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Gli inquinanti possono essere suddivisi in primari e secondari: i primi sono attivi nella forma chimica in cui sono liberati (emessi) nell’ambiente (es.

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1. Introduzione

(2)

1.1. L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO: ASPETTI GENERALI

L’inquinamento chimico dell’atmosfera può essere definito (DPR 322 del 15.04.1971) come la presenza di sostanze in misura e condizioni tali da alterarne la salubrità e da costituire pregiudizio diretto o indiretto per la salute dei cittadini e danno ai beni pubblici e privati. E ancora: l’articolo 2 del DPR 203 del 24.05.1988 definisce l’inquinamento atmosferico come “ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria; da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente; alterare le risorse biologiche, gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati”. Il concetto di qualità dell’aria, invece, dipende dal soggetto coinvolto che viene definito bersaglio: una determinata situazione di contaminazione, infatti, può essere pericolosa per le piante, ma non per i manufatti.

Gli inquinanti possono essere suddivisi in primari e secondari: i primi sono attivi nella forma chimica in cui sono liberati (emessi) nell’ambiente (es.

ossidi di azoto e di zolfo, acido fluoridrico); i secondi sono quelli che derivano da reazioni tra primari o tra questi ed i componenti naturalmente presenti (es.

ozono, precipitazioni acide).

La continua evoluzione della chimica dell’atmosfera, dalla nascita della

terra ad oggi, ha permesso il raggiungimento di un equilibrio che sostiene la vita

sul pianeta. I principali costituenti dell’aria, che rappresentano il 99,9% in

volume di essa e la cui concentrazione è rimasta pressoché invariata negli

ultimi millenni, comprendono l’azoto (N

2

) al 78%, l’ossigeno (O

2

) al 21%, l’argon

(Ar) allo 0,93%. Oltre a questi, sono presenti i cosiddetti “gas in tracce”, in

composizione variabile e comprendenti il biossido ed il monossido di carbonio

(CO

2

e CO, rispettivamente), il vapore acqueo [H

2

O

(vap)

], il neon (Ne), l’elio (He),

il kripton (Kr), lo xeno (Xe), l’idrogeno (H

2

), il metano (CH

4

), il biossido (NO

2

) ed

il monossido (NO) di azoto [indicati complessivamente come (NO

x

)], il

protossido di azoto (N

2

O), l’ammoniaca (NH

3

), il biossido di zolfo (SO

2

) e

l’ozono (O

3

) (Federici e Axianas, 1984). La loro concentrazione è soggetta a

(3)

significative variazioni nel tempo e nello spazio dovute alle emissioni da parte di sorgenti naturali ed antropiche.

Le fonti naturali sono responsabili del rilascio di rilevanti quantità di composti tossici ma, essendo “ben distribuite” ed andando ad interessare aree molto vaste, la loro diluizione è tale da creare solo raramente seri problemi per l’ambiente. Al contrario, quelle antropiche, tipicamente concentrate nelle zone urbane ed industriali, sono correlabili direttamente al fenomeno dell’inquinamento atmosferico. E’ da sottolineare che l’incidenza relativa delle varie fonti è variabile da una situazione all’altra, in dipendenza del periodo stagionale e della peculiarità della zona. L’emissione di inquinanti di origine industriale è stato a lungo al primo posto nella graduatoria, non solo per l’aspetto quantitativo, ma anche perché rappresenta, in genere, una turbativa degli ecosistemi con carattere di continua presenza. Da tempo, sono comunque le aree urbane a costituire i principali elementi di preoccupazione e rischio per la qualità dell’aria. Il riscaldamento domestico rappresenta una sorgente omogenea, producendo, infatti, derivati della combustione di prodotti solidi (carbone e legna), liquidi (gasolio e kerosene) o gassosi (CH

4

ed altri idrocarburi), che danno origine principalmente ad NO

x

e ad ossidi di zolfo. Oggi, è il traffico veicolare a determinare i più gravi fenomeni di degrado della qualità ambientale. I componenti dei gas di scarico più preoccupanti sono CO, NO

x

, idrocarburi incombusti, particolati, sali di cloro e di bromo e, una volta, anche quelli di piombo.

Sono principalmente le fonti di emissione di tipo antropico che, ad oggi,

hanno contribuito a modificare notevolmente l’atmosfera urbana, nella quale è

presente un gran numero di sostanze gassose, vapori e particelle, che

interagiscono tra di loro dando origine a composti tossici, potenzialmente

mutageni e/o cancerogeni.

(4)

1.2. IL FENOMENO DELLE POLVERI

È ormai noto che l’aria dei grandi centri urbani è interessata dalla presenza di molteplici inquinanti. Tra questi le polveri sottili rappresentano un argomento di crescente importanza per i possibili effetti sanitari sulla popolazione.

L’interesse suscitato dalle polveri atmosferiche trae origine storicamente dallo studio di fenomeni acuti di smog, nel corso dei quali queste, in combinazione con SO

2

, hanno determinato il verificarsi di pesanti conseguenze sulla salute umana. Tra gli avvenimenti più eclatanti si ricordano gli episodi di inquinamento atmosferico manifestatisi negli anni ‘50 a Londra, responsabili di un eccesso di ricoveri ospedalieri per problemi respiratori nella popolazione.

Con il termine di polveri atmosferiche o di materiale particellare, si intende una miscela di particelle solide e liquide, sospese in aria, che varia per caratteristiche dimensionali, composizione e provenienza. Parte di esse sono emesse come tali da sorgenti naturali ed antropiche (cd. "primarie"); parte, invece, derivano da una serie di processi fisici e reazioni chimiche che avvengono nell’atmosfera (cd. "secondarie") (cfr. paragrafo 1.1). Esse vengono definite con i nomi più diversi, tra i quali i più usati sono: PTS (Particolato Totale Sospeso) e PM (dall’inglese "Particulate Matter"). Il PTS è un insieme molto eterogeneo di particelle solide e liquide che, a causa delle ridotte dimensioni, resta in sospensione nell’aria.

Esistono vari sistemi di classificazione del materiale particellare. Le classi vengono suddivise a seconda della dimensione del diametro delle particelle (misurato in micrometri o millimetri), che può variare da un valore minimo di 0,005 µm fino ad un massimo di 100 µm. All’interno di questo intervallo si definiscono:

grossolane, le particelle con diametro compreso tra 2,5 e 30 µm (paragonabile a quello di un capello umano, che misura 50-100 µm);

fini, quelle con diametro inferiore a 2,5 µm.

Le prime si originano a seguito di combustioni e per processi meccanici

di erosione e disgregazione dei suoli. Pollini e spore sono in questa classe

dimensionale; le seconde derivano dalle emissioni prodotte dal traffico

(5)

veicolare, dalle attività industriali, dagli impianti di produzione di energia elettrica.

Le proprietà fisiche principali del particolato aerodisperso includono: la massa e la sua distribuzione, il numero e la sua distribuzione, l’area superficiale, la forma, l’igroscopicità, la volatilità e la carica elettrica. Ognuna di queste caratteristiche è importante in quanto influisce sulla dinamica delle varie particelle e ciò incide anche sulla possibilità e sui modi in cui queste possano venire a contatto con le vie respiratorie. La taglia delle particelle aerodisperse è molto importante, poiché determina il loro comportamento nell’atmosfera e la loro sorte durante il trasporto, andando a determinare anche in quali parti del tratto respiratorio si vanno a depositare. La maggior parte, a causa della grande inerzia, si deposita nella zona nasale e nel tratto superiore delle vie respiratorie.

Al contrario, quelle più piccole possono seguire il flusso dell’aria nelle regioni più profonde delle vie respiratorie, dove hanno una elevata probabilità di depositarsi per diffusione. La loro composizione determina il modo con cui reagiscono all’interno delle vie respiratorie e le risposte del corpo a queste reazioni. Le particelle di dimensioni più elevate trasportano legate sulla loro superficie (grazie ad interazioni chimiche) elementi di origine crostale; al contrario, le più piccole trasportano alte concentrazioni di elementi in tracce.

Alcune possono agire da trasportatori di sostanze chimiche adsorbite o di gas, che possono fungere da promotori di vari effetti dannosi per la salute umana.

