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I LUOGHI COMUNI ANTIDOTI ALLA COMPLESSITÀ DEL MONDO

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Capitolo Quinto

Q UI AUGET SCENTIAM AUGET DOLOREM .

I LUOGHI COMUNI ANTIDOTI ALLA COMPLESSITÀ DEL MONDO

«Cosa si obietta ad un luogo comune? Come rispondiamo ad un tale che presumiamo essere uno stupido? Non siamo in qualche modo costretti, nonostante sia saltato il contratto di veridizione, a continuare a tenerlo in considerazione, non foss’altro che per mantenere in vita un minimo civile di intersoggettività?»

M

ARRONE

G

IANFRANCO

, Il telo di Pangloss. Linguaggio, lingue e testi

«Quando la levatrice afferma che ‘il denaro non fa la felicità’ e il venditore di frattaglie le risponde con una certa astuzia che

‘però vi contribuisce’, questi due auguri hanno il presentimento infallibile di comunicarsi in questo modo segreti preziosi, di svelarsi a vicenda arcani di vita eterna, e il loro atteggiamento corrisponde all’importanza inesprimibile di quel mutuo scambio».

L

ÉON

B

LOY

, Esegesi dei luoghi comuni

«You think you are combating prejudice, but you are at war with nature».

E

DMUND

B

URKE

, Reflections on the French Revolution

1. Una riabilitazione dei luoghi comuni: il girello e l’avvio nel mondo

Alla domanda perché non possiamo liberarci dai luoghi comuni, perché essi

fanno parte della normalità nei nostri giorni, nelle nostre azioni, nelle relazioni,

molte risposte sono già state date lungo questo percorso, risposte che si sono

costruite a partire da una molteplicità di aspetti e di punti di vista: dalla

riflessione sul rapporto che i luoghi comuni hanno con natura e cultura, dalla

riflessione su relazioni tra individui e ambiente, dal tentativo di comprendere il

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pensiero umano con gli occhi di Mary Douglas e Kant, dalla connessione con i pregiudizi, dalla risposta a molti altri dubbi congiunti, ecc. Tuttavia il discorso non si può ancora chiudere perché è rimasto ancora qualcosa su cui ragionare.

Qualcosa di diverso che va ricavato da quelle stesse risposte, dal loro riflesso.

L’operazione consiste nel ruotare lo sguardo e chiedersi: su quale materiale è possibile costituire una difesa e quindi una riabilitazione dei luoghi comuni?

1

. Così, a partire da quanto è stato detto fino ad ora, si inizierà ad esplorare un’area nuova, a tracciare nuovi e sostanziali contorni, per attutire definitivamente la loro assoluta condanna. Parto, come esempio, da banali situazioni: stiamo camminando lungo una strada quasi deserta, magari di notte, e ad un tratto qualcuno appare da lontano e viene proprio verso di noi; oppure siamo in una sala d’aspetto, soli con una persona che non abbiamo mai visto;

nostro zio, nonostante le difficoltà economiche, ci mostra con orgoglio il regalo che ha fatto a suo figlio per il compleanno: un paio di scarpe costosissime all’ultima moda; oppure, tutti attorno a noi discutono su qualcosa che non conosciamo bene ma ci sentiamo poco sociali a non partecipare al dibattito. Cosa accade nei nostri pensieri?

Abbiamo a che fare con differenti situazioni alle quali risponderemo in differenti modi avvalendoci, però, di uno ‘strumento’ comune. Accade che il nostro pensiero cercherà di rimandare l’ evento a cornici, a schemi, che ci aiutino

1 La difesa e la riabilitazione sono rivolti a ‘consolare’ chi percepisce con sconforto i luoghi comuni di fronte a sé o si rimprovera di averne a che fare. Questi, curiosamente, troveranno proprio in coloro che non li avvertono, non li problematizzano, ma li abitano, un grande aiuto alla comprensione del loro nuovo volto.

