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SEMPRE IN TEMA DI CONSENSO INFORMATO:

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TAGETE 4-2009 Year XV

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STILL ABOUT THE INFORMED CONSENT:

A POSSIBLE SOLUTION

SEMPRE IN TEMA DI CONSENSO INFORMATO:

UNA POSSIBILE SOLUZIONE

Dr. Mario Aversa

Odontoiatra, Specialista in Medicina Legale, Libero Professionista, Salerno ABSTRACT

After a short analysis of the principal problems linked to the informed consent practice we have examined the practical result and the possible solutions for a matter that requires everybody’s committement: physicians and patients.

Key words: informed consent, professional liability, physician-patient relationship

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Dopo una breve disamina delle principali problematiche legate alla pratica del consenso informato vengono esaminati i risvolti pratici e le possibili soluzioni di un problema che richiede l’impegno di tutti, non solo dei medici ma anche dei pazienti.

Parole chiave: consenso informato, responsabilità professionale, rapporto medico-paziente

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704 1) Premessa

Il tema della responsabilità professionale del medico ha da sempre suscitato interesse, alimentato e sostenuto anche da una crescente e più sentita esigenza di tutela del malato; inoltre, la rinnovata cultura sociale sul modo d’intendere il rapporto medico- paziente ha influenzato anche la giurisprudenza, che ha prima recepito e poi ritenuto fondamentale il principio dell’obbligatorietà del consenso informato (CI).

Pertanto, nell'attuale panorama delle professioni intellettuali, sempre più caratterizzato dall'alto grado di tecnicismo e specializzazione settoriale, il tema dell'informazione al paziente assume, a maggior ragione, rilievo sempre più consistente, anche dal punto di vista deontologico. (1)

In pressoché tutte le professioni intellettuali, il cliente, o meglio il creditore della prestazione professionale, viene più o meno indirettamente posto di fronte a scelte, comportanti valutazioni tra costi e benefici sempre più ardue e complesse da comprendere, per assumere le quali risulta fondamentale, oltre che la sua cultura generale, la corretta informazione da parte del professionista.

Nella fattispecie, a maggior ragione, trattandosi di prestazione professionale che coinvolge direttamente da un lato beni della vita di rilevanza primaria, se non il bene della vita stesso, dall'altro materie di presumibile, ancorché assoluta, ignoranza da parte del paziente, il dovere di informare in modo completo quest'ultimo, emerge con forza e intensità del tutto peculiari.

Ciò non significa che non vi siano alcune prestazioni mediche che, per la loro ordinarietà, possano ritenersi conosciute dalla maggioranza dei possibili pazienti, per essere entrate a far parte della comune esperienza di ciascuno: ci riferiamo, a titolo d'esempio, al prelievo di sangue, ad una frattura composta ovvero, in ambito

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705 odontoiatrico, una carie di prima classe. Che tali prestazioni comportino, ora l'iniezione con relativa minima ferita al braccio, ora l'immobilizzazione del segmento osseo fratturato, ora la pulizia e l’otturazione della cavità, è caratteristica che può ritenersi, legittimamente, conosciuta o conoscibile con la dovuta ordinaria diligenza da parte di ciascuno, salvo che non vi siano elementi per sostenere che il professionista avrebbe dovuto avvedersi dell'assoluta mancanza di consapevolezza, da parte del paziente che assisteva, delle più elementari nozioni medico-sanitarie e pertanto preoccuparsi di integrarne la conoscenza.

In ogni altro caso non riferibile a tale minima categoria di presunta conoscenza, il dovere d'informazione assume un rilievo fondamentale, in una duplice direzione: da una parte, infatti, la corretta informazione costituisce il presupposto per la valida prestazione del consenso al trattamento medico, dall'altra, assume i contorni di un dovere autonomo rispetto alla stessa colpa professionale, potendone addirittura prescindere. (2,3)

2) La definizione, la semantica

Il termine “consenso informato” è entrato recentemente a far parte del patrimonio linguistico utilizzato dai professionisti della salute e di cui si sono prioritariamente enfatizzati gli aspetti di stretta rilevanza giuridica; bisogna altresì considerare che nel vocabolario della lingua italiana non esiste una rappresentazione chiara, coerente e, dunque, tout-court trasferibile sul piano applicativo del valore semantico che deve essere attribuito a tale locuzione che, essendo la traslitterazione della parola inglese “ Informed Consent”, si compone di due parole tra loro diverse – la parola “consenso” e

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706 la parola “informato” – che sono poste in associazione, sullo stesso piano sostanziale, a formare una parola composta. (4)

Esistono, quindi, delle difficoltà nell’inquadrare correttamente il tema che, superando definitivamente l’ambiguità della locuzione “consenso informato”, deve confrontarsi, separatamente, con il problema dell’informazione e con il problema del consenso che rappresenta, oltre la legittimazione dell’attività medica, l’espressione della compiuta realizzazione dell’istanza etica dell’autonomia della persona umana (5)

Tra le innumerevoli definizioni ricordiamo le seguenti:

1) modalità di comunicazione bi-direzionale che accompagna e sostiene il percorso di cura. È il processo comunicativo attraverso il quale il medico (e l’operatore sanitario, limitatamente agli atti di sua specifica competenza) fornisce al paziente notizie sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive terapeutiche e sulle verosimili conseguenze della terapia e/o della mancata terapia/atto sanitario, al fine di promuoverne una scelta pienamente autonoma e consapevole.

Tale processo riguarda anche il minorenne, in forma adeguata all’età, l’interdetto giudiziale e l’incapace naturale, in forma proporzionata al loro livello di capacità, in modo che essi possano formarsi un’opinione sull’atto sanitario. (6)

2) l’esercizio del diritto del paziente all’autodeterminazione rispetto alle scelte diagnostico/terapeutiche proposte. La scelta viene attuata al termine del processo informativo.(7)

3) consenso accordato dal soggetto dopo essere stato informato sulla natura e gli scopi dell’intervento o del trattamento proposto; sull’esito previsto e le possibilità di successo;

sui rischi; sulle alternative e informazioni relative; sull’effetto della mancata attuazione

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707 dell’intervento o del trattamento, tra cui l’effetto sulla prognosi e i rischi materiali conseguenti (Dizionario Enciclopedico delle Scienze Mediche di Taber)

4) consenso dell’avente diritto; causa di giustificazione in base alla quale non è punibile che lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona che può validamente disporne (Enciclopedia Garzanti del Diritto)

Nella prassi la locuzione sta ad indicare la approvazione del compimento di un atto ed è praticamente rappresentato da un documento di diagnosi e piano di trattamento che serve a dare una garanzia ben definita, stabilendo quali siano le responsabilità dell’operatore sanitario e quelle del paziente.

Il medico ha dovere di informare e il p. ha diritto di rifiutare (consenso informato e rifiuto ragionato). Il paziente, infatti, deve essere posto in condizione di effettuare un “bilancio rischio-beneficio” tra i rischi intrinseci del trattamento che gli viene proposto ed illustrato, ed i benefici che egli può ricavare per la sua salute accettando quei rischi, laddove è ovvio che il beneficio supera di gran lunga il rischio.

