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Deputazione di storia patria per le Venezie 2 a B - p D n - g g - g o a cura di TeSTi D V

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(1)

Deputazione di storia patria per le Venezie Calle del Tintor - S. Croce 1583 - 30135 Venezia

D

eputazione Distoria patriaperle

V

enezie

TeSTi

a cura di

alfreDo Buonopane - pietro Del negro - giuseppe gullino - gherarDo ortalli

(2)
(3)

Le commissioni ducali ai rettori

d’istria e Dalmazia

(1289-1361)

a cura di Alessandra Rizzi

con la collaborazione di

Tiziana Aramonte, Umberto Cecchinato e Gloria Zuccarello

VieLLA

2015

(4)

© 2015 – Deputazione di storia patria per le Venezie & Viella S.r.l. Tutti i diritti riservati

Prima edizione: settembre 2015 iSBN 978-88-6728-510-5

Realizzato con il contributo della Regione del Veneto ai sensi della L.R. 1994, n. 15, art. 5

viella

libreria editrice via delle Alpi 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 75 8 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it

(5)

alessanDra rizzi

“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas”: le ‘commissioni’ ai rettori veneziani in istria e Dalmazia.

Nota introduttiva ... 7

umBerto CeCChinato Descrizione del codice manoscritto ... 29

tiziana aramonte i formulari di commissione d’istria e Dalmazia: i corpus originari .... 55

gloria zuCCarello il sistema delle aggiunte ... 65

Edizione dei testi ...

79

1. Console di Segna (capitolare) ... 83

2. Capitano del Pasenatico i (commissione) ... 85

3. Conte di Pola (commissione) ... 97

4. Podestà di Valle (commissione) ... 104

5. Podestà di Capodistria (capitolare) ... 109

6. Podestà di Parenzo (capitolare) ... 123

7. Podestà di Montona (capitolare) ... 135

8. Conte di Spalato (commissione) ... 145

9. Podestà di Cittanova (capitolare) ... 147

10. Conte di Traù (commissione)... 155

11. Conte di Sebenico (commissione) ... 160

12. Podestà di Umago (capitolare) ... 163

13. Podestà di isola (capitolare) ... 172

14. Podestà di San Lorenzo (capitolare) ... 181

15. Podestà di Pirano (capitolare) ... 189

16. Podestà di Rovigno (capitolare) ... 200

indice

(6)

17. Console di Pola (capitolare)... 208

18. Conte di Arbe (capitolare) ... 211

19. Capitano del Pasenatico ii (commissione) ... 214

20. Conte di Nona (commissione) ... 220

21. Conte di Zara (commissione) ... 223

22. Conte di Zara (capitolare) ... 226

23. Consigliere di Capodistria (commissione) ... 232

24. Consigliere di Zara (commissione)... 236

25. Conte di Ragusa (capitolare) ... 242

indice dei nomi di luogo ... 249

(7)

a

lessanDra

r

izzi

“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas”:

le ‘commissioni’ ai rettori veneziani in istria e Dalmazia.

Nota introduttiva

1. L’edizione

Ufficiali e rettori veneziani – funzionari di un dominio composito a basso in-dice di territorialità e compattezza, con incarichi e poteri distinti a seconda della de-stinazione assegnata –, avevano una funzione fondamentale in comune: connettere e coordinare la città capitale con i diversi centri del dominio, operando negli interessi superiori dell’una, ma anche favorendo le specificità locali. Membri della classe di-rigente veneziana non erano professionisti in diritto e procedure, ma incaricati con attitudini generali al comando, pratici di cose di governo, sui quali era ricaduta la scelta per la propensione a risolvere i problemi in modo essenzialmente politico1. La ‘commissione’ affidata loro alla partenza – che avrebbe assunto nel tempo, in forma di libello spesso di pregevole fattura, una fisionomia sempre più compiuta e artico-lata –, fungeva anzitutto da “pratico repertorio” di linee guida e istruzioni “circa i modi, i criteri e i vincoli” dettati e imposti dalla dominante per adempiere al mandato commesso2: documento ufficiale delle responsabilità e dei diritti generali e speciali, affidato a ogni rettore che ricopriva tale incarico per il Comune Veneciarum, dall’inizio del XIII secolo, almeno, e fino alla fine della Repubblica.

1. Cfr. e. Orlando, Politica del diritto, amministrazione, giustizia. Venezia e la Dalmazia nel Basso Medio-evo, in Venezia e Dalmazia, a cura di U. israel, O.J. Schmitt, Roma-Venezia 2013, pp. 26-27, in particolare per i distretti dalmati; id., Venezia e il mare nel medioevo, Bologna 2014, p. 75, a proposito del duca di Can-dia; ma cfr. anche G. Del Torre, Venezia e la terraferma dopo la guerra di Cambrai. Fiscalità e amministrazione (1515-1530), Milano 1986, p. 232, a proposito dei rettori di terraferma.

2. e. Orlando, Altre Venezie. Il dogado veneziano nei secoli XIII e XIV (giurisdizione, territorio, giustizia e amministrazione), Venezia 2008, pp. 224-225, con riferimento alle commissioni per i rettori del dogado, sulle quali si veda anche G. Ortalli, Venezia e il dogado. Premesse allo studio di un sistema statutario, in Statuti della laguna veneta (secc. XIV-XVI), a cura di G. Ortalli, M. Pasqualetto, A. Rizzi, Roma 1989 (Corpus statutario delle Venezie, 4), pp. 23-24. Cfr. ancora, per l’area qui considerata, Orlando, Politica del diritto, pp. 24-26. Qualcosa di simile, almeno nella sostanza, doveva essere approntato per tutti i funzionari periferici d’antico regime. Nello stato mediceo, ad esempio, i compiti dei giusdicenti locali – rappre-sentanti amministrativi della dominante e funzionari delle diverse comunità – erano definiti da regole generali e statuti locali: L. Mannori, Il sovrano tutore. Pluralismo istituzionale e accentramento amministrativo nel principato dei Medici (secc. XVI-XVIII), Milano 1994, pp. 107, 248.

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Alessandra Rizzi 8

il presente lavoro intende proporre all’attenzione, per la prima volta in edizio-ne rispondente a criteri attuali, i ‘formulari’ più antichi superstiti, cioè i modelli base utilizzati, dagli incaricati, per la stesura dei libelli d’istruzioni affidati, in particolare, ai funzionari inviati a reggere i domini veneziani in istria e in Dalmazia. Tali ‘formulari’ sono pervenuti sia nella forma più antica del capitolare giurato (in prima persona) che della commissione (promulgata a nome del doge in carica del comune veneziano). Tut-ti i tesTut-ti sono tratTut-ti dal registro 1 del fondo Collegio, Formulari di commissioni, conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia, che contiene oltre a quelli istriani e dalmati, anche i ‘formulari’ di capitolari/commissioni per i rettori inviati nelle podesterie del dogado e per alcuni ufficiali posti alla custodia di luoghi fortificati o di mercato e scambio3.

Questa edizione è stata possibile grazie ad un finanziamento della Regione Veneto (Legge Regionale del Veneto n. 15/1994 “interventi per il recupero, la con-servazione e la valorizzazione del patrimonio culturale di origine veneta nell’istria e nella Dalmazia”, assegnazione 2013). È in programma anche l’edizione dei ‘formu-lari’ successivi appartenenti alla medesima area, in particolare dei ‘formu‘formu-lari’ delle commissioni istriane, contenute nel registro 3, anch’esso appartenente al fondo Col-legio, Formulari di commissioni, conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia.

Un ringraziamento, infine, oltre che alla Regione Veneto e all’Archivio di Stato di Venezia (dove è stato possibile condurre lo studio e la trascrizione dei formulari qui editi) anche alla Deputazione di Storia patria per le Venezie per aver accolto in una delle sue collane questo lavoro.

2. L’interesse per la fonte

L’interesse per le commissioni dei rettori veneziani non è nuovo. Non si può prescindere, anzitutto, dagli studi che ne hanno evidenziato le disposizioni determi-nanti nell’indicare caso per caso le competenze giurisdizionali attribuite al rettore – i limiti d’intervento nel settore, strategico per Venezia, dell’amministrazione della giustizia, soprattutto con l’espansione in terraferma e il ‘confronto’ diretto, quindi, con aree (di tradizione e vigenza) di diritto comune –4, e, più in generale, i principi a cui avrebbe dovuto improntare l’azione di governo5.

3. Per l’elenco dei testi contenuti nel registro 1, si rinvia, in questo volume, al contributo di U. Cecchinato, Descrizione del codice manoscritto.

4. Su tutti va ricordato G. Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati italiani. Politica e giustizia dal secolo XVI al secolo XVIII, Torino 1982, pp. 217-318, cap. iii, La politica del diritto nella Repubblica di Venezia, già in Stato, società e giustizia nella Repubblica veneta (sec. XV-XVIII), Roma 1980, pp. 171-152; preceduto da L. Pansolli, La gerarchia delle fonti di diritto nella legislazione medievale veneziana, Milano 1970, pp. 258-265. Considerazioni riprese e, in qualche caso, sviluppate successivamente in particolare da G. Ortalli, A. Viggiano, e. Orlando, M. O’Connell, B. Arbel (per lo stato da mar), e da J.S. Grubb, G.M. Varanini, J. Law e S.D. Bowd (in parti-colare per la terraferma); alcuni dei loro contributi sono citati nella presente introduzione.

