media massima della prima decade di gen- naio è di 4.1 °C a Milano Linate e di 10.7 °C a Genova).

A ciò si aggiunga l’effetto climatico dei laghi prealpini, sufficiente a delimitare nel me- soclima padano un ambito separato indicato come “mesoclima insubrico”. Ai solchi dei la- ghi sono poi in gran parte collegate le grandi incisioni vallive alpine e prealpine, che pre- sentano in prevalenza direzione nord - sud (Valle del Ticino, Valchiavenna, Valcamonica, Valli Bergamasche) con la notevole eccezione, come precedentemente accennato, della Valtellina, che ha direzione est - ovest. A queste peculiarità morfologiche del territorio so- no associati alcuni caratteristici effetti sulle traiettorie delle masse d’aria.

Prescindendo dall’attività temporalesca estiva, spesso associata a campi di pressione a debole gradiente, le principali strutture meteorologiche responsabili delle situazioni di tempo perturbato sull’area padana sono le depressioni atlantiche, le depressioni seconda- rie (meteorologicamente definite come minimi di cut-off) che si formano in coincidenza con il transito delle depressioni atlantiche e le depressioni mediterranee isolate.

In particolare il maggior contributo alle precipitazioni padane deriva da condizioni di flusso perturbato meridionale, di norma associate a depressioni atlantiche in moto ver- so est. In tali condizioni è relativamente frequente assistere alla formazione di depressio- ni secondarie sottovento alle Alpi, nella zona del Golfo di Genova. Tali strutture esercita- no un caratteristico effetto volano, determinando una più lunga persistenza delle condi- zioni di tempo perturbato sull’area padana; infatti la traiettoria di tali minimi, di norma da ovest verso est, fa si che essi transitino sulla Pianura Padana, determinando l’acutizzar- si delle condizioni di instabilità prima di esaurirsi in Adriatico.

Un certo effetto sul quadro precipitativo dell’area è poi legato alle depressioni isola- te che si originano sul Mediterraneo in seguito ad irruzioni di aria polare marittima (es:

depressioni africane), aria polare continentale (es: depressioni balcaniche) o aria artica.

Tutte le situazioni perturbate sopra descritte sono particolarmente frequenti nei pe- riodi autunnale e primaverile, che per l’area padana sono quelli più favorevoli alle pre- cipitazioni.

I mesoclimi della Lombardia

Analizziamo ora i mesoclimi che interessano il territorio della regione Lombardia, aggiun- gendo ad essi, il cosiddetto “clima urbano” visto il peso sempre maggiore dell’urbanizza- zione e dell’antropizzazione del territorio sui caratteri del clima.

Il mesoclima padano

In pianura i campi meteorologici medi ed in particolare quelli della temperature e delle precipitazioni variano con relativa gradualità. In particolare le temperature medie annue

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sono assai uniformi e presentano valori compresi fra 12° e 14°C mentre la piovosità me- dia annua risulta gradatamente crescente dal basso mantovano verso nordovest, fino a massimi precipitativi della zona dei laghi prealpini. Sempre secondo la climatologia cita- ta, dai circa 1600-2000 mm annui dell’alta pianura occidentale si raggiungono i 600-700 mm nel basso mantovano.

Colpisce in particolare la relativa regolarità di variazione delle precipitazioni medie an- nue del territorio a fronte della distribuzione spesso assai irregolare della pioggia nei sin- goli eventi, specie in quelli temporaleschi. Tale fenomeno è una dimostrazione di come gli elementi della circolazione agiscano sui fattori (struttura del rilievo, sorgenti di umidità e di aria calda e fredda, ecc.) che determinano la distribuzione delle precipitazioni sull’area, producendo di fatto un’armonizzazione che risulta provvidenziale per l’intero ecosistema.

Il clima della fascia pianeggiante della Lombardia viene classificato come mesoclima padano, che è un clima di transizione fra il clima mediterraneo e quello Europeo e che si caratterizza per inverni rigidi ed estati relativamente calde, elevata umidità, specie nelle zone con più ricca idrografia, nebbie frequenti specie in inverno, piogge piuttosto limita- te ma relativamente ben distribuite durante tutto l’anno, ventosità ridotta e frequenti epi- sodi temporaleschi estivi.

La distribuzione delle precipitazioni nell’area padana nel corso dell’anno mostra due massimi, uno principale in autunno (intorno a ottobre) ed uno secondario in primavera (intorno a maggio).

La ventosità è di norma ridotta e frequenti sono le calme di vento. Una sensibile ac- centuazione del vento si registra tuttavia in coincidenza con gli episodi di foehn alpino men- tre venti moderati o forti dai quadranti orientali si registrano nelle fasi di tempo fortemen- te perturbato. Isolati rinforzi del vento si hanno inoltre in occasione dei temporali.

Il mesoclima insubrico (il clima dei laghi)

Il clima della regione dei laghi (mesoclima insubrico) si caratterizza per l’azione delle masse d’acqua dei laghi in grado di contenere gli abbassamenti termici invernali (la zo- na ha in media circa 2°C in più rispetto all’area padana, con un ridotto numero di gior- ni di gelo) e mitiga la calura estiva (la zona è in media 1-2°C più fresca di quella pada- na). Ciò si traduce in escursioni termiche annue dell’ordine dei 20°C contro i 25°C del- la pianura.

Da evidenziare inoltre il comportamento termico autunnale dell’area dei laghi che ri- sulta diversificato in quanto le zone del lago Maggiore e di Lugano risultano più fresche di quelle padane mentre la zona del lago di Garda presenta in genere temperature più elevate.

L’area dei laghi presenta una notevole abbondanza di precipitazioni, attribuibile in particolare all’orografia anche se non è trascurabile l’effetto delle masse idriche lacustri che umidificando i bassi strati possono ad esempio favorire l’innesco di fenomeni tempo- raleschi. I laghi occidentali (Maggiore, Como ed Iseo) presentano un massimo precipita- tivo estivo (giugno - luglio) ed uno autunnale molto simili fra loro mentre il lago di Gar- da presenta un massimo principale autunnale ed uno secondario primaverile - estivo (mag- gio - giugno).

Altri elementi caratteristici della zona dei laghi sono la scarsità delle nebbie e le pre- senza di venti locali caratteristici (brezze di lago).