Il consenso informato, quindi, non deve mai limitarsi alla semplice sottoscrizione di un sia pur dettagliato “ modulo” ed il medico deve a lungo dialogare con il paziente per far sì che questo comprenda i rischi e che lo stesso medico si assicuri che il paziente abbia ben compreso; in sostanza è necessario che il principio del “consenso informato”

sia bilanciato dalla possibilità del “rifiuto informato”. (8)

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708 3) Il problema del consenso informato

Oltre alle problematiche di natura semantica cui si faceva cenno esistono certamente due ulteriori determinanti legate ai gap comportamentali distorsivi ed agli stereotipi culturali. (9)

I medici, che nel passato ne hanno poco sentita l’esigenza deontologica e giuridica, oggi lo includono nel proprio codice comportamentale e si impegnano ad ottenerlo dai loro pazienti. Ma nel contempo lo guardano con apprensione dall’interno di quel girone nel quale il contenzioso giudiziario li ha immessi in un clima di sorpresa, di timore e di sofferenza crescenti.

Nella struttura standard del consenso informato il ruolo del sanitario è quello di

spiegare al p. la sua condizione clinica e le varie possibilità di diagnosi o di terapia per consentirgli di valutare l’informazione ricevuta nel contesto della propria attitudine psicologica e morale e quindi di scegliere l’iter terapeutico che ritiene adatto e accettabile.

Nello studio di questo problema sarebbe facile sostenerne la risolvibilità attraverso la prassi di un sistematico consenso scritto, con moduli in cui vengano inserite tutte le informazioni concernenti le ragioni del trattamento diagnostico e terapeutico prospettato al p. e, soprattutto, i rischi cui egli può andare incontro. Ma la necessità di raggiungere un equo bilanciamento tra le contrastanti esigenze di informare in modo adeguato il p. ed il dovere deontologico e morale di non infliggergli pericolose e

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709 dolorose preoccupazioni, rende la questione realmente difficile e intricata in molte circostanze.

Sta di fatto che il problema del consenso informato è diventato uno dei principali fattori di distorsione del normale rapporto medico-paziente perché, in luogo di essere ritenuto dal medico un dovere da ottemperarsi entro i limiti del possibile e del ragionevole è oggi considerato un passaggio a rischio di ritorsioni, e quindi ben lontano dallo spirito di serenità e fiducia che dovrebbe sempre improntare detto rapporto. (10)

4) L’evoluzione dello scenario professionale

4.1 L’impresa del sapere

Bisogna prendere atto che cambiamenti epocali di carattere socio-economico costringono le professioni ad adottare nuovi schemi e nuovi modelli di riferimento, chiedendo implicitamente una revisione dei propri schemi di efficienza.

Lo studio professionale oggi, al pari delle strutture sanitarie più complesse, può, a ragione, essere considerato una piccola impresa, economicamente intesa come una

“attività umana organizzata al fine di generare relazioni con contenuto di scambio”.

Potremmo definirla come una “impresa del sapere”; una impresa particolare, quindi, ma pur sempre un’impresa: una attività economica dove il “sapere” diventa fattore centrale e critico.

In questo scenario, il ruolo del professionista è anche quello di un “broker” di informazioni ad alto contenuto specialistico che si “prende cura” del suo paziente/cliente; un intermediario fra un “sapere teorico, astratto e

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710 concettualizzato” ed un “sapere finalizzato” alle esigenze specifiche e contingenti del cliente stesso (11)

A conferma di questo cambiamento ricordiamo l’introduzione in ambito sanitario i sistemi di qualità (2000), in cui risaltano i concetti di efficacia ed efficienza, già noti in industria dalla metà del secolo scorso, sia in ambito pubblico che privatistico.

4.2 I quattro modelli di rapporto medico-paziente

Emanuel ed Emanuel, nel 1992, descrissero i quattro modelli principali di rapporto medico-paziente. (12)

a) il primo modello, quello più tradizionale, viene definito “paternalistico”, talora detto anche “genitoriale” o “sacerdotale”; questo modello assume che il medico sia in possesso di criteri obiettivi per stabilire la scelta migliore, che il p. accetti la proposta (anche se non la gradisce) e che quindi l’autonomia del p sia posta in secondo piano. In tal modo diventa massima l’obbligazione del medico che assume su se stesso tutta la responsabilità.

b) il secondo modello viene definito “informativo”, talora chiamato anche “scientifico”;

obiettivo del medico è quello di dare tutte le informazioni indispensabili al paziente, lasciandolo libero di scegliere le prestazioni che preferisce e che il curante seguirà. Non vi è ruolo per i valori professati dal medico né per i suoi giudizi sulla scelte operate dal p.; pertanto il medico agisce da tecnico che mette a disposizione del p. gli elementi necessari perché egli possa decidere; l’autonomia del p. ha una chiara e netta prevalenza.

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711 c) il terzo modello viene definito “interpretativo”; in tale rapporto l’obiettivo del professionista è quello di individuare i valori di riferimento del p. e ciò che egli realmente desidera nonché di aiutarlo, attraverso un impegnativo processo di coinvolgimento, a scegliere quelli interventi che siano in armonia con quei valori. Il medico agisce come un consigliere che aiuta il p. conoscere e a scegliere, in presenza di una autonomia del paziente sufficientemente rispettata.

d) il quarto modello viene definito “deliberativo”; in questo caso i valori del p. sono considerati aperti allo sviluppo ed alla revisione attraverso la discussione. Il medico si comporta come un insegnante od un fratello che coinvolge il p. in un proficuo dialogo, in un bilanciamento dei pro e dei contro su ciò che può essere il meglio per lui in quella determinata situazione.

In verità, se risulta possibile e utile proporre schemi di comportamento è chiaro che bisogna prendere atto della estrema varietà dei pazienti e della diversità di circostanze che impongono spesso il passaggio da un modello all’altro: caso di un intervento di emergenza ovvero di complesse e polimorfe reazioni psichiche alla malattia tali da imporre al medico una condotta flessibile, che del resto è alla base di tutte le professioni libere intellettuali. (13)

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712 5) Tra storia e letteratura

Come dicevamo, l’espressione attualmente in uso “consenso informato” non è presente nel Vocabolario Italiano né si rinviene, in realtà, nei codici penale e civile giacché è stata importata dagli Stati Uniti dove la dizione di “ informed consent” risulta essere comparsa per la prima volta in un processo celebrato nel 1957 in California; non esisterebbero in proposito altri sicuri antecedenti storici. (14)

Nel 1957, nella causa Salgo vs. Leland Stanford University, un tribunale statunitense condannò la prestigiosa Università Californiana per i danni patiti da Martin Salgo, un paziente di 55 anni affetto da vasculopatia che, in seguito ad un’arteriografia, aveva riportato la paralisi permanente delle gambe. Il tribunale americano sentenziò la responsabilità dei medici perché, prima di eseguire l’esame, non avevano informato il paziente delle possibili complicazioni, poi effettivamente accadute, ledendo, in tal modo, il suo diritto ad essere compiutamente avvertito su tutti gli aspetti della propria malattia, i test diagnostici e le cure necessarie.