Le particelle più sottili sono prodotte prevalentemente da processi di combustione e da fenomeni fotochimici e, in generale, contengono una miscela di fuliggine, composti organici, acidi condensati, solfati, nitrati, così come metalli in tracce ed altri composti tossici. La maggior parte degli elementi in tracce non sono volatili, ma, se associati con le polveri ultrafini, sono sottoposti ad un trasporto atmosferico di lungo raggio e, essendo in queste condizioni meno inclini a trasformazioni chimiche, rimangono nella forma nella quale sono stati emessi.

Il PM

10

ed il PM

2,5

sono definiti come materiale particolato con un

diametro aerodinamico medio inferiore rispettivamente a 10 e 2,5 µm, sebbene

spesso non abbia una forma sferica. Per diametro si intende, quindi, quello

equivalente, detto anche aerodinamico, definito come il diametro di una

(6)

particella sferica con una densità di 1 g·cm

-3

, ma con una velocità di sedimentazione uguale a quella in questione. La velocità di deposizione delle polveri fini in atmosfera, e quindi il loro tempo di permanenza nell’ambiente, è direttamente correlato al loro diametro aerodinamico.

1.3. FENOMENI DI FORMAZIONE ALLA BASE DELLA GENERAZIONE DELLE POLVERI E LE LORO FONTI DI EMISSIONE

1.3.1. I fenomeni di formazione

Whitby (1978) ha pubblicato un’analisi svolta su circa 1.000 particelle di varie

dimensioni misurate in numerose località degli Stati Uniti. La figura 1 mostra la

distribuzione numerica, dell’area superficiale e volumetrica delle particelle

rispetto a quella di taglia media. Il volume, l’area superficiale e la distribuzione

numerica sono tracciate su di una scala aritmetica, tale che, in ogni specifico

intervallo di dimensioni siano proporzionali alla corrispondente area sottesa

dalla curva. Queste distribuzioni mostrano che la maggior parte delle particelle

sono abbastanza piccole, al di sotto di 0,1 µm; mentre gran parte del volume

delle particelle (e perciò la maggior parte della massa) si trova nelle particelle

maggiore di 0,1 µm. Whitby (1978) ha osservato anche che la distribuzione

della taglia delle particelle presenta tre picchi che chiama “modi”. L’intera

distribuzione dimensionale potrebbe essere ben rappresentata da un modello

trimodale che consiste in tre distribuzioni additive log-normali. Il modo con un

picco con diametro tra 5 e 30 µm, prodotto da processi meccanici, è stato

chiamato il modo delle particelle grossolane; esso, per composizione e

generazione, risulta molto diverso dagli altri, in quanto è il risultato dei fenomeni

meteorologici, quali pioggia e vento, e di fenomeni naturali, quali le eruzioni

vulcaniche o la generazione dalla superficie del mare; in esso sono pure

presenti gli aerosol di origine vegetale, come le spore ed i pollini. Inoltre, vi è

una componente da risospensione dal terreno, che può essere generata da

fenomeni sia atmosferici che connessi alle attività umane, quali cantieri e

traffico urbano.

(7)

Il modo di formazione delle polveri con picco tra 0,15 e 0,5 µm, derivante da condensazione e coagulazione, è stato denominato “modo di accumulazione” ed è il risultato dell’unione di aerosol di dimensioni più piccole e/o processi di accrescimento dovuti, per esempio, ad assorbimento di acqua da parte del particolato igroscopico. In tale intervallo di dimensioni, i fenomeni di rimozione (per diffusione ed impatto) hanno limitata efficienza; pertanto, la maggiore forma è rappresentata dal dilavamento atmosferico (wash-out e rain- out).

Il modo con un picco tra 0,015 e 0,04 µm, la cui taglia è influenzata dalla nucleazione e anche dalla condensazione e dalla coagulazione, è chiamato transient nuclei o campo dei nuclei Aitken, successivamente abbreviato in

“modo dei nuclei”. L’accumulazione e il modo dei nuclei presi insieme identificano le particelle sottili. Esse sono prodotte dalla condensazione di vapori caldi e di gas aventi bassa volatilità ed è formato da particelle primarie che si legano per coagulazione tra esse. Quelle che compongono il modo dei nuclei sono generate prevalentemente da processi ad alta temperatura.

Una sperimentale distribuzione dimensionale, che evidenzia i modi ed i

meccanismi di formazione, è data nella figura 2, in cui la distribuzione

dimensionale è stata misurata nel traffico urbano.

(8)

Fig. 1 - Distribuzione dei tre modi delle particelle grossolane (c), dell’accumulazione (a) e dei nuclei (n) in base a tre caratteristiche: a) numero, N; b) area superficiale, s; c) volume, V. DGV

= diametro geometrico medio rispetto al volume, DGS = diametro geometrico medio rispetto all’area superficiale, DGN = diametro geometrico medio rispetto al numero, D

P

= Diametro delle

particelle. Fonte: Environmental Protection Agency, USA

.

(9)

Fig. 2 - Una idealizzata distribuzione dimensionale che potrebbe essere visualizzata nel traffico veicolare che mostra le particelle fini, le particelle grossolane, la nucleazione, l’Aitken e il modo

di accumulazione che comprende le polveri sottili. Sono inoltre mostrati i meccanismi di

formazione dei modi principali. Fonte: Environmental Protection Agency, USA.

(10)

1.3.2. Le sorgenti

Le più importanti sorgenti naturali sono: aerosol marino, risollevamento e trasporto da parte del vento di materiale litico, aerosol biogenico (spore, pollini, frammenti vegetali), eruzioni vulcaniche e geotermiche, incendi boschivi, emanazioni gassose da parte di vegetali (emissione di idrocarburi) e metabolismo microbico.

Le più rilevanti fonti antropiche sono emissioni prodotte dal traffico veicolare, da altri macchinari (attrezzature edili e agricole, aeroplani, treni, navi), processi di combustione di carbone ed oli (centrali termoelettriche, impianti di riscaldamento civili), legno, rifiuti, processi industriali (cementifici, fonderie, miniere), combustione di residui agricoli ed inceneritori di rifiuti.

La concentrazione di fondo di PM è solitamente definita come la distribuzione delle concentrazioni che si osserverebbe in assenza di emissioni antropiche di particelle primarie e di quelle che precorrono la formazione delle secondarie, quali COV, NO

x

ed SO

2

. Come termine di paragone, si pensi che l'intervallo atteso per le concentrazioni naturali di fondo su base annuale varia da 4 µg m

-3

a 11 µg m

-3

per il PM

10

, e da 1 µg m

-3

a 5 µg m

-3

per il PM

2,5

, nei luoghi remoti del Nord America.

La figura 3 mostra la media assoluta annuale delle concentrazioni dei

principali componenti dell’aerosol in: a) PM

10

, b) PM

2,5

, c) PM

10

-Pm

2,5

(i valori

numerici possono essere scaricati dal sito: http://ccu.ei.Jrc.it/ccu.).

(11)

Fig. 3 - Media assoluta annuale delle concentrazioni dei principali componenti dell’aerosol (dove BC = Black carbon, OM = Sostanza organica, min. dust = polvere di origine minerale,

seasalt = sale di origine marina). Fonte: Joint Research Centre, European Commission.

(12)

1.4. L’ESPOSIZIONE ALLE POLVERI

L’esposizione è la concentrazione di sostanza particolata con specifiche caratteristiche che esiste nell’area in cui un individuo respira l’aria circostante in un determinato periodo di tempo. Questo sta a significare che la concentrazione di PM inalata da una comunità non è necessariamente la stessa che viene misurata nelle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria. Le ragioni di questo fenomeno sono diverse. Le persone sono normalmente esposte al PM proveniente da svariati tipi di sorgenti, che possono essere divise in categorie:

1. primarie, come traffico veicolare ed emissione delle industrie; il vento trasporta le polveri derivanti dal suolo e da sorgenti secondarie, così come il PM prodotto da reazioni fisico-chimiche;

2. luoghi di lavoro, che coprono un largo numero di attività; possono esserci ben specifici tipi di PM associati con la natura dei materiali utilizzati durante l’azione lavorativa;

3. abitudini personali ed attività, che includono l’uso di tabacco o come quelle quotidiane di pulizia.