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Il contesto regionale 13 Lorenzo Craveri

Il clima urbano

In una regione fortemente antropizzata ed urbanizzata come la Lombardia un ruolo sem- pre più rilevante è occupato dal clima urbano. Le aree urbane sono caratterizzate da tem- perature sensibilmente superiori a quelle delle aree rurali circostanti (“isola di calore”) ed alterati sono anche i livelli di precipitazioni, di umidità relativa, di vento e radiazione so- lare. Il clima urbano trae origine dall’interazione di una vasta e complessa serie di fattori, fra cui un ruolo primario hanno le emissioni di calore, la mancanza di aree verdi, umidi- tà e polveri collegate alle attività dell’uomo. In Lombardia l’isola di calore più consisten- te è quella di Milano, come attesta il fatto che in inverno, con condizioni di tempo stabi- le e cielo sereno, le temperature minime notturne del centro città risultano ormai di 4-6°C al di sopra di quelle registrate nel aree rurali limitrofe. Anche nelle altre stagioni è riscon- trabile questo fenomeno, ma con scarti nelle temperature minori.

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Variabilità e cambiamenti climatici nel corso degli ultimi due secoli:

evidenze osservative e problemi aperti

Istituto di Fisica Generale Applicata Università degli Studi di Milano via Brera, 28 – 20121 Milano e-mail: maurizio.maugeri@unimi.it

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Clima: variabilità e cambiamenti 17 Maurizio Maugeri

Introduzione

L’esigenza di capire in quale misura le modulazioni di temperatura osservate nel corso del XX secolo siano da ricondurre a cause di natura antropica, ha indotto la comunità scientifica ad indirizzare ampi sforzi verso lo studio dei processi che regolano il clima del nostro Pianeta. Nel loro complesso le ricerche condotte hanno evidenziato come il miglioramento della nostra capacità di comprendere l’evoluzione del clima della Terra richieda lo sviluppo di nuovi modelli nonché l’utilizzo di risorse di calcolo e di metodi numerici sempre più avanzati. Tuttavia, risulta forse di importanza ancora maggiore lo sviluppo delle osservazioni, in quanto solo la minuziosa osservazione di ciò che acca- de nel presente e di ciò che è accaduto nel passato nei diversi comparti del sistema Ter- ra, può consentirci di capire quali sono i processi e le interazioni fondamentali da con- siderare ai fini di una corretta comprensione dell’evoluzione delle condizioni dell’atmo- sfera. In questo ambito gioca un ruolo di assoluto rilievo l’enorme patrimonio di dati e di informazioni che si è accumulato grazie alle osservazioni meteorologiche che vengo- no condotte quotidianamente in tutto il Pianeta e che in molti siti hanno ormai una tra- dizioni ultra secolare.

Nel quadro del precedente contesto generale, un gruppo di lavoro, costituito da ricer- catori dell’Istituto di Fisica Generale Applicata, dell’Istituto per le Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC), dell’Osservatorio Astronomico di Brera e dell’Ufficio Centrale di Eco- logia Agraria (UCEA), ha avviato, nella seconda metà degli anni ‘90, un ampio program- ma di ricerche per il recupero, l’omogeneizzazione e l’analisi delle lunghe serie storiche italiane di dati meteorologici.

Viene presentato un quadro sintetico della variabilità e dei cambia- menti climatici occorsi in Italia negli ultimi due secoli, sulla base degli andamenti evi- denziati da un nuovo database di serie secolari di dati termometrici e pluviometrici relativi a circa 100 stazioni di osservazione. Queste serie sono state soggette ad un det- tagliato controllo di qualità e sottoposte ad un’estensiva omogeneizzazione; le serie omogeneizzate sono quindi state utilizzate per ricavare serie medie relative alle prin- cipali aree climatiche del nostro Paese. Tali serie evidenziano come in Italia, nel cor- so degli ultimi 150-200 anni, la temperatura dell’aria sia cresciuta di circa 1 °C per secolo. Contemporaneamente si è osservato un decremento delle precipitazioni, anche se di lieve entità e spesso poco significativo dal punto di vista statistico. Viene anche pre- sentata una breve discussione sui limiti dei dati attualmente disponibili nel contesto della valutazione dell’impatto a scala locale dei cambiamenti climatici e vengono elen- cati alcuni punti oggetto di attività di ricerca nell’ambito di attuali progetti relativi al- la Regione Lombardia.

A b s t r a c t

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Omogeneizzazione dei dati e calcolo di serie medie regionali

Come già visto nell’introduzione, nel corso degli ultimi dieci anni è stato sviluppato un am- pio programma di ricerche per il recupero, la revisione critica e l’omogeneizzazione di una significativa frazione dell’enorme patrimonio di serie storiche osservative di cui il no- stro Paese dispone.

Uno dei principali risultati che l’analisi di questi dati ha messo in evidenza è costitui- to dal fatto che le serie, qualora non trattate con il dovuto senso critico, spesso non sono in grado di fornire informazioni utili per la ricostruzione del clima. Ciò è dovuto al fatto che esse possono contenere disomogeneità ed errori dello stesso ordine di grandezza, o talora addirittura maggiori, dei segnali a lungo termine che le analisi si propongono di evidenziare. A questo problema, comune peraltro a tutte le lunghe serie di dati osservati- vi, si è risposto con l’applicazione di una serie di metodologie volte a correggere le serie al fine di renderle omogenee.

Tuttavia, per quanto quest’attività abbia avuto un ruolo assolutamente essenziale e per quanto essa abbia influenzato profondamente i risultati delle successive analisi, riteniamo che in un testo con carattere prevalentemente divulgativo come il presente sia più oppor- tuno focalizzare l’attenzione sull’evoluzione temporale delle serie omogeneizzate e sui re- lativi trend a lungo termine. Rimandiamo pertanto i lettori interessati ai dettagli relativi al- la fase di acquisizione, revisione critica ed omogeneizzazione delle serie ad altri nostri la- vori come Brunetti et al. (2005) e Maugeri et al. (2005).

Le metodologie di omogeneizzazione, per quanto assolutamente indispensabili, non sono purtroppo in grado di risolvere tutti i problemi ed è frequente che anche le serie cor- rette contengano ancora qualche piccola disomogeneità. Un ulteriore aspetto problema- tico di queste tecniche è che esse tolgono talora alle serie osservative il loro carattere “lo- cale” in quanto introducono, attraverso le correzioni, andamenti tipici delle osservazioni delle stazioni circostanti. Essendo la versione finale del nostro dataset costituita da molte serie omogeneizzate, in sede di analisi dei dati si è quindi ritenuto più opportuno, anzi- ché considerare le serie delle singole stazioni, prendere in esame serie medie di varie aree climatiche del nostro Paese. Queste serie regionali sintetizzano le informazioni delle se- rie delle singole stazioni, fornendo un segnale climatico più stabile e meno soggetto agli errori casuali che le serie osservative inevitabilmente contengono, anche se soggette alle più sofisticate tecniche di omogeneizzazione. Esse permettono pertanto di ottimizzare il rapporto segnale/rumore, rendendo più agevole lo studio della variabilità dei cambiamen- ti climatici e consentendo più accurate stime dei trend a lungo termine.

