1. Introduzione
1.1. L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO: ASPETTI GENERALI
L’inquinamento chimico dell’atmosfera può essere definito (DPR 322 del 15.04.1971) come la presenza di sostanze in misura e condizioni tali da alterarne la salubrità e da costituire pregiudizio diretto o indiretto per la salute dei cittadini e danno ai beni pubblici e privati. E ancora: l’articolo 2 del DPR 203 del 24.05.1988 definisce l’inquinamento atmosferico come “ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria; da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente; alterare le risorse biologiche, gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati”. Il concetto di qualità dell’aria, invece, dipende dal soggetto coinvolto che viene definito bersaglio: una determinata situazione di contaminazione, infatti, può essere pericolosa per le piante, ma non per i manufatti.
Gli inquinanti possono essere suddivisi in primari e secondari: i primi sono attivi nella forma chimica in cui sono liberati (emessi) nell’ambiente (es.
ossidi di azoto e di zolfo, acido fluoridrico); i secondi sono quelli che derivano da reazioni tra primari o tra questi ed i componenti naturalmente presenti (es.
ozono, precipitazioni acide).
La continua evoluzione della chimica dell’atmosfera, dalla nascita della
terra ad oggi, ha permesso il raggiungimento di un equilibrio che sostiene la vita
sul pianeta. I principali costituenti dell’aria, che rappresentano il 99,9% in
volume di essa e la cui concentrazione è rimasta pressoché invariata negli
ultimi millenni, comprendono l’azoto (N
2) al 78%, l’ossigeno (O
2) al 21%, l’argon
(Ar) allo 0,93%. Oltre a questi, sono presenti i cosiddetti “gas in tracce”, in
composizione variabile e comprendenti il biossido ed il monossido di carbonio
(CO
2e CO, rispettivamente), il vapore acqueo [H
2O
(vap)], il neon (Ne), l’elio (He),
il kripton (Kr), lo xeno (Xe), l’idrogeno (H
2), il metano (CH
4), il biossido (NO
2) ed
il monossido (NO) di azoto [indicati complessivamente come (NO
x)], il
protossido di azoto (N
2O), l’ammoniaca (NH
3), il biossido di zolfo (SO
2) e
l’ozono (O
3) (Federici e Axianas, 1984). La loro concentrazione è soggetta a
significative variazioni nel tempo e nello spazio dovute alle emissioni da parte di sorgenti naturali ed antropiche.
Le fonti naturali sono responsabili del rilascio di rilevanti quantità di composti tossici ma, essendo “ben distribuite” ed andando ad interessare aree molto vaste, la loro diluizione è tale da creare solo raramente seri problemi per l’ambiente. Al contrario, quelle antropiche, tipicamente concentrate nelle zone urbane ed industriali, sono correlabili direttamente al fenomeno dell’inquinamento atmosferico. E’ da sottolineare che l’incidenza relativa delle varie fonti è variabile da una situazione all’altra, in dipendenza del periodo stagionale e della peculiarità della zona. L’emissione di inquinanti di origine industriale è stato a lungo al primo posto nella graduatoria, non solo per l’aspetto quantitativo, ma anche perché rappresenta, in genere, una turbativa degli ecosistemi con carattere di continua presenza. Da tempo, sono comunque le aree urbane a costituire i principali elementi di preoccupazione e rischio per la qualità dell’aria. Il riscaldamento domestico rappresenta una sorgente omogenea, producendo, infatti, derivati della combustione di prodotti solidi (carbone e legna), liquidi (gasolio e kerosene) o gassosi (CH
4ed altri idrocarburi), che danno origine principalmente ad NO
xe ad ossidi di zolfo. Oggi, è il traffico veicolare a determinare i più gravi fenomeni di degrado della qualità ambientale. I componenti dei gas di scarico più preoccupanti sono CO, NO
x, idrocarburi incombusti, particolati, sali di cloro e di bromo e, una volta, anche quelli di piombo.
Sono principalmente le fonti di emissione di tipo antropico che, ad oggi,
hanno contribuito a modificare notevolmente l’atmosfera urbana, nella quale è
presente un gran numero di sostanze gassose, vapori e particelle, che
interagiscono tra di loro dando origine a composti tossici, potenzialmente
mutageni e/o cancerogeni.
1.2. IL FENOMENO DELLE POLVERI
È ormai noto che l’aria dei grandi centri urbani è interessata dalla presenza di molteplici inquinanti. Tra questi le polveri sottili rappresentano un argomento di crescente importanza per i possibili effetti sanitari sulla popolazione.
L’interesse suscitato dalle polveri atmosferiche trae origine storicamente dallo studio di fenomeni acuti di smog, nel corso dei quali queste, in combinazione con SO
2, hanno determinato il verificarsi di pesanti conseguenze sulla salute umana. Tra gli avvenimenti più eclatanti si ricordano gli episodi di inquinamento atmosferico manifestatisi negli anni ‘50 a Londra, responsabili di un eccesso di ricoveri ospedalieri per problemi respiratori nella popolazione.