In verità, sotto il profilo storico, si rinvengono alcuni documenti che sembrano richiamare l’attenzione sulla necessità di adeguata informazione del paziente e legittimare l’intervento medico sulla pratica del consenso informato. Si parte da una direttiva del 1891 del Ministro degli interni Prussiano (disposizioni sulla terapia antitubercolare da non utilizzare contro la volontà dei prigionieri); segue nel 1931 una circolare del Ministero dell’Interno del Reich che individuava una sorta di linea guida per le nuove terapie e per la sperimentazione sull’uomo, da attuare solo con il consenso dei soggetti; per giungere al 1947, quando con il Codice di Norimberga si richiama la necessità di un consenso informato dei pazienti prima di qualsiasi intervento medico, soprattutto se di carattere sperimentale.

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713 Ed in letteratura, addirittura nel 1845, in un racconto di Edgar Allan Poe (The fact of the case of Mr. Valdemar) si fa cenno agli esperimenti condotti sul morente Valdemar, malato di tubercolosi polmonare, sorretti da ambiziose teorie di poter sconfiggere la morte con la scienza: “mancavano circa cinque minuti alle otto quando prendendo la mano del paziente, lo pregai di dichiarare quanto più chiaramente gli era possibile..se egli…era realmente consenziente che io iniziassi l’esperimento di mesmerizzazione della sua persona nelle sue attuali condizioni”. (15, 16)

Tale circostanza ci porta a riflettere sul fatto che gli orizzonti della medicina non si esauriscono nella pagine delle riviste scientifiche specializzate ma affondano le loro radici molto più lontano, nell’arte e nella letteratura, che debbono costituire, anche oggi, un aspetto non trascurabile dell’orizzonte antropologico-culturale dei professionisti della salute. (17)

Comunque, la sentenza del 1957 è considerata, comunemente, una pietra miliare nel cammino che ha portato il consenso informato ad affermarsi come una prassi destinata a rivoluzionare il tradizionale rapporto tra medico e malato.

Anche in Italia, seppur molto lentamente e tra mille resistenze, si sta verificando questa trasformazione, ed i pazienti sono sempre più consapevoli di avere, nel momento in cui si rivolgono alle strutture sanitarie, dei diritti e, primo tra tutti, quello di poter decidere autonomamente quel che deve essere fatto e quello che non deve essere fatto sul proprio corpo.

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714 6) Fonti normative

Ripassando brevemente le fonti normative ci preme puntualizzare solo la univocità di opinioni sulla necessità di un valido consenso, sia in ambito deontologico che giuridico.

Il Codice deontologico, al Titolo III (rapporti con il cittadino), dedica l’intero Capo IV alla materia “informazione e consenso” con gli art. 33, 34, 35, 36, 37 e 38; citiamo solo un passaggio fra i più significativi: “… il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, alfine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico- terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta”.

Numerose anche le fonti giuridiche, fra cui ricordiamo:

a) quelle Costituzionali

Art. 13: La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

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715 Art. 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

b) dei Codici Civile e Penale:

Codice Civile:

• Art. 5 (Atti di disposizione del proprio corpo)

Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.

Codice Penale:

• Art. 50 (Consenso dell’avente diritto)

Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne.

• Art. 54 (Stato di necessità)

Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

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716 C) altre leggi e documenti

Tra le norme in ambito sanitario fondamentale la Legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale, cha all’Art. 33, I° e V° comma, afferma che gli accertamenti e i trattamenti sono di norma volontari e prevede anche, in caso di trattamenti obbligatori - rivolti ai malati di mente in fase acuta di malessere - che questi siano attuati con contestuali iniziative intese ad assicurare il consenso e la partecipazione di chi è obbligato al trattamento.

Numerosi i richiami al consenso informato presenti nei documenti internazionali:

1948 Dichiarazione Universale dei diritti umani 1949 Codice di Norimberga

1950 Convenzione per la difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà 1952 Protocollo aggiuntivo del Consiglio d’Europa

1961 Carta Sociale Europea , rivista nel 1996 1997 Convenzione di Oviedo

2000 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza).

2004 Trattato di Roma

In sostanza, in questi documenti si richiede e si auspica una corretta attenzione agli interessi del paziente, come specificato dall’ Art. 5 (Capitolo II – Consenso) della citata convenzione di Oviedo: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”.

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717 Ovviamente, anche il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ritiene che il consenso informato costituisca legittimazione e fondamento dell’atto medico e, allo stesso tempo, strumento per realizzare quella ricerca di “alleanza terapeutica” - nell’ambito delle leggi e dei codici deontologici - e di piena umanizzazione dei rapporti fra medico e paziente, cui aspira la società attuale.

In particolare, in un documento/parere del 1992, si specifica che in caso di malattie importanti e di procedimenti diagnostici e terapeutici prolungati il rapporto curante- paziente non può essere limitato ad un unico, fugace incontro. Il curante deve possedere sufficienti doti di psicologia tali da consentirgli di comprendere la personalità del paziente e la sua situazione ambientale, per regolare su tali basi il proprio comportamento nel fornire le informazioni….evitando esasperate precisazioni di dati (percentuali esatte - oltretutto difficilmente definibili - di complicanze, di mortalità, insuccessi funzionali) che interessano gli aspetti scientifici del trattamento. In ogni caso, il paziente dovrà essere messo in grado di esercitare correttamente i suoi diritti, e quindi formarsi una volontà che sia effettivamente tale, rispetto alle svolte ed alle alternative che gli vengono proposte.

E’ presente anche un richiamo alla richiesta dei familiari di fornire al paziente informazioni non veritiere, che non deve essere vincolante. Il medico ha il dovere di dare al malato le informazioni necessarie per affrontare responsabilmente la realtà, ma attenendosi ai criteri di prudenza, soprattutto nella terminologia, già enunciati.

Infine si fa cenno al consenso informato in forma scritta che diventa un “dovere morale in tutti i casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche si rende opportuna una manifestazione inequivoca e documentata della volontà del paziente”. (18)

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718 In proposito, oltre a tutti i casi di sperimentazione clinica, ricordiamo le disposizioni legislative che prevedono espressamente il consenso scritto nelle seguenti prestazioni sanitarie:

Trasfusione di sangue • legge 4.5.1990, n. 107

Accertamento diagnostico HIV • legge 5.6.1990, n. 135, art. 5

Donazioni di tessuti e di organi tra persone viventi • legge 26.6.1967, n. 458 Prelievo e innesto di cornea • legge 12.8.1993, n. 301, art. 1

Procreazione medicalmente assistita • legge 19.2.2004, n. 40 Interruzione volontaria della gravidanza • legge 22.5.1978, n. 194

Terapia elettroconvulsivante • legge Regione Piemonte 3.6.2002, n. 14, art. 3

E’ evidente, quindi, che senza il consenso del paziente, ogni atto medico è illegittimo, così come è innegabile che il consenso, per essere valido, deve discendere da un’informazione adeguata, esaustiva e consapevole.

