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2.Palpate-esaminate il vostro paziente 1.Dovete conoscere il paziente Trattamento post-operatorio 40

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Academic year: 2022

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Trattamento post-operatorio 40

M OSHE S CHEIN

Ripetiamo: “Finché l’addome è aperto siete voi che lo controllate, una volta chiuso è lui che controlla voi!”

Il lungo intervento è terminato e a voi non resta che assaporare la dolce

“euforia” e l’esultanza del post-operatorio. Ma poco dopo, appena i livelli delle endorfine iniziano a diminuire, cominciate a preoccuparvi dell’esito. Ed infatti dovete preoccuparvi, perché l’attitudine da macho arcisicuro è l’ingrediente principale per un disastro. Non è nostra intenzione intavolare una discussione dettagliata sul trattamento post-operatorio o scrivere un nuovo manuale di tera- pia intensiva chirurgica. Vogliamo soltanto condividere con voi alcuni concetti di base che potrebbero essere dimenticati, affogati in un mare di nuove tecnolo- gie e di espedienti. Ecco alcuni “comandamenti” pratici del trattamento post- operatorio.

1. Dovete conoscere il paziente

Non è uno scherzo! Quante volte vi è capitato di vedere pazienti gestiti dopo l’intervento da qualcuno che non aveva assolutamente idea di cosa fosse successo pre- ed intra-operatoriamente? Sono proprio quelli che “adottano temporanea- mente” un caso a sbagliare più di frequente il trattamento. Quando operate un paziente, il paziente è vostro! Condividere la propria responsabilità con qualcun altro significa che nessuno è responsabile!

2. Palpate-esaminate il vostro paziente

Non solo ai piedi del letto. Non basta controllare i diagrammi o i monitor

in Terapia Intensiva. Osservate il paziente, annusatelo, palpatelo almeno una vol-

ta al giorno. Non sarebbe imbarazzante imbottire il vostro paziente di antibioti-

ci per endovena o sottoporlo a TC addome mentre un ascesso sta insospettabil-

mente “ribollendo” sotto la medicazione, in attesa di essere semplicemente dre-

nato?

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3. Trattate il dolore

Conoscete i vari farmaci ed i modi di somministrazione. Sicuramente è vostra abitudine prescrivere degli analgesici dopo l’intervento, ma questo non basta. La maggior parte dei pazienti interrogati a caso dopo un intervento, lamenta di non essere stata sottoposta ad una adeguata terapia del dolore. Gli infermieri tendono ad essere avari con gli analgesici. Voi siete “l’inviato sul posto”, perciò abbiate cura che il vostro paziente non soffra inutilmente.

4. Non “crocifiggete” il paziente in posizione orizzontale

È tipico dei pazienti “moderni” essere “crocifissi” orizzontalmente, collegati ai cavi – simili a spaghetti – dei monitor, a sondini naso-gastrici, a flebo, a drenaggi, a fasce pneumatiche alle gambe e a cateteri vescicali. Liberate appena possibile il paziente da tutta questa roba; gli infermieri non lo faranno se non glielo ordinate.

Prima il paziente è fuori dal letto, seduto o in piedi, prima potrà tornare a casa.

Invece, tenendo il paziente in posizione supina aumenterete l’incidenza di ateletta- sia/polmonite, di trombosi venosa profonda, di ulcere da decubito e prolungherete l’ileo paralitico, aggiungendo così combustibile al fuoco infiammatorio della SIRS (sindrome da risposta infiammatoria sistemica).

5. Diminuite la presenza di plastica e gomma

Può essere istituito il monitoraggio delle funzioni come sistema di allarme per rilevare tempestivamente eventuali disturbi fisiologici in modo da poter subito sot- toporre il paziente ad una terapia correttiva. L’invasività del sistema di monitorag- gio impiegato deve essere proporzionale alla gravità della patologia: “Peggio sta il paziente, maggiore sarà il numero di tubi per il monitoraggio e minore sarà la soprav- vivenza.”