5. in particolare J.S. Grubb, Firstborn of Venice. Vicenza in the Early Renaissance State, Baltimore-London 1988, pp. 32, 105, rilevava pietà, non disgiunta da pragmatismo e onore.

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“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas” 9 Più recentemente la commissione è stata richiamata in causa nell’intento di approfondire la figura del rettore veneziano, soprattutto per i suoi delicati legami familiari e con la comunità locale6. Per scongiurare il pericolo che fossero condi-zionati da interessi personali, la commissione avrebbe dovuto regolamentare la distanza fra incaricati e comunità soggette ed escludere il più possibile qualsiasi coinvolgimento di familiari nei luoghi di stanza dei rettori/parenti, nonché dei funzionari stessi, attraverso una serie di interdizioni. Le commissioni vietavano allora, ai loro destinatari, di commerciare, di mangiare con membri della comu-nità locale (con qualche rara eccezione, per esempio, per le occasioni nuziali), di accettare regali, di contrarre matrimonio durante il mandato, di accordare favori speciali o grazie, di aumentare i salari o elargire denaro pubblico all’insaputa di Ve-nezia. D’altra parte vietavano anche al rettore di farsi accompagnare dai familiari nella nuova destinazione, di usare la residenza per scopi personali, di impiegare parenti stretti nel reggimento o di nominarli negli uffici locali, di vestire a lutto per loro (non essendo riusciti a eliminarne, in realtà, la presenza fisica se ne com-primeva, almeno, la presenza rituale)7. Ancora, limitando le spese dei rettori per feste o elargizioni caritatevoli o impedendo loro di decorare gli edifici pubblici col proprio blasone e di pronunciare discorsi all’inizio o alla fine del mandato (al massimo poche parole, indicate eventualmente fra le istruzioni), le commissioni ne avrebbero contrastato la possibilità di procurarsi una personale reputazione tra gli amministrati e di acquistare in periferia eccessivo onore e prestigio. L’intento ultimo era, parrebbe, di evitare in qualsiasi modo che rappresentanti ‘anonimi’ della dominante si trasformassero in funzionari con clientele familiari al seguito e interessi individuali in loco8.

Ciò in linea di principio, nella realtà, invece, si sarebbe verificata una costante oscillazione fra il tentativo dello stato veneziano di rendere l’esercizio di un ufficio un servizio pubblico impersonale e le esigenze di governo che, contrariamente, spingevano i rettori a fare compromessi con le realtà e i soggetti da amministrare9. Un’interazione tra pubblico e privato che, seppur negativa, poteva anche offrire soluzioni ‘informali’ alle difficoltà di governo10. Si è messo perciò in evidenza come in molti casi quanto disposto dalle commissioni fosse ‘regolarmente’ disat-teso, dai rettori (una spia erano i ripetuti divieti dei consigli veneziani competenti

6. Particolarmente attenta a questi aspetti M. O’Connell, Men of Empire. Power and negotiation in Venice’s maritime trade, Baltimore 2009 (le cui considerazioni valgono in particolare per i rettori dello stato da mare).

7. Ibidem, p. 61.

8. Ibidem, pp. 57-62, ripresa da ultimo, parzialmente, da B. Arbel, Venice’s Maritime Empire in the Early Modern Period, in A Companion to Venetian History, 1400-1797, a cura di e.R. Dursteler, Leiden-Boston 2013 (Brill’s Companions to european History), p. 146.

9. Cosicché molti rettori per esigenze d’ufficio, ma anche per trarre da esso un tornaconto per-sonale “constructed networks of marital, commercial, and familial connections with the cities and subjects”: O’Connell, Men of Empire, p. 57.

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Alessandra Rizzi 10

per arginare il fenomeno)11 e dalla stessa autorità centrale che poteva emanare, in deroga, permessi speciali12.

Non è mancato neppure chi, in riferimento alle commissioni, ha voluto sottoli-neare le lacune: anzitutto evidenziando le scarse indicazioni fornite sul lavoro speci-fico del rettore, per le quali, invece, si sarebbe dovuto ricorrere agli statuti locali13; o, ancora, l’incapacità di tali strumenti giuridici di rendere in molti casi la complessità dei rapporti che l’inviato dalla ‘capitale’ instaurava con istituzioni e persone, vene-ziane e locali14.

Ciononostante è stato, anche, ben messo in evidenza come le commissioni co-stituissero un riferimento costante per tutti (amministratori, autorità centrale e sot-toposti) nella governance delle terre soggette a Venezia. È noto, infatti, che un rettore potesse comparire in giudizio, perché aveva agito, fra l’altro, “against […] the form of his commission”; o che ci si appellasse, talora, contro le sue sentenze perché, appunto, “had exceeded […] commission”; ed è noto anche che i consigli veneziani eventualmente le annullassero, perché, si ribadisce ancora, egli “had overstepped his commission and gone ‘beyond what he could do’”. D’altra parte succedeva anche che un rettore facesse valere a Venezia le proprie ragioni (cruciali, per esempio, quel-le per il salario che avrebbe dovuto essergli corrisposto), s’insiste, “according the terms of his commission”; o, invece, che rivendicasse come la propria condotta si fosse mantenuta, certamente, “within the realm of his commission”15.

Le commissioni nel tempo hanno alimentato, autonomo e parallelo al prece-dente, un altro filone di ricerche, interessato, soprattutto, ai programmi iconogra-fici, che fra Quattro e Cinquecento iniziarono a comparire nelle carte iniziali delle commissioni consegnate al rettore alla partenza. Programmi in qualche misura ‘de-terminati’ dai loro destinatari16, da considerare non tanto per una qualche funzione

11. Costoro trasgredivano alla lettera e allo spirito di quelle clausole in cui si chiedeva loro di essere “disinterested supervisors of local affairs”, in particolare, decorando gli spazi pubblici con le proprie armi araldiche, conducendo con sé familiari, sponsorizzando processioni e tenendo orazioni all’inizio e alla conclusione di un mandato. il consiglio dei Dieci, in particolare, deliberò spesso, ad esempio, contro i discorsi pronunciati dai rettori e dai loro governati (ibidem, pp. 59, 62). esiste, peral-tro, una vera e propria ‘letteratura’ per celebrare la venuta del nuovo inviato, o qualche membro della famiglia (la nascita di un figlio, la morte della moglie…), ma soprattutto d’encomio di fine mandato, che attesterebbe come fra rettori e comunità potessero crearsi legami e convergenze (un esempio di questa letteratura in G. Durazzo, Dei rettori veneziani in Rovigo, Venezia 1865, che copre l’intera durata del dominio veneziano).

12. Per esempio si autorizzava il rettore a giudicare casi non previsti dalla commissione o, più frequentemente (nel corso del Trecento), a portare nella propria destinazione (in particolare d’oltrema-re) mogli e figli, nonostante il mandato imponesse altrimenti (F. Thiriet, La Romanie Vénitienne au Moyen Age. Le Développement et l’exploitation du domaine colonial vénitien, Paris 1959, p. 196).

13. Grubb, Grubb, Firstborn of Venice, p. 51.

14. Di tale avviso anche O’Connell, Men of Empire, p. 6. 15. Cfr., in ordine, ibidem, pp. 130-131, 136, 93, 121, 156.

16. È chiaro, si osserva, “that recipients of the manuscripts [le commissioni] to some extent deter-mined the nature of the imagery in them”, sebbene, per quel che concerne in particolare le

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commissio-“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas” 11 “esornativa”, ma come “parti costitutive del testo” (“scrittura per immagini”)17 e più in generale complementari dei cicli pittorici dell’edilizia pubblica contemporanea nel diffondere gli ideali della Repubblica e nel cooperare alla creazione di un’identità civica18. Di tali programmi, oltre che i committenti, si sono iniziati a considerare gli autori, le iconografie riprodotte, le variazioni tipologiche, le riprese dei modelli prin-cipali… Un’analisi accurata consente di cogliere, anzitutto, a quali valori condivisi (giustizia, pietà, clemenza, buon governo… i più frequenti), a quali protettori celesti, o, più concretamente, a quali imprese19 destinatari (e committenti) intendessero ri-collegare il proprio mandato20; quale fosse, ancora, la ‘percezione’ di sé e dell’incarico assunto, in un preciso momento storico, dei patrizi veneziani inviati nei domini21.

ni dei rettori veneziani non siano state trovate, al momento, testimonianze relative a chi sostenesse la spesa delle miniature e, quindi, da ultimo, a chi le commissionasse: cfr. H.e. Szépe, Painters and Patrons in Venetian Documents, in “Bollettino dei Musei Civici Veneziani”, s. iii, 8 (2013), p. 25.