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719 7) La giurisprudenza

Secondo la corrente giurisprudenza, ormai è acclarato, quando manca il CI si ha un atto medico arbitrario, potendosi realizzare le seguenti due possibilità:

a) trattamento eseguito senza il CI del paziente (n.b.: il consenso parziale equivale alla assenza di consenso)

b) il p. ha acconsentito ad un trattamento diverso da quello che gli è stato praticato Unica eccezione quella di una espressa e documentata volontà del paziente di non essere informato e di delegare ad altro soggetto l’informazione.

7.1 Dall’hanimus necandi all’hanimus bonum

Un breve escursus tra le innumerevoli sentenze da esaminare ci ha portato a scegliere, in parte con criteri obbligati e in parte con criteri soggettivi perché ritenuti significativi in relazione ai problemi da esaminare, le sentenze Massimo, Barese e Volterrani, pronunziate da tre diverse sezioni della Corte di Cassazione Penale, in tema di configurabilità dell'omicidio preterintenzionale nel caso di attività medico chirurgica svolta in difetto del consenso del paziente all'intervento terapeutico (o con un consenso espresso solo per una parte del trattamento in concreto praticato).

a) La sentenza Massimo (V sezione - 21 aprile 1992) è espressione di una concezione particolarmente rigorosa ed estensiva sulla possibilità di configurare l'ipotesi dell'omicidio preterintenzionale nel trattamento medico chirurgico eseguito, con esito infausto, senza il consenso del paziente.

E' opportuno sottolineare come la sentenza individui anche elementi di colpa nella condotta del chirurgo evidenziando come l'asportazione di una massa tumorale benigna potesse avvenire con modalità diverse e meno invalidanti rispetto a quelle praticate

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720 costituite dall'amputazione del retto; modalità comunque ritenute troppo rischiose in riferimento alle condizioni generali della paziente. Peraltro nella sentenza sono stati individuati gli elementi costitutivi della fattispecie dell'omicidio preterintenzionale perché il chirurgo "ebbe, sotto il profilo intellettivo, la rappresentazione dell'evento lesioni e, sotto quello volitivo, l'intenzione diretta a realizzarlo, ebbe cioè consapevole volontà di ledere l'altrui integrità personale senza averne diritto e senza che ve ne fosse necessità".

Pertanto la mancanza del consenso rende la condotta del chirurgo arbitraria e diretta a ledere consapevolmente l'integrità fisica del paziente non diversamente da colui che cagiona volontariamente a taluno una lesione personale.

b) La sentenza Barese, dopo circa 10 anni (IV sezione - 9 marzo 2001) pone limiti più ristretti alla possibilità di ipotizzare la fattispecie dell'omicidio preterintenzionale e, pur non escludendola in assoluto (per es. nei casi in cui la morte consegua ad una mutilazione procurata in assenza di qualsiasi necessità o di menomazione inferta per scopi esclusivamente scientifici), richiede, perché possa ritenersi verificata questa ipotesi, l'accertamento dell'esistenza di un dolo dell'agente che possa essere qualificato dolo diretto, e non solo eventuale, e intenzionalmente orientato a provocare la lesione dell'integrità fisica del paziente; in mancanza il delitto può essere ritenuto colposo ove ne sussistano i presupposti.

Il caso affrontato nella sentenza Barese è simile a quello esaminato nella sentenza Massimo. Entrambi sono caratterizzati dalla circostanza che il consenso della paziente era stato espresso per un intervento più limitato (asportazione transanale di un adenoma villoso nel caso Massimo; asportazione di cisti ovarica nel caso Barese) e non per un intervento demolitivo come quello poi di fatto praticato con l'asportazione del retto nel primo caso e dell'utero e annessi nel secondo.

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721 Il caso Massimo sembra più caratterizzato da imprudenza perché le condizioni generali della paziente non consentivano un intervento demolitivo di quella natura mentre, nel caso Barese, è stata soprattutto l'imperizia nell'esecuzione dell'intervento (con la resezione dei vasi iliaci esterni) a cagionare la morte della paziente.

c) Ancora diverso è il caso esaminato nella sentenza Volterrani (I sezione - 29 maggio 2002) che affronta con particolare approfondimento il tema del consenso del paziente pervenendo, anche in questo caso, a conclusioni diverse dalla sentenza Massimo e confermando l'assoluzione del chirurgo che aveva eseguito un intervento non consentito dal paziente che era successivamente deceduto in conseguenza dell'intervento.

Si trattava di un caso nel quale il consenso del paziente era limitato alla riduzione di un'ernia ombelicale e all'esplorazione della cavità addominale. Nel corso dell'intervento era stata constatata la presenza di un tumore maligno e il chirurgo aveva provveduto alla sua asportazione con un intervento di particolare complessità.

La differenza fondamentale di questo caso con quelli Massimo e Barese è costituita dalla circostanza che, nel caso Volterrani, i giudici di merito – e la Corte di Cassazione ha escluso ogni vizio di motivazione nella formulazione di questo giudizio - hanno escluso ogni elemento di colpa nell'esecuzione dell'intervento, ritenuto eseguito nella perfetta osservanza delle leges artis, e hanno ricollegato il decesso a complicanze non prevedibili (19)

Rispetto alla sentenza Barese la sentenza Volterrani sembra contenere una più esplicita riaffermazione dell'incompatibilità logico giuridica tra la volontarietà dell'atto lesivo (hanimus necandi), su cui si fonda l'ipotesi del delitto preterintenzionale, e l'intervento del medico che, anche in assenza di consenso, ma purchè non vi sia un esplicito dissenso,

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722 trova comunque una legittimazione in se stesso (hanimus bonus), escludendo altresì che il fatto possa astrattamente essere inquadrato in una fattispecie di reato (20).

7.2 In europa

Anche nella giurisprudenza tedesca si è elaborato il criterio del consenso informato, intendendosi con tale espressione la chiara rappresentazione dei rischi e delle conseguenze della malattia comparati con i rischi e le conseguenze dell’intervento terapeutico (21)

È stata, altresì, respinta, da parte della giurisprudenza costituzionale federale, la possibilità che il medico, che non abbia chiesto ed ottenuto il consenso, possa difendersi provando che un “paziente ragionevole” (vernüftigen Patienten) sarebbe stato perfettamente disposto a subire lo stesso intervento (22).

Oltre al “difetto di informazione” il diritto tedesco riconosce altre due fattispecie di colpe suscettibili di generare un’azione legale:

1) la colpa terapeutico-professionale 2) la manchevolezza nell’organizzazione

Analogamente, in Francia, l’obbligazione di informare il paziente, viene fatta dipendere dal carattere e dalla natura del trattamento e dall’attitudine del malato a ricevere le informazioni che possono essere anche semplici e approssimative ma devono essere intelligibili e leali (Cour de Cassation)

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723 7.3 Le tre possibilità

Esiste, quindi, una responsabilità penale, ed in subordine civile, per il solo fatto di intervenire senza il CI del paziente, a prescindere dalle conseguenze fauste o infauste dell’intervento?