La quantità di “nuvola” di inquinante per ogni individuo è correlata, quindi, con il suo livello di attività e per il PM

10

può essere dell’ordine di 50 µg·m

-3

per quelle persone che sono molto attive. In contrasto, le persone malate o anziane, per il fatto che sono molto meno attive, generano una molto più bassa

“nuvola” personale. Per il PM

2,5

la nuvola personale dei non fumatori è molto meno pronunciata, dell’ordine di 0 – 7 µg m

-3

(Jantunen et al., 1999).

Una volta emesse, il PM

10

può rimanere in sospensione nell’aria per circa

12 ore, mentre le particelle aventi diametro pari ad 1 µm rimangono in

circolazione per circa un mese. Questa è una delle caratteristiche che rende le

polveri inalabili e respirabili particolarmente insidiose per la salute dell’uomo. Gli

elevati livelli di PM

10

che si manifestano di frequente nell’aria delle grandi città

possono incrementare il numero e la gravità degli attacchi di asma, causare od

aggravare bronchiti ed altre malattie dei polmoni e ridurre la capacità

dell’organismo di combattere le infezioni. Le persone maggiormente vulnerabili

sono i bambini, gli anziani e chiunque svolga intensa attività fisica all’aperto,

nonché le persone sofferenti di asma e bronchiti.

(13)

Le fonti urbane di emissione del PM

10

sono principalmente due: i trasporti su gomma e gli impianti di riscaldamento civili. Sono, invece, sempre meno presenti, all’interno delle aree urbane, sorgenti di inquinamento industriali. I contaminanti emessi da camini di altezza elevata possono, tuttavia, essere trasportati dagli agenti meteorologici anche su grandi distanze. Parte dell’inquinamento "di fondo" riscontrato in una determinata città può, dunque, provenire da un’industria situata a diversi chilometri di distanza dal centro urbano.

Tutti i mezzi di trasporto emettono polveri fini. In ogni caso, i veicoli diesel, sia leggeri sia pesanti, emettono un quantitativo di polveri, per chilometro percorso, maggiore rispetto a quelli a benzina, riconosciuti comunque responsabili della produzione di piccole quantità di questo inquinante. Le emissioni sono in parte attribuibili anche all’usura di freni e pneumatici e al risollevamento di polvere presente sulla carreggiata.

Gli impianti di riscaldamento civile possono emettere polveri, in particolare, quelli alimentati a gasolio, olio combustibile, carbone o legname.

Sembrano, invece, trascurabili le emissioni dagli impianti alimentati a metano.

A partire dagli anni ’70, in tutti i paesi industrializzati il numero di veicoli in circolazione è andato incontro ad una crescita costante. Attraverso l’emissione di polveri fini, CO, NO

x

e COV, le automobili e gli altri mezzi di trasporto stradali contribuiscono in misura preponderante a determinare una scarsa qualità dell’aria nei centri urbani. La limitazione dei livelli di concentrazione delle polveri nelle nostre città non può che avvenire attraverso la riduzione dell’inquinamento da traffico veicolare. Diverse sono le soluzioni che si possono adottare. Alcune, elencate di seguito, presentano caratteristiche di innovazione tecnologica, altre di "educazione" ad un uso alternativo del mezzo di trasporto privato:

incentivazione di forme alternative di mobilità urbana, come il trasporto pubblico, il car-pooling (condivisione del mezzo privato da parte di più passeggeri) e l’uso della bicicletta;

• riduzione delle emissioni per chilometro di strada percorso,

attraverso l’impiego di veicoli e di carburanti più puliti;

(14)

utilizzo di mezzi di trasporto elettrici e di autoveicoli più piccoli e leggeri, in modo da ridurre il consumo di carburante e, dunque, le emissioni di natura inquinante;

contenimento delle polveri risollevate dalla carreggiata attraverso un frequente lavaggio delle strade, specie durante i periodi nei quali le concentrazioni in aria sono più elevate e le precipitazioni piovose scarse;

controllo periodico delle emissioni dallo scarico dell’automobile per CO, NO

x

ed idrocarburi, inquinanti che partecipano alla formazione delle particelle secondarie.

1.5. ASPETTI SANITARI

L’esposizione all’inquinamento ambientale causato dal PM

10

è stato legato a numerosi casi di malattie, che partono da variazioni transitorie della funzionalità dell’apparato respiratorio ed indebolimento della funzione polmonare, continuando con una diminuzione delle attività, una ridotta performance ed un aumento dei ricoveri ospedalieri e dei decessi. C’è, inoltre, un evidente aumento dei danni causati dall’inquinamento, non solo sul sistema respiratorio ma anche in quello cardiovascolare.

Tra gli studi di breve periodo sugli effetti del particolato atmosferico sulla mortalità ricordiamo quello di Schwartz e Dockery (1992) effettuato in Steubenville (OH), che ha evidenziato un aumento del 6% nelle morti giornaliere in conseguenza di un incremento della concentrazione giornaliera di PTS da 36 µg m

-3

a 209 µg m

-3

. Una simile osservazione è stata effettuata da Dockery e Pope (1994), che hanno evidenziato un aumento dell’1% della mortalità totale, dell’1,4% di quella per cause cardiovascolari e del 3,5% di quella per cause respiratorie per un aumento giornaliero di 10 µg m

-3

di PM

10

. Questi risultati sono stati successivamente replicati in Cina (Xu et al., 1994), Parigi (Dab et al., 1996), Atene (Touloumi et al., 1996), Koln (Spix e Wichmann 1996).

Le varie proprietà fisico-chimiche del PM influiscono in quanto scatenano

diverse risposte biologiche (tabelle 1 e 2).

(15)

La deposizione in massa dell’aerosol nelle regioni dell’apparato respiratorio può essere valutata tramite il modello proposto dall’International Commission on Radiological Protection (ICRP), relativo alla deposizione dell’aerosol radioattivo, utilizzando i parametri modali (diametro medio in massa, deviazione standard geometrica e concentrazione in massa per ogni modo) dello spettro granulometrico dell’aerosol. Il modello suddivide il tratto respiratorio in due regioni extratoraciche, quella delle vie aeree nasali anteriori (ET1) e quella delle vie aeree nasali posteriori con il tratto faringe-laringe (ET2), ed in tre regioni toraciche quali la regione bronchiale (BB), bronchiolare (bb) e alveolare ed interstiziale (AI).

Tab. 1 – Correnti ipotesi di alcune proprietà fisico-chimiche di PM legate alla risposta biologica.

Concentrazione Conseguenze sulla salute Risposta biologica Taglia delle

particelle

Associazione con danni alla salute legata alla dimensione delle particelle (fini,

grossolane, ultra fini)

Varie risposte biologiche a seconda della taglia Metalli Effetti derivati dalla lavorazione dell’acciaio

legato ai metalli Effetti legati ai metalli Acidità Alcune evidenze di associazione tra ione H

+

e disturbi di salute Varie risposte biologiche Composti organici Associazione del PM con possibilità di

cancro ai polmoni dovuto alle proprietà carcinogene dei composti organici

Appurate conseguenze mutagene e carcinogene PM organogeno Possibile associazione a malattie Generalmente

allergenici Solfati/Sali di Nitrato Associazione ad alcune malattie legate con

H

+

Non molto tossici a basse concentrazioni

Perossidi ? Alti livelli possono

provocare gravi danni biologici Carbonio

elementare (fuliggine)

? Mutageno, carcinogeno,

irritante

Tab. 2 – Importanti effetti sanitari associati all’esposizione al PM

10

. Effetti legati ad esposizione

di breve periodo Effetti legati ad esposizione di lungo periodo Reazioni infiammatorie dei

polmoni Aumento dei sintomi di cali respiratori Sintomi di difficoltà respiratorie Riduzione della funzione polmonare dei bambini

Effetti avversi del sistema

cardiovascolare Aumento delle affezioni ostruttive croniche polmonari Aumento dell’impiego di

medicinali Riduzione nella funzione polmonare negli adulti Aumento dei ricoveri

ospedalieri Aumento della mortalità

Riduzione della speranza di vita dovuta principalmente a

cancro al polmone e mortalità per malattie cardio-polmonari

(16)

La conoscenza dell’aerosol depositato nelle varie regioni, in funzione della granulometria associata alla corrispondente informazione tossicologica, costituisce la base indispensabile per una corretta valutazione di rischio sanitario. La parte derivata dalla nucleazione si deposita principalmente nella regione alveolare, mentre quella relativa al modo del particolato grossolano interessa essenzialmente le vie aeree superiori. L’aerosol legato al modo di accumulazione risulta maggiore di quello dovuto al modo di nucleazione, perché generalmente la concentrazione in aria di massa del modo di accumulazione è maggiore rispetto a quella del modo di nucleazione. In media quasi il 90% della deposizione in massa in zona alveolare è dovuta a particelle inferiori a 2,5 µm. Per quanto riguarda l’aerosol legato al modo del particolato grossolano, seppur caratterizzato da diametri sempre superiori ai 3-4 µm, la massa depositata nella regione alveolare risulta in media del 10%. Il parametro PM

10

, a parità di rateo di ventilazione e di esposizione, non è correlato alla massa totale depositata nell’albero respiratorio.