Con il termine di polveri atmosferiche o di materiale particellare, si intende una miscela di particelle solide e liquide, sospese in aria, che varia per caratteristiche dimensionali, composizione e provenienza. Parte di esse sono emesse come tali da sorgenti naturali ed antropiche (cd. "primarie"); parte, invece, derivano da una serie di processi fisici e reazioni chimiche che avvengono nell’atmosfera (cd. "secondarie") (cfr. paragrafo 1.1). Esse vengono definite con i nomi più diversi, tra i quali i più usati sono: PTS (Particolato Totale Sospeso) e PM (dall’inglese "Particulate Matter"). Il PTS è un insieme molto eterogeneo di particelle solide e liquide che, a causa delle ridotte dimensioni, resta in sospensione nell’aria.
Esistono vari sistemi di classificazione del materiale particellare. Le classi vengono suddivise a seconda della dimensione del diametro delle particelle (misurato in micrometri o millimetri), che può variare da un valore minimo di 0,005 µm fino ad un massimo di 100 µm. All’interno di questo intervallo si definiscono:
• grossolane, le particelle con diametro compreso tra 2,5 e 30 µm (paragonabile a quello di un capello umano, che misura 50-100 µm);
• fini, quelle con diametro inferiore a 2,5 µm.
Le prime si originano a seguito di combustioni e per processi meccanici
di erosione e disgregazione dei suoli. Pollini e spore sono in questa classe
dimensionale; le seconde derivano dalle emissioni prodotte dal traffico
veicolare, dalle attività industriali, dagli impianti di produzione di energia elettrica.
Le proprietà fisiche principali del particolato aerodisperso includono: la massa e la sua distribuzione, il numero e la sua distribuzione, l’area superficiale, la forma, l’igroscopicità, la volatilità e la carica elettrica. Ognuna di queste caratteristiche è importante in quanto influisce sulla dinamica delle varie particelle e ciò incide anche sulla possibilità e sui modi in cui queste possano venire a contatto con le vie respiratorie. La taglia delle particelle aerodisperse è molto importante, poiché determina il loro comportamento nell’atmosfera e la loro sorte durante il trasporto, andando a determinare anche in quali parti del tratto respiratorio si vanno a depositare. La maggior parte, a causa della grande inerzia, si deposita nella zona nasale e nel tratto superiore delle vie respiratorie.
Al contrario, quelle più piccole possono seguire il flusso dell’aria nelle regioni più profonde delle vie respiratorie, dove hanno una elevata probabilità di depositarsi per diffusione. La loro composizione determina il modo con cui reagiscono all’interno delle vie respiratorie e le risposte del corpo a queste reazioni. Le particelle di dimensioni più elevate trasportano legate sulla loro superficie (grazie ad interazioni chimiche) elementi di origine crostale; al contrario, le più piccole trasportano alte concentrazioni di elementi in tracce.
Alcune possono agire da trasportatori di sostanze chimiche adsorbite o di gas, che possono fungere da promotori di vari effetti dannosi per la salute umana.
Le particelle più sottili sono prodotte prevalentemente da processi di combustione e da fenomeni fotochimici e, in generale, contengono una miscela di fuliggine, composti organici, acidi condensati, solfati, nitrati, così come metalli in tracce ed altri composti tossici. La maggior parte degli elementi in tracce non sono volatili, ma, se associati con le polveri ultrafini, sono sottoposti ad un trasporto atmosferico di lungo raggio e, essendo in queste condizioni meno inclini a trasformazioni chimiche, rimangono nella forma nella quale sono stati emessi.
Il PM
10ed il PM
2,5sono definiti come materiale particolato con un
diametro aerodinamico medio inferiore rispettivamente a 10 e 2,5 µm, sebbene
spesso non abbia una forma sferica. Per diametro si intende, quindi, quello
equivalente, detto anche aerodinamico, definito come il diametro di una
particella sferica con una densità di 1 g·cm
-3, ma con una velocità di sedimentazione uguale a quella in questione. La velocità di deposizione delle polveri fini in atmosfera, e quindi il loro tempo di permanenza nell’ambiente, è direttamente correlato al loro diametro aerodinamico.