17. P. Lucchi, Le Commissioni ducali del Correr tra Biblioteca e Museo, in “Bollettino dei Musei Civici Veneziani”, s. iii, 8 (2013), p. 15.

18. A questi temi è dedicato il lavoro, non ancora concluso, di H. Szépe, Privilege in the Serene Repu-blic. Illuminated Manuscripts of Renaissance Venice, che prende in esame, fra gli altri esemplari di manoscritti miniati, le commissioni ducali a rettori veneziani. Cfr. inoltre, della stessa, id., Distinguished among equals: repetition and innovation in Venetian commissioni, in Mauscripts in transition: recycling manuscripts, texts and im-ages, a cura di B. Dekeyzer, J. Van der Stock, Leuven 2005.

19. id., Painters and Patrons, p. 25, nota come all’inizio degli anni Settanta del Cinquecento un certo numero di commissioni, invece di ritrarre i patrizi veneziani nell’atto di ricevere la commissione, ‘celebri’ la creazione della Santa lega e soprattutto la drammatica vittoria a Lepanto nel 1571. in quella particolare congiuntura storica, l’interruzione dell’iconografia standard suggerisce che i patrizi veneziani desiderassero “to situate their identity and careers in relation to a victory considered as by divine pro-vidence”.

20. Per una sintesi di immagini riprodotte nelle commissioni cfr. Lucchi, Le Commissioni ducali, pp. 15-16.

21. È quel che emergerebbe da S. engel, Clementia in forma di Cristo e l’adultera. La Commisione di Antonio Grimani, capitano di Verona (1561), in “Bollettino dei Musei Civici Veneziani”, s. iii, 8 (2013), pp. 93-99. Un esempio per tutti. Nella commissione come capitano di Verona (1561, 16 settembre), Antonio Grimani avrebbe fatto rappresentare, fra l’altro, un “Cristo e adultera” (colta nell’atto del perdono): secondo l’autrice l’immagine starebbe a indicare la clemenza, virtù che accanto alla giustizia concorreva a rappresentare il mito del buon governo veneziano. ed era a questa clemenza che il neoe-letto rettore intendeva, nel rispetto e nella condivisione dei valori della Serenissima, ispirare il proprio incarico. Non esclude, peraltro, che ci fossero anche dei precisi riferimenti personali, in particolare un’espressione dell’ammirazione nutrita dal capitano veronese per il primo doge della sua famiglia, Antonio Grimani di Martino, finito in carcere e poi esiliato (quando era ancora Capitano generale da mar) dopo la sconfitta di Zonchio nell’agosto del 1499, per aver evitato lo scontro decisivo coi Turchi. Il futuro doge aveva beneficiato, a suo tempo, della clemenza veneziana, essendo stato successivamente assolto dall’accusa; divenuto poi doge, ne era divenuto infine grande interprete, come avrebbero detto di lui i contemporanei. Nel Cinquecento, infine, ormai defunto, c’era stata la sua riabilitazione definitiva. Il perdono di Cristo all’adultera farebbe così, simbolicamente, ricadere i suoi benefici effetti sul doge e la sua discendenza, e così sul neoeletto rettore veronese, che si sentiva, finalmente, “liberato da tutto il peso ereditato dalla famiglia”; una garanzia, infine, che in caso di inadempienze durante l’ufficio che andava a ricoprire, “sarebbe tuttavia stato perdonato” (le cit. a p. 96).

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Alessandra Rizzi 12

Scopo di questi documenti con le sembianze dei destinatari era ‘immortalare’ (anche a beneficio della discendenza) se stessi e il servizio reso allo stato: una sorta di ‘supplemento di memoria’ (per i meno abbienti addirittura l’unica occasione per lasciare traccia di sé) a quella resa da monumenti ed edifici pubblici, peraltro, in caso di sopravvivenza dei manoscritti, meno costosa e destinata a durare più a lungo22. A quella privata si aggiungeva una finalità pubblica: diffondere i valori repubblicani. Simboli ed effigi (del doge in carica o dei rettori destinatari) avrebbero dato, inoltre, autenticità all’atto: un modo per fornire autorevolezza all’inviato veneziano nelle terre soggette, soprattutto nel confronto coi rappresentanti dei poteri locali, trasfor-mandosi in una sorta di “passaporto o credenziali di ambasciatore”23.

Andando a ritroso è il caso di accennare, soltanto, all’interesse per le commissioni veneziane di studiosi ed eruditi ottocenteschi (nel periodo, per lo più, di esaltazione della storia delle municipalità)24 che le raccolsero, ne sottolinearono il valore documen-tario, oltre che artistico, e ne curarono, in alcuni casi, la trascrizione e l’edizione25.

Alla commissione (almeno come strumento giuridico) dovettero dare attenzio-ne e rilievo anche storiografi e politici d’antico regime. Ce lo suggerisce, per esempio, l’insistenza con cui Marin Sanudo – nella quantità di informazioni e commenti gior-nalieri che ci tramanda sul funzionamento di uffici e procedure –, annotava quando si varava il testo da consegnare a un rettore neoletto, o quando gli riconosceva di aver agito, mentre era in carica, “vista la sua commission”, o ancora quando, di una nuova deliberation riportava anche la consueta prescrizione che se ne desse “notitia a tutti li rectori” e soprattutto che fosse “posta in la commission de tutti li rectori nostri”26. A riprova dell’importanza assunta da tale strumento nella percezione stessa della classe

22. Szépe, Szépe, Painters and Patrons, pp. 35-36. 23. Lucchi, Le Commissioni ducali, p. 16.

24. Un esempio per tutti, i riferimenti ad esse di Durazzo, Dei rettori veneziani in Rovigo, p. 8. 25. Per la sola Venezia (oltre a quelle conservate in Archivio di Stato e nella Biblioteca Nazionale Marciana), va ricordata la preziosa raccolta di commissioni miniate pervenute alla Biblioteca del Museo Correr (in genere per donazione degli eredi di ufficiali e rettori veneziani al momento dell’estinzione del ramo familiare), centrale nella costituzione stessa della Biblioteca, tra fine Settecento e i primi de-cenni dell’Ottocento. Fra coloro che, in quel periodo, sottolinearono in vario modo l’importanza di tali documenti, bisogna ricordare almeno emanuele Antonio Cicogna (fra i donatori delle commissioni conservate al Correr), Cesare Foucard e Giovanni Rossi. Sulla ‘stagione’ ottocentesca dell’interesse per le commissioni ducali a partire dalla raccolta conservata presso la Biblioteca del Museo Correr, si rinvia, da ultimo, a Lucchi, Le Commissioni ducali, pp. 7-23 (anche per altri riferimenti bibliografici). Esemplari della raccolta Correr, inoltre, sono stati presentati in una recente mostra a Venezia (Miniature dei Dogi. Venezia e veneziani, santi e virtù nelle Commissioni ducali del Museo Correr, Palazzo ducale, Sala dello scrutinio, 12 ottobre 2012-3 marzo2013), concomitante con la messa on line del catalogo della raccolta completa da parte della Biblioteca, nel sito di Nuova Biblioteca Manoscritta (all’indirizzo: http://www.nuova-bibliotecamanoscritta.it/BMCVe.html). in margine a questa mostra si vedano gli studi ora raccolti in: Le Commissioni ducali del Correr tra Biblioteca e Museo, in “Bollettino dei Musei Civici Veneziani”, s. iii, 8 (2013), pp. 7-99 (sezione monografica della rivista, a cura di Piero Lucchi et alii ).

26. Si vedano per esempio, nell’ordine, M. Sanuto, Diarii, a cura di F. Stefani, G. Berchet, N. Ba-rozzi, Xiii, Venezia 1886, col. 369; XXiX, Venezia 1890, col. 362; XXiV, Venezia 1889, coll. 436-437.

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“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas” 13 dirigente veneziana era la sua assunzione ad elemento rappresentativo nell’iconogra-fia dell’antico patrizio cittadino27.

L’attenzione, dunque, per le commissioni non è mancata, seppure uno studio mirato ad esse resti, sostanzialmente, ancora da fare (una lacuna lamentata anche di recente28); si aggiunga, per chiunque intenda riaccostarsi a questi documenti, che andrebbero certamente (ri)considerati e (ri)valutati, nel contempo, sia come atti pub-blici istituzionali, che nella loro veste diplomatica e materiale29.