Le particelle che sono comprese nella denominazione di PM

10

possono, quindi, raggiungere la parte superiore delle vie respiratorie e dei polmoni. La figura 4 mostra schematicamente dove le particelle, all’interno delle vie respiratorie, si depositano, a seconda della loro dimensione. Inoltre, come si desume dalla figura 5, le particelle più piccole (in particolare il PM

2,5

) penetrano più in profondità nei polmoni e possono raggiungere la zona alveolare. In termini di massa, le particelle ultrafini contribuiscono poco alla massa del PM

10

, ma da un punto di vista sanitario sono molto importanti perché la maggior parte di esse ha una grande area superficiale.

Due sono i modelli di deposizione polmonare delle micropolveri che sono

comunemente utilizzati: quelli di Yen e Schum (1980) e di Yu e Diu (1982). Essi

rappresentano il tratto respiratorio come un reticolato a decadimento multiplo,

dove ogni generazione è caratterizzata dal numero delle vie respiratorie e dalla

loro lunghezza e diametro. La deposizione delle particelle in ogni generazione è

calcolata da formule deterministiche che dipendono dalla deposizione

gravitazionale, dall’impatto, e dalla diffusione. La variazione interindividuale

della struttura delle vie respiratorie porta ad una variabilità nei modelli che è

stata presa in considerazione includendo due scale di fattori casuali (uno per la

(17)

regione tracheo-bronchiale e uno per quella alveolare). E’ stato dimostrato che la dimensione delle vie respiratorie è il fattore che prevalentemente influisce sulla variabilità interindividuale della deposizione totale o parziale in condizioni di respirazione normali.

La dose è la quantità di agente che entra all’interno di un bersaglio biologico in uno specifico intervallo di tempo. Quella assunta è invece la quantità di agente direttamente in contatto con le barriere assorbenti, come ad esempio la pelle o i tratti respiratori ed il tratto gastrointestinale. In termini generali, dipende dall’esposizione agli inquinanti presenti nell’aria e da fattori di dosimetria. Essi caratterizzano quanto dell’inquinante presente nell’aria, penetra all’interno del corpo ed è adsorbito dagli organi; ciò dipende dalla concentrazione esterna, da quella inalata, adsorbita, dal peso medio corporeo, dal tempo di vita media, dall’area superficiale regionale dei polmoni, dal tipo di respirazione, dal sesso e dall’età. La dose è una funzione dell’esposizione e dei fattori di dosimetria e quantifica la quantità di sostanza disponibile per interferire con i processi metabolici. Quella somministrata è la quantità di inquinante o di suoi metaboliti depositata all’interno dell’organismo che raggiunge le cellule bersaglio.

Fig. 4 - Teorica deposizione delle particelle inalate nel tratto respiratorio a seconda delle loro

dimensioni. Fonte: “Health aspect of air pollution” da WHO project “Systematic review of health

(18)

Fig. 5 – Valori del diametro dei vari tratti respiratori

La concentrazione di sostanze chimiche nell’aria inalata in forma particolata è espressa come segue (Liu, 1994):

BWxAt

FD xRFxFTxFFx xP

xIR D

p

= C

p a a

dove D

p

è la dose inalata di particelle sospese [mg (kg giorni

-1

)], C

p

è la loro concentrazione chimica (mg·mg

-1

), IR

a

è la quota inalata (m

3

h

-1

), P

a

è la concentrazione della particella nell’aria (mg m

-3

), RF è la quantità respirabile (dimensionale), EF è la frequenza di esposizione (giorni anno

-1

), ED è la durata dell’esposizione (anni), BW è il peso corporeo (kg), At è il tempo di copertura (giorni).

Le PM

10

sono denominate anche polveri inalabili, in quanto sono in grado di penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (dal naso alla laringe);

Le PM

2,5

sono, invece, dette polveri respirabili, in quanto sono in grado di

(19)

penetrare nel tratto inferiore dell’apparato respiratorio (dalla trachea sino agli alveoli polmonari).

In generale, sono le particelle con diametro inferiore a 5-6 µm quelle in grado di depositarsi nel tratto polmonare (bronchioli respiratori ed alveoli) e di provocare infiammazioni, fibrosi e neoplasie. Le particelle che si depositano nel tratto respiratorio superiore o extratoracico (cavità nasali, faringe e laringe) possono causare effetti irritativi, quali secchezza ed infiammazione di naso e gola. Le particelle che si depositano nel tratto tracheobronchiale (trachea, bronchi e bronchioli più grandi) possono invece provocare costrizioni bronchiali, aggravare malattie respiratorie croniche (asma, bronchite, enfisema) ed eventualmente indurre neoplasie.

La pericolosità del PM

10

deriva principalmente dal fatto che sono costituite da una miscela di sostanze che includono:

• elementi, quali il carbonio, il piombo, il nichel;

• composti, come i nitrati, i solfati o COV;

• miscele complesse, come particelle di suolo o gli scarichi dei veicoli diesel.

I PM

2,5

(che compongono la classe di diametro atmosferico quantitativamente più numerosa all’interno del PM

10

) risultano, a loro volta, potenzialmente pericolose per la presenza di un certo numero di sostanze:

• i solfati prodotti dalle emissioni di SO

2

sono di natura acida e possono reagire direttamente con i polmoni;

• gli ossidi di carbonio prodotti durante la combustione della benzina possono catturare sostanze chimiche cancerogene come il benzo(a)pirene [appartiene alla famiglia degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), i quali sono stati identificati nei gas di scarico dei motori diesel; si sospetta che l’effetto sull’uomo, per un’esposizione di lungo periodo, consista nell’insorgenza del carcinoma bronchiale]

e consentirgli il libero accesso all’interno dei polmoni;

• metalli tossici, quali piombo, cadmio e nichel in concentrazioni

maggiori nella frazione PM

2,5

rispetto al particellato di dimensioni

maggiori.

(20)

Per quanto riguarda il particolato frazionato, è stato evidenziato come l’attività mutagena nelle diverse frazioni granulometriche aumenti al diminuire delle dimensioni delle particelle. Il 66% dell’attività mutagena, deputata alle micropolveri, è associato al particolato di dimensioni inferiori a 0,7 µm e l’85%

alla frazione inferiore a 1,1 µm, e si è riscontrata una buona correlazione fra l’attività mutagena del particolato a granulometria inferiore a 1,1 µm e la corrispondente concentrazione in massa. Invece, l’attività mutagena delle frazioni più grossolane, maggiori di 1,1 µm, non risulta correlata con la rispettiva concentrazione in aria. Ciò è causato dal fatto che il particolato più fine, composto in massima parte da particelle carboniose derivate da processi di combustione, presenta quantità più significative di sostanze mutagene.

La quantificazione degli effetti sulla salute è quindi diventata di

fondamentale importanza per lo sviluppo di una politica relativa alla qualità

dell’aria. Per queste analisi è importante avere informazioni riguardanti la

relazione tra il livello di inquinamento dell’aria e gli effetti sulla salute. In questa

ottica, è stata condotta a livello europeo una analisi quantitativa per ottenere

stime riguardanti la relazione tra gli inquinanti e gli effetti sulla salute. Usando

dati provenienti da molte città europee, viene confermata statisticamente una

significante relazione tra la mortalità ed i livelli di PM ed altri inquinanti. Alcuni

risultati di questo tipo di analisi sono rappresentate nella figura 6.

(21)

Fig. 6 – Riassunto delle stime del rischio di mortalità a seconda delle concentrazioni degli inquinanti. Fonte: “Health aspect of air pollution” da WHO project “Systematic review of health

aspects of air pollution in Europe”.

