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Ma il contratto unico serve davvero? 24

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Academic year: 2021

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Ma il contratto unico serve davvero?

di Maria Vinciguerra

Si riparla ancora una volta di contratto unico di lavoro e di sospensione dell’art. 18. Come se il male della disoccupazione fosse dovuto alla diversità delle tipologie contrattuali e al divieto di licenziare liberamente senza vincoli e motivi.

La diversità delle tipologie contrattuali può solo consentire più opportunità di lavoro, più incontri tra domanda e offerta. Qualcuno potrebbe eccepirmi che sono opportunità di lavoro precario, vale dire saltuario o temporaneo. Allora l’obiettivo del governo sia piuttosto quello di favorire e sostenere tutti i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, anche se sono di lavoro parasubordinato o autonomo.

Quel che manca in Italia è una normativa che stabilisca le regole del lavoro autonomo ( o anche parasubordinato) continuativo che, e non è un caso, è l’unico lavoro a crescere in Italia.

Dovrebbe il governo (e a questo punto anche Matteo Renzi) chiedersi perché diminuisce il lavoro subordinato a tempo indeterminato e aumenta il lavoro

DIC

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autonomo. La risposta la forniscono gli imprenditori: il lavoro

subordinato costa troppo ed è rigidamente regolato dalla legge e dai contratti collettivi nazionali. Poco importa agli imprenditori ottenere sospensione dell’art. 18 se non diminuisce il costo del lavoro.

E’ un fatto indiscutibile che il lavoro autonomo (o parasubordinato) costi meno e ha meno vincoli. Per questo aumenta, per questo viene offerto maggiormente nel mercato del lavoro.

E allora: o si sceglie di alzare il costo del lavoro autonomo ma non caricando il peso sui lavoratori (il già tartassato popolo delle partite IVA) ma piuttosto sui committenti, sia in termini di compensi (che devono essere più alti rispetto ai lavoratori subordinati) che di contributi oppure si abbassano i costi del lavoro subordinato che si sono innalzati con l’ultima riforma del lavoro. Il datore di lavoro si troverebbe cosi a scegliere tra una delle due strade: o instaurare un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (quello che già esiste da sempre) più costoso in termini di contributi e tutele ma che consente di avere un maggior controllo sul lavoratore in termini di orario e di esecuzione del lavoro oppure instaurare un rapporto di lavoro autonomo continuativo più costoso in termini di compensi ma meno ingessato da tutele e con libertà di orario e di esecuzione del lavoro.

Entrambe le tipologie di lavoro sarebbero continuative. Perché i lavoratori chiedono in un rapporto lavorativo soprattutto la continuità, è la continuità a consentire loro di fare progetti di vita a lungo termine, di formarsi una famiglia, di comprarsi una casa, di fare investimenti.

Ai giovani che sono privi di esperienza lavorativa, il contratto di apprendistato rimane, questo sì , il contratto unico di ingresso nel mondo del lavoro ed è a tempo indeterminato per legge. Altre invenzioni contrattuali non servono. Come ha osservato Il prof. Michele Tiraboschi, responsabile scientifico Adapt, il modello danese in Italia senza i danesi serve a ben poco.

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