Il primo passo per la costruzione di tali serie medie regionali consiste nel definire re- gioni climatiche omogenee, procedimento fondamentale soprattutto per un territorio oro- graficamente assai complesso come quello italiano. Queste regioni devono essere costrui- te in modo da soddisfare due requisiti fondamentali. Il primo è quello di includere nella medesima regione stazioni che si ritiene abbiano le stesse caratteristiche climatiche, il se- condo è quello di ottimizzare la rilevabilità degli andamenti climatici attraverso la presen- za di un numero sufficientemente alto di stazioni per ogni regione, minimizzando così l’influenza degli errori che rimangono comunque presenti nelle serie delle singole stazio- ni, anche dopo l’applicazione dei metodi di omogeneizzazione.

La metodologia che si è scelta per meglio soddisfare questi due requisiti è stata l’Ana-

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Clima: variabilità e cambiamenti 19 Maurizio Maugeri

lisi delle Componenti Principali (PCA o Principal Component Analysis). Per maggiori det- tagli sulla classificazione delle stazioni si rimanda a Brunetti et al. (2005) e Maugeri et al.

(2005); qui si segnala solo che le regioni climatiche individuate per lo studio della temperatura sono risultate 3 (Figura 1A), mentre per le precipitazioni, a causa della mi- nore coerenza spaziale di questa variabile, è stato necessario ripar- tire il territorio del nostro Paese in un numero doppio di aree (Figu- ra 1B). Per quanto riguarda la temperatura, il territorio della Re- gione Lombardia rientra quindi in parte nella regione AL (parte alpina e prealpina) e in parte in quelle PP (parte padana); per quanto riguarda le precipitazio- ni, invece, la nostra Regione si ri- partisce tra il Nord Ovest (NW), la parte settentrionale del Nord Est (NEN) e la parte meridionale del Nord Est (NES).

Una volta individuate le re- gioni geografiche in cui ripartire le stazioni, si sono calcolate se- rie medie regionali per tutte le aree evidenziate. Esse sono state ricavate mediante la seguente me- todologia: innanzitutto, per ogni stazione, si sono calcolati i valo- ri normali annuali e stagionali re- lativamente al periodo 1961-1990;

quindi si sono espressi i dati in termini di anomalie rispetto a ta- li valori, ottenendo così serie sta- gionali ed annuali che indicano quanto ogni singolo dato si di- scosti da quello che si registra normalmente nell’anno o nella stagione considerata; infine si è operata una semplice media arit- metica tra le serie di tutte le sta- zioni appartenenti ad ognuna del-

Figura 1 - Regioni individuate dalla PCA applicata A) alle serie termometriche e B) a quelle pluviometriche. Per maggiori dettagli si rimanda a Brunetti et al. (2005) e Maugeri et al. (2005)

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le aree identificate, a patto che fossero disponibili i dati di almeno tre stazioni.

Il pregio fondamentale dell’utilizzo delle anomalie in luogo dei valori assoluti consi- ste nel fatto che le serie medie così ottenute non vengono ad essere influenzate in modo critico dalla presenza di eventuali valori mancanti e dalla presenza di serie di lunghezze differenti.

Andamenti osservati e trend

La figura 2 mostra l’evoluzione della temperatura media nel corso degli ultimi due secoli osservata per le regioni AL e PP. Essa evidenzia come i valori si mantengono piuttosto bassi fino a prima del 1860, con il 1816 identificabile come l’an- no più freddo dell’intero perio- do 1803-2003.

Successivamente si nota una tendenza graduale verso va- lori via via più alti il cui contri- buto maggiore proviene dagli anni ‘60 e ‘90 del XIX secolo e dagli anni ‘20 e ‘40 del XX seco- lo. Dopo il massimo relativo rag- giunto intorno al 1950 (il più ri- levante dell’intera serie, se si ec- cettuano gli ultimi due decen- ni) si ha un andamento stazio- nario fino agli anni ‘70, seguito da un nuovo periodo di forte crescita che culmina nell’anno 2003, il più caldo dell’intera se- rie. È anche interessante osser- vare come l’analisi delle serie stagionali mostri differenze si- gnificative tra le diverse stagio- ni. In particolare, il forte riscal- damento che ha caratterizzato gli ultimi due decenni è eviden- te in primavera ed estate, ma non in autunno ed inverno, sta- gioni nelle quali il trend recen- te è meno ripido. Anche il mas- simo relativo riscontrato nella serie annuale intorno al 1950 è principalmente dovuto alla sta- gione estiva e a quella prima- verile, nelle quali in questo pe-

Figura 2 - Medie annuali delle anomalie delle temperature medie per le regioni AL e PP. Per una più efficace visualizzazione degli andamenti a lungo termine, essi sono stati filtrati mediante un filtro gaussiano passa basso. Per maggiori dettagli e per i grafici stagionali si rimanda a Maugeri et al. (2005)

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Clima: variabilità e cambiamenti 21 Maurizio Maugeri

riodo si sono avute temperature confrontabili con quelle degli anni ‘90. È anche interes- sante notare che i due estremi della serie, ossia i valori del 1816 e del 2003, sono princi- palmente legati alla stagione estiva; essi corrispondono infatti a due eventi ben noti ed am- piamente studiati, ossia la prolungata ondata di calore del 2003 e l’estate fredda dell’an- no 1816, noto anche come “anno senza estate”; esso seguì un periodo di quattro anni se- gnato da forti eruzioni vulcaniche, la più violenta delle quali fu quella del vulcano indo- nesiano Tambora nell’Aprile 1815. Si calcola che essa abbia sollevato tra i 150 e i 180 km3 di materiale in atmosfera (per un confronto, basti pensare che l’impressionante eruzione del vulcano Krakatoa del 1883 espulse in atmosfera “solo” circa 20 km3di materiale).

La figura 3 mostra l’evo- luzione delle precipitazioni nel corso degli ultimi due se- coli osservata per le regioni NW, NEN e NES. Essa mostra una sequenza di massimi e minimi relativi senza alcuna tendenza evidente né verso un incremento né verso una diminuzione. I valori più al- ti si sono raggiunti attorno al 1800, tra gli anni ‘40 e gli an- ni ‘50 del XIX secolo, intor- no al 1900, al 1960 ed al 1980. I periodi più secchi si sono riscontrati intorno al 1990 e negli anni ‘20 e ‘40 del XX secolo, mentre altri minimi relativi di minore en- tità si sono avuti tra gli anni

‘20 e gli anni ‘30 del XIX se- colo ed intorno al 1860. A li- vello stagionale, pur accanto ad alcune analogie, sia nel comportamento a lungo termine sia nella variabilità ad alta frequenza, esistono molte differenze, soprattutto nella colloca- zione dei periodi contraddistinti dai minimi e massimi.