Il rischio di morte legato alle concentrazioni degli inquinanti che è stato stimato da questo studio è stato anche utilizzato nel WHO Global Burden of Disease Project. Questo progetto stima che l’esposizione al PM

10

e al PM

2,5

dell’atmosfera porta a circa 100.000 morti e 725.000 anni di vita persi ogni anno in Europa.

1.6. IL RUOLO DELLE PIANTE NEL CICLO DELLE MICROPOLVERI

Il rapporto tra piante e inquinamento comprende diverse situazioni:

1. le piante come “vittime” dell’inquinamento: le prestazioni produttive delle piante che crescono in un ambiente inquinato sono ridotte, in termini sia quantitativi che qualitativi, rispetto a quelle di analoghi individui non esposti agli inquinanti;

2. le piante come “spie” dell’inquinamento: è possibile valutare la

presenza di determinate situazioni di contaminazione sulla base

delle risposte di idonee piante “indicatrici”;

(22)

3. le piante come agenti di detossificazione ambientale: i vegetali sottraggono dall’aria inquinanti gassosi e particolati con processi di assorbimento ed adsorbimento;

4. le piante come veicolo di inserimento di sostanze tossiche nella catena alimentare; diretta conseguenza del punto precedente è il fenomeno dell’accumulo di inquinanti persistenti (es. metalli pesanti) nei tessuti vegetali e la successiva ingestione da parte degli animali erbivori;

5. le piante come “produttori” di inquinanti, come nel caso degli idrocarburi volatili emessi dalle foglie di conifere e latifoglie.

La vegetazione urbana gioca un ruolo importante all’interno della problematica della qualità dell’aria cittadina. Essa infatti, ne facilita lo scambio di quella delle aree attorno alla città con quella presente nel centro urbano e migliora, inoltre, il clima aumentando l’umidità in città, diminuendo gli effetti del riscaldamento e filtrando le particelle di polvere dall’aria (stime relative all’importanza della vegetazione urbana nell’abbattimento dell’inquinamento da polveri eseguite nella città di Chicago indicano che circa 6.000 tonnellate di inquinanti sono state asportate dall’atmosfera nell’arco di un anno, corrispondendo ad un valore economico di più di 9 milioni di dollari). Le piante all’interno dell’ambito cittadino, inoltre, possono essere utilizzate per il monitoraggio dell’inquinamento dell’aria, tramite l’analisi della deposizione delle particelle aerosospese al di sopra della loro superficie fogliare. Questo tipo di indagine è definito “biomonitoraggio” e viene generalmente eseguito su muschi e licheni grazie alla loro nota caratteristica di accumulatori di metalli pesanti, ma dall’inizio degli anni ’50 si è iniziato ad utilizzare anche le foglie e la corteccia delle piante superiori. Queste si sono evolute per massimizzare l’intercettazione della luce e l’assimilazione di CO

2

e, come conseguenza, esse sono recettori di inquinanti molto efficienti (l’indice di area fogliare è dodici volte superiore alla superficie di terreno coperta dalla chioma).

La deposizione del particolato dall’atmosfera può avvenire tramite deposizione:

• umida di ioni e particelle attraverso la pioggia;

• occulta di ioni e particelle attraverso la nebbia e la rugiada;

(23)

• secca delle particelle e dei gas sulle foglie.

La quantità di polveri depositata sulla superficie delle foglie varia sensibilmente con il tempo, in conseguenza degli alti valori accumulati durante l’estate e dipende da numerosi fattori, tra cui la direzione e la velocità del vento, la pioggia, la concentrazione di polvere nell’atmosfera, le caratteristiche della superficie e le tessitura delle foglie, nonché la capacità degli stomi di assorbire gli inquinanti. La maggiore quantità di polveri si riscontra negli strati fogliari più bassi rispetto a quelli più alti, a causa del dilavamento delle foglie durante le precipitazioni piovose.

Il magnetismo ambientale è un utile strumento attraverso il quale può essere effettuato il biomonitoraggio dell’inquinamento atmosferico. Le sferule di magnetite, infatti, sono state osservate sulle polveri depositatesi sulle foglie vicine ai centri di emissione di inquinanti. Le sostanze particolate derivanti dagli scarichi veicolari includono magnetite nei granelli delle dimensioni di 0,3-3 µm;

inoltre uno studio effettuato in Germania sul particolato aerodisperso evidenzia

che i minerali magnetici primari derivanti dalla combustione veicolare erano

maghemite e ioni metallici, nei granuli di taglia di 0,1–0,7 µm. Questa

dimensione granulare è particolarmente dannosa per l’uomo, a causa della

facilità con cui può essere inalata. In più nell’aerosol, la magnetite è associata a

metalli pesanti, come zinco, cadmio, cromo, ed a composti organici mutageni,

anch’essi dannosi per la salute umana. Risultati di analisi mutageniche e

chimiche indicano, infatti, che il particolato inalabile è largamente composto da

particelle fini (<0,5 µm), le quali danno un maggiore contributo alla mutagenicià

dell’aria in quanto i metalli pesanti sono più abbondanti su quelle con diametro

aerodinamico minore di 1,5 µm, che contengono la maggior quantità di

sostanze mutagene e carcinogene sia organiche che inorganiche. Nell’aerosol,

gli elementi minerali aventi carica magnetica derivano da processi di

combustione, come emissioni industriali, domestiche o veicolari, o provengono

dall’abrasione causata dall’asfalto e dai sistemi frenanti dei veicoli. Le particelle

magnetiche fini, a seconda del tipo di combustibile e della temperatura di

combustione, consistono di sferule e granelli di forma irregolare che

contengono una quantità variabile in numero di grani ed in dimensioni di

magnetite ed ematite. Le piante, grazie alla grande area superficiale delle foglie

(24)

per unità di peso (LAI = Leaf Area Index) e al loro lungo ciclo vitale, sono considerate buone accumulatrici e quindi adatte per il biomonitoraggio. Inoltre, il principale vantaggio che le formazioni vegetali presentano come bioindicatori è che sono molto diffuse anche in ambito cittadino e che provvedono ad una ampia densità di punti di campionamento, permettendo così di costruire mappe di inquinamento ad alta risoluzione nelle aree urbane. Ci sono diversi fattori che possono influenzare la capacità delle foglie di trattenere le fini particelle atmosferiche. Tra questi si ricorda la durata dell’esposizione, la superficie, la loro tessitura e la capacità degli stomi di assorbire gli inquinanti. Quelle esterne alla chioma, avendo una superficie larga e rugosa, sembrano molto efficienti. La durata dell’esposizione sembra essere il fattore principale per valutare l’intensità della suscettibilità magnetica, infatti le specie sempreverdi mostrano un livello maggiore rispetto alle piante decidue, considerando valori di umidità e sostanza secca costanti.

1.7 NORMATIVA IN MATERIA DI LIVELLI DI CONCENTRAZIONE CRITICA DELLE POLVERI

La tabella 3 riporta i valori limite per il PM

10

stabiliti a livello europeo. Le linee- guida del WHO non riportano alcun livello target, in quanto ritenuto che nessuna concentrazione sia da considerare priva di effetti negativi.

Tab. 3 - Valori limite stabiliti a livello europeo per l’inquinamento da PM

10

. Valore Medio (in µg·m

-3

) Massimo nelle 24 h Annuale

dal 2005 50

b

40

EU

a

dal 2010 50

c

20

IMM

d

30 15

a

Direttiva Europea 199/30/EC;

b

da non superare per più di 35 volte in un anno;

c

da non superare per più di 7 volte in un anno;

d

National Institute of Enviromental Medicine, Svezia.

In Italia la valutazione del rischio per la popolazione, viene affrontata

attraverso il solo monitoraggio di alcuni composti guida regolamentati, il cui

elenco è in corso di evoluzione per l’applicazione del DM del 25.11.1994,

relativo all’aggiornamento delle norme tecniche in materia di limiti di

(25)

concentrazione, di livelli di attenzione e di allarme per gli inquinanti atmosferici nelle aree urbane. Il decreto prevede l’utilizzazione dal 1997 di uno standard denominato “frazione respirabile delle particelle sospese (PM

10

)“ connesso alla concentrazione in massa delle particelle inferiori a 10 µm. Linee guida per l’applicazione di tale standard sono state presentate negli allegati al decreto stesso assieme ai valori che potevano essere perseguiti come obiettivi di qualità dell’aria già dal 1996.