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ad ‘inquadrarlo’. A volte il tempo non permette di fare domande, a volte ci ritroviamo in circostanze inedite alle quali dobbiamo dare risposte per non affondare nell’incertezza o per cercare di essere qualcuno con una personalità che non riusciremmo a costruire da soli, oppure di essere come qualcuno per non sentire il peso dell’emarginazione. Un uomo, al di là di tutte le esperienze che ha vissuto, non sarà mai in grado di comprendere l’intero mondo, tutta la sua complessità e il suo funzionamento. Si ritroverà sempre in occasioni in cui incontrerà il ‘nuovo’, l’‘oscuro’, o in cui sarà impossibile che accada in prima persona. È a questo punto che intervengono i luoghi comuni. È a questo punto che inverto lo sguardo.

Ancora frutti della mente e dei limiti umani, ora, e allo stesso tempo, si fanno strumenti in grado di recare aiuto e supplire bisogni. Quando parlo dell’uomo intendo tutte le epoche della sua vita e anzi della storia. In ognuna di esse il luogo comune mantiene la sua potenza. A tutto quanto s’è detto nei capitoli precedenti si aggiunge una capacità accessoria che assoda definitivamente la loro eternità. Lo ripeto, basta guardare l’uomo in modo diverso. Per esempio, come luogo comune insegna, non fermandoci alla presunzione di verità di un suo gesto o di un’affermazione. Forse c’è un altro motivo che non riusciamo a cogliere.

Con questo diverso sguardo diretto all’uomo e a come pensa fin dalla nascita, si

offre la prova mancante per convincersi che inesorabilmente i luoghi comuni,

nella conoscenza di tutti gli uomini e del mondo, e nella maggior parte della

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conoscenza propria di ogni uomo, presentano una necessità naturale che li rende inevitabili.

Finora si è trascurato un’‘epoca’ specifica dell’essere umano, quella in cui tutto è grande e sorprendente e ancora da esplorare: l’infanzia. Durante l’infanzia anche

i luoghi comuni e i loro inerenti meccanismi aiutano il bambino a sopravvivere e a trionfare nella sua lotta quotidiana. Non avendo ancora esperienze sufficienti da raccogliere e confrontare, per capire e conoscere, il bambino accoglie quello che gli viene dato. A questo bagaglio di informazioni ed esperienze altrui, fanno interamente parte i luoghi comuni. Del fatto che il loro contenuto possa essere più o meno vero è una questione su cui si è già riflettuto. Qui voglio prendere in considerazione la loro utilità. Dove non arriva l’esperienza, e nei primi anni di vita ci sarebbero altrimenti solo sensazioni, c’è bisogno di qualcosa che ci guidi o almeno ci sorregga: un girello, per esempio. Lo stesso del quale, appena un po’

più grandi e rischiarati, ci dobbiamo sbarazzare per riuscire a camminare, da piccoli però consente di spostarci e attraversare luoghi. Non solo. Esso soprattutto ci avvia al moto.

Come i girelli per bambini, anche i luoghi comuni, con il loro funzionamento,

consentono l’originaria apertura verso ciò che deve essere compreso. Essi

agiscono da strutture anticipatorie che permettono di cogliere in maniera

preliminare quanto deve essere capito o interpretato. Possiamo dissacrare una

guida solo perché la crescita ne riduce la sua utilità? Anche se il dovere è quello

di ambire alla verità, vi sono momenti o, ancor più, epoche in cui dobbiamo

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accettare l’inevitabilità di alcuni luoghi comuni dato che non possiamo, in ogni precisa circostanza, sottoporre tutta la nostra conoscenza alla critica e al vaglio della ragione. Nel suo Educare al comprendere