1.3. FENOMENI DI FORMAZIONE ALLA BASE DELLA GENERAZIONE DELLE POLVERI E LE LORO FONTI DI EMISSIONE
1.3.1. I fenomeni di formazione
Whitby (1978) ha pubblicato un’analisi svolta su circa 1.000 particelle di varie
dimensioni misurate in numerose località degli Stati Uniti. La figura 1 mostra la
distribuzione numerica, dell’area superficiale e volumetrica delle particelle
rispetto a quella di taglia media. Il volume, l’area superficiale e la distribuzione
numerica sono tracciate su di una scala aritmetica, tale che, in ogni specifico
intervallo di dimensioni siano proporzionali alla corrispondente area sottesa
dalla curva. Queste distribuzioni mostrano che la maggior parte delle particelle
sono abbastanza piccole, al di sotto di 0,1 µm; mentre gran parte del volume
delle particelle (e perciò la maggior parte della massa) si trova nelle particelle
maggiore di 0,1 µm. Whitby (1978) ha osservato anche che la distribuzione
della taglia delle particelle presenta tre picchi che chiama “modi”. L’intera
distribuzione dimensionale potrebbe essere ben rappresentata da un modello
trimodale che consiste in tre distribuzioni additive log-normali. Il modo con un
picco con diametro tra 5 e 30 µm, prodotto da processi meccanici, è stato
chiamato il modo delle particelle grossolane; esso, per composizione e
generazione, risulta molto diverso dagli altri, in quanto è il risultato dei fenomeni
meteorologici, quali pioggia e vento, e di fenomeni naturali, quali le eruzioni
vulcaniche o la generazione dalla superficie del mare; in esso sono pure
presenti gli aerosol di origine vegetale, come le spore ed i pollini. Inoltre, vi è
una componente da risospensione dal terreno, che può essere generata da
fenomeni sia atmosferici che connessi alle attività umane, quali cantieri e
traffico urbano.
Il modo di formazione delle polveri con picco tra 0,15 e 0,5 µm, derivante da condensazione e coagulazione, è stato denominato “modo di accumulazione” ed è il risultato dell’unione di aerosol di dimensioni più piccole e/o processi di accrescimento dovuti, per esempio, ad assorbimento di acqua da parte del particolato igroscopico. In tale intervallo di dimensioni, i fenomeni di rimozione (per diffusione ed impatto) hanno limitata efficienza; pertanto, la maggiore forma è rappresentata dal dilavamento atmosferico (wash-out e rain- out).
Il modo con un picco tra 0,015 e 0,04 µm, la cui taglia è influenzata dalla nucleazione e anche dalla condensazione e dalla coagulazione, è chiamato transient nuclei o campo dei nuclei Aitken, successivamente abbreviato in
“modo dei nuclei”. L’accumulazione e il modo dei nuclei presi insieme identificano le particelle sottili. Esse sono prodotte dalla condensazione di vapori caldi e di gas aventi bassa volatilità ed è formato da particelle primarie che si legano per coagulazione tra esse. Quelle che compongono il modo dei nuclei sono generate prevalentemente da processi ad alta temperatura.
Una sperimentale distribuzione dimensionale, che evidenzia i modi ed i
meccanismi di formazione, è data nella figura 2, in cui la distribuzione
dimensionale è stata misurata nel traffico urbano.
Fig. 1 - Distribuzione dei tre modi delle particelle grossolane (c), dell’accumulazione (a) e dei nuclei (n) in base a tre caratteristiche: a) numero, N; b) area superficiale, s; c) volume, V. DGV
= diametro geometrico medio rispetto al volume, DGS = diametro geometrico medio rispetto all’area superficiale, DGN = diametro geometrico medio rispetto al numero, D
P= Diametro delle
particelle. Fonte: Environmental Protection Agency, USA
.Fig. 2 - Una idealizzata distribuzione dimensionale che potrebbe essere visualizzata nel traffico veicolare che mostra le particelle fini, le particelle grossolane, la nucleazione, l’Aitken e il modo
di accumulazione che comprende le polveri sottili. Sono inoltre mostrati i meccanismi di
formazione dei modi principali. Fonte: Environmental Protection Agency, USA.
1.3.2. Le sorgenti
Le più importanti sorgenti naturali sono: aerosol marino, risollevamento e trasporto da parte del vento di materiale litico, aerosol biogenico (spore, pollini, frammenti vegetali), eruzioni vulcaniche e geotermiche, incendi boschivi, emanazioni gassose da parte di vegetali (emissione di idrocarburi) e metabolismo microbico.
Le più rilevanti fonti antropiche sono emissioni prodotte dal traffico veicolare, da altri macchinari (attrezzature edili e agricole, aeroplani, treni, navi), processi di combustione di carbone ed oli (centrali termoelettriche, impianti di riscaldamento civili), legno, rifiuti, processi industriali (cementifici, fonderie, miniere), combustione di residui agricoli ed inceneritori di rifiuti.
La concentrazione di fondo di PM è solitamente definita come la distribuzione delle concentrazioni che si osserverebbe in assenza di emissioni antropiche di particelle primarie e di quelle che precorrono la formazione delle secondarie, quali COV, NO
xed SO
2. Come termine di paragone, si pensi che l'intervallo atteso per le concentrazioni naturali di fondo su base annuale varia da 4 µg m
-3a 11 µg m
-3per il PM
10, e da 1 µg m
-3a 5 µg m
-3per il PM
2,5, nei luoghi remoti del Nord America.
La figura 3 mostra la media assoluta annuale delle concentrazioni dei
principali componenti dell’aerosol in: a) PM
10, b) PM
2,5, c) PM
10-Pm
2,5(i valori
numerici possono essere scaricati dal sito: http://ccu.ei.Jrc.it/ccu.).
Fig. 3 - Media assoluta annuale delle concentrazioni dei principali componenti dell’aerosol (dove BC = Black carbon, OM = Sostanza organica, min. dust = polvere di origine minerale,
seasalt = sale di origine marina). Fonte: Joint Research Centre, European Commission.