La normativa italiana ha fissato per le polveri inalabili PM

10

i valori limite di 24 ore ed annuale per la protezione della salute umana, il margine di tolleranza, le modalità di riduzione di tale margine e la data alla quale i valori limite devono essere raggiunti.

Il DL 351 del 04.08.1999 identifica come valore limite il livello fissato in base alle conoscenze scientifiche al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti dannosi sulla salute umana o per l'ambiente nel suo complesso; tale livello deve essere raggiunto entro un dato termine e in seguito non superato.

Il 1° gennaio 2005 sono entrati in vigore i valori limite per le polveri PM

10

. Questi valori si intendono superati se, e solo se, in ciascuna stazione, il numero di superamenti è maggiore a quello indicato dal DM 60 del 2002 (35 per anno).

La riduzione dei margini di tolleranza, in termini di scarto rispetto al valore limite, risulta significativa ai fini del confronto con i livelli di concentrazione degli inquinanti, per verificare che vengano rispettati i valori limite stabiliti dal DM 60 del 2002 entro i termini descritti.

Il DMA 163 del 21.04.1999 individua i criteri ambientali e sanitari in base

ai quali i Sindaci possono applicare misure di limitazione della circolazione

veicolare al fine di ottenere un concreto miglioramento della qualità dell’aria in

ambito urbano. Il DM 163 del 21.04.99 è stato modificato dal DM 60 del 2002

per adeguarlo ai contenuti di tale decreto e del DL 351 del 1999. I Sindaci dei

comuni appartenenti agli agglomerati ed alle zone in cui sussiste il superamento

ovvero il rischio di superamento del valore limite giornaliero per le polveri PM

10

,

possono adottare misure di limitazione della circolazione per determinate

categorie di veicoli. Tali misure possono essere modulate sulla base delle

previsioni di miglioramento o peggioramento dello stato della qualità dell’aria.

(26)

Il DL 351 del 1999 (art. 6, comma 2) fissa i criteri per stabilire dove è obbligatorio il monitoraggio della qualità dell’aria tramite rete fissa. La misurazione è obbligatoria nelle seguenti zone:

a. agglomerati;

b. zone in cui il livello, durante un periodo rappresentativo, è compreso tra il valore limite e la soglia di valutazione superiore stabilita ai sensi dell'articolo 4, comma 3, lettera c;

c. altre zone, dove tali livelli superano il valore limite.

Il DM 60 del 2002, nell’allegato VIII, fornisce indicazioni in merito all’ubicazione su macroscala e microscala dei punti di campionamento per la misurazione in siti fissi dei livelli delle polveri PM

10

. Per quanto riguarda l’ubicazione su macroscala si deve fare riferimento a due parametri: la protezione della salute umana e la protezione della vegetazione. Per quanto riguarda l’ubicazione su microscala, il decreto fornisce, nell’allegato VIII, indicazioni del tutto innovative e da considerare soprattutto nella valutazione del corretto posizionamento di una stazione di misura.

Le polveri respirabili PM

2,5

costituiscono un parametro inquinante sul quale si intende investire, in termini di azioni di monitoraggio, nei prossimi anni, dal momento che ad oggi non è presente sul territorio regionale alcuna stazione adibita al loro controllo. Sono attualmente in corso di esecuzione una serie di studi a livello europeo ed italiano, finalizzati all’individuazione entro l’anno 2005, dei limiti relativi alle concentrazioni in aria di tale inquinante, secondo i tempi ed i modi indicati dalla Direttiva Europea 99/30/CE.

I valori limite di concentrazione di PM

10

per la qualità dell’aria sono stati

stabiliti al European Wide Level dalla prima Daughter Directive (99/30/EC)

durante il Air Quality Framework Directive (96/62/EC). La Daughter Directive ha

imposto che dal 2005 la concentrazione atmosferica media giornaliera, in

massa, di PM

10

non deve mai sorpassare il valore massimo accettato di 50 µm

m

-3

ed impone che la concentrazione media annuale debba essere non

superiore o uguale a 40µm m

-3

. Inoltre, concede 35 giorni all’anno nei quali può

essere sorpassato il valore medio giornaliero di 50 µm m

-3

. Dal 2010 però

questi limiti saranno resi più restrittivi, imponendo una media annuale della

(27)

concentrazione di PM

10

che non superi i 20 µm m

-3

ed il numero di giorni di eccedenza dal limite medio giornaliero dovrà essere ridotto a 7 giorni all’anno.

1.8. LA LEGISLAZIONE DELLA REGIONE TOSCANA SULLE EMISSIONI IN ATMOSFERA

Il controllo delle emissioni in atmosfera, unitamente al monitoraggio della qualità dell’aria, costituisce uno dei momenti conoscitivi fondamentali per l'individuazione delle cause che portano al deterioramento della composizione naturale della bassa atmosfera.

Il controllo delle emissioni consente di valutare l'efficacia delle azioni adottate sui processi produttivi, sulle tecnologie di produzione e/o di abbattimento degli effluenti gassosi, miranti alla riduzione delle pressioni sulla matrice "aria". I controlli alle emissioni sono finalizzati alla:

• verifica del rispetto delle autorizzazioni, di cui al DPR 203 del 1988 e/o dei limiti in emissione, di cui al DM del 12.07.1991 e alla DR 33 del 19.02.1991;

• conoscenza in termini quali-quantitativi delle pressioni in atmosfera in un determinato territorio;

• acquisizione di informazioni sulla correlazione tra i processi produttivi e gli "output "nella matrice aria;

• acquisizione di dati sperimentali per la costruzione di fattori di emissione per determinati settori produttivi;

• valutazione della qualità dell'aria attraverso l'utilizzo di modellistica diffusionale;

• verifica dell'efficacia dei provvedimenti adottati per la riduzione delle emissioni, a seguito di modifiche apportate sui processi produttivi, alle materie prime, ai sistemi di abbattimento degli effluenti, ecc.

La Legge regionale 66/95, che ha istituito l'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, ha individuato le attività di competenza in materia di emissioni in atmosfera e inquinamento dell'aria:

• attività di accertamento tecnico e di controllo, campionamenti,

misure, analisi di laboratorio, elaborazioni e valutazioni

(28)

documentazioni tecniche sulle condizioni ambientali, sulle fonti ed i fattori causali dei fenomeni di inquinamento dell'aria;

• supporto tecnico scientifico, finalizzato alla verifica di compatibilità ambientale ed alle istruttorie relative all'approvazione di progetti ed al rilascio di autorizzazioni in materia di emissioni in atmosfera.

II recepimento della Direttiva quadro 96/62/CE, avvenuto con DL 351 del 04.08.1999, ha stabilito il nuovo contesto in cui dovrà muoversi la valutazione e la gestione della qualità dell'aria, in termini sia di protezione della popolazione che di salvaguardia dell'ambiente nel suo complesso. La conoscenza della qualità dell'aria, basata fino ad oggi esclusivamente sui dati prodotti dal monitoraggio, è ora collocata in una visione integrata, dove le reti rappresentano uno dei tre elementi fondamentali insieme agli inventari delle emissioni e alla modellizzazione dei processi diffusionali e di trasformazione chimica degli inquinanti. Questo obiettivo sarà perseguito mediante l'adozione di strategie comuni per definire un sistema armonizzato di raccolta e diffusione delle informazioni garantendo la prevenzione, l'eliminazione o riduzione dei fenomeni inquinanti.

In questo contesto si inserisce uno degli strumenti fondamentali per la valutazione e gestione della qualità dell'aria a livello locale, l'Inventario Regionale delle Sorgenti di Emissione (IRSE) che permette di avere informazioni dettagliate sulle fonti di inquinamento, la loro localizzazione, la quantità e tipologia di inquinanti emessi e costituendo quindi una chiave di lettura indispensabile per l'impostazione delle attività di pianificazione ambientale.

L'inventario rappresenta anche un'indispensabile base conoscitiva sulle

pressioni che agiscono sul territorio a disaggregazione provinciale e comunale,

fino ad una maglia di 1 km

2

, e consente di effettuare una pianificazione dei

controlli delle emissioni più mirata ed efficace. Gli esiti dei controlli delle

emissioni più significative, possono alimentare la base dati dell'inventario con

dati sperimentali, validando ed incrementando le informazioni esistenti, derivanti

molto spesso da stime basate su fattori di emissione e dati di attività.