3. Dai primi mandati alla commissione ad personam

Va chiarito, a questo punto, come individuare tali documenti: si parla, infatti (con riferimento particolare ai rettori inviati nei domini), di ‘commissioni’ vere e proprie (dalla formula iniziale: “Committimus…”, preceduta dal nome del doge in carica e a seguire l’indicazione delle prerogative e dei doveri ‘affidati’ “tibi nobili vi-ro…”)30, ma anche di ‘capitolari’ o ‘capitolari giurati’ (anche in questo caso dalla for-mula iniziale: “iuro ad evangelia sancta Dei […] quod […] regam…”, e di seguito gli impegni a cui il rettore, anonimo e in prima persona, s’impegna a ottemperare), pro-babilmente riconducibili a una forma testuale più antica31 e assimilabili ai giuramenti (gli odierni ‘regolamenti’32) “prestati da tutti gli altri magistrati veneziani in confor-mità alla natura delle rispettive competenze e destinati a confluire nei capitolari di

consilia ed officia”33. È opportuno, quindi, segnalare una distinzione fondamentale fra

27. Lucchi, Le Commissioni ducali, p. 43, ill. 7. L’anonimo artista veneto del XVii secolo ritrasse il senatore Giovanni Contarini (probabilmente di Nicolò di Bertucci, vissuto tra il 1600 e il 1675, e fra-tello del doge Alvise), eletto conte e provveditore di Pola nel 1642, anno a cui risalirebbe il libello della commissione con cui fu ritratto.

28. C. Salmini, Il Segretario alle voci: un primo contributo sulle origini dell’incarico e la formazione dell’archivio, in Venice and the Veneto during the Renaissance: the Legacy of Benjamin Kohl, a cura di M. Knapton, J.e. Law, A.A. Smith, Firenze 2014, pp. 51-52; ma cfr. anche Lucchi, Le Commissioni ducali, p. 16 (in particolare).

29. Su questo aspetto particolare si è in attesa (come già anticipato) dei risultati che produrrà Szépe, Privilege in the Serene Republic.

30. Con ‘commissioni’ s’intendono, in realtà, anche i documenti affidati ai Procuratori di San Marco, definiti, peraltro, “individual versions of their capitolari”: per uno studio puntuale su di essi cfr. D.S. Chambers, Merit and money: the Procurators of St Mark and their commissioni, 1443-1605, in “Journal of the Warburg and Courtauld institutes”, LX (1998), pp. 23-88 (la cit. a p. 24). in realtà tali testi sono detti, alternativamente, ‘giuramenti’ e ‘commissioni’ perché allo stesso tempo “contained their vow of office and rules or commission of office”: cfr. Szépe, Painters and Patrons, p. 25, la quale sottolinea, appunto, l’uso generico, talora ambiguo del termine ‘commissioni’, o ‘commissioni dogali’ o semplice-mente ‘dogali/ducali’: p. 36, nota 4).

31. Le due tipologie tuttavia, almeno agli inizi (fra Xiii e XiV secolo), possono ancora trovarsi in alternanza.

32. Così anche G. Maranini, La Costituzione di Venezia. Dalle origini alla serrata del Maggior Consiglio, I, Firenze 1974 (ristampa anastatica edizione 1927), p. 234.

33. Giuramenti, per quel che concerne i rettori, di cui resta traccia, dagli anni Ottanta del Quat-trocento in Archivio di Stato di Venezia (in seguito ASVe), Capi dei Dieci, Giuramenti. Per la citazione

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‘formulari’ di commissione o di capitolare anonimi – di cui qui si dà l’edizione, come si è detto, dei più antichi pervenuti per i domini veneziani in istria e Dalmazia – e commissioni ad personam, i documenti che, riproducendo le clausole contenute nei testi formulari, erano redatti nominalmente per ciascun rettore e affidati ai neoeletti prima della partenza.

Se consideriamo le commissioni (in particolare nella forma di capitolare giurato) gli impegni assunti, sotto giuramento, da un funzionario o inviato veneziano davanti al doge e al Comune Veneciarum, non bisogna attendere i decenni a cavallo fra Due e Tre-cento (epoca a cui risale, come si dirà, la costituzione del primo registro dei ‘formulari’ pervenuto). Sono del 1184, infatti, gli impegni di cui il gastaldo ducale a Chioggia, Sten Cortese (e con lui “iudices et preordinati atque populus utriusque”), promette l’osser-vanza “domino […] Aureo Mastropetro […] duci et universo Comuni Venecie”: clau-sole che gli impongono, in breve, una stretta disciplina sul commercio del sale, nonché l’arresto e la consegna a Venezia di ladri e omicidi34. Anche il pactum Clugie del 1208 ‘statuisce’, in realtà, l’impegno assunto dal podestà (il primo a quel che sembra) a non oltrepassare la linea Zara-Ancona, senza il permesso del doge e del Minor consiglio35.

Sicuramente forme documentarie e contenuti più certi nelle prime commissioni, duecentesche, finora pervenute: per il conte di Zara (1204) e il podestà di Costanti-nopoli (1207)36. Si tratta in realtà dei capitolari giurati, è l’ipotesi (non comparendo, come precisato, i nomi dei destinatari), da Vitale Dandolo, primo conte veneziano di Zara dopo la sua riconquista da parte del comune lagunare (1202-1204), e da Otta-viano Querini, primo podestà veneziano a Costantinopoli inviato dalla madrepatria, che andava a sostituire Marino Zeno, eletto alla morte di enrico Dandolo nel maggio del 1205 dagli stessi veneziani residenti nella ex capitale bizantina. Non si tratta di ‘formulari’, ma quasi certamente di documenti redatti per l’occasione (in forma di pergamena sciolta), successivamente trascritti nei registri più importanti, di cui ormai, fra l’inizio e la fine del XIII secolo, il Comune Veneciarum si stava dotando37. Testi,

su-cfr. G. Zordan, L’ordinamento giuridico veneziano. Lezioni di storia del diritto veneziano con una nota bibliografica, Padova 1980, p. 187: l’autore, peraltro, ritiene tali giuramenti/capitolari non dissimili nei loro criteri ispiratori dalla promissio ducis (la promissione ducale) l’“atto unilaterale di autolimitazione ‘solennemente professato dal doge al momento dell’elezione sopra un testo unico, nel quale erano registrati diritti e doveri, che aspettavano alla persona sua nell’esercizio delle sue funzioni’”.

34. S. Perini, Chioggia Medievale. Documenti dal secolo XI al XV, Sottomarina 2006, ii, 1, pp. 149-154 (doc. 207): con tale atto, peraltro, avverte l’autore, l’autorità veneziana inizierebbe a comprimere l’auto-nomia di Chioggia, processo confermato dalla sostituzione del gastaldo con un podestà nel 1208.

35. Ibidem, p. 245 (doc. 334).

36. Per le rispettive edizioni: Listine o odnošajih izmedju južnoga slavenstva i mletačke republike, i, Od godine 960 do 1335, a cura di S. Ljubić, Zagabria 1868 (Monumenta spectantia historiam slavorum meri-dionalium, i), doc. XXXi, p. 23 (1204); e Gli atti originali della cancelleria veneziana, a cura di M. Pozza, ii. 1205-1227, Venezia 1996, pp. 28-29 (doc. 3).

37. È il caso, in particolare, del documento per Zara, tradito nel Liber pactorum, i e ii (per un in-quadramento dell’importante serie in registro si rinvia a M. Pozza, I Libri Pactorum del comune di Venezia, in Comuni e memoria storica. Alle origini del comune di Genova. Atti del convegno di studi. Genova 24-26 settembre

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“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas” 15 perfluo rimarcarlo, destinati a località strategiche per la sopravvivenza stessa di Vene-zia e la sua proiezione mediterranea, redatti in coincidenza con delicate congiunture politico-militari. Si trattava infatti, in entrambi i casi, di calibrare attentamente impegni e mansioni di funzionari neoeletti deputati ad agire per conto (non dovevano esserci dubbi) del Comune Veneciarum (“tractabo et operabor”, giurarono entrambi, “profi-cuum et honorem Veneciarum”): a Zara anzitutto, da tempo contesa (e lo sarebbe stato ancora per molto), e a Costantinopoli poco più tardi, dove a mettere, semmai, in difficoltà la madrepatria (con quell’elezione oltremare avvenuta a sua insaputa e da lei ‘ratificata’ soltanto a posteriori) erano stati i suoi stessi concittadini38.

Nel corso del Duecento, poi, il Maggior consiglio deliberò per i rettori veneziani sparsi nei possedimenti da mare (istria e Dalmazia incluse): ne resta traccia cospicua nella riforma di Giovanni Dandolo che fra 1282 e 1283 compì una sostanziale opera di revisione e, soprattutto, coordinamento della normativa prodotta fino ad allora dal consiglio veneziano e ancora vigente, raccogliendola reggimento per reggimento39. in alcuni casi le norme qui raccolte accennano all’esistenza di ‘commissioni’, di cui non è rimasta traccia; precedenti dunque, come sembra, ai primi formulari istriani e dalmati pervenuti (quelli cioè contenuti nel registro 1, qui editi)40.

Con simili premesse, la redazione dei ‘formulari’ di commissione e, in partico-lare, del complesso contenuto nel primo registro conservato presso l’Archivio di Sta-to di Venezia41, non costituirebbe una genesi documentaria ex novo (dei ‘formulari’, appunto, da cui poi si sarebbero esemplate le commissioni ad personam consegnate agli incaricati di amministrare i domini), ma un momento di riordino e

aggiorna-2001, Genova 2002, pp. 195-212), il documento per Costantinopoli, invece, è pervenuto in forma di pergamena sciolta (ASVe, Miscellanea atti diplomatici e privati, b. 75, nr. 2156: cfr. Gli atti originali, p. 28).