2

Gardner spiega i processi psicologici che permettono ai bambini la comprensione della realtà. Egli si riferisce al periodo simbolico come a quello in cui i bambini per comprendere hanno bisogno di costruirsi una serie di prototipi in base ai quali categorizzare la realtà per affinità o differenza. Una delle tesi principali che egli sostiene, è quella secondo la quale la mente del bambino di cinque anni continua a persistere in quasi tutti noi, nella gran parte delle nostre attività quotidiane. Ciò significa che la nostra mente continua a contenere quel turbinio di simboli, copioni, teorie, nozioni e concetti appresi nei momenti in cui non c’erano esperienze e conoscenze a farci da guida. I luoghi comuni persistono perché persisteranno sempre momenti in cui le nostre forze non bastano, nei quali avremo bisogno di strumenti che ci avviino a nuove forme di esperienza, nei quali sarebbe utile avere degli esempi rappresentativi, dei semplici schemi attorno a cui organizzare i pensieri. In questo modo la riflessione sui luoghi comuni del genere umano assume davvero toni antropologici, perché una loro riabilitazione apporta nuova luce al tentativo di conoscere l’uomo. Se “quasi tutti i nostri apprendimenti hanno luogo in un dato contesto culturale e il nostro pensiero si avvale di aiuti provenienti da molti altri esseri umani non meno che da una moltitudine di prodotti culturali, e lungi dall’essere racchiuse nel cranio

2 Gardner H., The unschooled mind. How children think and how schools should teach, New York, Basic books, 1991; tr. it. di Rini R., Educare al comprendere: stereotipi infantili e apprendimento scolastico, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 120.

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dell’individuo, conoscenza e intelligenza fanno parte del panorama”

3

, allora i luoghi comuni, in quanto prodotti umani, rientrano in quegli aiuti presenti in ogni contesto culturale. Proprio quando entriamo in rapporto con essi, ci rendiamo conto di quanto la nostra conoscenza e intelligenza facciano parte del

‘panorama’. I luoghi comuni, in quanto ‘protesi’, ci comunicano, insieme al loro contenuto, vero o falso che sia, una verità: nel disorientamento, nella dispersione, in mezzo alle onde, quando non abbiamo forze o non c’è tempo per meditare, possiamo comunque aggrapparci ad essi nell’attesa di capire e di imparare a nuotare

4

.

“La prima propensione sviluppata verso un particolare tipo di vita riposa certamente su un giudizio circa quel tipo di vita — e questo deve essere necessariamente un pre-giudizio, in quanto è impossibile che se ne abbia già una conoscenza sufficiente. Il primo cominciamento di ogni amicizia riposa sul giudizio benevolo pronunciato reciprocamente dagli amici, e non è possibile pronunciarlo senza precipitazione. Se qualcuno volesse stringere un’amicizia con un altro […] dovrebbe atteggiarsi nei suoi confronti con piena indifferenza, fin quando non lo abbia messo sufficientemente alla prova. Ma poiché ciò non è affatto praticabile e nemmeno dovrebbe mai essere consigliato quando si stringe un’amicizia con qualcuno, all’inizio si agisce sempre in maniera precipitosa. E così si procede in tutti i tipi particolari della conoscenza umana e in special modo in quelli che ci determinano verso certe decisioni, certi comportamenti e

3 Ivi, p. 121.

4 Ritorna utile la metafora del ramo secco. Il luogo comune è un ramo a cui ci si può aggrappare, senza trascurare, ovviamente, che prima o poi esso è destinato a spezzarsi.

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certe imprese […] non c’è nulla da fare: questo è il destino di ogni conoscenza umana”

5

. Senza mai dimenticare, ovviamente, che l’obiettivo auspicabile è per ogni essere umano il conseguimento di un habitus per il quale si rende necessaria la scoperta delle vere ragioni prima di pronunciare un giudizio su qualcosa o prima di agire in un certo modo, si deve riconoscere tuttavia che la complessità del reale e delle relazioni tra uomo e uomini, tra uomo e ambiente o tra uomo e storia, che si manifesta particolarmente in determinate occasioni, rende necessario il passaggio attraverso luoghi comuni, sententiae anticipatrici, strade piene di segnaletica, macchine semi-automatiche. Se riusciamo a non condannare gli errori poiché in grado di insegnarci qualcosa, dovremmo riuscire a considerare i luoghi comuni utili almeno in questo senso e quindi ancora una volta metterli al riparo da spietate riprovazioni.