1.4. L’ESPOSIZIONE ALLE POLVERI
L’esposizione è la concentrazione di sostanza particolata con specifiche caratteristiche che esiste nell’area in cui un individuo respira l’aria circostante in un determinato periodo di tempo. Questo sta a significare che la concentrazione di PM inalata da una comunità non è necessariamente la stessa che viene misurata nelle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria. Le ragioni di questo fenomeno sono diverse. Le persone sono normalmente esposte al PM proveniente da svariati tipi di sorgenti, che possono essere divise in categorie:
1. primarie, come traffico veicolare ed emissione delle industrie; il vento trasporta le polveri derivanti dal suolo e da sorgenti secondarie, così come il PM prodotto da reazioni fisico-chimiche;
2. luoghi di lavoro, che coprono un largo numero di attività; possono esserci ben specifici tipi di PM associati con la natura dei materiali utilizzati durante l’azione lavorativa;
3. abitudini personali ed attività, che includono l’uso di tabacco o come quelle quotidiane di pulizia.
La quantità di “nuvola” di inquinante per ogni individuo è correlata, quindi, con il suo livello di attività e per il PM
10può essere dell’ordine di 50 µg·m
-3per quelle persone che sono molto attive. In contrasto, le persone malate o anziane, per il fatto che sono molto meno attive, generano una molto più bassa
“nuvola” personale. Per il PM
2,5la nuvola personale dei non fumatori è molto meno pronunciata, dell’ordine di 0 – 7 µg m
-3(Jantunen et al., 1999).
Una volta emesse, il PM
10può rimanere in sospensione nell’aria per circa
12 ore, mentre le particelle aventi diametro pari ad 1 µm rimangono in
circolazione per circa un mese. Questa è una delle caratteristiche che rende le
polveri inalabili e respirabili particolarmente insidiose per la salute dell’uomo. Gli
elevati livelli di PM
10che si manifestano di frequente nell’aria delle grandi città
possono incrementare il numero e la gravità degli attacchi di asma, causare od
aggravare bronchiti ed altre malattie dei polmoni e ridurre la capacità
dell’organismo di combattere le infezioni. Le persone maggiormente vulnerabili
sono i bambini, gli anziani e chiunque svolga intensa attività fisica all’aperto,
nonché le persone sofferenti di asma e bronchiti.
Le fonti urbane di emissione del PM
10sono principalmente due: i trasporti su gomma e gli impianti di riscaldamento civili. Sono, invece, sempre meno presenti, all’interno delle aree urbane, sorgenti di inquinamento industriali. I contaminanti emessi da camini di altezza elevata possono, tuttavia, essere trasportati dagli agenti meteorologici anche su grandi distanze. Parte dell’inquinamento "di fondo" riscontrato in una determinata città può, dunque, provenire da un’industria situata a diversi chilometri di distanza dal centro urbano.
Tutti i mezzi di trasporto emettono polveri fini. In ogni caso, i veicoli diesel, sia leggeri sia pesanti, emettono un quantitativo di polveri, per chilometro percorso, maggiore rispetto a quelli a benzina, riconosciuti comunque responsabili della produzione di piccole quantità di questo inquinante. Le emissioni sono in parte attribuibili anche all’usura di freni e pneumatici e al risollevamento di polvere presente sulla carreggiata.
Gli impianti di riscaldamento civile possono emettere polveri, in particolare, quelli alimentati a gasolio, olio combustibile, carbone o legname.
Sembrano, invece, trascurabili le emissioni dagli impianti alimentati a metano.
A partire dagli anni ’70, in tutti i paesi industrializzati il numero di veicoli in circolazione è andato incontro ad una crescita costante. Attraverso l’emissione di polveri fini, CO, NO
xe COV, le automobili e gli altri mezzi di trasporto stradali contribuiscono in misura preponderante a determinare una scarsa qualità dell’aria nei centri urbani. La limitazione dei livelli di concentrazione delle polveri nelle nostre città non può che avvenire attraverso la riduzione dell’inquinamento da traffico veicolare. Diverse sono le soluzioni che si possono adottare. Alcune, elencate di seguito, presentano caratteristiche di innovazione tecnologica, altre di "educazione" ad un uso alternativo del mezzo di trasporto privato:
• incentivazione di forme alternative di mobilità urbana, come il trasporto pubblico, il car-pooling (condivisione del mezzo privato da parte di più passeggeri) e l’uso della bicicletta;
• riduzione delle emissioni per chilometro di strada percorso,
attraverso l’impiego di veicoli e di carburanti più puliti;
• utilizzo di mezzi di trasporto elettrici e di autoveicoli più piccoli e leggeri, in modo da ridurre il consumo di carburante e, dunque, le emissioni di natura inquinante;
• contenimento delle polveri risollevate dalla carreggiata attraverso un frequente lavaggio delle strade, specie durante i periodi nei quali le concentrazioni in aria sono più elevate e le precipitazioni piovose scarse;
• controllo periodico delle emissioni dallo scarico dell’automobile per CO, NO
xed idrocarburi, inquinanti che partecipano alla formazione delle particelle secondarie.