38. Quanto al contesto in cui collocare i ‘capitolari’ si rinvia per Zara a V. Brunelli, Storia della città di Zara dai tempi più remoti sino al MDCCCX compilata sulle fonti, Venezia 1913, pp. 372-374; per Costan-tinopoli (ove la congiuntura è stata alquanto dibattuta), invece, a G. Ravegnani, La Romània veneziana, in Storia di Venezia. Dalle origini alla caduta della Serenissima, ii, L’età del Comune, a cura di G. Cracco, G. Ortalli, Roma 1995, pp. 203-205; D. Jacoby, The venetian government and administration in latin Constantinople, 1204-1261: a state within a state, in Quarta crociata. Venezia - Bisanzio - Impero Latino, a cura di G. Ortalli, G. Ravegnani, P. Schreiner, Venezia 2006, i, pp. 23-25; e (con sfumature diverse) Th. Madden, Doge di Vene-zia. Enrico Dandolo e la nascita di un impero sul mare, Milano 2009 (ed. orig. Baltimore 2003), pp. 258-261.

39. Per la riforma del Dandolo relativa, in particolare, ai reggimenti veneziani (confluita nel Liber officiorum), cfr. Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di R. Cessi, ii, Venezia 1931; per un inquadramento l’introduzione, ibidem, i, Venezia 1950, pp. iii-XVii. È la stessa logica che guiderebbe, poco più tardi, nella ricomposizione in un unico volume di formulari di commissioni le raccolte delle deliberazioni emanate dai consigli veneziani, per indirizzare i titolari degli uffici nell’esercizio della loro carica: M. Pozza, La cancelleria veneziana, in Storia di Venezia, ii, p. 362; Orlando, Altre Venezie, p. 36.

40. Per esempio, relativamente alla parte del Maggior consiglio del 6 giugno 1276 che impone a tutti i rettori istriani di collaborare “ad recuperandum et vendicandum […] furtum”, s’ingiunge che la stessa “addatur in commissionibus omnium Potestum qui sunt et erunt in Ystria”. Cfr. Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, ii, p. 328.

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mento dei ‘materiali’ normativi che regolamentavano il ruolo dei rettori veneziani42, avvenuto tra la fine del XIII e i primissimi decenni del secolo successivo43. Riordino a cui rinvierebbe anche l’ipotesi che i testi raccolti nel registro 1 potrebbero essere stati prelevati da codici al momento non ancora pervenuti44; che il registro 1 sia, cioè, frutto della ricomposizione in unità di due o più registri (o parti di registro): mancano, per esempio, nel registro ‘formulari’ di commissioni/capitolari per i rettori della Romània veneziana o inviati nell’oltremare. e l’attitudine al riordino e all’ade-guamento sarà una costante, anche in seguito, sia del codice, per adeguarlo alle nuove esigenze45, che dei testi, progressivamente aggiornati e completati da nuove disposi-zioni che andavano ad aggiungersi ai corpus originari46.

Tale riordino normativo e documentario di cui è testimone il registro 1 (che portava la cancelleria veneziana, come si accennava, per quel che riguardava l’allu-vionale normativa prodotta in materia di uffici periferici e governance dei domini a scartare quel che non serviva più e a riproporre, invece, quel che era ancora utile e attuale in sillogi organiche e complessive, raccogliendolo in registro/volume) era il riflesso di più generali processi politico-istituzionali: nel dogado del consolidarsi in periferia del sistema podestarile, in Adriatico, invece, della progressiva penetrazio-ne vepenetrazio-neziana. Nel registro 1, infatti, il grosso dei ‘formulari’ per i rettori dell’area adriatica riguarda i più antichi capitolari di località istriane entrate ormai da tempo nell’orbita veneziana; solo successivamente furono redatti (e inseriti) i ‘formulari’ di commissione delle località dalmate che via via entrarono a far parte dello stato veneziano: commissioni ad personam – che sarebbero andate a svolgere la funzione di veri e propri ‘formulari’ –, con buona probabilità quelle destinate ai ‘primi’ rettori veneziani delle comunità appena acquisite (o riacquisite) al dominio lagunare47. Un esempio per tutti. Nel 1313 Venezia recuperava (nuovamente) il controllo di Zara e negli accordi (dello stesso anno) stretti fra le parti, si stabiliva che la comunità

dalma-42. Da un rapido confronto tra la normativa raccolta e risistemata da Giovanni Dandolo e i ‘formulari’ del registro 1, si può constatare, anzitutto, che in quest’ultimo il ventaglio di località istriane e dalmate si apre man mano che Venezia aumenta l’area sotto il suo diretto controllo; in secondo luogo le norme messe insieme dal Dandolo talora si ritrovano pressoché immutate nei ‘formulari’, talaltra sen-sibilmente aggiornate, altre volte ancora non sono più comprese; senza poi dar conto del gran numero di disposti compresi nei ‘formulari’, di cui non c’è traccia nel Liber officiorum, e così neppure (si diceva) delle commissioni a cui si rinvia nelle norme selezionate dal Dandolo.

43. Per una datazione più precisa dei ‘formulari’ istriani e dalmati trasmessi dal registro 1, si rinvia a T. Aramonte, I formulari di commissione d’Istria e Dalmazia: i corpus originari, qui compreso.

44. Per sostenere tale supposizione si rinvia al contributo U. Cecchinato, Descrizione del codice manoscritto, qui a seguire.

45. Per questo si rinvia ibidem.

46. Si vedano, rispettivamente, Aramonte, I formulari di commissione (per la parte originaria dei capitolari e delle commissioni), e, in questa stessa sede, G. Zuccarello, Il sistema delle aggiunte (per gli aggiornamenti successivi aggiunti in calce ai testi).

47. Solo la commissione per i consiglieri del conte di Zara è un ‘formulario’ vero e proprio. Per la datazione dei formulari di Traù, Sebenico, Spalato e Nona, si rinvia alle rispettive edizioni pubblicate in questo volume.

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“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas” 17 ta avrebbe dovuto scegliere alla carica di conte fra Vitale Michiel, Fantino Dandolo e Baldovino Dolfin (rispettivamente provveditori e capitano dell’esercito veneziano, che insieme al doge, al Comune Veneciarum e ai rappresentanti della comunità zaratina “ad […] pacem, concordiam, pacta et conventiones […] pervenerunt”)48. Sarà, infat-ti, la commissione “nobili viro Vitali Michael(i)”, inviato a reggere Zara “secundum formam pactorum” – a ridosso, dunque, della riconquista veneziana –, a fungere nel registro 1 da ‘formulario’ anche per i successori49. Nel tempo i modelli formulari per i mandati ai rettori veneziani avrebbero assunto la forma della commissione anonima, lasciando perdere progressivamente quella del capitolare giurato o della commissione ad personam, come tramandato, invece, dal registro 1, che testimonie-rebbe, dunque, una fase di elaborazione di un modello documentario non ancora conclusa, come si avrà, invece, verso la fine del XIV secolo. Un esempio per tutti: il ‘formulario’, in forma di capitolare giurato destinato al podestà di Montona redatto a cavallo fra Xiii e XiV secolo (e più precisamente post 1299, 21 febbraio), lascerà il posto al ‘formulario’ di commissione, anonimo, risalente agli ultimi decenni del Trecento, in particolare al dogado di Antonio Venier (1382-1400), come si legge nell’incipit del testo50.

il ‘formulario’, dunque, doveva costituire l’originale da cui esemplare la com-missione ad personam: diversi i quesiti, almeno in parte, in sospeso51, per ricostruire un iter redazionale (e le sue eventuali modifiche) che resta ancora in parte da definire. il pagamento e il processo di produzione di tali testi in realtà variava, come sembra, a seconda dell’ufficio52. All’inizio del Seicento, finalmente, intervenne un elemento di razionalizzazione del sistema. Nel 1606, infatti, fu stabilito (dai Dieci) che fra i compiti del Segretario alle voci sarebbe rientrato l’obbligo di organizzare copia dell’’originale’ depositato in Cancelleria segreta (tratta, verosimilmente, da registri formulari) 53, da consegnare al funzionario veneziano o al rettore in partenza, e so-prattutto di controllarne l’esatta corrispondenza: senz’altro un aggravio di lavoro

48. Per il patto cfr. Listine o odnošajih izmedju Južnoga Slavenstva i Mletačke republike, i, a cura di Š. Ljubić, Zagreb 1868 (Monumenta spectanctia historiam Slavorum meridionalium, 1), pp. 266-271 (la cit. alle pp. 266-267).

49. Si veda qui l’edizione.

50. Cfr., nell’ordine, per il capitolare, il testo qui edito; per la commissione ASVe, Collegio, Formu-lari di commissioni, reg. 3, c. 106r.