Uno degli obiettivi fondamentali della ricerca climatologica consiste nel verificare se le serie osservative mostrino segnali significativamente differenti da quelli che possono essere indotti da fattori puramente casuali, come la variabilità interannuale (segnali di que- sto tipo vengono considerati statisticamente significativi). I più interessanti tra questi se- gnali sono ovviamente quelli che possono dare indicazioni in merito ad eventuali varia- zioni a lungo termine e ad eventuali trend. Per quanto riguarda le temperature, in parti- colare si osserva una crescita piuttosto uniforme nelle diverse regioni climatiche italiane, con un trend dell’ordine di 1 grado per secolo. Anche su base stagionale la situazione è piuttosto omogenea e non si evincono differenze significative, né tra le diverse regioni né tra stagione e stagione, essendo tutti i trend pressoché uguali tra loro e ricadendo le even-

Figura 3 - Serie annuali delle precipitazioni relative alle tre regioni NW, NEN e NES.

Il periodo coperto varia da area ad area. I dati sono espressi in termini di rapporti rispetto ai valori medi del periodo 1961-1990. Per una più efficace visualizzazione degli andamenti a lungo termine, essi sono stati filtrati mediante un filtro gaussiano passa basso. Per maggiori dettagli e per i grafici stagionali si rimanda a Maugeri et al. (2005)

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tuali differenze ampiamente entro i limiti dell’incertezza statistica. Per quanto riguarda le precipitazioni, invece, i trend sono generalmente negativi, anche se solo di lieve entità e raramente significativi dal punto di vista statistico. Per maggiori dettagli si rimanda a Bru- netti et al. (2005) e Maugeri et al. (2005).

È anche interessante segnalare come il nuovo dataset assemblato dal nostro gruppo di ricerca sia stato anche utilizzato per verificare se la tendenza verso un’accentuazione del- l’intensità delle precipitazioni evidenziata recentemente per varie aree del nostro Pianeta sia presente anche per l’Italia. Questo aspetto è particolarmente interessante in quanto il nostro Paese, in virtù di svariati elementi caratteristici quali la presenza della catena alpina ed appenninica, la vicinanza del Mediterraneo e l’elevata densità della popolazione, ha una naturale propensione al rischio alluvioni, il che lo rende criticamente esposto ad un even- tuale incremento degli eventi precipitativi di forte intensità. Un ulteriore aspetto di notevo- le interesse connesso ad eventuali variazioni nella distribuzione delle precipitazioni è le- gato ad un eventuale incremento della frequenza e della lunghezza dei periodi siccitosi. Que- sto è un aspetto di grande rilievo per l’agricoltura in quanto le siccità sono un problema frequente per questo comparto, in particolare durante l’estate, quando la mancanza di ri- sorse idriche spesso compromette il raccolto in vaste regioni, specialmente al sud. Per mag- giori dettagli su questi aspetti si rimanda a Brunetti et al. (2002 e 2004).

Problemi aperti

Per quanto estremamente importante per documentare l’evoluzione delle temperature e delle precipitazioni sul territorio italiano, il dataset assemblato dal nostro gruppo di ricer- ca ha ancora molti limiti che lo rendono spesso di difficile utilizzo nel contesto di ricer- che volte a valutare il potenziale impatto delle variazioni termometriche e pluviometriche.

Essi possono essere riassunti nei seguenti punti principali:

SMolte delle serie si riferiscono a stazioni oggi non più attive.

SLe serie di alcune stazioni presentano una significativa frazione di valori mancanti.

SIl numero di serie disponibili non è ancora sufficientemente elevato. Peraltro, per effetto delle metodologie utilizzare per omogeneizzare le serie, la risoluzione spaziale “effettiva” dei dati risulta significativamente inferiore a quella “nominale”.

SLe serie sono espresse in anomalie (o in rapporti) rispetto alle medie di un periodo di riferimento e non in valori assoluti.

SIl controllo dell’omogeneità dei dati e le correzioni degli errori sono stati operati con l’obiettivo primario di ottenere serie mensili da utilizzare per analisi climatiche volte alla ricerca di eventuali trend a lungo termine nei valori medi. L’omogeneizzazione condotta non garantisce, pertanto, l’omogeneità dei dati giornalieri, così come non da alcuna indicazione relativa ai momenti statistici di ordine superiore.

A causa di questi limiti, le informazioni che si possono ottenere dalle serie storiche se- colari non sono facilmente confrontabili con quelle fornite dall’attualmente rete osservati- vi. Ciò rende spesso difficile il confronto tra il “presente” ed il “passato” e fa sì che, nono- stante una buona disponibilità di serie storiche, la risposta ad una domanda apparente- mente semplice, come quella di collocare un dato anomalo come per esempio quello del- l’estate 2003 in un contesto di lungo termine, sia in realtà ancora alquanto problematica.

Diversi tra i precedenti limiti sono tuttavia in corso di soluzione grazie alle attività di

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Clima: variabilità e cambiamenti 23 Maurizio Maugeri

ricerca attualmente in corso di svolgimento nell’ambito del Progetto Kyoto – Ricerca sui cambiamenti climatici e il controllo dei gas serra in Lombardia e del Progetto UE INTER- REG FORALPS. Questi progetti consentiranno da una parte di incrementare notevolmen- te la base di serie storiche termometriche e pluviometriche disponibili per la Lombardia e dall’altra di sviluppare metodologie per portare le informazioni attualmente disponibili per ampie regioni geografiche come quelle evidenziate in figura 1 ad una risoluzione spa- ziale molto più elevata.

Ringraziamenti

Il programma di ricerche i cui risultati sono stati qui sintetizzati si è avvalso di contributi provenienti dai seguenti progetti: progetto Speciale CNR “Ricostruzione del clima del pas- sato nell’area mediterranea”; progetto “UE IMPROVE”; progetto finalizzato del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, “CLIMAGRI, Cambiamenti Climatici ed Agricoltura”;

progetto MIUR PRIN 2001 “La variabilità del clima locale relazionata ai fenomeni di cam- biamento climatico globale”; progetto MIUR FIRB "Evoluzione nella frequenza di eventi pre- cipitativi estremi e di siccità in Italia negli ultimi 120 anni e relativo impatto sui bioecosi- stemi"; progetto “UE ALP-IMP”; cooperazione Italia-USA su Scienza e Tecnologia dei cam- biamenti climatici.