2. La limitatezza e la consolazione

Vi sono luoghi comuni che non hanno nessuna rilevanza sulla nostra o l’altrui vita, che hanno per oggetto cose insignificanti o conseguenze prive di valore. Se stessimo a faticare e a perdere tempo interrogandoci sui veri perché di quell’espressione o di quell’atteggiamento, sottrarremmo energie per riflessioni più importanti. La necessità dei luoghi comuni si darebbe sottoforma di una

‘liberazione’. Se dovessimo pensare a come i muscoli funzionano nell’atto del

5 Meier G.F, op. cit. p. 131, All’inizio della conoscenza stanno dei pregiudizi.

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camminare, rimarremmo bloccati e non raggiungeremmo la nostra meta. Ci sono luoghi comuni che, per mezzo del loro funzionamento, ci liberano, ci sgombrano la strada da questioni per cui non vale la pena indagare e consentono bensì di virare tutta l’attenzione e l’energia verso problemi più rilevanti, magari contenuti in altri luoghi comuni.

C’è un’indiretta e impercettibile collaborazione dei luoghi comuni con la nostra ragione: “Spesso è assai ragionevole risparmiarsi quella coscienziosità […] e lasciarsi quindi andare in qualche caso alla precipitazione. Proprio come talvolta l’autentica saggezza esige, a tempo debito e nella giusta occasione, di agire in maniera sciocca, anche l’autentica ragione esige che alcuni giudizi vengano pronunciati senza ragione alcuna e che si decida in maniera precipitosa di ritenere alcune questioni vere o false, buone o cattive, convenienti o sconvenienti”

6

. Scivolare dentro i luoghi comuni è facile, come è altrettanto facile avvicinarci a cose che hanno un’utilità, che essa venga percepita o meno

7

. Allport stesso riconosce che “quotidianamente cadono sotto i nostri occhi migliaia di eventi, tanti che non possiamo considerarli singolarmente […].

L’apertura mentale è considerata una virtù, ma essa, in senso stretto, non si presenta mai. Una nuova esperienza deve essere adattata dentro vecchie categorie. Non è possibile considerare ogni fatto nuovo in sé, senza alcun rapporto con gli altri. Se noi lo facessimo, che valore avrebbe l’esperienza

6 Ivi, p. 141.

7 Quello che mi chiedo è: coloro che vivono di e da luoghi comuni, nel senso che li considerano come dèi della loro vita, colgono consapevolmente il perché di questa loro utilità? Ho l’impressione che per essi la risposta non costituisca un problema. Ciò che loro importa è riuscire a muoversi verso dove vogliono e ottenere risultati.

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passata? […] Il punto della questione può essere così fissato: la mente tende a catalogare i fenomeni nella maniera più grossolana possibile compatibilmente con le esigenze pratiche. […] Ma fino a quando ci è consentito di «tirar via» con eccessive semplificazioni, noi tendiamo proprio a fare così. (Perché? Perché costa meno fatica, e la fatica, tranne che nell’ambito dei nostri più stretti interessi, è cosa sgradevole)”

8

. Egli riconosce la normalità di questi meccanismi che facilitano la percezione e la condotta, che rendono più rapido, comodo e solido il nostro inserimento nella vita. L’uomo deve fare i conti con migliaia di eventi. Il mondo nel quale vive è una realtà complessa che lo costringerebbe ad una sorveglianza sovraumana.

I luoghi comuni assumono la funzione di mediatori tra la complessità del reale e la limitatezza dell’uomo. Se si condivide che le loro ragioni non siano false ma improprie e se si vuole conservare quello ‘sguardo rovesciato’, allora si potrebbe credere che, mediante ciò che i luoghi comuni offrono, la visione di un uomo riesca ad estendersi ed arrivare, seppur grossolanamente, dove, di fatto, non è mai arrivata. Nel momento in cui poi facciamo una nuova esperienza, essa deve, comunque e sempre, confrontarsi con ‘vecchi’ schemi, opinioni, teorie, gesti acquisiti. L’incompatibilità che potrebbe seguirne non smentisce la loro utilità. Il bisogno dei luoghi comuni è dato dal confronto con essi, poiché essi in un certo senso rappresentano un’esperienza passata o un’esperienza altra.