1.5. ASPETTI SANITARI
L’esposizione all’inquinamento ambientale causato dal PM
10è stato legato a numerosi casi di malattie, che partono da variazioni transitorie della funzionalità dell’apparato respiratorio ed indebolimento della funzione polmonare, continuando con una diminuzione delle attività, una ridotta performance ed un aumento dei ricoveri ospedalieri e dei decessi. C’è, inoltre, un evidente aumento dei danni causati dall’inquinamento, non solo sul sistema respiratorio ma anche in quello cardiovascolare.
Tra gli studi di breve periodo sugli effetti del particolato atmosferico sulla mortalità ricordiamo quello di Schwartz e Dockery (1992) effettuato in Steubenville (OH), che ha evidenziato un aumento del 6% nelle morti giornaliere in conseguenza di un incremento della concentrazione giornaliera di PTS da 36 µg m
-3a 209 µg m
-3. Una simile osservazione è stata effettuata da Dockery e Pope (1994), che hanno evidenziato un aumento dell’1% della mortalità totale, dell’1,4% di quella per cause cardiovascolari e del 3,5% di quella per cause respiratorie per un aumento giornaliero di 10 µg m
-3di PM
10. Questi risultati sono stati successivamente replicati in Cina (Xu et al., 1994), Parigi (Dab et al., 1996), Atene (Touloumi et al., 1996), Koln (Spix e Wichmann 1996).
Le varie proprietà fisico-chimiche del PM influiscono in quanto scatenano
diverse risposte biologiche (tabelle 1 e 2).
La deposizione in massa dell’aerosol nelle regioni dell’apparato respiratorio può essere valutata tramite il modello proposto dall’International Commission on Radiological Protection (ICRP), relativo alla deposizione dell’aerosol radioattivo, utilizzando i parametri modali (diametro medio in massa, deviazione standard geometrica e concentrazione in massa per ogni modo) dello spettro granulometrico dell’aerosol. Il modello suddivide il tratto respiratorio in due regioni extratoraciche, quella delle vie aeree nasali anteriori (ET1) e quella delle vie aeree nasali posteriori con il tratto faringe-laringe (ET2), ed in tre regioni toraciche quali la regione bronchiale (BB), bronchiolare (bb) e alveolare ed interstiziale (AI).
Tab. 1 – Correnti ipotesi di alcune proprietà fisico-chimiche di PM legate alla risposta biologica.
Concentrazione Conseguenze sulla salute Risposta biologica Taglia delle
particelle
Associazione con danni alla salute legata alla dimensione delle particelle (fini,
grossolane, ultra fini)
Varie risposte biologiche a seconda della taglia Metalli Effetti derivati dalla lavorazione dell’acciaio
legato ai metalli Effetti legati ai metalli Acidità Alcune evidenze di associazione tra ione H
+e disturbi di salute Varie risposte biologiche Composti organici Associazione del PM con possibilità di
cancro ai polmoni dovuto alle proprietà carcinogene dei composti organici
Appurate conseguenze mutagene e carcinogene PM organogeno Possibile associazione a malattie Generalmente
allergenici Solfati/Sali di Nitrato Associazione ad alcune malattie legate con
H
+Non molto tossici a basse concentrazioni
Perossidi ? Alti livelli possono
provocare gravi danni biologici Carbonio
elementare (fuliggine)
? Mutageno, carcinogeno,
irritante
Tab. 2 – Importanti effetti sanitari associati all’esposizione al PM
10. Effetti legati ad esposizione
di breve periodo Effetti legati ad esposizione di lungo periodo Reazioni infiammatorie dei
polmoni Aumento dei sintomi di cali respiratori Sintomi di difficoltà respiratorie Riduzione della funzione polmonare dei bambini
Effetti avversi del sistema
cardiovascolare Aumento delle affezioni ostruttive croniche polmonari Aumento dell’impiego di
medicinali Riduzione nella funzione polmonare negli adulti Aumento dei ricoveri
ospedalieri Aumento della mortalità
Riduzione della speranza di vita dovuta principalmente a
cancro al polmone e mortalità per malattie cardio-polmonari
La conoscenza dell’aerosol depositato nelle varie regioni, in funzione della granulometria associata alla corrispondente informazione tossicologica, costituisce la base indispensabile per una corretta valutazione di rischio sanitario. La parte derivata dalla nucleazione si deposita principalmente nella regione alveolare, mentre quella relativa al modo del particolato grossolano interessa essenzialmente le vie aeree superiori. L’aerosol legato al modo di accumulazione risulta maggiore di quello dovuto al modo di nucleazione, perché generalmente la concentrazione in aria di massa del modo di accumulazione è maggiore rispetto a quella del modo di nucleazione. In media quasi il 90% della deposizione in massa in zona alveolare è dovuta a particelle inferiori a 2,5 µm. Per quanto riguarda l’aerosol legato al modo del particolato grossolano, seppur caratterizzato da diametri sempre superiori ai 3-4 µm, la massa depositata nella regione alveolare risulta in media del 10%. Il parametro PM
10, a parità di rateo di ventilazione e di esposizione, non è correlato alla massa totale depositata nell’albero respiratorio.