Riferimenti bibliografici

SBrunetti, M., Maugeri, M., Nanni, T. Navarra A., 2002, Droughts and extreme events in regional daily Italian precipitation series, Int. J. Climatol., 22, 543-558.

SBrunetti, M., Maugeri, M., Monti, F., Nanni, T., 2004: Changes in daily precipitation frequency and distribution in Italy over the last 120 years. J. Geophys. Res., 109, D05102, doi:10.1029/2003JD004296.

SBrunetti, M., Maugeri, M., Monti, F., Nanni T., 2005: Temperature and precipitation variability in Italy in the last two centuries from homogenised instrumental time series. Int. J. Climatol., in press.

SMaugeri, M., Brunetti, M., Buffoni, L., Fassina, A., Iafrate, L., Lentini, G., Mangianti, F., Masiello, C., Mazzucchelli, E., Monti, F., Nanni, T., Pastorelli, R., Torquati C., 2005: Acquisizione, esame critico ed analisi di serie storiche italiane per lo studio delle variazioni del clima. Relazione Finale per il terzo anno del Progetto Finalizzato CLIMAGRI. 58 pp + 15 pp (appendice 1) (disponibile al sito:

www.climagri.it).

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Siccità nel clima lombardo.

L’esperienza del 2003

ERSAF - Struttura Programmazione, Comunicazione, Innovazione Via Copernico, 38 - 20136 MILANO Tel 02.67.40.46.73 e-mail: lorenzo_craveri@ersaf.lombardia.it www.ersaf.lombardia.it

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Siccità nel clima lombardo 27 Lorenzo Craveri

L’esperienza del 2003

L’esperienza vissuta durante la primavera e l’estate del 2003 deve farci riflettere su uno dei possibili risvolti legati al cambiamento climatico: la maggiore frequenza di fenomeni me- teorologici estremi. La gran parte dei fenomeni meteorologi estremi ha un effetto, nella mag- gioranza dei casi, deleterio per coltivazioni delle zone temperate come la Lombardia.

Durante il 2003, oltre alla croni- ca mancanza di precipitazioni, le temperature hanno raggiunto tem- perature da record consecutivamen- te per diversi mesi. Per questa ragio- ne da un punto di vista agrometeo- rologico, l’annata 2003, sarà ricorda- ta come una delle peggiori degli ul- timi decenni.

Tutti gli scenari descritti dagli esperti sul cambiamento climatico ipotizzano nei prossimi decenni, an- che sulle regioni del Nord - Italia, o una riduzione delle precipitazioni o una diminuzione della frequenza del- Gli “eventi” meteorologici che hanno caratterizzato gran parte del 2003 devono indurre alcune riflessioni. Queste considerazioni sono tanto più neces- sarie per il comparto agricolo che per le altre attività antropiche; tutti sanno che per una parte del ciclo vitale delle proprie colture l’agricoltura lombarda dipende dall’ap- provvigionamento idrico meteorico. Nel 2003 abbiamo avuto diverse situazioni “estre- me” che hanno pesantemente influenzato la vita delle colture presenti in campagna.

Si è iniziati con la siccità dei mesi invernali (in realtà abbastanza tipica del nostro in- verno) con una gelata tardiva molto significativa nella prima decade di aprile e poi nuovamente con la siccità a partire da maggio e poi per tutta l’estate. Durante l’esta- te non sono certo da dimenticare gli estremi termici di giugno e di agosto con tempe- rature localmente fino a 40°C.

Ed ora ci potremmo chiedere: il 2003 rappresenta il primo anno di una serie, sempre più fitta, di “annate sventurate” che caratterizzeranno il clima nel prossimo futuro?

A b s t r a c t

Figura 1 - Deficit idrico in Lombardia alla fine di settembre 2003

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le piogge: precipitazioni più concentrate, e minori nel periodo estivo, rappresentano una seria preoccupazione per l’agricoltura Lombarda. A questi eventi sarà poi abbinato un costante aumento delle temperature. In quest’ottica particolarmente significativo appare una analisi di quanto successo durante la campagna agraria 2003.

Partiamo allora da quelli che sono stati i principali accadimenti della primavera e del- l’estate 2003 per le principali colture della Lombardia.

Già per il frumento e l’orzo, la primavera 2003 era stata contraddistinta dalla scarsità delle precipitazioni e da temperature massima al disopra della norma a partire dagli ulti- mi giorni di aprile. Per le colture estive (Mais, Soia, Bietola, Riso ecc...) le semine sono av- venute senza particolari problemi e si sono concluse generalmente entro la seconda de- cade di aprile. Lo sviluppo delle colture, già nelle prime fasi di sviluppo vegetativo, non è stato supportato da un sufficiente rifornimento idrico naturale. A maggio si sono rese necessarie le prime irrigazioni di soccorso e dalla fine del mese le temperature sono poi state a tutti gli effetti estive. Ricordiamo a tale proposito i 33.8°C di Palidano – MN ed i 33°C di Rivolta d’Adda-CR l’8. A giugno anche a causa delle temperature record segna- late tra il 12 ed il 15 di giugno (39.1°C a Palidano-MN; 39°C a Spessa Po-PV; 38.7°C a Bof- falora T.-MI) il ciclo vegetativo si è notevolmente velocizzato tanto che, ad esempio su mais, le prime emissioni del pennacchio si sono avute attorno al 15 di giugno quando in genere le attenderemmo tra la fine di giugno e l’inizio di luglio. Ove non irrigato, tranne che su riso, già in questo periodo erano visibilissimi stress idrici diffusi.

Durante il mese di luglio, con colture in pieno sviluppo, vegetativo o riproduttivo, so- no proseguite le sofferen- ze per le alte temperature (elevate ma non da record) e la scarsità di precipitazio- ni: solo nella zona alpina e prealpina le precipitazio- ni mensili sono state di una certa consistenza: a Samo- laco-SO registrati 130 mm, a Cornalita-BG 180 mm.

Alla fine del mese la mag- gioranza delle colture, tran- ne il riso, era in piena ma- turazione con un anticipo rispetto alla norma di cir- ca 2-3 settimane. Ad ago- sto si sono nuovamente

“toccati”estremi termici da record e nella settimana tra il 7 ed il 13 agosto in alcu- ne zone della regione la media delle massime setti- manali si è avvicinata ai

Figura 2 - Le precipitazioni sulla Lombardia dal 1.1.2003 al 15.10.2003

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Siccità nel clima lombardo 29 Lorenzo Craveri

40°C: Rivolta d’Adda-CR 38.9°C, Codogno-LO 38.3°C, Brescia 38°C. In questa situa- zione la produzione e l’accu- mulo di fotosintetati all’inter- no della spiga è stata pesan- temente influenzata con la chiusura anticipata del ciclo produttivo in gran parte de- gli appezzamenti. Le produ- zioni, come anche registrato dai campi dimostrativi del progetto Grandi Colture co- ordinato da ERSAF, sono sta- te inferiori rispetto al 2002 ed alla media delle precedenti campagne. Mediamente le perdite produttive su mais, rispetto all’annata precedente, si sono attestate attorno al 20-25% . Le perdite maggiori si sono avute nelle zone meno “servite” dall’irrigazioni, mentre il calo di resa è stato più li- mitato nelle zone ove maggiori sono stati gli interventi irrigui (in alcuni areali effettuate fino a 8 irrigazioni estive).