In questo capitolo non è prevista una discussione più dettagliata sul numero sempre più crescente dei metodi di monitoraggio oggi disponibili. Tuttavia tenete a mente:

Per poter rispondere adeguatamente ai segnali di allarme forniti dal monito- raggio dovete conoscere alla perfezione la tecnologia impiegata. Dovete essere in grado di distinguere una reale alterazione fisiologica acuta da un artefatto mecca- nico.

Dovete rendervi conto che ogni metodo di monitoraggio può essere soggetto

ad una miriade di errori: quelli specifici della tecnica o quelli causati dalle variabi-

li correlate al paziente. Sono perciò fondamentali attenzione e sano giudizio clini-

co! Con l’evoluzione della tecnologia, il monitoraggio sta diventando sempre più

sofisticato (e costoso). Inoltre le tecniche di monitoraggio determinano un signifi-

cativo numero di complicanze iatrogene nelle Unità di Terapia Intensiva

Chirurgica. Impiegate il monitoraggio con discernimento e non lasciatevi travolge-

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re dalla sindrome dell’Everest: “Lo scalo perché c’è”. Prima di imbarcarvi in un moni- toraggio invasivo, chiedetevi: “Il paziente ne ha veramente bisogno?”. Ricordatevi che esistono alternative più sicure ed economiche al monitoraggio invasivo: ad esem- pio, in pazienti stabili, rimuovete le linee arteriose dato che la pressione ematica può essere misurata con un tradizionale sfigmomanometro, la PO

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può essere determinata per via transcutanea ed i test ematici eseguiti con un prelievo venoso.

Tutte le volte che esaminate un paziente, chiedetevi cosa potreste rimuovere tra son- dino naso-gastrico, catetere di Swan-Ganz, linea venosa centrale, linea arteriosa, linea venosa periferica e catetere di Foley.

Sondino nasogastrico (NG)

La decompressione post-operatoria prolungata con sondino NG per combattere l’ileo gastrico ed intestinale rappresenta un rituale frequente ma privo di fondamento. Il concetto che il sondino NG “pro- tegga” una anastomosi intestinale distale è ridicolo poiché ogni giorno vengono secreti litri di succhi enterici al di sotto dello stomaco decompresso. Il sondino NG è estremamente irritante per il paziente, inoltre interferisce con la respirazio- ne, erode l’esofago e promuove il reflusso gastro-esofageo. Di solito i chirurghi mantengono in sede il sondino finché l’output giornaliero non scende al di sotto di un determinato volume (ad es. 400 ml); tale usanza spesso costituisce una tor- tura inutile. È stato ripetutamente dimostrato che la maggior parte dei pazienti dopo laparotomia non richiede una decompressione naso-gastrica – neanche dopo interventi sul tratto gastro-intestinale superiore – o la richiede per un gior- no o due al massimo. Nella maggior parte dei pazienti coscienti, in grado di pro- teggere le proprie vie aeree dall’aspirazione, potete tranquillamente omettere l’in- serimento del sondino. Dopo un intervento addominale in urgenza, la decom- pressione naso-gastrica è, invece, obbligatoria nei pazienti ventilati meccanica- mente, nei pazienti sedati e dopo interventi per occlusione intestinale. In tutti gli altri casi prendete in considerazione l’eventualità di rimuovere il sondino NG la mattina dopo l’intervento.

Drenaggi

Malgrado sia stato ampiamente dimostrato che è impossibile

drenare efficacemente la cavità peritoneale, i drenaggi continuano ad essere

comunemente usati ed usati male (

Cap.12). I drenaggi, oltre a dare un fasullo

senso di sicurezza e di rassicurazione, possono erodere l’intestino o i vasi e deter-

minare complicanze settiche. Vi suggeriamo di limitarne l’uso all’evacuazione di

ascessi in atto e di eventuali secrezioni viscerali (ad es. biliari, pancreatiche) ed

inoltre al controllo di fistole intestinali quando non è possibile esteriorizzare l’in-

testino. Il drenaggio a caduta con sistema open offre una via bi-direzionale ai

microrganismi e perciò deve essere evitato. Utilizzate esclusivamente drenaggi in

aspirazione chiusi, inserendoli lontani dai visceri. Lasciare un drenaggio vicino ad

una anastomosi, ritenendo che una eventuale perdita possa determinare una

fistola piuttosto che una peritonite, è un dogma duro a morire; è stato dimostra-

to che i drenaggi contribuiscono alla deiscenza della linea di sutura. Una politica

della serie “dreno sempre una anastomosi colica per 7 giorni” appartiene al Medio

Evo della pratica chirurgica. Rimuovete il drenaggio appena questo avrà svolto il

suo scopo.