Le particelle che sono comprese nella denominazione di PM
10possono, quindi, raggiungere la parte superiore delle vie respiratorie e dei polmoni. La figura 4 mostra schematicamente dove le particelle, all’interno delle vie respiratorie, si depositano, a seconda della loro dimensione. Inoltre, come si desume dalla figura 5, le particelle più piccole (in particolare il PM
2,5) penetrano più in profondità nei polmoni e possono raggiungere la zona alveolare. In termini di massa, le particelle ultrafini contribuiscono poco alla massa del PM
10, ma da un punto di vista sanitario sono molto importanti perché la maggior parte di esse ha una grande area superficiale.
Due sono i modelli di deposizione polmonare delle micropolveri che sono
comunemente utilizzati: quelli di Yen e Schum (1980) e di Yu e Diu (1982). Essi
rappresentano il tratto respiratorio come un reticolato a decadimento multiplo,
dove ogni generazione è caratterizzata dal numero delle vie respiratorie e dalla
loro lunghezza e diametro. La deposizione delle particelle in ogni generazione è
calcolata da formule deterministiche che dipendono dalla deposizione
gravitazionale, dall’impatto, e dalla diffusione. La variazione interindividuale
della struttura delle vie respiratorie porta ad una variabilità nei modelli che è
stata presa in considerazione includendo due scale di fattori casuali (uno per la
regione tracheo-bronchiale e uno per quella alveolare). E’ stato dimostrato che la dimensione delle vie respiratorie è il fattore che prevalentemente influisce sulla variabilità interindividuale della deposizione totale o parziale in condizioni di respirazione normali.
La dose è la quantità di agente che entra all’interno di un bersaglio biologico in uno specifico intervallo di tempo. Quella assunta è invece la quantità di agente direttamente in contatto con le barriere assorbenti, come ad esempio la pelle o i tratti respiratori ed il tratto gastrointestinale. In termini generali, dipende dall’esposizione agli inquinanti presenti nell’aria e da fattori di dosimetria. Essi caratterizzano quanto dell’inquinante presente nell’aria, penetra all’interno del corpo ed è adsorbito dagli organi; ciò dipende dalla concentrazione esterna, da quella inalata, adsorbita, dal peso medio corporeo, dal tempo di vita media, dall’area superficiale regionale dei polmoni, dal tipo di respirazione, dal sesso e dall’età. La dose è una funzione dell’esposizione e dei fattori di dosimetria e quantifica la quantità di sostanza disponibile per interferire con i processi metabolici. Quella somministrata è la quantità di inquinante o di suoi metaboliti depositata all’interno dell’organismo che raggiunge le cellule bersaglio.
Fig. 4 - Teorica deposizione delle particelle inalate nel tratto respiratorio a seconda delle loro
dimensioni. Fonte: “Health aspect of air pollution” da WHO project “Systematic review of health
Fig. 5 – Valori del diametro dei vari tratti respiratori
La concentrazione di sostanze chimiche nell’aria inalata in forma particolata è espressa come segue (Liu, 1994):
BWxAt
FD xRFxFTxFFx xP
xIR D
p= C
p a adove D
pè la dose inalata di particelle sospese [mg (kg giorni
-1)], C
pè la loro concentrazione chimica (mg·mg
-1), IR
aè la quota inalata (m
3h
-1), P
aè la concentrazione della particella nell’aria (mg m
-3), RF è la quantità respirabile (dimensionale), EF è la frequenza di esposizione (giorni anno
-1), ED è la durata dell’esposizione (anni), BW è il peso corporeo (kg), At è il tempo di copertura (giorni).
Le PM
10sono denominate anche polveri inalabili, in quanto sono in grado di penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (dal naso alla laringe);
Le PM
2,5sono, invece, dette polveri respirabili, in quanto sono in grado di
penetrare nel tratto inferiore dell’apparato respiratorio (dalla trachea sino agli alveoli polmonari).
In generale, sono le particelle con diametro inferiore a 5-6 µm quelle in grado di depositarsi nel tratto polmonare (bronchioli respiratori ed alveoli) e di provocare infiammazioni, fibrosi e neoplasie. Le particelle che si depositano nel tratto respiratorio superiore o extratoracico (cavità nasali, faringe e laringe) possono causare effetti irritativi, quali secchezza ed infiammazione di naso e gola. Le particelle che si depositano nel tratto tracheobronchiale (trachea, bronchi e bronchioli più grandi) possono invece provocare costrizioni bronchiali, aggravare malattie respiratorie croniche (asma, bronchite, enfisema) ed eventualmente indurre neoplasie.
La pericolosità del PM
10deriva principalmente dal fatto che sono costituite da una miscela di sostanze che includono:
• elementi, quali il carbonio, il piombo, il nichel;
• composti, come i nitrati, i solfati o COV;
• miscele complesse, come particelle di suolo o gli scarichi dei veicoli diesel.