Interessante anche il confronto dell’andamento agrometeorologico 2003 con quello del 2002: la temperatura media massima è stata tra i 3 e i 2,5°C superiore nel 2003, gli estre- mi termici (che erano apparsi da record già nel giugno 2002) sono di circa 3°C superio- ri, le precipitazioni sono mediamente tra le 2 e le 3 volte superiori nel 2002 rispetto al 2003 (a Capralba-CR ad esempio nel 2002 le precipitazioni del periodo primaverile- esti- vo erano state di 435 mm, nel 2003 sono state di 139 mm, a Milano nel 2002 registrati 730 mm, nel 2003 solo 180 mm) e per finire l’evapotraspirazione potenziale, nelle principali stazioni di pianura, è stata di circa 120-140 mm superiore nel 2003. A tale proposito è pe- rò corretto ricordare che l’estate 2002, tranne che nel mese di giugno, è stata più fresca e piovosa della media.

Alcuni dati agrometeorologici del 2003

Stazione Precipitazioni Temperatura massima Temperatura minima

Totali mm assoluta °C assoluta °C

Spessa Po-PV 537 41 l’11.8 -7.8 il 25.12

Casatenovo-LC 880 +37.9 l’ 11.8 -5.3 il 13.1

Minoprio-CO 949 +37.3 il 15.6 -9.6 il 24.12

Bergamo 773 +36.9 l’11.8 e il 14.8 -6.0 il 13.1

Sondrio 702 40 l’11.8 -10.5 il 25.12

Rivolta d’Adda-CR 727 +39.7 il 10.8 -7.6°C il 7.2

Bargnano-BS 914 +39.6 l’ 11.8 -6.7°C il 7.2 ed il 18.2

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* ambito cittadino

Tabella degli elaborati meteo per la primavera e l’estate agrometeorologica 2003 (1 Marzo al 31 Agosto 2003)

PR. STAZIONE TEMPERATURA ARIA (°C) PIOGGIA (mm) GDD4(°) UMIDITÀ ETPE RELATIVA (%) valori medi valori estremi totale giorni valori medi (mm)

max min max gg min gg piovosi max min

BG BERGAMO 25.8 14.2 37.0 11.8 -2.8 08.4 321.0 31 1881 91 53 722.1

BG CAVERNAGO 26.2 13.7 37.8 10.8 -2.3 08.4 316.2 27 1850 97 42 757.5 BG CORNALITA 22.1 10.4 34.0 11.8 -5.9 08.4 632.4 52 1386 99 44 572.8 BS BARGNANO 27.1 12.5 38.8 05.8 -3.0 08.4 384.0 34 1811 92 37 750.6 BS BRESCIA (*) 27.4 13.8 39.5 11.8 -2.2 08.4 306.0 34 1924 88 50 816.9 BS EDOLO 23.8 10.2 39.2 11.8 -5.6 08.4 352.0 41 1471 91 30 796.9 CO MINOPRIO 26.1 11.0 37.3 15.6 -6.5 08.4 339.0 35 1683 97 46 713.3 CR CAPRALBA 27.3 12.3 38.2 11.8 -4.9 08.4 139.2 23 1828 86 20 754.2 CR RIVOLTA D’ADDA 28.1 12.7 39.7 10.8 -4.6 08.4 269.2 28 1905 95 46 787.0 LC CASATENOVO 25.2 13.7 37.9 11.8 -2.0 08.4 355.2 35 1764 87 46 718.1 LC MOGGIO 18.9 9.4 30.8 11.8 -8.7 08.4 439.8 48 1087 78 50 494.8 LO CAVENAGO ADDA 27.6 13.0 40.0 11.8 -3.2 08.4 201.8 21 1867 97 36 825.7 LO CODOGNO 27.8 13.1 39.3 11.8 -2.1 09.4 184.4 22 1783 79 37 753.4 LO S.ANGELO LOD. 27.1 13.5 39.5 11.8 -3.5 08.4 170.8 18 1882 97 35 702.3 MI BOFFALORA TIC. 28.1 12.0 39.5 11.8 -4.6 08.4 244.4 29 1849 98 43 673.6 MI MILANO (*) 28.6 18.0 41.1 11.8 3.8 08.4 180.0 21 2245 71 29 968.5 MN CAVRIANA 26.2 13.0 38.8 10.8 -3.2 07.4 221.0 25 1836 92 38 830.8 MN CURTATONE 26.3 12.8 38.1 05.8 -4.0 08.4 164.2 20 1815 99 50 727.0 MN MANTOVA (*) 26.9 15.5 38.7 05.8 -0.5 08.4 181.8 21 2003 85 36 874.6 MN PALIDANO 28.2 12.7 41.5 05.8 -3.8 08.4 249.0 25 1864 99 31 780.0 PV CERTOSA PAVIA 27.4 13.2 38.7 11.8 -5.1 08.4 130.4 18 1884 95 35 824.7 PV LANDRIANO 27.4 12.0 39.7 11.8 -4.4 08.4 180.0 22 1798 81 40 911.9 PV VARZI 26.6 13.2 41.3 11.8 -3.1 08.4 192.8 21 1799 81 36 846.9 SO BEMA 20.1 10.6 33.3 11.8 -6.4 08.4 346.4 45 1241 85 49 505.3 SO SONDRIO 25.8 10.3 40.0 11.8 -6.1 08.4 315.1 41 1618 91 33 811.5 VA ISPRA 26.7 11.7 37.4 11.8 -5.6 08.4 319.6 36 1773 97 38 746.1

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Il sistema irriguo lombardo

Sauro Coffani Vincenzo Angileri

Regione Lombardia, Direzione Generale Agricoltura Valorizzazione dei Sistemi Rurali della Pianura e della Collina Via Pola, 12/14 - 20124 Milano e-mail: sauro_coffani@regione.lombardia.it

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La rete idrografica naturale

La pianura lombarda, oltre ad essere un’area estremamente popolosa, soggetta a forti pres- sioni insediative e dotata di una fitta rete di infrastrutture che consentono attività umane ad alto reddito, garantisce la diffusione di una delle agricolture più importanti e produtti- ve dell’Unione Europea. Tale agricoltura non avrebbe oggi i rendimento produttivi e non potrebbe fornire i prodotti di elevata qualità che la caratterizzano se non potesse contare sull’impiego dell’acqua. La Lombardia, infatti, in rapporto alle altre regioni italiane pre- senta condizioni favorevoli dal punto di vista delle risorsa idrica; tuttavia sono le opere rea- lizzate nel tempo e la loro attenta e continua gestione a garantire l’irrigazione dei campi coltivati.

