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65-75 anni tra natura e ambiente

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Academic year: 2021

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65-75 anni tra natura e ambiente

Convenzionalmente l’età della vecchiaia inizia a 65 anni. In occasione del 63° Congresso nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg), tenutosi a Roma tra fine novembre e inizio dicembre 2018, l’asticella è stata spostata in avanti, a 75 anni. Quali motivazioni stanno alla base di questa decisione e quali sono le conseguenze?

di Marco Trabucchi (Associazione Italiana di Psicogeriatria e Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia)

Recentemente ha destato grande interesse giornalistico una dichiarazione della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria secondo la quale si diventerebbe vecchi a 75 e non più a 65 anni. Al di là della possibile ironia derivante dal fatto che un’affermazione verbale determinerebbe un cambiamento radicale nella prospettiva vitale di molti, è importante comprendere il significato tutt’altro che banale di questa presa di posizione.

Si può partire dal dato ovvio: oggi si vive molto più a lungo di qualche decennio fa. Dalla fine della guerra si sono infatti guadagnati 20 anni di spettanza di vita alla nascita. Questo fatto si è ovviamente accompagnato ad un cambiamento della condizione umana e vitale, per cui i 65enni di oggi si trovano in uno stato che era quello dei 50enni di 30 anni fa.

Questo insieme di dati ha reso plausibile lo spostamento della barriera teorica che segnala l’ingresso nella tarda età;

quindi l’affermazione che si diventa vecchi a 75 anni è semplicemente la presa d’atto di un fenomeno importante, noto da molto tempo, cioè uno spostamento in avanti della durata della vita. Qualcuno aggiunge a questa considerazione il fatto che la vecchiaia “entrerebbe in azione” quando mancano attorno a 10 anni alla morte; di fatto oggi sappiamo che un uomo di 75 anni ha ancora da vivere in media 10 anni e una donna quasi 15…. quindi tutto sembrerebbe logico.

Quali considerazioni si possono trarre da questa presa di posizione della Società scientifica che, come detto sopra, non è altro che il riconoscimento formale di un evento epocale avvenuto in questi decenni? E, quindi, quali conseguenze ne deriveranno per la vita sociale?

Una prima riguarda i servizi; molte delle esenzioni o benefici riservati agli ultra sessantacinquenni dovranno essere cancellati e riservati a fasce più vecchie della popolazione. Si tratta di una presa di posizione che non sarà certamente gradita a molti, ma riflette lo stato delle cose e, in particolare, permette la sostenibilità economica dei servizi stessi, compromessa dall’enorme ampliamento, avvenuto in questi anni, della platea dei fruitori. Il risparmio ovviamente dovrà essere realizzato in modo selettivo, preservando gli ammalati cronici la cui numerosità aumenta con l’età; inoltre, si deve considerare che il risparmio va investito nelle età più avanzate, consentendo di conseguenza una copertura più vasta e di qualità dei bisogni di cura e di assistenza degli ultrasettantacinquenni.

La dichiarazione della Società Italina di Gerontologia e Geriatria ha una ricaduta anche sul sistema pensionistico; al di là degli attuali provvedimenti, destinati a creare una massa di pensionati giovani privi di speranze e di obiettivi, è naturale che l’età di pensionamento vada spostata in avanti e di conseguenza anche l’età lavorativa. Pure in questo ambito si apriranno grandi discussioni, però la tendenza è molto chiara.

Il ragionamento sullo spostamento in avanti dell’età della vecchiaia deve però essere collegato all’analisi dei fattori che hanno determinato questo evento. Anche se non tutto è chiaro in questo ambito, si deve ricordare che alla base vi sono le migliori condizioni di vita che hanno progressivamente caratterizzato gli ultimi decenni: migliore alimentazione,

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migliore condizione delle abitazioni, lavori meno stressanti e pericolosi, maggiori interessi vitali, migliore educazione sanitaria, ecc. Quindi nel complesso abbiamo assistito a un grande progresso umano, che si è riflesso sulla maggiore durata della vita, che ha inciso sulla struttura biologica stessa degli individui attraverso il meccanismo dell’epigenetica.

Quindi, in questi anni ci siamo avvicinati ad una teorica durata massima della vita, limite che nessuna ricerca scientifica è stata però fino ad ora in grado di descrivere, anche solo sul piano quantitativo.

Ma, allora, in questo chiaroscuro di stimoli: vita più lunga, riduzione della durata di alcuni servizi, coscienza che come famiglia umana si vive meglio anche in termini qualitativi (salute psichica e somatica, dinamiche economiche e sociali, ecc.) come ci collochiamo? Purtroppo vi sono all’orizzonte alcuni segnali preoccupanti, come la chiara diminuzione della spettanza di vita avvenuta negli USA da qualche anno e un fenomeno simile, anche se meno grave, verificatosi anche da noi. Dobbiamo quindi pensare seriamente a creare le condizioni perché il grande progresso degli ultimi decenni, espresso in termini chiari dalla Società di Geriatria, possa continuare; siamo in una barca in movimento, alla quale dobbiamo imprimere una giusta rotta. Ci auguriamo sia possibile, perché vivere più a lungo, pur con qualche conseguenza da “sistemare”, rappresenta per molti un obiettivo da raggiungere.

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