(29)

1.9. SCOPO DEL PRESENTE LAVORO

Lo scopo del lavoro è quello di monitorare la qualità e la quantità di polveri fini sulla superficie fogliare di piante presenti in ambito cittadino, in modo tale da verificarne l’incidenza sul ciclo delle micropolveri ed in tal modo trovare una via biologica che, applicata ad altre tecniche in un’ottica di un’azione integrata, possa contribuire a diminuire la concentrazione di queste sostanze nell’atmosfera.

In questo contesto sono state prese in considerazione le alberature cittadine, le quali rappresentano una enorme superficie di impatto su cui queste polveri possono precipitare ed essere adsorbite. Si considera che l’interazione di tipo biologico tra il materiale fogliare e le polveri sia più forte di quella tra le medesime e le superfici inerti. In questo modo è possibile asportare le polveri dall’aria per deposizione ed adsorbimento e, tramite i consueti interventi di potatura, sottrarre al ciclo ambientale queste sostanze, evitando in tal modo che a causa del dilavamento dovuto all’azione battente delle piogge, si disperdano nuovamente nell’atmosfera e ritornino in tal modo potenzialmente inalabili.

A questo scopo è stata svolta una analisi di tipo conoscitivo, effettuata a livello sia qualitativo che quantitativo sulle sostanze chimiche componenti il materiale particolato depositato sulla superficie della sostanza vegetale presente nelle città campione di Livorno, Rosignano e Piombino.

L’analisi qualitativa è stata effettuata tramite la scansione elettronica delle varie particelle di micropolveri presenti sulla superficie fogliare superiore dei campioni vegetali prelevati e si è così ottenuto un dato qualitativo riguardante la composizione chimica delle micropolveri di PM

10

, in modo tale da evidenziare quale elemento potenzialmente dannoso prevalga all’interno delle particelle di PM

10

.

L’analisi di tipo quantitativo è consistita nella determinazione degli

elementi in tracce, in modo tale da trovare una correlazione tra la

concentrazione dei vari elementi chimici presenti sulle foglie e le fonti di

emissione di inquinamento di tipo particellare limitrofe all’area di

campionamento.

(30)

L’area di studio coincide con i tre comuni di Livorno, Rosignano e Piombino, appartenenti alla provincia di Livorno. La scelta di queste tre città dipende dal fatto che le città di Livorno e Piombino, a causa del grande traffico veicolare cittadino e di una area industriale molto sviluppata e presente nelle strette vicinanze del centro cittadino, potrebbero costituire validi esempi di forti emissioni di polveri sottili, evidenziati da frequenti superamenti dei valori soglia, poste in contrapposizione con la città di Rosignano dove, invece, in conseguenza di un’impostazione dell’economia comunale differente, basata soprattutto sul turismo e sull’attività dell’industria della Solvay, dovrebbe rappresentare un esempio di emissioni di micropolveri minori o, comunque, di polveri caratterizzate da una composizione chimica diversa.

1.10. AREA DI STUDIO

All’interno della provincia di Livorno sono state prese in esame le municipalità di Livorno (circa 148.000 abitanti), Rosignano Marittimo (circa 30.000 abitanti) e Piombino (circa 35.000 abitanti). Tutte e tre sono centri molto attivi lungo il Mar Tirreno, caratterizzati da un forte traffico veicolare, una rilevante attività industriale e dalla presenza di centrali termoelettriche.

Il territorio della Provincia di Livorno si estende

per 1212,81 km

2

lungo la costa tirrenica, dai margini

meridionali della piana dell’Arno fino al promontorio di

Piombino, ed è costituito da una sezione di

terraferma e da una insulare. La sezione

continentale, che confina a nord e ad est con la

provincia di Pisa e a sud-est con quella di Grosseto, è prevalentemente

collinare: propaggini meridionali delle Colline Metallifere, Monti Livornesi e rilievi

culminanti nel promontorio di Piombino e nel Monte Calvi; le pianure sono

circoscritte alla zona intorno alla foce del fiume Cecina e al basso corso del

Cornia. La parte insulare è composta dall’Arcipelago Toscano con le isole

d’Elba, Capraia, Gorgona, Pianosa, Montecristo e Formica di Montecristo.

(31)

I settori industriali portanti della Provincia di Livorno sono quello siderurgico, accentrato a Piombino con la produzione di acciaio, ghisa, bande a nastri stagnati, tubi per l’edilizia, e il settore energetico, attualmente del tutto svincolato dall’estrazione mineraria locale, quello delle costruzioni, che assorbe circa il 10% di tutta la popolazione attiva della provincia; quello meccanico nelle sue diverse componenti (meccanica generica, componentistica dell’auto, produzione di macchinario, cantieristica), presente massicciamente a Livorno e, per la piccola cantieristica, a Rosignano e Cecina.

Altri comparti di rilievo sono quello chimico-farmaceutico, che presenta importanti insediamenti a Rosignano ed a Livorno; quello della lavorazione dei minerali non metalliferi, con centri a Livorno e a Collesalvetti, per la raffinazione di petrolio, ma diffuso in molti altri comuni relativamente alla lavorazione di pietra, ghiaie, sabbie; quello della produzione di energia.

Le attività comprese nel settore terziario interessano quasi i sette decimi di tutta la manodopera occupata e originano i tre quarti del prodotto interno lordo.

Nel territorio della Provincia di Livorno sono facilmente riconoscibili due aree con caratteristiche morfologiche e socio-economiche proprie: la parte collinare interna e quella costiera. Quest’ultima presenta un singolare alternarsi di zone a vocazione prettamente industriale, come l’area di Livorno, quella di Rosignano e il polo piombinese, e zone a vocazione prettamente turistica.

I distretti di Livorno, Rosignano e Piombino ospitano gran parte dell’industria pesante toscana, che presenta alti livelli di impatto ambientale, in quanto spazia dai settori chimico e petrolchimico a quello siderurgico e metallurgico.

Livorno è tra le più popolose province toscane, mentre risulta agli ultimi

posti per estensione territoriale. La densità demografica della provincia (276

abitanti km

-2

) è seconda soltanto a quelle di Prato e Pistoia ed è

particolarmente alta nell’area che costeggia il mare. La situazione è piuttosto

variegata ed è rivelabile un’ampia forbice fra la densità dei comuni più isolati,

nell’interno o nelle isole, e quella dei grossi centri industriali e terziari della

pianura costiera. Si passa dai valori minimi di 18, 24 e 32 abitanti km

-2

,

(32)

rispettivamente di Capraia, Sassetta e Suvereto, a quelli massimi di Livorno, Cecina, Marciana Marina, con rispettivamente 1547, 617 e 333 abitanti km

-2

.

Il Comune di Piombino è posto sul promontorio omonimo, capitale di un antico stato, legata da sempre all'industria metallurgica, conserva numerose testimonianze artistiche del suo passato come il centro storico, con il palazzo comunale e il Rivellino, imponente costruzione militare risalente al 1447, il porticciolo mediceo, Piazza Bovio e l’antico porto di Falesia, di cui si ha notizia a partire dal V secolo, che è oggi il più importante porto-passeggeri della Toscana, collegato all’Elba, alla Sardegna, alla Corsica ed alle altre isole dell’Arcipelago Toscano.

La popolazione residente nel comune di Piombino ammonta a 35.000 unità (di cui 16.053 maschi e 17.864 femmine) con una densità per chilometri quadrati: 261,7 (dati Istat 2001).

Il territorio del comune è caratterizzato dalla presenza di un polo industriale di notevoli dimensioni in cui la sola industria siderurgica occupa una superficie di 6.500.000 m

2

che si estende verso il centro urbano della città; zone ampiamente urbanizzate convivono con impianti industriali di rilevante impatto ambientale e di rischio associato alle conseguenze di possibili eventi accidentali. In alcuni quartieri della città è possibile trovarsi ad una distanza di poche centinaia di metri da impianti quali batterie di forni per la produzione di coke, cumuli di stoccaggio di carbon fossile, convertitori per la produzione dell’acciaio e stoccaggi di ossigeno liquido.