La rete idrografica naturale lombarda è alimentata dalle precipitazioni che cadono sul- la regione (non molte alte, invero, e che nella pianura si aggirano in media tra i 600 e i 1000 mm/anno a secondo delle zone). Tuttavia i ghiacciai della catena alpina e i grandi laghi prealpini, contribuiscono in modo notevole, mediante l’accumulo di riserva idrica, ad arricchire d’acqua la regione stessa. I ghiacciai ammassano infatti grandi quantità di precipitazioni nevose, mentre i laghi invasano gli apporti di pioggia e delle acque di fu- sione. Dai ghiacciai si alimentano i più importanti fiumi lombardi ovvero, procedendo da ovest verso est, il Ticino, l’Adda, l’Oglio, il Chiese e il Mincio. Il regime di questi fiumi, prima di immettersi nei cinque maggiori laghi prealpini lombardi, rispettivamente Mag- giore, Como, Iseo, Idro e Garda, è tipicamente alpino e cioè caratterizzato da un massi- mo estivo dei deflussi e da un minimo invernale. All’uscita dai laghi il regime dipende in- vece dalla regolazione di questi ultimi. A partire dai primi decenni del secolo scorso si è infatti intrapresa la costruzione delle opere che consentono di regolare la portata di ac- qua defluente dai grandi laghi prealpini, con questo aumentando di gran lunga la funzio- ne di invaso che questi serbatoi naturali possiedono. La regolazione dei grandi laghi pre- alpini consente l’utilizzo di quantità d’acqua che altrimenti non sarebbero state sfruttate.

La pianura lombarda presenta un territorio fortemente antropizzato e altamente produttivo, ricco di spazi agricoli, di presenze naturali e culturali di gran- de valore, sottoposti a forti pressioni urbanistiche e infrastrutturali e con un’attività agricola tra le più avanzate in Europa. Tale agricoltura raggiunge elevati risultati quantitativi e qualitativi in quanto si giova di un sistema irriguo diffuso e consolida- to nel tempo che, fra l’altro, consente il mantenimento dei delicati equilibri idraulico- territoriali della pianura.

La memoria descrive il sistema irriguo lombardo, le sue connessioni con il sistema idri- co naturale, gli enti che provvedono all’irrigazione, la quantità di acqua e le modali- tà di utilizzazione, le infrastrutture che ne consentono la distribuzione.

A b s t r a c t

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34 Il sistema irriguo lombardo Sauro Coffani; Vincenzo Angileri

Il principio alla base della regolazione è quello di rendere disponibile, secondo le esigen- ze dell’utenza, la quantità di acqua accumulabile entro i limiti di escursione della super- ficie del lago; in generale, questo avviene con la riduzione dei deflussi dal lago e il con- seguente riempimento dello stesso nei periodi di afflussi abbondanti (primavera e autun- no) e con lo svuotamento del lago nei periodi di magra (estate e inverno). La prima re- golazione risale al 1923 e ha riguardato il lago d’Idro; a questa sono seguite tutte le altre.

I principali fiumi non regolati che nascono dalle pendici delle Prealpi sono l’Olona, il Lambro, il Brembo, il Cherio, il Serio e il Mella. Il regime di questi, tipicamente torren- tizio, presenta valori massimi di deflusso nei periodi primaverile e autunnale e minimi in quelli invernale ed estivo.

Oltre alla risorse idriche superficiali, le acque sotterranee, con i fenomeni delle risor- genze, costituiscono una caratteristica peculiare della Lombardia e contribuiscono a incre- mentare gli apporti. Il fenomeno delle risorgenze è dovuto alle acque di falda che, scor- rendo per naturale pendenza verso sud, incontrano i terreni a granulometria fine e imper- meabili della bassa pianura e per l’effetto del rigurgito provocato dalla diminuzione di po- rosità, sgorgano in superficie con una serie di polle sorgentizie denominate fontanili. Que- ste acque, oltre ad aver permesso la nascita delle marcite grazie alla loro temperatura re- lativamente costante tra i 10° e i 13° C e quindi superiore a quella ambientale in inverno, costituiscono un’ulteriore e rilevante disponibilità idrica.

Agricoltura e irrigazione

Si diceva dell’importanza dell’agricoltura della Pianura Lombarda. Un dato significativo è rappresentato dalla SAU (superficie agricola utilizzata) nell’area di pianura. Secondo i da- ti ISTAT del censimento dell’agricoltura del 2000, essa si attesta a 763.780 ettari e rappre- senta il 75% della SAU lombarda. Nonostante gli elevati livelli di urbanizzazione della pia- nura lombarda, l’agricoltura svolge pertanto ancora oggi una funzione prevalente in ter- mini di occupazione di suolo. A questa si aggiunge l’importanza della Lombardia nell’in- tero sistema agricolo italiano. Il valore della produzione agricola lombarda è stato infatti nel 2004 di 6.192 milioni di euro, pari al 13,4% della produzione lorda vendibile dell’agri- coltura italiana e circa l’80% di questa è stata prodotta dalla cosiddetta “agricoltura profes- sionale” che si svolge quasi interamente nella pianura irrigua. Questa forte influenza del- l’agricoltura in un territorio così grandemente soggetto a fenomeni di urbanizzazione e in- frastrutturazione, sarebbe inspiegabile se l’agricoltura non fosse economicamente forte, competitiva sui mercati, fortemente radicata nel territorio. Dati alla mano, senza irrigazio- ne, l’agricoltura lombarda non presenterebbe il rilievo qualitativo e quantitativo che la po- ne ai vertici dell’agricoltura europea.

All’irrigazione provvedono i consorzi di bonifica, i consorzi di miglioramento fondia- rio e associazioni di utenti privati.

La pianura della Lombardia, bonificata nel tempo e resa irrigua, costituisce oggi il co- siddetto territorio di bonifica definito anche dalla legge regionale in materia (l.r. 7/2003).