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6. Eseguite selettivamente gli esami post-operatori

L’esecuzione di inutili procedure diagnostiche o gli errori interpretativi di pro- cedure diagnostiche, generalmente hanno come risultato dei falsi positivi che a loro volta determinano una escalation sempre più invasiva di misure diagnostiche o terapeutiche. Il prezzo da pagare è invariabilmente un aumento della morbilità. Se i risultati di un determinato esame non influenzeranno il vostro trattamento, allo- ra non richiedetelo!

7. Ricordatevi che il problema `e di solito localizzato nella sede dell’intervento

Di solito nei pazienti chirurgici, la causa della febbre o di uno “stato settico”

si trova, fino a prova contraria, nella sede del primo intervento. Non trasformate- vi in uno “chirurgo-struzzo” trattando il paziente per “polmonite” mentre questi si sta lentamente dirigendo verso una disfunzione multiorgano per un ascesso intra- addominale (

Fig. 40.1).

Fig. 40.1. Chirurgo o struzzo?

I “problemi” post-operatori sono di solito localizzati nella sede dell’intervento…

Non comportatevi come

un “chirurgo struzzo“

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8. La febbre non `e una malattia; non trattatela come tale

La febbre post-operatoria rappresenta la risposta infiammatoria del paziente a diversi insulti come l’infezione, il trauma chirurgico, una atelettasia, una trasfu- sione ecc… Non sempre una SIRS ha il significato di sepsi (sepsi=SIRS+infezione).

Perciò non dovete automaticamente trattare la febbre con antibiotici, né soffocarla somministrando antipiretici poiché la riposta febbrile potrebbe essere di beneficio alle difese dell’ospite. Il livello assoluto di temperatura è meno importante del suo trend, ma è difficile valutare questo importante segno se lo state sopprimendo arti- ficialmente.

“La febbre è, in una certa misura, un processo benefico in grado di proteggere l’economia.” (Augustus Charles Bernays, 1854–1907)

9. Evitate di avvelenare il paziente con gli antibiotici: adattate la somministrazione di antibiotici ad ogni paziente

Evitate di seguire l’usanza di somministrare antibiotici durante tutto il perio- do di ricovero e anche dopo la dimissione del paziente (

Cap. 42).

10. Siate parsimoniosi con le trasfusioni di emoderivati

Generalmente la quantità di sangue o di emoderivati trasfusi è inversamente ed indirettamente correlata all’esito della patologia chirurgica acuta. Il sangue donato determina una immuno-depressione e si associa ad un rischio maggiore di infezione, di sepsi e di disfunzione di organo, per non menzionare altri rischi ben noti. Soprattutto i pazienti con cancro, se sottoposti a trasfusione, hanno un anda- mento peggiore nel lungo termine. Perciò trasfondete solo se è strettamente neces- sario. Se un paziente richiede soltanto 1 unità di sangue significa che non ne ha affatto bisogno. Per la maggior parte dei pazienti, un ematocrito del 30% è più che soddisfacente.

11. Non affogate il paziente nella fisiologica

Gli attuali ed esagerati “protocolli” che riguardano la gestione post-opera- toria dei liquidi prevedono troppa soluzione fisiologica, con un inevitabile aumento di peso ed edema dei tessuti. Ma i tessuti edematosi non funzionano né guariscono bene – in questo modo si determina una maggiore percentuale di complicanze mediche e chirurgiche (vedi “Commento dei curatori” del

Cap. 6).