Richiamando quanto detto sopra, vi sono esigenze pratiche che spostano in secondo piano la ricerca di autentiche ragioni, della verità. La cosa sgradevole

8 Allport, op. cit. pp. 28-29.

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per molti uomini non è la fatica. È sgradevole non avere nulla da dire, è sgradevole sentirsi isolati per la propria ignoranza, per l’educazione ricevuta, per esperienze non fatte. Anzi, forse più che la sgradevolezza, essi fanno i conti con la paura. È già di per sé pauroso lasciare il porto pur avendo l’occorrente per affrontare il mare aperto, lo è ancora di più per coloro che non hanno tutto l’occorrente.

Forse un po’ di pietas verso l’essere umano sarebbe utile a non condannare la

‘superficialità’ e il ricorso ad un luogo comune. Quel lato di verità che convive con l’errore nella inesattezza propria del luogo comune è, in occasioni precise dell’esistenza, molto più urgente di un’autentica conoscenza. “Se non mi sottometto alle convenzioni civili, se, vestendomi, non tengo alcun conto degli usi seguiti nel mio paese e nella mia classe, il riso che provoco, la distanza in cui mi si tiene, producono, sebbene in maniera più attenuante, i medesimi effetti di una pena propriamente detta”

9

. Durkheim pensa che sia possibile liberarsi da quella sottomissione, non scambiare l’universale dov’è il particolare, non assumere un aspetto della realtà come la realtà nella sua interezza, grazie ai mezzi della comparazione e della sperimentazione. Ma la seria osservazione dei fatti non è alla portata di tutti. Non mi riferisco alla fiacchezza, alla sterilità, alla comodità ricercata, al disimpegno della maggior parte degli uomini. Parlo di coloro che non hanno ancora potuto equipaggiarsi per un possibile cambiamento nel rapporto coi luoghi comuni a causa, per esempio, di un istruzione che non hanno ricevuto. Eppure anche Durkheim lascia un piccolo

9 Durkheim, É ., Le regole del metodo sociologico, op. cit., pp. 34-35.

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spazio all’utilità di certe regole sociali: “Quando i tratti più caratteristici, le forme concrete e particolari, ci sfuggono, per lo meno ci rappresentiamo gli aspetti più generali”

10

. I luoghi comuni, se da un lato non devono radicarsi fino ad ammuffire nei nostri pensieri, dall’altro rappresentano una possibilità.

Quella purgation intellectuelle che ha per effetto l’espulsione dallo spirito di tutti i giudizi mediati non dimostrati, obiettivo a cui ogni disciplina o educazione dovrebbe ambire, non può tuttavia fare a meno di considerare una loro efficacia almeno nell’iniziazione all’esperienza. Non solo. Se si accetta che gli individui, in quanto sociali, condividano, in generale, schemi, concetti, nozioni, e si accetta che tra essi facciano parte anche i luoghi comuni, allora si dovrebbe osservare quanto essi siano efficaci, in distinte circostanze, come elementi di solidarietà.

Non è detto che il contenuto sia stato vagliato criticamente, ma quanto a intrattenimento, consolazione e conforto, essi funzionano. Anche l’individuo pensante, ‘sovrano’ di se stesso, alla ricerca della ‘libertà mentale’, in quanto essere umano, prima o poi, potrà avvertire il bisogno di un “contatto amichevole”, semplicemente di un contatto dove non vi è nulla di importante di cui parlare

11

. Parallelamente a quanto s’è detto nei capitoli precedenti, il luogo comune svolgerebbe una funzione culturale in quanto si tratta comunque di una

10 Ivi, p. 54.

11 Don DeLillo, op. cit. p. 51, “Sto parlando con qualcuno e sento il suono della mia voce, in terza persona, riempire l’aria che mi circonda la testa. Il municipio dichiarò inagibile l’edificio e fece sigillare le finestre. Ma io ho scardinato un’asse per far passare l’aria. La mia vita non è una vita irreale. È una vita concreta, un ripartire da zero con valori borghesi intatti. Sto buttando giù le pareti perché non voglio vivere in una serie di piccoli quadrilateri dove ha vissuto altra gente, porte corridoi angusti, intere famiglie con le loro vite stipate e tanti passi fino al letto e tanti fino alla porta. Voglio una vita di libertà mentale in cui le mie confessioni possano prosperare. Ma a volte mi viene voglia di strofinarmi contro una porta o una parete, per avere un contatto amichevole”.