I PM
2,5(che compongono la classe di diametro atmosferico quantitativamente più numerosa all’interno del PM
10) risultano, a loro volta, potenzialmente pericolose per la presenza di un certo numero di sostanze:
• i solfati prodotti dalle emissioni di SO
2sono di natura acida e possono reagire direttamente con i polmoni;
• gli ossidi di carbonio prodotti durante la combustione della benzina possono catturare sostanze chimiche cancerogene come il benzo(a)pirene [appartiene alla famiglia degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), i quali sono stati identificati nei gas di scarico dei motori diesel; si sospetta che l’effetto sull’uomo, per un’esposizione di lungo periodo, consista nell’insorgenza del carcinoma bronchiale]
e consentirgli il libero accesso all’interno dei polmoni;
• metalli tossici, quali piombo, cadmio e nichel in concentrazioni
maggiori nella frazione PM
2,5rispetto al particellato di dimensioni
maggiori.
Per quanto riguarda il particolato frazionato, è stato evidenziato come l’attività mutagena nelle diverse frazioni granulometriche aumenti al diminuire delle dimensioni delle particelle. Il 66% dell’attività mutagena, deputata alle micropolveri, è associato al particolato di dimensioni inferiori a 0,7 µm e l’85%
alla frazione inferiore a 1,1 µm, e si è riscontrata una buona correlazione fra l’attività mutagena del particolato a granulometria inferiore a 1,1 µm e la corrispondente concentrazione in massa. Invece, l’attività mutagena delle frazioni più grossolane, maggiori di 1,1 µm, non risulta correlata con la rispettiva concentrazione in aria. Ciò è causato dal fatto che il particolato più fine, composto in massima parte da particelle carboniose derivate da processi di combustione, presenta quantità più significative di sostanze mutagene.
La quantificazione degli effetti sulla salute è quindi diventata di
fondamentale importanza per lo sviluppo di una politica relativa alla qualità
dell’aria. Per queste analisi è importante avere informazioni riguardanti la
relazione tra il livello di inquinamento dell’aria e gli effetti sulla salute. In questa
ottica, è stata condotta a livello europeo una analisi quantitativa per ottenere
stime riguardanti la relazione tra gli inquinanti e gli effetti sulla salute. Usando
dati provenienti da molte città europee, viene confermata statisticamente una
significante relazione tra la mortalità ed i livelli di PM ed altri inquinanti. Alcuni
risultati di questo tipo di analisi sono rappresentate nella figura 6.
Fig. 6 – Riassunto delle stime del rischio di mortalità a seconda delle concentrazioni degli inquinanti. Fonte: “Health aspect of air pollution” da WHO project “Systematic review of health
aspects of air pollution in Europe”.
Il rischio di morte legato alle concentrazioni degli inquinanti che è stato stimato da questo studio è stato anche utilizzato nel WHO Global Burden of Disease Project. Questo progetto stima che l’esposizione al PM
10e al PM
2,5dell’atmosfera porta a circa 100.000 morti e 725.000 anni di vita persi ogni anno in Europa.
1.6. IL RUOLO DELLE PIANTE NEL CICLO DELLE MICROPOLVERI
Il rapporto tra piante e inquinamento comprende diverse situazioni:
1. le piante come “vittime” dell’inquinamento: le prestazioni produttive delle piante che crescono in un ambiente inquinato sono ridotte, in termini sia quantitativi che qualitativi, rispetto a quelle di analoghi individui non esposti agli inquinanti;
2. le piante come “spie” dell’inquinamento: è possibile valutare la
presenza di determinate situazioni di contaminazione sulla base
delle risposte di idonee piante “indicatrici”;
3. le piante come agenti di detossificazione ambientale: i vegetali sottraggono dall’aria inquinanti gassosi e particolati con processi di assorbimento ed adsorbimento;
4. le piante come veicolo di inserimento di sostanze tossiche nella catena alimentare; diretta conseguenza del punto precedente è il fenomeno dell’accumulo di inquinanti persistenti (es. metalli pesanti) nei tessuti vegetali e la successiva ingestione da parte degli animali erbivori;
5. le piante come “produttori” di inquinanti, come nel caso degli idrocarburi volatili emessi dalle foglie di conifere e latifoglie.
La vegetazione urbana gioca un ruolo importante all’interno della problematica della qualità dell’aria cittadina. Essa infatti, ne facilita lo scambio di quella delle aree attorno alla città con quella presente nel centro urbano e migliora, inoltre, il clima aumentando l’umidità in città, diminuendo gli effetti del riscaldamento e filtrando le particelle di polvere dall’aria (stime relative all’importanza della vegetazione urbana nell’abbattimento dell’inquinamento da polveri eseguite nella città di Chicago indicano che circa 6.000 tonnellate di inquinanti sono state asportate dall’atmosfera nell’arco di un anno, corrispondendo ad un valore economico di più di 9 milioni di dollari). Le piante all’interno dell’ambito cittadino, inoltre, possono essere utilizzate per il monitoraggio dell’inquinamento dell’aria, tramite l’analisi della deposizione delle particelle aerosospese al di sopra della loro superficie fogliare. Questo tipo di indagine è definito “biomonitoraggio” e viene generalmente eseguito su muschi e licheni grazie alla loro nota caratteristica di accumulatori di metalli pesanti, ma dall’inizio degli anni ’50 si è iniziato ad utilizzare anche le foglie e la corteccia delle piante superiori. Queste si sono evolute per massimizzare l’intercettazione della luce e l’assimilazione di CO
2e, come conseguenza, esse sono recettori di inquinanti molto efficienti (l’indice di area fogliare è dodici volte superiore alla superficie di terreno coperta dalla chioma).