Dal punto di vista pratico mancando ovvero essendo incompleto il consenso posiamo avere schematicamente tre evenienze

a) presenza di danno – presenza di errore b) presenza di danno – assenza di errore c) assenza di danno – assenza di errore

a) Nel primo caso c’è poco da dire: l’assenza di valido consenso, la presenza di danno e di errore rendono scontata la sussistenza di responsabilità professionale, con possibilità di recupero praticamente nulle.

b) Secondo il disposto della Suprema Corte di Cassazione (Sez. III 24/09/97 n° 9374) sussiste la responsabilità del sanitario per eventuali danni derivanti all’intervento effettuato in difetto di detto consenso, nonostante il fatto che l’intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto.

Trattatasi di un decesso conseguente ad un es. agiografico. Secondo la letteratura scientifica si rileva un tasso di mortalità conseguente alla esecuzione dell’esame che è all’incirca dell’1%. Nel caso specifico il medico aveva comunicato, alla presenza dei familiari, solo la scarsa dolorabilità dell’intervento omettendo i rischi connessi all’intervento ed, in particolare, omettendo l’informazione sulla realizzata infausta possibilità.

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724 A seguire una vastissima e consolidata dottrina giuridica e una altrettanto consolidata giurisprudenza circa la responsabilità circa i danni provocati da un atto medico o chirurgico eseguito “ex lege artis” ma senza il consenso informato.

c) la terza ipotesi pone il problema di un ipotetico danno risarcibile qualora, con vizio di consenso, non vi sia né danno né errore di condotta.

Si è partiti da un orientamento per il quale si dibatteva sulla presenza di danno del diritto di autodeterminazione, pur in assenza di danno alla salute o biologico che dir si voglia. Recentemente, nel 2008, tre sentenze hanno fanno un po’ di chiarezza.

Nella prima (23) il Tribunale si esprimeva precisando che “l'inadempimento dell'obbligo di informazione da parte del medico incide in via diretta sul diritto della paziente all'autodeterminazione in ordine alle scelte che attengono alla propria salute e che la lesione del diritto di autodeterminazione ha una propria autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute, che nella specie non si è verificata”.

Si trattava di un programmato intervento di artroprotesi che, al tavolo operatorio, gli ortopedici decidevano di trattare con un intervento più conservativo (osteotomia valgizzante); intervento eseguito “ex lege artis” e con ottimo risultato funzionale. Tuttavia la paziente chiedeva il risarcimento del danno perchè i medici non l'avevano informata sul cambiamento del programma operatorio ed avevano eseguito un intervento diverso da quello per il quale lei aveva dato il suo consenso.

Alla domanda su quale fosse, dunque, il danno-conseguenza risarcibile, attesa la lesione del diritto di autodeterminazione e non anche la lesione del bene salute, il tribunale rispondeva che non è l'inadempimento da mancato consenso informato che è di per sé oggetto di risarcimento, ma il danno conseguenziale, secondo i principi di cui all'art. 1223 c.c. e che quindi va provato dalla paziente. E siccome è sempre necessaria

(23)

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725 la prova dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere commisurato, se questa prova non è fornita, nessun risarcimento può essere concesso.

Sullo stesso tema si esprimeva la Cassazione Penale (24) confermando il verdetto di

“non luogo a procedere”, in favore di un medico che aveva effettuato alcuni interventi chirurgici utilizzando moduli prestampati per il consenso informato, in quanto “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”. Nello specifico, la Cassazione, in primo luogo, ha attestato che

“il consenso è stato prestato in maniera grossolana” ed è da ritenersi “invalido perché non consapevolmente prestato” in quanto i moduli sono risultati “oltremodo generici e non in grado di dimostrare l’avvenuta consapevolezza del destinatario”. Ma da questo – proseguono i giudici - “non può farsi discendere la conseguenza che dall’intervento effettuato in assenza di consenso, o con un consenso prestato in modo invalido, si possa sempre profilare la responsabilità a titolo di lesioni personali volontarie”.

Sempre nel 2008, secondo la Suprema Corte (25), pur se l’ attività medico-chirurgica, per essere legittima, presuppone il “consenso informato” del paziente, è da escludere che dall’intervento effettuato in assenza di consenso o con un consenso prestato in modo invalido possa di norma ed automaticamente farsi discendere la responsabilità del medico a titolo di lesioni volontarie ovvero di omicidio preterintenzionale. Ciò in quanto il sanitario, salve situazioni anomale e distorte, si trova ad agire, magari erroneamente,

(24)

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726 ma pur sempre con una finalità curativa, che è concettualmente incompatibile con il dolo delle lesioni.

La sentenza offre una ulteriore puntualizzazione in merito al concetto di colpa del sanitario precisando che non è di regola possibile fondare la “colpa” sulla mancanza di consenso, perché l’obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza: infatti, l’acquisizione del consenso non è preordinata ad evitare fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), ma a tutelare il diritto alla salute e il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione di una norma costituzionale.

Unico caso in cui la mancata acquisizione del consenso potrebbe avere rilevare ai fini della colpa, sempre secondo la cassazione, è quello in cui la mancata sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare l’ impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un’anamnesi completa (si pensi, alla mancata conoscenza di un’allergia ad un determinato trattamento farmacologico o alla mancata conoscenza di altre specifiche situazioni del paziente che la sollecitazione al consenso avrebbe portato alla attenzione del medico).

In questo caso, il mancato consenso rileva non direttamente, ma come riflesso del superficiale approccio del medico all’acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto approccio terapeutico.

Il momento del consenso quindi viene considerato come un elemento cardine dell’attività medica al pari delle classiche fasi di anamnesi-diagnosi-prognosi-terapia sulle quali siamo abituati da sempre a confrontarci.

(25)

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727 Concludendo, nonostante la univocità di norme e raccomandazioni sulla necessità di un valido C.I., la mancanza nel nostro ordinamento, richiesta da tempo e a più voci, di una disciplina penalistica dell’attività medico-chirurgica con particolare, specifico riferimento alla regola del consenso ed alle conseguenze penali di una sua violazione finisce per rendere a volte opinabili ed inadeguate le soluzioni proposte (26)

8) Requisiti e forma del consenso

È da premettere che la dottrina medico legale conosce, nel nostro Paese, diverse scuole in materia di consenso informato, che pur non espressamente tra loro contrapposte, sembrano risalire a distinte opzioni culturali.

1) Ne esiste una (Barni) che mira soprattutto all’esigenza di un buon rapporto sostanziale tra medico e paziente (di cui il medico deve essere attivo ricercatore), come presupposto necessario di una corretta e vera informazione e di un conseguente valido consenso. Essa critica, tra l’altro,l’esasperato tecnicismo di taluni moduli di consenso informato (tecnicismo che proviene dall’esperienza degli Stati Uniti, dove per fronteggiare gli eccessi risarcitori, si è affermata una medicina difensiva ed anche assicurativa); moduli nei quali vengono rappresentate e documentate al paziente tutte le gamme, in termini pressoché di totalità, di ogni evenienza possibile derivante dall’atto sanitario; ciò soltanto per dar modo al medico di documentare, in caso di necessità, che l’evento specifico poi verificatosi era conosciuto come possibile dal paziente e pertanto da lui accettato.