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pratica discorsiva che funge da collante nella relazione tra gli uomini. Talvolta abbiamo bisogno di non sentirci soli, di approdare, anche per poco, in un posto pieno di umanità.

Credo vi siano casi in cui la verità resti un obiettivo secondario (secondario, ma assolutamente non trascurabile!) rispetto ad altri scopi o altre motivazioni.

Considerando che comunque l’allontanamento dalla verità di un luogo comune è più spesso un’improprietà che una menzogna, talvolta quell’improprio allontanamento dalla verità ci consente un avvicinamento agli altri.

Uscire dalla minorità, anche se non sarà mai possibile, resta una meta per l’uomo. Il percorso è pieno di ostacoli e fa paura. Così è giusto e umano che un uomo (non ogni uomo e non ogni volta) senta il bisogno di contatti o consolazioni. Dobbiamo misurarci con la nostra umanità.

Nella seconda delle lezioni che tenne per la prima volta alla New School for Social Research, durante il semestre autunnale del 1970, Hannah Arendt sostenne che per Kant erano rimaste aperte due questioni: «La prima potrebbe essere sintetizzata o almeno indicata nella “socievolezza” dell’uomo, vale a dire nel fatto che nessun uomo può vivere solo, che gli uomini sono interdipendenti non solo nei loro bisogni e nelle loro cure ma anche per quanto riguarda la loro somma facoltà, la mente, che non può funzionare al di fuori della società umana.

La “buona compagnia” è “indispensabile per l’essere pensante”»

12

. Se si ammette che quella buona compagnia si crei anche tramite i luoghi comuni, se si

12 Arendt H., Lectures on Kant’s Political Philosophy, Chicago, 1982; tr. it. Portinaio P. P., Teoria del giudizio politico, Genova, il melangolo, 1990, p. 22.

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ammette che la socievolezza è indispensabile, allora si comprende ancora più chiaramente perché l’uomo non raggiungerà mai una dimensione veramente autonoma. Quella mancanza di decisione e di coraggio di servirsi del proprio intelletto non è da imputare unicamente a se stessi e non è solo un comportamento da condannare. A volte c’è molto di più, ed è qualcosa di molto umano. «La socievolezza è l’essenza autentica degli uomini, nella misura in cui essi appartengono soltanto a questo mondo […]. La facoltà di giudizio non è soltanto ciò che noi chiamiamo giudizio; connessa ad essa è la nozione che

“sentimenti ed emozioni” rivestono un valore solo nella misura in cui possono essere universalmente comunicati; […] la comunicabilità dipende dalla mentalità ampia, si può comunicare soltanto se si è in grado di pensare a partire dal punto di vista dell’altro»

13

. Penso che la socievolezza propria degli uomini, l’appartenenza ad unico mondo, il giudizio che si intreccia con sentimenti ed emozioni, l’apertura mentale che tiene conto del punto di vista dell’altro, giustificherebbero ancora una volta i luoghi comuni. Quando mancano il coraggio, la scioltezza, la competenza, quando ci domina la paura o la timidezza, quando cerchiamo solamente di sfregarci contro qualcuno per bisogno di compagnia, quando non abbiamo o abbiamo il timore di non avere i mezzi giusti, allora i luoghi comuni ci danno una mano — una mano, lo ripeto, alla quale non dobbiamo prendere l’abitudine di aggrapparci e dalla quale, anzi, è necessario imparare a distaccarsene.