Su questa area i consorzi di bonifica svolgono le funzioni di esecuzione, manutenzione e gestione delle opere pubbliche di bonifica ovvero provvedono alle funzioni di difesa idrau- lica e, per la gran parte, di fornitura dell’acqua per l’irrigazione. Tale area di 1.215.453 et- tari ovvero circa la metà del territorio regionale, è suddivisa in comprensori di bonifica,

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unità omogenee sotto il profilo idrografico e idraulico, per lo più delimitate da elementi naturali (fiumi e Prealpi), e frutto di aggregazioni territoriali di preesistenti enti di bonifi- ca e irrigui di dimensioni inferiori avvenute a seguito dell’applicazione della legge regio- nale 26 novembre 1984, n.59 “Riordino dei consorzi di bonifica” oggi abrogata e sostitui- ta dalla recente legge regionale 7/2003.

I comprensori attualmente definiti sono 18. A questi si aggiungano la Lomellina, dove operano l’Associazione Irrigazione Est Sesia e il consorzio di bonifica della Valle del Ticino, e il comprensorio di Burana nell’Oltrepò mantovano, gestito dal consorzio Burana - Leo - Scoltenna - Panaro con sede in Modena. Il consorzio di bonifica Terre di Gonzaga, oltre ai due comprensori di Agro-mantovano Reggiano e Revere, gestisce anche una parte del ter- ritorio emiliano della provincia di Reggio Emilia. I comprensori Varese (numero 2) e Brian- za (numero 3), definiti al momento della prima delimitazione comprensoriale nel 1986, con successiva delibera consiliare del 1999 sono stati per una parte stralciati dal territorio classi- ficato di bonifica e per l’altra aggregati al sottostante comprensorio Est Ticino Villoresi.

Il “comprensorio di bonifica medio” ha una superficie compresa tra i 45.000 e i 55.000 ettari (ben 9 comprensori lombardi infatti hanno queste dimensioni); nella bassa pianura mantovana, però, i comprensori sono in genere un po’ meno estesi; il comprensorio Est Ti- cino Villoresi ha invece dimensioni molto maggiori rispetto a tutti gli altri (278.258 ettari).

In base ai dati del Censimento dell’agricoltura del 2000 nel territorio di bonifica risul- ta irrigabile il 91% della SAU.

In molti comprensori questa percentuale supera il 95% avvicinandosi al 100% in Lo- mellina, in alcune aree del cremonese (comprensori Cremasco e Naviglio Vacchelli), del bresciano (Fra Mella e Chiese) e del mantovano (Sud Ovest Mantova e Agro Mantovano Reggiano). La Lombardia è di gran lunga la regione italiana con la più alta percentuale di

Figura 1 - I consorzi di bonifica in Lombardia

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36 Il sistema irriguo lombardo Sauro Coffani; Vincenzo Angileri

superficie irrigabile rispetto alla SAU (mediamente in Italia tale percentuale si colloca in- fatti intorno al 20%).

Nell’ultimo decennio la diminuzione delle superfici agricole nel territorio di bonifica lombardo ha riguardato anche le aree irrigabili, le quali sono diminuite nel complesso di 30.478 ettari e in termini relativi del 4%. A differenza però di quanto accaduto nei decen- ni precedenti, dove le sottrazioni di terreni agricoli riguardavano essenzialmente le aree non irrigue, nell’ultimo decennio il rapporto superficie irrigabile/SAU non è cresciuto, ma si è mantenuto costante. Ad aver fatto segnare i maggiori decrementi di superfici irrigabi- li sono stati il comprensorio dell’Est Ticino Villoresi, i comprensori dell’alta pianura (Me- dia Pianura Bergamasca, Sinistra Oglio e Medio Chiese) e alcuni comprensori del manto- vano (Colli morenici del Garda, Navarolo, Burana).

Nel 2000 sono state censite 38.110 aziende irrigate, il 27% in meno rispetto al censi- mento precedente. La diminuzione del numero di aziende irrigate è stata comunque più contenuta rispetto a quelle delle aziende non irrigate, il che ha determinato un aumento del 9% del rapporto tra aziende irrigate e il totale delle aziende agricole. Nel 2000 tale rapporto è pari al 79%.

I comprensori dove si è registrata la maggiore flessione nel numero delle aziende ir- rigue sono stati la Lomellina (-46%), il Burana (-46%) e il Navarolo (-36%). Questo non sem- pre è correlato alla diminuzione delle aree agricole, ma può essere anche la conseguen- za della scomparsa di aziende di piccole dimensioni. In Lomellina, ad esempio, alla di- minuzione del numero di aziende irrigue ha fatto riscontro solo una limitata riduzione del- le aree irrigabili.

I dati relativi alle colture effettivamente irrigate nell’annata agricola 1999-2000, confron- tati con gli stessi dati dell’annata 1990, consentono alcune considerazioni circa l’evoluzio- ne delle colture irrigue della pianura lombarda. Tra le colture irrigate il mais rappresenta di gran lunga quella più diffusa con i suoi 246.000 ettari; la superficie irrigua destinata a tale coltura è passata dal 30% del 1990 al 45% del 2000. Nello stesso decennio una fles- sione percentuale si è avuta per le foraggere (dal 27 al 17%) e per la soia (dal 13 al 5%), penalizzata dalla diminuzione del sostegno al prezzo. Tra le altre coltivazioni, il riso, in Lomellina e in alcune aree del mantovano, rappresenta la coltura con il più stretto lega- me con l’irrigazione e con il paesaggio irriguo lombardo.

La prevalenza delle colture irrigue sopra citate, insieme alla costante riduzione dei prati, determinano la concentrazione dei fabbisogni irrigui nel periodo estivo, dove si ri- scontrano le massime esigenze del mais: ciò può comportare competizione con altri uti- lizzi, in particolare turistici. In questo quadro, dove l’irrigazione è capillarmente diffusa sul territorio come in nessuna altra parte d’Italia, i consorzi di bonifica provvedono glo- balmente all’irrigazione di 526.783 ettari. Non tutti, però, distribuiscono l’acqua irrigua al- l’intero comprensorio di riferimento in quanto in alcune aree sussistono associazioni irri- gue private titolari di proprie derivazioni autonome. In alcuni casi, il consorzio fornisce l’acqua a gruppi di utenti che gestiscono direttamente una loro rete di distribuzione. Mol- ti agricoltori, inoltre, si approvvigionano di acqua direttamente da pozzi privati aziendali.

Oltre al consorzio di bonifica Est Ticino Villoresi e all’Associazione Irrigazione Est Se- sia che, come gestori dei comprensori più grandi della Lombardia, distribuiscono i mag- giori quantitativi di acqua irrigua, le maggiori superfici irrigate riguardano i consorzi Muz-

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