51. Per esempio ci si chiede chi effettuasse, dove e quando la copia da affidare al rettore in partenza e se, al rientro, questi trattenesse la commissione sistematicamente; e, ancora, chi si facesse, eventualmente, carico del programma iconografico e della spesa di una eventuale miniatura…

52. Szépe, Szépe, Painters and Patrons, p. 25. Per le commissioni dei Procuratori di san Marco, è ormai certo che la produzione avvenisse in Cancelleria e che la spesa per l’eventuale miniatura fosse a loro carico (Salmini, Il Segretario alle voci, p. 52; Chambers, Merit and money).

53. Per i rettori non possiamo ancora dire se si tratti dell’ultimo registro conservatosi, corri-spondente alla riforma delle commissioni operata dal doge Andrea Gritti nel 1534 (cfr. ASVe, Collegio, Formulari di commissioni, reg. 8), sulla quale si ritornerà più avanti.

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ma anche una importante fonte di introiti per l’ufficio centrale. Già nel Cinquecento peraltro, è possibile rinvenire nelle commissioni la firma del Segretario alle voci54, segno che poteva anche occuparsi personalmente delle copie e che l’attribuzione in materia di commissioni gli era propria anche precedentemente alla delibera dei Dieci. L’individuazione peraltro, fra i copisti, del Segretario alle voci fa dubitare che siano (come per alcuni) testi a uso privato, redatti a spese dell’interessato per ragioni di prestigio personale e familiare, confermando piuttosto che si tratti di documenti ufficiali prodotti in Cancelleria55; ipotesi suffragata dalla presenza del sigillo (presente ancora in rari casi). Eccezionalmente, infine, la commissione poteva essere eseguita a fine mandato, magari riutilizzando un testo predisposto per un altro rettore inviato nello stesso reggimento56.

4. Contenuti e funzioni

Le commissioni erano segno dei tempi: anzitutto del recente passaggio al Co-mune Veneciarum. Nel capitolare/giuramento del primo conte veneziano di Zara del 1204 (cui si è già accennato), ad esempio, non solo si richiama al rispetto reciproco del patto del 1204 che rinnova il rapporto di dominio fra Venezia e Zara. Centrale risulta, inoltre, richiamare tutti (rettore e Zaratini) alla fedeltà alla dominante, ri-proponendo il valore/riferimento degli accordi appena conclusi: in particolare al rettore non basta genericamente impegnarsi a favore di Venezia, deve giurare di fare “numquam fidelitatem […] alicui coronate persone”, ricollegandosi peraltro fin troppo esplicitamente ai recentissimi fatti veneto-ungheresi; ed è il rettore stesso a diventare garante, in questo delicato e rinnovato passaggio, della fedeltà che gli Zaratini devono, anzitutto, al doge57. Più tardi e in contesto diverso sarà lo stesso. il primo formulario per il conte di Cattaro (degli anni Venti del Quattrocento) si apre con un’invocazione alla divinità, in forma solenne, perché il nuovo rettore cooperi, fra l’altro, a impedire (anche questo come segno dei tempi) l’avanzata musulmana in terra cristiana58.

54. Per esempio nella commissione per il podestà e capitano di Sacile Girolamo Venier, rilasciata l’11 marzo 1555: Biblioteca Nazionale Marciana, cl. Vii it, cod. 1364 (=8122).

55. Salmini, Il Segretario alle voci, pp. 51-52; cfr. anche Szépe, Painters and Patrons, p. 25, per la quale tali manoscritti “were produced under the auspices of the state for the pratical purpose”.

56. Lucchi, Le Commissioni ducali, p. 21, nota 41: come accadde per quella al podestà di Porto-gruaro, Jacopo Marin (entrato in carica nel 1519) eseguita, appunto, nel 1523 dopo la fine del servizio, riutilizzando una commissione successiva, predisposta per un altro rettore di Portogruaro. Questo caso, peraltro, avvalorerebbe l’ipotesi che ci fosse anche una ‘produzione’ ad uso privato per ragioni, come si diceva, di prestigio personale e familiare.

57. Per il patto e la commissione, cfr. nell’ordine: Listine, i, pp. 21-22; 22-23.

58. Ciò si evince soprattutto dal riferimento alla fiducia che Venezia riponeva nella sollecitudine del proprio rettore: il doge affidava, infatti, il mandato al conte “in nomine Yhesu Christi […] ad ho-norem nostrum et bonum statum et conservatione dicte civitatis et committatus, quemadmodum de

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“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas” 19 La commissione, ribadendo i valori fondamentali del comune lagunare, “pro-ficuum et honorem Veneciarum” (come condensano i formulari istriano dalmati), precisava nel contempo l’essenza stessa del mandato: i suoi contenuti giurisdizio-nali, indicandoli caso per caso e, se necessario, ricalibrandoli nel tempo, adattati alle mutate circostanze59. e quale che fosse la ‘fonte’ a cui il rettore avrebbe dovuto attenersi (consuetudini o statuti locali), doveva render giustizia “cum honore” (o, era lo stesso, non “contra honorem”) di Venezia. Onore e giustizia diventavano, così, intercambiabili. Preservare l’onore sembrava, inoltre, qualcosa di più che preservare la reputazione di Venezia per l’esercizio di una buona giustizia60.

Seguivano, poi, le norme che davano corpo al mandato (durata dell’incari-co, stipendio, composizione della familia…61) e quelle (a cui si è già accennato) che avrebbero dovuto impedire ai rettori di essere riassorbiti nelle trame della comunità locale62. Replicare nel tempo tali norme poteva anche significare che le cose andas-sero in direzione opposta.

Le commissioni (soprattutto a ridosso di una nuova acquisizione o di un rien-tro nell’orbita veneziana) impegnavano, anzitutto, al rispetto dei pacta (anche quando non si trattava di una relazione di dominio in senso stretto63): in particolare in Dal-mazia (con Zara, ma non solo)64; ma anche per l’istria la commissione si è rivelata strumento per ribadire quanto pattuito negli atti di dedizione65. in tutt’altro contesto accadeva lo stesso. Nel 1395 il Senato, istituendo la capitaneria di Rovigo, precisava per il suo rettore: “ponantur in sua commissione pacta omnia et conventiones quae habemus cum domino marchione [gli Estensi di Ferrara] quae possunt spectare et pertinere ad eundem capitaneum, ut illa debeat observare et facere observari”66. Le

providentia et solicitudine tua plene speramus”: per il formulario cfr. G. Valentini, Acta Albaniae veneta saeculorum XIV et XV, Xii, 1424-1426, München 1971 (2949).

59. Per i contenuti giurisdizionali delle commissioni per l’istria e la Dalmazia restano ancora fondamentali le considerazioni d’insieme di: Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati italiani; per l’istria ancora Pansolli, La gerarchia delle fonti di diritto; A. Viggiano, Note sull’amministrazione veneziana in Istria nel secolo XV, in “Acta Histriae, Societa storica del Litorale-Capodistria”, 3 (1994); per la Dalmazia Orlando, Politica del diritto.

60. Per qualcuno (forse andando un po’ oltre) significava soddisfare un sorta di imperativo divi-no: l’onore riposava sull’affermazione della giustizia “as defined in divine commands”. Così, seppure per tutt’altro contesto, Grubb, Firstborn of Venice, p. 105.

61. Per i ‘formulari’ qui editi si rinvia alle note di Aramonte, I formulari di commissione.

62. S. Perini, Chioggia al tramonto del Medioevo, Sottomarina 1992, p. 277, parla, in particolare per il dogado, di “limitazioni tese a tutelare l’onore del Comune […] ed evitare l’adescamento dei titolari nelle trame e nelle rivalità che solcavano la consorteria locale”.

63. Cfr. ad esempio il giuramento del visdomino di Ferrara (ASVe, Collegio, Formulari di commissio-ni, reg. 1, c. 50v), il quale s’impegna “ad providendum et sciendum quod pacta omnia facta” tra Venezia e Ferrara, “debeant observari”.

64. Per le altre commissioni dalmate qui edite, si veda inoltre Aramonte, I formulari di commissione. 65. Pansolli, La gerarchia delle fonti di diritto, p. 262.

66. Il 3 aprile del 1395 i consiglieri di Nicolò III, marchese di Ferrara e conte di Rovigo, in cam-bio di denaro avevano ceduto a Venezia, per un quinquennio, il Polesine di Rovigo. il 20 aprile il Senato

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commissioni si proponevano quindi, in primo luogo (e in molti casi era necessario ribadirlo), come documenti attuativi dei patti: a Zara nel 1204, in particolare, dal momento che il capitolare giurato, cui si è accennato, mancava della parte giurisdi-zionale (avrebbe fatto la sua comparsa nelle pattuizioni successive), l’osservanza dell’accordo fra il Comune Veneciarum e la comunità dalmata acquistava particolare pregnanza, risultando il cardine attorno a cui ruotava l’intero mandato del rettore neoeletto. Le commissioni, dunque, individuavano nel rettore colui che avrebbe dovuto impegnarsi (secondo indicazioni precise) ad assicurare l’osservanza dei patti: egli diventava, quindi, garante di quella relazione pattizia iniziata all’indo-mani del passaggio a Venezia. il rispetto di tali accordi diventava, allora, uno dei tratti distintivi dell’attento rettore, come ormai (a conferma) si teorizzava in pieno Cinquecento67. Quei patti, come è noto, che le realtà soggette erano riuscite a ottenere: la commissione diventava quindi, in tal senso, garanzia per il centro, ma anche per le periferie.