13 Ivi, p. 113.

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Condividere il punto di vista altrui attraverso il filtro di un luogo comune significa rischiare. Potremmo riuscire nel proposito di avvicinarci all’altro ma senza escludere che lo si faccia su basi scorrette o su basi improprie che richiedano d’essere approfondite. Un luogo comune attecchisce, in ogni sua forma e con ogni conseguenza, dove ci sono limiti. Essere umani significa avere dei limiti. Non ci è dato di esperire tutti gli angoli e gli aspetti del mondo. La complessità del reale chiede antidoti per essere contenuta, per riuscire almeno a coglierne il vago panorama e le strade maestre.

3. La storia, le promesse e il messaggio nella bottiglia

“Persino dove la vita si modifica in modo burrascoso, come nelle epoche di rivoluzione, nel preteso mutamento di tutte le cose si conserva del passato molto più di quanto chiunque immagini, e si salda insieme al nuovo acquistando una rinnovata validità. In ogni caso, la conservazione è un atto della libertà non meno di quanto lo siano il sovvertimento e il rinnovamento. […] In ogni caso il nostro rapporto col passato, nel quale siamo continuamente impegnati, non è definito anzitutto dall’esigenza di un distacco e di una liberazione da ciò che ci è tramandato. Noi stiamo costantemente dentro a delle tradizioni”

14

.

14 Gadamer, H. G., Wahrheit und Methode, Tübingen, 1960; tr. it. di Vattimo G., Verità e Metodo, Milano, Bompiani, 1983, p. 330; questo paragrafo è un confronto con il suo “Il circolo ermeneutico e il problema dei pregiudizi”, pp. 313 e ss.

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A questo punto mi domando: che rapporto c’è tra i luoghi comuni e la storia, tra essi e la memoria? Questo interrogativo, ora, ha chiaramente un senso. Vorrei capire cioè se la storia sia in grado di fondare l’eventuale legittimità dei luoghi comuni. Quale tipo rapporto sussiste tra i luoghi comuni e il passato? Come vengono interpretati gli eventi dagli occhi e dal pensiero di un luogo comune? E il futuro come appare?

Quando si comprende e si cerca di interpretare qualunque cosa è inevitabile cominciare dalle proprie inconsapevoli abitudini mentali, dai propri pre- concetti, anche se si abbozza un nuovo progetto di senso. Nell’interpretazione tali presupposizioni non costituiscono solo la partenza, ma ne viene messa via via alla prova la legittimità, cioè la loro validità, che può convalidarsi o meno, proprio in rapporto a quel qualcosa che si sta interpretando. La comprensione non implica il rifiuto delle proprie opinioni ma sempre il confronto e l’apertura con quelle altrui. Dovremmo essere sempre pronti a lasciarci dire qualcosa da ciò che vorremmo comprendere. Questo non presuppone “né una neutralità né un oblio di se stessi, ma implica una presa di coscienza delle proprie presupposizioni e dei propri pregiudizi. Bisogna essere consapevoli delle proprie prevenzioni”

15

, perché solo in questo modo ciò che è da comprendere si presenta nella sua alterità e ha concretamente la possibilità di far valere il suo contenuto di verità nei confronti delle nostre presupposizioni. È la non consapevolezza dei pre-concetti, delle pre-supposizioni, e quindi anche dei luoghi comuni, che rende ciechi alla realtà. L’atteggiamento da assumere è,

15 v. Nota 14.

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stranamente, anti-illuministico. Non si spodesta la tradizione, le ‘verità’

ereditate, i luoghi comuni. L’uomo è troppo debole per cavarsela senza l’apporto degli altri uomini

16

. Anche Gadamer, che riconosce la debolezza umana, mette in guardia dal commettere l’errore opposto di assumere il dogmatico atteggiamento per il cui la saggezza antica è perfezione. Non si può rompere con il passato. Come si è già detto, la nostra essenza è la finitezza, e la ragione “esiste per noi solo come reale e storica; il che significa che essa non è padrona di sé stessa, ma resta sempre subordinata alle situazioni date entro le quali agisce […]. In realtà non è la storia che appartiene a noi, ma noi apparteniamo alla storia. Molto prima di arrivare ad una auto-comprensione attraverso la riflessione esplicita, noi comprendiamo secondo schemi irriflessi nella famiglia, nella società, nello stato in cui viviamo. La soggettività è solo uno specchio frammentario. L’auto-riflessione dell’individuo non è che un barlume nel compatto fluire della vita storica”

17

.