La deposizione del particolato dall’atmosfera può avvenire tramite deposizione:
• umida di ioni e particelle attraverso la pioggia;
• occulta di ioni e particelle attraverso la nebbia e la rugiada;
• secca delle particelle e dei gas sulle foglie.
La quantità di polveri depositata sulla superficie delle foglie varia sensibilmente con il tempo, in conseguenza degli alti valori accumulati durante l’estate e dipende da numerosi fattori, tra cui la direzione e la velocità del vento, la pioggia, la concentrazione di polvere nell’atmosfera, le caratteristiche della superficie e le tessitura delle foglie, nonché la capacità degli stomi di assorbire gli inquinanti. La maggiore quantità di polveri si riscontra negli strati fogliari più bassi rispetto a quelli più alti, a causa del dilavamento delle foglie durante le precipitazioni piovose.
Il magnetismo ambientale è un utile strumento attraverso il quale può essere effettuato il biomonitoraggio dell’inquinamento atmosferico. Le sferule di magnetite, infatti, sono state osservate sulle polveri depositatesi sulle foglie vicine ai centri di emissione di inquinanti. Le sostanze particolate derivanti dagli scarichi veicolari includono magnetite nei granelli delle dimensioni di 0,3-3 µm;
inoltre uno studio effettuato in Germania sul particolato aerodisperso evidenzia
che i minerali magnetici primari derivanti dalla combustione veicolare erano
maghemite e ioni metallici, nei granuli di taglia di 0,1–0,7 µm. Questa
dimensione granulare è particolarmente dannosa per l’uomo, a causa della
facilità con cui può essere inalata. In più nell’aerosol, la magnetite è associata a
metalli pesanti, come zinco, cadmio, cromo, ed a composti organici mutageni,
anch’essi dannosi per la salute umana. Risultati di analisi mutageniche e
chimiche indicano, infatti, che il particolato inalabile è largamente composto da
particelle fini (<0,5 µm), le quali danno un maggiore contributo alla mutagenicià
dell’aria in quanto i metalli pesanti sono più abbondanti su quelle con diametro
aerodinamico minore di 1,5 µm, che contengono la maggior quantità di
sostanze mutagene e carcinogene sia organiche che inorganiche. Nell’aerosol,
gli elementi minerali aventi carica magnetica derivano da processi di
combustione, come emissioni industriali, domestiche o veicolari, o provengono
dall’abrasione causata dall’asfalto e dai sistemi frenanti dei veicoli. Le particelle
magnetiche fini, a seconda del tipo di combustibile e della temperatura di
combustione, consistono di sferule e granelli di forma irregolare che
contengono una quantità variabile in numero di grani ed in dimensioni di
magnetite ed ematite. Le piante, grazie alla grande area superficiale delle foglie
per unità di peso (LAI = Leaf Area Index) e al loro lungo ciclo vitale, sono considerate buone accumulatrici e quindi adatte per il biomonitoraggio. Inoltre, il principale vantaggio che le formazioni vegetali presentano come bioindicatori è che sono molto diffuse anche in ambito cittadino e che provvedono ad una ampia densità di punti di campionamento, permettendo così di costruire mappe di inquinamento ad alta risoluzione nelle aree urbane. Ci sono diversi fattori che possono influenzare la capacità delle foglie di trattenere le fini particelle atmosferiche. Tra questi si ricorda la durata dell’esposizione, la superficie, la loro tessitura e la capacità degli stomi di assorbire gli inquinanti. Quelle esterne alla chioma, avendo una superficie larga e rugosa, sembrano molto efficienti. La durata dell’esposizione sembra essere il fattore principale per valutare l’intensità della suscettibilità magnetica, infatti le specie sempreverdi mostrano un livello maggiore rispetto alle piante decidue, considerando valori di umidità e sostanza secca costanti.
1.7 NORMATIVA IN MATERIA DI LIVELLI DI CONCENTRAZIONE CRITICA DELLE POLVERI
La tabella 3 riporta i valori limite per il PM
10stabiliti a livello europeo. Le linee- guida del WHO non riportano alcun livello target, in quanto ritenuto che nessuna concentrazione sia da considerare priva di effetti negativi.
Tab. 3 - Valori limite stabiliti a livello europeo per l’inquinamento da PM
10. Valore Medio (in µg·m
-3) Massimo nelle 24 h Annuale
dal 2005 50
b40
EU
adal 2010 50
c20
IMM
d30 15
a