Non è difficile comprendere, perciò, che la commissione potesse anche inten-dersi come fonte di diritto “che faceva aggio sulle altre”, ma, soprattutto, come stru-mento di governo con cui si potevano “raddrizzare” situazioni che altrove si erano rivelate quanto meno inopportune: anzitutto nei patti o privilegi68. La commissione, allora, oltre che strumento di controllo sull’operato del rettore diventava essenziale per adeguare e aggiornare la governance sulla giurisdizione a lui assegnata.

La commissione poteva porsi, inoltre, in relazione all’istituzione stessa di un nuovo reggimento, quasi come sua particolare legge ‘costituzionale’. Si è visto in tempi risalenti per la Dalmazia a ridosso delle dedizioni che portavano le comunità sotto il controllo veneziano; e ancor più è stato osservato nel cuore dello stato ve-neziano: il Maggior consiglio istituendo, ad esempio, nel 1340 la podesteria di

Mala-aveva eletto Pietro Raimondo “capitaneus terre Rodigii et totius Policini”. Venezia, successivamente, perdeva il controllo diretto dell’area (a favore, ancora, di Estensi e poi Francesi), ma dal 1514 in poi essa lo recuperava definitivamente. Cfr. Durazzo, Dei rettori veneziani in Rovigo, pp. 5-7 e 61-63 (per la delibera del Senato che istituisce la capitaneria veneziana a Rovigo, a p. 63 la cit.).

67. Giovanni Tazio, nato a Capodistria e divenuto fra l’altro cancelliere ad Adria, nel 1573 dette alle stampe a Venezia il trattatello L’imagine del rettore della ben ordinata città, dedicato a Ottaviano Valier podestà di Verona, nel quale sosteneva, appunto: “Però essendo il rettore essecutor de gli ordini del suo prencipe, è cosa che si conviene dar inviolabile essecutione a’ statuti, permettendo che habbino luogo i privilegi, et che si mantenghino in osservanza le consuetudini della città, che sarà alla sua cura affidata”. Per la citazione e suo contesto, cfr. Del Torre, Venezia e la terraferma dopo la guerra di Cambrai, p. 218.

68. Sulla commissione come strumento ‘correttivo’ dei patti ha insistito, particolarmente, Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati italiani, p. 274. L’esempio a cui l’autore fa riferimento riguarda il padovano (in particolare Cittadella, este e Monselice), dove le commissioni ‘attenuarono’ quanto concesso dai patti di dedizione, in particolare non comprendendo fra le fonti di diritto per l’amministrazione della giustizia gli statuti locali che i patti, al contrario, avevano autorizzato a mantenere. Analoga attitudine è stata segnalata per le commissioni del dogado: anch’esse non contemplavano gli statuti locali vigenti (cfr. Ortalli, Venezia e il dogado, p. 24).

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“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas” 21 mocco stabiliva che, per quanto non compreso nell’atto istitutivo, si faceva “esplicita riserva di precisarne quanto necessario nella commissione”69.

Seguendo, ancora, suggerimenti dall’uno o dall’altro dei domini veneziani, la commissione poteva valere a “integrazione normativa degli statuti” locali, o come “chiave per la loro lettura e interpretazione”70; e, in riferimento alla sua veste e natura normativa, poteva valere anche come luogo (giuridico) in cui si manifestava “un’alte-rità”, cioè l’“innescarsi di una frizione tra il diritto veneto e il diritto locale”71.

Le commissioni, forse più compiutamente (come ricordato all’inizio), era-no agili e funzionali repertori di istruzioni a uso dei rettori; testi estemporanei, piuttosto che compilativi, e destinati a un uso pratico e, perciò, strumenti anche politici anziché strettamente giuridici. Fungevano, così, da ‘bussole’ che (dopo attenta selezione tra le fonti di normazione vigenti e concorrenti) compendiava-no compendiava-normative generali e particolari, conformi ai luoghi e ai tempi. in un numero, comunque, limitato di pagine ricapitolavano i principi ispiratori del sistema, con l’obiettivo di far convivere in un unico spazio una pluralità di ordinamenti concor-renti, ma “riconducibili ad istanze complementari, vale a dire la necessità di ordine e gerarchia del centro coniugate con i bisogni di partecipazione e solidarietà delle periferie”72. e la sintesi operata dalle commissioni fra le diverse fonti normative covigenti portava a segnalare soltanto gli istituti essenziali per il governo di questa o quella periferia; la tendenza a condensare l’essenza stessa di un sistema giuridico, a fissare definitivamente la gerarchia delle fonti di diritto: consuetudine e discre-zionalità del rettore, per la Dalmazia, in particolare; ma anche per l’istria dove accanto all’arbitrio, seppur preponderante, si richiamavano, talora, la consuetudine ma anche gli statuti locali. La consuetudine, peraltro, era alla base di tutte le norme proprie delle terre soggette (dalmate e istriane comprese), anche della tradizione scritta; l’arbitrio, invece, “non elideva il sistema normativo locale (e sovralocale), semmai lo presupponeva e lo implicava”: il rettore sapeva, infatti, che nel giudizio arbitrale era sottointesa e compendiata la legge della capitale e la stessa commissio-ne73. Attraverso le commissioni, in sintesi, Venezia regolava istituti della vita locale,

69. G. Ortalli, Statuta, ordinamenta et banna communis Mathemauci del 1351-1360. Introduzione, in Sta-tuti della laguna veneta, p. 59.

70. Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati italiani, p. 239; con cui concorda Viggiano, Note sull’ammi-nistrazione veneziana in Istria, p. 9.

71. Ibidem; ma anche, per quel che concerne, in questo caso, la terraferma veneta, A. Viggiano, Governanti e governati nello Stato veneto della prima Età moderna. Legittimità del potere ed esercizio dell’autorità sovrana, Treviso 1993, p. 32, ove il contrasto si evidenzia, detto più precisamente, nella coesistenza della gerarchia delle fonti di diritto espressa dagli statuti locali (e a cui i rettori avrebbero dovuto confor-marsi, secondo quanto pattuito al momento del passaggio a Venezia fra governante e nuovi governati) con la gerarchia individuata, invece, dalle commissioni dei rettori “non sempre collimante con quella statutaria”.

72. Osservazioni speculari anche per le commissioni del dogado veneziano: Orlando, Altre Ve-nezie, p. 225.

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garantendo l’esercizio delle proprie prerogative sovrane nel rispetto dei patti ma nel dovuto riguardo anche dell’onore e profitto della dominante74.

Una governance giuridica che coincideva (come è stato efficacemente

sottoli-neato) con la cosiddetta “non-politica” del diritto veneziana, che avrebbe insistito proprio sulle commissioni ai rettori inviati nei domini: un modo di operare, dunque, grazie al quale, piuttosto che mettere ordine nell’insieme di riferimenti normativi o procedere a un livellamento legislativo generale, si sceglievano “‘altre strade, come [appunto] l’uso calibrato e mirato delle commissioni/istruzioni ai rettori’ per disci-plinare – su un piano di effettività (e quindi politico) – il rapporto, anche giuridico, tra centro e periferia”75. e l’uso calibrato è confermato dal fatto che la commissio-ne fosse ritagliata sulla carica che si andava ad assumere, riscritta ad ogni mandato fino alla fine della Repubblica e dotata, anche, di un suo tratto peculiare (dettata dai luoghi e dai momenti), nonostante una riconoscibilità più generale relativa alle parti comuni del mandato. Un uso infine che, a differenza di quanto avvenne per gli statuti locali, impedì di riprodurre tali testi a stampa: segno anche della prevalenza del loro significato operativo su quello politico, l’opposto di quanto accadrà invece per gli statuti, finita la stagione delle riforme tre quattrocentesche.

e che la commissione non fosse, tuttavia, percepita meramente come ‘stru-mento’ operativo in dotazione ai funzionari veneziani, ma come elemento essenziale su cui s’incardinava il rapporto ufficiale di governo fra centro-periferie, è dimostra-to laddove il ‘formulario’, in apertura al mandadimostra-to ducale, ‘commette’ di reggere e governare, ma soprattutto “in ratione et iustitia manutenere” il territorio assegnato “secundum formam capitulorum que in hac […] commissione inferius sunt inserta”. Posto che la giustizia, dunque, stava particolarmente a cuore alla dominante venezia-na, la commissione (dalla posizione proemiale, a suggello di tutto il resto) diventava riferimento essenziale del funzionamento del sistema messo in atto per renderne operante l’esercizio76.