Tutto ciò di cui il paziente ha bisogno sono liquidi sufficienti a reintegrare lie-

vi perdite (500–1000 ml) e a garantire un flusso urinario di 0,5 ml/Kg/ora.

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Perdite ulteriori (SNG) dovrebbero essere reintegrate selettivamente, ad hoc, ma prescrivere 150 ml/ora di soluzione fisiologica e poi andarsene a dormire avrà come risultato un paziente edematoso. Dovreste leggere l’articolo di Brandstrup et al. (2003)

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per capire come una restrizione dei liquidi nel periodo post-ope- ratorio possa essere di aiuto al paziente. E sbarazzatevi il prima possibile delle vie venose!

“I liquidi somministrati per endovena bypassano tutte le difese che il corpo ha messo in moto per proteggersi dai componenti in eccesso, dai batteri… Forniscono al paziente ciò di cui il chirurgo pensa abbiano bisogno i tessuti e lo faranno anche troppo bene.” (William Heneage Ogilvie 1887–1971)

12. Non fate morire di fame il paziente ma non eccedete con la nutrizione; utilizzate, tutte le volte che `e possibile, la via enterale ( ●

Cap. 41)

Non torturate il paziente seguendo la regola inutile ed infondata di aumenta- re lentamente il consumo consentito di liquidi per os da 30 ml/ora a 60 e poi a 90 e così via per diversi giorni.

13. Identificate e trattate l’ipertensione intra-addominale post-operatoria ( ●

Cap. 36)

14. Prevenite la trombosi venosa profonda (TVP) e l’embolia polmonare

È facile dimenticarsi della profilassi della TVP nel caos prima di un interven- to in urgenza. Il pilota controlla sempre la sua check-list prima di ogni volo – dove- te essere voi ad iniettare l’eparina sottocutanea e/o a posizionare le fasce pneuma- tiche anti-TVP prima dell’intervento. Continuate la profilassi TVP nel decorso post-operatorio poiché il paziente è sempre a rischio di trombosi.

15. Siate il leader e prendetevi perci `o le vostre responsabilit`a

Molte persone tendono a danzare – nel post operatorio – intorno al pazien- te, fornendo consulenze e consigli. Ma ricordatevi che quello non è il loro pazien-

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Brandstrup B, Tonnesen H, Beier-Holgersen R et al (2003) Effects of intravenous fluid restriction on postoperative complications: comparison of two perioperative fluid regimens:

a randomized assessor-blinded multicenter trial. Ann Surg 238:641–648.

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te, è il vostro. Agli M&M (incontri sulla morbilità e mortalità) o in tribunale gli altri diranno: “Ho semplicemente fornito una consulenza” (

Cap. 52). La respon- sabilità finale di tutto il trattamento del paziente è completamente nelle vostre mani. Sappiate quando aver bisogno di aiuto e chiedetelo, preferibilmente ad uno dei vostri maestri. Francis D. Moore ha detto: “Chiedete una consulenza anche se non siete sicuri che possa servirvi; non fate i lupi solitari”. Tuttavia, chiedete con- siglio con giudizio e seguitelo in maniera selettiva. Affidando ciecamente il tratta- mento post-operatorio del vostro paziente agli anestesisti, agli intensivisti, o ad altri “esperti” moderni potreste causare un disastro. In questa era della chirurgia moderna è molto meglio stabilire stretti rapporti di collaborazione con colleghi che condividono la vostra filosofia di trattamento e che hanno esperienza in altri campi. Tutti noi abbiamo bisogno di aiuto se il paziente presenta una insufficien- za multisistemica; possiamo occuparci del problema addominale, ma abbiamo bisogno di assistenza e di consigli per poter gestire adeguatamente una insuffi- cienza cardiaca, respiratoria e renale. Mark M. Ravitch ha detto: “Il problema di chiamare qualcuno per una consulenza è che poi uno si sente obbligato a seguire il suo consiglio.” (

Fig. 40.2).

Soprattutto – evitate la “consultorrea” che può avere ripercussioni negative sul- la sopravvivenza.

Fig. 40.2. “Chi è che manca, ragazzi? Dov’è il podologo?”

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