2) Altri Autori (Fiori), hanno fatto propri i citati quattro possibili modelli di rapporto medico-paziente che dovrebbero a loro volta improntare la metodologia

(26)

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728 dell’informazione e dell’acquisizione del consenso dimostrando il proprio favore per il modello “deliberativo”, che presuppone un’interazione medico-paziente; orientamento, quest’ultimo che afferma una sorta di corresponsabilità tra medico e paziente che, tra l’altro, la giurisprudenza prevalente non è ancora disposta a riconoscere.

Questi orientamenti dottrinali, in sostanza, temono la burocratizzazione dell’informazione e del consenso.

Ma la giurisprudenza, come si è visto, è drastica, esigente e, nel senso proprio, semplificante nell’esigere dal medico la prova dell’avvenuta informazione e nel sottoporre a riscontri – o, addirittura, nel proposito di vincere presunzioni di falsità – l’affermazione del medico di averla data quando non sia documentato un consenso scritto.

È ben vero che la stessa giurisprudenza sottopone spesso a critica consensi troppo tecnici o troppo dettagliati; ma è pur vero che essi danno la prova, non solo di aver acquisito il consenso, ma di aver dato, ancor prima, una diffusa informazione.

Vi sarà così riscontro, per il Giudice, tra consenso scritto (anche e proprio perchè dettagliato) e avvenuta informazione. In sostanza ancora il consenso scritto non è sufficiente, ma è sempre raccomandabile perché necessario agli effetti della prova dell’avvenuta informazione; che nel processo andrà dunque data dal medico, poiché l’onere della prova finisce sempre, purtroppo e in parte erroneamente, secondo la prevalente giurisprudenza, per incombere sul di lui.

Proviamo ora a seguire i suggerimenti degli esperti per la redazione del CI.

1) secondo uno dei massimi esperti della materia (27) il consenso deve essere personale, attuale (deve cioè essere dato prima e permanere per l’intera durata del

(27)

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729 trattamento con facoltà del paziente di revocarlo in qualsiasi momento), libero, manifesto, gratuito, recettizio, richiesto, specifico, consapevole e informato, completo.

Il consenso consapevole o informato deve scaturire, quindi, da un’adeguata informazione attraverso la completa esposizione e comparazione di vantaggi, da una parte, e dei possibili rischi e complicanze del trattamento dall’altra. (28)

2) molteplici i tentativi di stilare delle linee guida in materia (29): lo scopo è quello di definire i requisiti e le caratteristiche che deve avere il processo legato al CI in modo da giungere alla formulazione di un atto legittimo e legale tenuto conto dei quattro

elementi qualificanti:

§ la qualità dell’informazione

§ la qualità della comunicazione

§ la capacità decisionale del paziente

§ la legittimità del processo

Rispetto alle modalità di acquisizione, il CI può essere implicito o esplicito;

Se esplicito può essere orale o scritto.

Il consenso implicito è il consenso tacito, dedotto dalla cooperazione alle cure e dalla richiesta che il paziente rivolge al contesto socio-sanitario, del suo coinvolgimento nel percorso di cura. È un tacito accordo basato sulla fiducia ed anche sul fatto che il paziente (come su accennato) conosce per esperienza gran parte delle comuni prestazioni e prescrizioni mediche. Il consenso è implicito quando l’assistito stesso richiede prestazioni o atti diagnostici o terapeutici, che vengono forniti secondo consuetudini che sono funzionali alle attese dello stesso paziente. Come già descritto,

(28)

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730 esso è usato nella maggior parte delle più comuni prestazioni sanitarie e delle terapie mediche ordinarie

(prelievi ematici di routine, immobilizzazioni per fratture composte, ecc. )

Il consenso esplicito (orale o scritto) viene richiesto nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche, invasive e/o rischiose, o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà della persona. Il consenso redatto e sottoscritto dal paziente e dal medico responsabile dell’atto sanitario, deve essere allegato e conservato all’interno della documentazione clinica di cui diviene parte integrante. Conseguentemente potrà essere consegnato come tutta la documentazione in copia al paziente, qualora ne faccia richiesta.

La prassi del consenso scritto, lo ribadiamo, risponde senza dubbio alle esigenze del diritto vigente e soprattutto della giurisprudenza, ed è di più facile riscontro probatorio rispetto alla prova per testimoni ma bisogna sempre ricordare che il C.I. è un atto a forma libera che non richiede obbligatoriamente la forma scritta se non quando previsto dai citati casi previsti dalla legge.

(29)

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731 9) La modulistica

Vista la varietà e la disomogeneità delle situazioni cliniche proprie della medicina specialistica non è realistico immaginare un unico modello-tipo di formulario; può tuttavia essere utile tracciare un “percorso” al fine di non dimenticare aspetti importanti da illustrare, approfondire, concordare nella relazione-alleanza tra medico e paziente (30)

Il processo che porta alla raccolta del CI è caratterizzato da quattro fasi determinanti:

§ informazione

§ comunicazione

§ verifica della comprensione

§ acquisizione del consenso

Nel corso del processo bisogna, quindi, acquisire tutte le informazioni necessarie per un determinato percorso terapeutico, essere sempre disponibili a dare chiarimenti e approfondimenti, definire i criteri e le modalità necessari per assicurare la corretta informazione (contenuto) e la adeguata comunicazione (forma) del CI indicando, in specie nelle strutture complesse, chi deve compiere queste azioni, le modalità per effettuarle e la relativa sequenza temporale delle varie fasi del processo.

In una esperienza della Regione Veneto (31), seguendo i criteri della norma ISO9001:

2000, sono stati proposti e utilizzati i seguenti documenti:

(30)

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732 I° modello:

§ facciata A: comunicazioni che il p. fa alla struttura/sanitario con le quali il esprime le proprie preferenze e scelte di carattere generale;

§ facciata B: le informazioni di carattere generale sullo stato di salute del p. che il medico comunica al paziente e sulla necessità di intervento (diagnostico,

chirurgico, riabilitativo) e ne raccoglie il consenso/dissenso

II° modello: scheda specifica dell’intervento trattamento al quale si rendesse eventualmente necessario sottoporre il paziente:

§ facciata A: ulteriori elementi aggiuntivi;

§ facciata B: raccolta del consenso/dissenso

In proposito, una indagine condotta su 50 modelli di CI relativi a svariate procedure hanno evidenziato le seguenti principali lacune (32):

1) moduli generici ed aspecifici da poter essere utilizzati indifferentemente per interventi molto diversi;

2) comunicazione monca ed unidirezionale, senza possibilità di contraddittorio, né di eventuali chiarimenti e approfondimenti;

3) il modulo di consenso è proposto insieme ad altre indicazioni (es.:preparazione all’intervento)

4) il modulo si presenta gravemente incompleto: mancano la data di nascita, la nazionalità, la lingua parlata, il consenso a sospendere o a modificare l’intervento di fronte a situazioni sopraggiunte impreviste o imprevedibili; mancano informazioni sulle conseguenze del non intervento;

(31)

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733 5) manca, in calce al modulo, la dichiarazione del paziente sulla piena comprensione dell’informazione acquisita

6) nei moduli è possibile vedere, oltre a diversi errori di battitura, una certa fretta di giungere alla parte finale, quella della firma del “consenso liberatorio” laddove la firma non manca mai ma ricorrono spessissimo spazi bianchi, compreso quello della data del consenso, dei benefici e dei rischi.