La commissione era, così, perno di quello ‘strumentario’ giuridico che disci-plinava la relazione di dominio fra governanti e governati, dando forma e contenuti particolari alle prerogative reciproche: ne facevano parte (oltre alle commissioni), anzitutto i patti o privilegi di dedizione (che di tale relazione erano all’origine) e la normativa locale (consuetudinaria e scritta). La relazione fra le parti si giovava an-che di altri strumenti di comunicazione politica: relazioni di fine mandato, dispacci

74. Cfr. Orlando, Politica del diritto, pp. 24-26 (da cui sono tratte anche le citazioni) per una ripresa delle considerazioni sulle commissioni in generale, e su quelle dalmate in particolare.

75. Orlando, Altre Venezie, p. 225: la cit., tuttavia, è tratta da Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati italiani, ripresa anche da G.M. Varanini, Gli statuti delle città della Terraferma veneta nel Quattrocento, in Statuti città territori in Italia e Germania tra medioevo ed età moderna, a cura di G. Chittolini, D. Willoweit, Bologna 1991, pp. 249-250.

76. Per i ‘formulari’ di commissione a cui si sta facendo riferimento: cfr. Conte di Sebenico 1322, Conte di Nona prob. 1329, Conte di Traù 1322, Conte di Spalato1327, Conte di Pola 1332 e Podestà di Valle post 1332, per i quali si rinvia alla presente edizione.

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“Committimus tibi […] quod de nostro mandato vadas” 23 inviati a organi centrali e suppliche rivolte dai sudditi alla Signoria. Tutti insieme alludevano a una sorta di sistema giuridico integrato, richiamandosi reciprocamente o rinviando ora all’uno ora all’altro nella prassi di governo, coordinati o integrati; semmai giustapposti, ma non in contraddizione77. Alcuni esempi. È nota l’impor-tanza del pactum nella genesi e tenuta dello stato veneziano (motore e collante di una statualità del tutto peculiare), a cui la commissione (si è detto) spesso rinviava, diventandone anche documento attuativo. Così, riferendosi all’area adriatica – e in particolare a istria e Dalmazia –, la norma locale (statuti e consuetudini) era richia-mata spesso nelle commissioni come fonte di diritto insieme alla discrezionalità del rettore/giudice veneziano. Ancora, la commissione poteva confermare un uso che si sarebbe consolidato, poi, in pieno Cinquecento: l’obbligo, ad esempio, di presentare oralmente o per iscritto alla Signoria (“postquam applicueris Venecias a dicto tuo regimine, infra xV dies dices seu in scriptis dabis domino duci […], ac suo consilio”) la relazione di fine mandato (“omnia quecumque […] credideris esse pro bono et meliore dicte terre et […] utilius convenire”)78. e d’altra parte il rettore nel dar conto, alla fine, del servizio reso (in base alle proprie deleghe) poteva richiamarne la confor-mità con quanto previsto dal suo mandato (come commessomi o, ancora, come disposto

nella commissione)79: tutto si era svolto, come dire, a norma di legge.

Di tali strumenti giuridici Venezia fece un uso politico eticamente connotato, che corrisponde, del resto, a un modus operandi improntato alla flessibilità, al prag-matismo, ma anche alla partecipazione condivisa, al riconoscimento dei ruoli e dei rapporti di forza.

5. Addere, corrigere, mutare… dalle prime riforme, alla ‘riforma continua’

Le commissioni adeguandosi, progressivamente, alla governance dei diversi reg-gimenti, furono per loro natura soggette ad aggiornamenti e correzioni continue, at-traverso corpi di aggiunte: si trattava, per la gran parte, di delibere varate da consigli e uffici veneziani (a partire dal Maggior consiglio, poi soprattutto Senato e, addentran-dosi in una statualità più matura, Consiglio dei Dieci…), che dovevano, poi, trovar posto, tramite un sistema di rinvii utilizzato dai copisti della cancelleria veneziana, 77. A tale ‘strumentario’ si è già fatto riferimento in A. Rizzi, Dominante e dominati: strumenti giuridici nell’esperienza ‘statuale’ veneziana, in Il commonwealth veneziano tra il 1204 e la fine della Repubblica. Identità e peculiarità. Atti del convegno (Venezia, 6-9 maro 2013), a cura di G. Ortalli, O.J. Schmitt, e. Orlando, Venezia 2015, pp. 235-271.

78. Cfr. qui, un esempio per tutti, l’edizione della commissione del Conte di Pola 1332. Quanto alla relazione di fine mandato è noto che l’obbligo della stesura fu sancito con decreto del Senato del 15 novembre 1524, inviato a tutti i funzionari veneti nei territori (rettori, provveditori, sindaci, capitani…) di terra o di mare; l’inosservanza sarebbe stata perseguita con una multa di 100 ducati d’oro da versare agli Avogadori di comun (cfr. Relazioni dei rettori veneti in terraferma, a cura dell’istituto di storia economica dell’Università di Trieste, i, La patria del Friuli. Luogotenente di Udine, Milano 1973, p. XLVi).

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nei registri formulari80. Nel tempo si resero necessarie delle vere e proprie operazioni di rifacimento e riforma: se ne ha, per il momento, qualche indizio per il Trecento. in almeno tre occasioni intervenne il Maggior consiglio, cui competeva, insieme alla Signoria, di rivedere le commissioni per i rettori inviati nei domini81. i frequenti inter-venti di revisione delle commissioni da parte di consigli e commissioni competenti, oltre a fornire “testi sempre aggiornati e flessibili” avrebbero dovuto comportare la loro “sistematica raccolta in registri ‘formulari’”82. Già si è accennato al carattere composito del registro 1 (quasi per certo non un avvio, ma una fase di riordino); si aggiunga, ora, come alcuni registri formulari pervenuti interessino soltanto un’area dell’intero dominio veneziano (il registro 3, ad esempio, è dedicato esclusivamente all’istria)83 e come restino ancora da chiarire le diverse fasi di riforma cui furono sottoposte le commissioni (e così i loro ‘formulari’) nel tempo, almeno fino a quella operata sotto il dogado di Andrea Gritti nel 1534 (e raccolta nel registro 8). Anche restando al Trecento (a cui risale, almeno in parte, il registro 1 della presente edizio-ne), per il quale si è accennato agli interventi del Maggior consiglio e all’esito (la rac-colta delle commissioni emendate in nuovi registri ‘formulari’) a cui tali indicazioni di riforma avrebbero dovuto condurre, resta tuttavia ancora da chiarire quali territori veneziani fossero interessati da tali riforme (tutti o solo una parte?), l’esistenza o meno di altre revisioni di cui si è persa memoria84 e soprattutto l’eventuale corrispon-denza fra tali interventi noti di riforma e i registri pervenuti o se non si debba, invece, ipotizzare l’esistenza di altri registri o parti di registro complementari agli esistenti85. Un discorso analogo dovrebbe, poi, estendersi anche al Quattrocento.

80. Riguardo al sistema si rinvia, per il momento, alle osservazioni qui riportate di Zuccarello, Il sistema.

81. il primo intervento è del 1328: trovandole in tal stato di confusione da indurre “dubium et errorem”, il Maggior consiglio decise che i testi, corretti e rivisti, fossero “reducti ad certam formam”, sottoponendo ciascuna nuova commissione al vaglio di un comitato di tre ex rettori del luogo che avrebbe dovuto proporre le dovute correzioni (modifiche, aggiunte, revoche) a Senato e Quarantia per l’approvazione. Qualche tempo dopo, nel 1340, avendo constatato nuovamente quanto fossero confusse da indurre, ancora, “obscuritatem et errorem”, incaricò della nuova revisione una commissione di cinque sapienti, che avrebbe dovuto presentare allo stesso Consiglio le sue proposte di emendamento (nonché quelle dei rettori cessati e di altri a sua scelta). Nel 1375, infine, un collegio analogo intervenne nuovamente sui testi “addendo, minuendo, corrigendo vel mutando”, le cui proposte di modifica avreb-bero dovuto ricevere la convalida del Senato.

82. Per gli interventi di riforma del Maggior consiglio sulle commissioni nel Trecento, cfr. Orlan-do, Altre Venezie, pp. 226-227. i registri pervenuti dei ‘formulari’ di commissioni sono raccolti nel fondo ASVe, Collegio, Formulari di commissioni, regg. 1-8.

83. Fatta eccezione per il ‘formulario’ del Castellano di Belforte (cc. 114r-118v), ufficiale che an-dava a ricoprire, peraltro, un incarico ai confini con l’Istria. Il registro 5, invece, raggruppa i ‘formulari’ di commissione per il Trevisano.

84. Per esempio durante il dogado di Andrea Contarini (1368-1382): cfr. Aramonte, I formulari di commissione.

85. Una corrispondenza, peraltro, difficile allo stato attuale della ricerca affermare dal momento che i tre registri formulari trecenteschi residui, per quel che si sa, risalirebbero rispettivamente a un periodo a cavallo fra Due e Trecento (registro 1, l’unico peraltro a cui è stata finora dedicata, qui,

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