La presenza di queste attività industriali ha determinato fino a pochi anni fa la principale fonte di occupazione e di reddito della città e del suo comprensorio e lo sviluppo dell’industria è stato un fattore di maggiore caratterizzazione delle trasformazioni morfologiche del territorio.

Nel corso degli ultimi anni alcuni fattori, quali la crisi europea della

siderurgia, il passaggio dal sistema statale alla gestione privata e l’esigenza di

adeguare gli impianti ai nuovi standard di qualità ambientale introdotti dalla

normativa comunitaria, hanno determinato importanti ristrutturazioni aziendali e

processi di riorganizzazione dell’intero apparato produttivo siderurgico. A ciò si

sono associati episodi di inquinamento atmosferico ed acustico per il

(33)

funzionamento di taluni impianti industriali ormai obsoleti con pesanti disagi nei quartieri più vicini al perimetro industriale.

All’interno del comune di Piombino sono presenti due stazioni di misura della qualità dell’aria che, appartenenti alla rete pubblica della provincia di Livorno, sono state collocate ed attivate nel 2000 e sono situate in Località Cotone, nelle vicinanze del centro urbano di Piombino, a circa 200 metri dalla strada di accesso alla città e 150 metri dal limite dello stabilimento siderurgico Lucchini; la stazione di misura di Viale Unità d’Italia è invece posta all’ingresso del centro urbano di Piombino e sulla strada di accesso alla città, caratterizzata da medio-alto traffico veicolare e nelle adiacenze degli insediamenti industriali.

La stazione di misura di Località Cotone analizza i seguenti inquinanti: PM

10

, CO, NO

2

, NO, mentre quella posta in Viale Unità d’Italia misura PTS, CO, NO

2

, NO. Oltre a queste due stazioni di misura dell’inquinamento atmosferico che fanno parte, come già accennato alla Rete pubblica della provincia di Livorno, sono presenti all’interno del Comune altre 13 stazioni di misura che possono essere classificate, ai sensi del DM del 20/5/91 allegato 1 punto 1.5, come stazioni di monitoraggio per aree industriali, indicate con la lettera I. Queste stazioni appartengono all’ENEL.

Per le postazioni della rete urbana pubblica di Piombino, la Direttiva Europea 97/101/EC porta ad evidenziare la seguente classificazione:

Provincia Comune Ubicazione Tipo di Zona Tipo di Stazione Li Piombino Località Cotone Periferica Industriale Li Piombino Viale Unità d’Italia Urbana Industriale - Traffico

Sono, quindi, presenti sia stazioni situate nell’intorno delle fonti di emissione, che misurano le concentrazioni delle specie di interesse nei previsti punti di massima ricaduta per la fonte emittente, che stazioni di misura situate anche a distanza, per la valutazione di eventuali fenomeni di trasporto delle masse di inquinanti verso zone densamente abitate.

L’andamento della concentrazione delle PTS rilevate nella postazione di

Cotone risulta di notevole importanza a fini conoscitivi dello stato della qualità

dell’ambiente in quanto questa località è situata in un quartiere residenziale di

(34)

Piombino immediatamente a ridosso dell’impianto di distillazione a secco del carbone.

In tale contesto industriale, infatti, le particelle sospese possono veicolare idrocarburi policiclici aromatici (IPA), composti organici notoriamente dotati di spiccata tossicità ed a tal fine in tale postazione viene oggi misurata la frazione delle polveri respirabili PM

10

.

Per la zona di Piombino le particelle sospese rivestono una notevole importanza data la vicinanza degli impianti dello stabilimento siderurgico a ciclo integrale al centro abitato. Il fenomeno che dagli abitanti della città viene definito “spolverino “ è dovuto alla presenza di notevoli quantità di polveri in vaste aree della zone residenziale. Trattandosi, però, di particelle ad elevata granulometria, esse non vengono rilevate dagli analizzatori per le polveri sospese installati nella rete di monitoraggio e per questa ragione la città di Piombino viene ad essere interessata da un vistoso fenomeno di “sporcamento”

da polveri non evidenziato abbastanza dai dati forniti dagli analizzatori automatici. Il fenomeno per essere evidenziato con sistemi oggettivi necessita di rilevazioni specifiche per le poveri sedimentabili (di grossa granulometria) più volte effettuate dall’allora servizio multinazionale di prevenzione della USL 25 (ora servizio sub provinciale ARPAT di Piombino). Tale fenomeno è dovuto al fatto che il ciclo siderurgico prevede l’utilizzo di notevoli quantitativi di materiale pulverulento che si trova all’interno dello stabilimento come materia prima, come sottoprodotto e come rifiuto proveniente dal ciclo di lavorazione.

Nel dicembre del 1998 l’ARPAT ha svolto un lavoro dal titolo “Studio previsionale della ricaduta al suolo di polveri provenienti dalla cokeria e dai carbonili presenti all’interno dello stabilimento siderurgico di Piombino”, nel quale sono state quantificate le emissioni di polveri dovute a questi impianti.

Sulla base dei dati emersi, le emissioni di polveri prodotte dagli impianti siderurgici di Piombino venivano stimate in 687 chilogrammi al giorno per i carbonili e 3.000 per la cokeria. Le principali emissioni diffuse di polveri provenienti dai cumuli di fossile (necessario per la produzione del coke) sono:

• tramoggia di carico dei nastri trasportatori;

• effetto del vento sui nastri trasportatori;

• operazione di messa a parco del fossile;

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• effetto del vento sui cumuli stoccati;

• operazioni di ripresa del fossile per l’invio agli impianti.

Un’altra importante sorgente di emissione di polveri è rappresentata dallo stoccaggio di sottoprodotti e di rifiuti industriali e dalle lavorazioni sussidiarie al ciclo siderurgico della Siderco. La società Siderco svolge lavorazioni sussidiarie al ciclo integrato siderurgico che consistono nel rovesciamento della scoria contenuta nelle siviere provenienti dall’acciaieria e nel successivo tentativo di recupero della parte ferrosa per il riutilizzo in altoforno.

Data la natura delle operazioni svolte e la particolare ubicazione del cantiere, la Siderco contribuisce in maniera significativa alla presenza di polveri in alcune zone della città; le indagini svolte dall’ARPAT nel corso degli ultimi due anni hanno individuato come tali lavorazioni siano la causa dei fenomeni di sedimentazione di polveri nelle zone abitate circostanti, nonché dei superamenti dei livelli di attenzione per le PTS registrati in diverse occasioni dalla centralina posta in Viale Unità d’Italia. L’andamento della concentrazione delle polveri atmosferiche in Viale Unità d’Italia relativo agli anni 2000-2003 è rappresentato in figura 7, mentre l’andamento della concentrazione delle polveri totali sospese relativo agli anni 1982-2003 è rappresentato in figura 8.

Fig. 7 – Media aritmetica delle concentrazioni di Particolato Totale Sospeso negli anni 2000-

2003. Postazione Viale Unità d’Italia. Fonte: Piombino, 1° report sui dati ambientali, anno 2004.

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Per la zona di Piombino, i valori di PM

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registrati nella postazione di Cotone, attivata dall’anno 2000 (figura 9), mostrano una situazione di inquinamento di media entità, anche se tale inquinamento, data la tipologia di insediamenti produttivi presenti nella zona in esame, può assumere un rilevante aspetto igienico-sanitario, dato che le polveri PM

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possono anche essere veicolo degli IPA, che sono composti ad elevata tossicità.

In particolare, nel corso dei mesi di aprile e maggio 2003 ed in coincidenza di particolari condizioni meteorologiche, i valori misurati nella postazione di Cotone hanno fatto registrare con frequenza il superamento delle soglie di attenzione e di allarme fissate dalla Regione Toscana. Sulla scorta di ciò l’amministrazione comunale, di concerto con la Provincia di Livorno, l’ARPAT e l’ASL, ha deciso di effettuare una campagna di monitoraggio in ambito urbano, allo scopo di valutare la rappresentatività delle concentrazioni misurate in località Cotone (ed in prossimità dell’impianto di cokeria).

Fig. 8 – Andamento della concentrazione dal 1982 al 2003 delle polveri totali sospese espresse in microgrammi al metro cubo nel comune di Piombino. Fonte: Piombino, 1° report sui dati

ambientali, anno 2004.

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