Tali problematiche non sono ovviamente solo italiane. Dando uno sguardo oltre oceano, riportiamo tre esempi guida utilizzati in America.

Il modulo di consenso del ”Toronto General Hospital “ è composto da tre facciate con una serie di 11 punti, a ciascuno dei quali corrispondono spazi di 2 o 3 righe da compilare a mano, che spiegano la natura della malattia, la procedura chirurgica, le eventuali alternative subordinate, i rischi (dalle grandi emorragie fino all’arresto cardiaco), le eventuali modifiche intra-operatorie rispetto al programma pre-operatorio, i rischi derivanti dall’evolvere della malattia in caso di mancato intervento.

Essenzialmente si tratta di specificare la diagnosi, la prognosi, la terapia.

L’American College of Surgeons ha predisposto un opuscolo che, per gli interventi programmati (non urgenti), l’operatore consegna al malato il quale ha tempo di meditare su quanto è scritto e nel quale si specifica, tra l’altro chi ha detto che è necessario un intervento chirurgico; perché è stato indicato come necessario;

Nella parte da compilare a cura del p. lo stesso è invitato a dichiarare in quali risultati spera, se teme qualche rischio, ed altre sue considerazioni personali ecc. Segue la prevista fase di meditazione, dopo la quale il paziente torna dal chirurgo il quale approfondisce le spiegazioni e illustra le eventuali complicanze ed i probabili benefici, ecc. e fa firmare il modulo di consenso informato.

(32)

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734 Nel Texas (Medical Disclosure Panel) le prestazioni medico-chirurgiche sono state divise nella lista A (prestazioni che richiedono ampia informazione al paziente) e nella B (prestazioni per le quali non sono necessarie informazioni molto dettagliate).

In ogni caso di controversia per risultato negativo, il medico può giovarsi di una

“presunzione di diligenza” se ha rispettato le norme di cui alla lista A o alla lista B (a seconda dei casi).

10) Casi particolari

Il processo di acquisizione del CI deve essere adattato in situazioni particolari.

a) paziente minorenne

Quando l’atto sanitario è rivolto ad un paziente minorenne bisognerebbe acquisire il consenso di entrambi i genitori, se presenti e d’accordo;

In assenza di un genitore per lontananza o impedimento o sua incapacità, tale circostanza andrebbe documentata.

In caso di disaccordo tra i genitori la decisione è rimessa al giudice, quindi il medico non può procedere all’erogazione dell’atto sanitario, a meno che non ricorra lo stato di necessità (art. 54 CP)

Se, invece, vi è opposizione di entrambi i genitori, il medico, qualora valuti indispensabile l’atto sanitario per il minorenne, deve procedere a segnalazione alla Procura della Repubblica per i minorenni perché presenti ricorso al Tribunale per i minorenni

(33)

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735 In presenza di un dissenso del minorenne rispetto alla proposta diagnostico/terapeutica, malgrado il consenso degli esercenti la potestà, dopo reiterati momenti di informazione e ricerca del dialogo, bisogna:

• valutare la necessità/differibilità del trattamento proposto;

• prendere in considerazione l’opinione del minorenne come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità (cit. Conv. di Oviedo, art. 6); già dagli 8-9 anni in considerazione della sua capacità di discernimento; sempre dopo i 12 anni.

• considerare il dissenso del minore come ostativo al trattamento sanitario quando esso sia ragionevole sotto il profilo delle beneficità o della possibilità di altri interventi alternativi e quando il minorenne ha una certa età per cui non si può provvedere con la forza;

• nell’ipotesi che per la gravità della situazione sanitaria il trattamento proposto sia necessario e indifferibile procedere alla segnalazione alla Procura della Repubblica per i minorenni per l’eventuale iniziativa di provvedimenti del Tribunale per i minorenni.

b) paziente interdetto o sottoposto ad una amministrazione di sostegno riferita ad atti sanitari

c) paziente in condizione di incapacità naturale perché privo in tutto o in parte di autonomia decisionale o temporaneamente incapace di esprimere la propria volontà.

In questi due casi, per l’acquisizione del consenso si fa riferimento al titolare legale del diritto (tutore/curatore)

d) dissenso di persone maggiorenni e capaci

(34)

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736 Di fronte al rifiuto del paziente maggiorenne e capace di sottoporsi agli atti sanitari proposti, il medico e gli operatori sanitari devono rispettare la sua volontà, a meno che la situazione clinica non evolva fino a determinare lo stato di necessità.

e) stato di necessità

Quando sussistano le condizioni di cui all’art. 54 Codice Penale (v. sub 6: fonti normative) e la persona non sia in grado di esprimere il proprio consenso a prestazioni sanitarie ritenute indifferibili, il medico è tenuto ad intervenire anche senza l’acquisizione del consenso.

A tal fine occorre che il pericolo sia attuale e inevitabile: attuale, in quanto imminente e sovrastante, in atto al momento dell’azione; inevitabile, perché non eliminabile con diversa condotta.

Il medico compie tutti gli atti possibili, riportando in cartella clinica la situazione che viene ad affrontare e i provvedimenti relativi non procrastinabili e necessari in modo specifico per superare quel pericolo o quel rischio.

Ai familiari non è riconosciuto alcun vero e proprio potere di decidere; è opportuno che siano informati, ma le decisioni cliniche spettano autonomamente al medico.

Superato lo stato di necessità per le successive prestazioni sanitarie occorre acquisire il consenso del paziente.

In sala operatoria il medico che si trovi di fronte ad una situazione imprevista, che comporti un intervento differente da quello per il quale era stato acquisito il consenso del paziente, interviene secondo l’interesse dello stesso escludendo la possibilità di rimandare l’intervento ad un successivo momento solo se il rinvio stesso costituisce un danno grave alla salute o alla vita del paziente.

(35)

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737 In caso di minorenni o incapaci e in assenza dei genitori/tutori lo stato di necessità può essere valutato con maggiore ampiezza, qualora il ritardo all’esecuzione dell’atto sanitario comporti un aggravamento della situazione clinica.

f) in medicina estetica

Fra i casi particolari, ma con riferimento alla natura e peculiarità della prestazione, vogliamo ricordare tutti gli interventi ad esclusiva, ovvero prevalente, finalità estetica: in primis la medicina estetica e l’odontoiatria.

In questi casi è da considerare che l’obiettivo desiderato dal paziente è il risultato stesso ovvero il frutto della attività professionale. Proprio per la natura stessa di questi interventi, quindi, pur non sussistendo l’obbligo di consenso in forma scritta, le informazioni al paziente sugli effetti collaterali, sui rischi, sui potenziali fallimenti e sulle alternative disponibili devono essere particolarmente approfondite e dettagliate giacché i miglioramenti estetici, proprio perché non necessari alla salute del paziente, devono essere decisi dopo una ancor più attenta analisi costi-benefici.