Per questo motivo credo che i luoghi comuni facciano parte della nostra realtà storica e anzi, possano rendere giustizia all’essere storico-finito dell’uomo

18

. La ragione, ammessa la sua limitatezza, concede ‘fiducia’ ad altro fino a che non esperisce essa stessa l’aspetto del modo che vorrebbe conoscere. In questo caso la ‘guida’ è stata riconosciuta e non c’è sottomissione. Forse è proprio così che si

16 Il riferimento è a Meier, per cui il pregiudizio fondamentale dell’illuminismo è il pregiudizio contro i pregiudizi in generale.

17 Gadamer, op. cit., pp. 324, 325. Gadamer, come già segnalato, si sofferma sul loro accento

‘positivo’.

18 Non sto dicendo che in assoluto ogni luogo comune rende giustizia all’uomo. Qui si sta discutendo con quello sguardo rovesciato che miratamente vuole riconoscere una legittimità.

Certamente essa non è propria di tutti i luoghi comuni, ma non per questo si deve negarla.

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sono originati i luoghi comuni. “Ciò che è stato consacrato dalla storia e dall’uso è fornito di una autorità che è ormai diventata universale, e la nostra finitezza storica è definita proprio dal fatto che anche l’autorità di ciò che ci è tramandato, e non solo ciò che possiamo razionalmente riconoscere come valido, esercita sempre un influsso sulle nostre azioni e sui nostri comportamenti”

19

. Se successivamente il luogo comune perde la sua funzione di guida esclusiva, poiché l’uomo, grazie all’esperienza e al tempo, è ormai davanti ad un aspetto del mondo e riesce a problematizzarlo, “non significa che diventi padrone di sé stesso, libero da ogni tradizione e da ogni legame col passato”.

I luoghi comuni hanno una sorta di funzionalità. Se si riconosce un rapporto con la storia, essi non sono sempre in contrasto assoluto con la ragione, ma rappresentano dei congegni fissi e comuni che operano dentro ogni mutamento storico. In modo positivo o negativo, dentro i luoghi comuni parla il passato e si riflettono l’“impossibilità per l’uomo di fare affidamento su se stesso o di avere una completa fede in sé”

20

e la realtà che, in un certo senso, vorrebbe essere esplorata e compresa.

I luoghi comuni avrebbero la stessa forza della facoltà di promettere di cui parla Hannah Arendt. Il loro potere di stabilizzazione, mette l’uomo nella condizione di affrontare la pluralità e la realtà, “per la gioia di abitare insieme con gli altri un mondo la cui realtà è garantita per ciascuno dalla presenza di tutti”

21

.

19 Gadamer, op. cit., p. 329 in Pregiudizi come condizione di comprensione.

20 Arendt, H., The Human Condition, Chicago, 1958; tr. it. di Finzi S., Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Sonzogno Milano 2005, p. 179.

21 Ibidem.

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I luoghi comuni stabilizzano il mondo e le relazioni attraverso il loro funzionamento che è una promessa di controllo della realtà. Nella improprietà delle loro ragioni, i granelli di verità effettivamente aprono al mondo. “In questo oceano di incertezza” più che “isole precarie di certezza”

22

, i luoghi comuni sono messaggi nelle bottiglie che testimoniano per ciascuno, almeno, la presenza di altri, testimoniano che non siamo soli, che il passato ci parla e che lontano dalla nostra spiaggia c’è un mondo da esplorare. Abbiamo bisogno di quei messaggi che, in un certo senso, con la generalizzazione, riducono i nostri limiti.

Non di meno, però, una promessa non è una certezza. Essa ha un forte potere vincolante ma non è detto che dica ciò che era davvero, o anticipi qualcosa che di fatto accadrà.

Una bottiglia non può contenere il mondo intero.

22 Ivi, p. 180.

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