Non ammette scuse la Corte di Cassazione, IV sezione penale, che con la sentenza del 1° agosto 2008, n. 32423 ha sottolineato, con una certa dose di severità, tale concetto, rilevando che in questi casi, il consenso informato “non può esaurirsi nella comunicazione di generiche informazioni ma deve investire – soprattutto nel caso di trattamenti che non sono diretti a contrastare una patologia, ma a finalità esclusivamente estetiche che si esauriscono in trattamenti non necessari se non superflui - gli eventuali effetti negativi del trattamento in modo che sia consentito al “paziente” di valutare congruamente il rapporto costi-benefici del trattamento e di mettere comunque in conto l’esistenza e la gravità delle conseguenze negative ipotizzabili ”

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738 In tali casi si impone, quindi, una sorta di compensazione fra la ridotta o mancata necessità operatoria ed il contenuto del consenso.

11) Tre buoni motivi per il consenso

Oltre ai citati motivi giuridici e deontologici aggiungiamo alcune riflessioni che dovrebbero ulteriormente motivare la giusta considerazione del processo.

1. il recupero della serenità professionale nella direzione della tanto auspicata “alleanza terapeutica”

In buona sostanza, gran parte delle preoccupazioni che ci assalgono deriva dal fatto che per acquisire un valido consenso ci vuole un tempo adeguato ed una dedizione, una premura per il paziente - tipica della nostra professione - che siamo sempre meno disponibili a concedere; perché siamo legati a comodi stereotipi e perché la procedura ci fa perdere tempo, ed il tempo è denaro.

Il consenso informato dovrebbe essere, invece, un scambio di idee che sostiene la relazione medico-paziente ed il processo di acquisizione del CI essere la base della relazione fiduciaria tra un paziente ed un medico.

I medici devono riconoscere che il C.I. è un processo istruttivo ed ha il potenziale per guidare l'alleanza medico-paziente verso una direzione tesa al loro beneficio reciproco.

Quando medici e pazienti affrontano il CI in maniera seria, la relazione medico-paziente

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739 diviene una vera associazione con autorità decisionale e condivisione della responsabilità per le conseguenze. (34)

2. il marketing dello studio

In particolare nella libera professione, la procedura di acquisizione del consenso è un’operazione di marketing e di fidelizzazione del paziente incredibilmente efficace.

Considerato che la spiegazione della proposta terapeutica (informazione) deve essere fatta comunque, farla nei tempi e nei modi giusti, senza fretta e con la adeguata preparazione organizzativa, dimostra una giusta dedizione ed attenzione al paziente.

Bisogna ricordare che spesso tale atteggiamento di disponibilità verso il paziente ha molto più valore, ai fini della sua decisione di accettare il trattamento, rispetto alla perfetta esecuzione tecnica della prestazione, della quale si renderà conto - ma non sempre è possibile - in un momento successivo.

A volte, incredibilmente, dimentichiamo la ovvia realtà che la scelta del paziente di farsi trattare da noi viene sempre prima della esecuzione del trattamento stesso.

3. coltivare la propria perfettibilità

Come spesso accade, è una questione di atteggiamento mentale, disponibilità a cercare e trovare qualche cosa di utile e positivo in quello che, di per sé, a prima vista, potrebbe sembrare solo una monotona, inutile, fastidiosa incombenza.

È, quindi, indispensabile mettersi in discussione, analizzare le proprie azioni e le capacità di individuare i modi per migliorarle, accettare la perfettibilità e coltivare una sana attitudine al continuo apprendimento ed all’autoconsapevolezza. (35)

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740 Chi non è disponibile a lavorare in questa direzione aumenta il margine di rischio e si assume tutte le conseguenti responsabilità del proprio comportamento, ove risulti deontologicamente e legalmente imperfetto.

12) Conclusioni

Superati i vecchi schemi su cui si è basata nel passato l’arte sanitaria al medico si chiede di fornire al paziente tutte le informazioni necessarie, con un linguaggio che tenga conto del livello culturale del suo interlocutore, del suo comprensibile stato emotivo e delle sue capacità di capire.

Bisogna sempre ricordare che il consenso informato è un processo che si svolge nel tempo e non in un solo sbrigativo e frettoloso incontro.

Per il medico si tratta di rinunciare ad una posizione ed un ruolo “di prestigio”, spogliarsi delle vesti di “imparziale funzionario del sapere scientifico”, cercare di raggiungere l’obiettivo del beneficio per il paziente e, allo stesso tempo, rispettare la sua libertà, aiutandolo a prendere decisioni ed assumersi responsabilità sulla propria salute.

Quello che si chiede al malato è di non essere più un soggetto passivo, ma di partecipare attivamente al processo decisionale.

Certo, per medici e pazienti, non sarà semplice trasformare la attuale e travagliata relazione medico-paziente in un rapporto nuovo, basato sulla condivisione delle

(39)

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741 responsabilità e - per quanto è possibile in conseguenza dei limiti imposti dalla malattia - sulla collaborazione tra soggetti con pari dignità.

Occorrerà molta buona volontà e, certamente, anche del tempo per “digerire” questo nuovo copione, ma riteniamo sia l’unica valida e soddisfacente strada da percorrere.

Solo a tali condizioni sarà possibile iniziare un rapporto meno sbilanciato, in cui la dipendenza psicologica del paziente, che ancora oggi giustifica agli occhi di molti l’atteggiamento paternalistico del medico, potrà essere compensata dalla condivisione che il medico cerca di avere con la parte più responsabile della psicologia del malato.

E’ necessario, quindi, un inderogabile cambiamento da parte di medici e pazienti, con il supporto di uno specifico, gradito e atteso contributo legislativo.

I tempi cambiano; in fondo la problematica del CI non è altro che l’espressione del faticoso adattamento del pianeta sanità, ed in particolare del fondamentale rapporto medico-paziente, agli avvenuti cambiamenti socio-culturali nel senso di una più profonda consapevolezza del bene-uomo e del bene-salute.

(40)

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742 Bibliografia

1) Palmieri A. Relazione medico paziente tra consenso globale e responsabilità del professionista. In rif. a Cass., Sez. III Civ., Sen. 15 gennaio 1997, n. 364. Foro It, 2000;

I: 777

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http://www.overlex.com

3) cfr. Cassazione Penale Sentenza, Sez. IV del 30/09/2008, n. 37077

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5) Angelici G. La nozione di autonomia; fondamenti. In “bioetiche in dialogo”. Zadig Ed.

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32-5

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8) Introna F. Consenso informato e rifiuto ragionato. L’informazione deve essere dettagliata o sommaria? Commento a Sent. C. Cass., Sez III, n° 9374/1997.; Riv. Ital. Med. Leg.

1998; 4-5: 825-30 9) Cembrani F. op. cit.; 9

10) Fiori A. Il consenso informato. In “Medicina legale della responsabilità medica”. Giiuffre Ed. 1999: 109-18

11) Professionista24 – Il sole 24 ore – Organizzare lo studio professionale. 2009; 1: 2-7 12) Emanuel E.J, Emanuel L.L. Four model for Phisician-Patient Relationship. JAMA 1992;

2221- 67

13) Fiori A. op. cit.; 119

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