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L’Italia è probabilmente la nazione al mondo con il più ricco e vasto patrimonio architettonico frutto della sua lunga e fiorente storia della quale l’intero territorio è ricco di testimonianze.

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Introduzione

L’Italia è probabilmente la nazione al mondo con il più ricco e vasto patrimonio architettonico frutto della sua lunga e fiorente storia della quale l’intero territorio è ricco di testimonianze.

La tutela di questo patrimonio è essenziale in quanto è espressione della nostra identità e cultura e, non meno importante, rappresenta una risorsa fondamentale per l’economia grazie alla sua attrattività capace di attirare turisti da tutto il mondo. Per la protezione e conservazione degli edifici storici è di primaria importanza studiare e programmare interventi atti a garantirne la stabilità anche in caso di eventi eccezionali, andando quindi a mitigare i rischi cui sono soggetti e intervenendo celermente dove questi possano rappresentare un serio pericolo per la costruzione.

Visto l’enorme sforzo economico necessario alla loro tutela la strategia più spesso adottata è quella di un loro riuso, andando ad insediarvi attività che ben si adattino all’edificio, come ad esempio sedi istituzionali e attività culturali. Ne nascono però una serie di problematiche legate al fatto che le esigenze, sia tecniche che di sicurezza, sono molto cambiate rispetto al periodo della loro costruzione e quindi richiederebbero l’adozione di interventi che potrebbero contrastare con l’esigenza di tutelarne l’originalità.

Questo è quello che è avvenuto per la Certosa di Pisa convertita, dopo il definitivo abbandono da parte degli ultimi frati, in Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci dal Ministero dei Beni Culturali, che ha inoltre affidando una parte dei suoi spazi all’Università di Pisa che vi ha insediato il Museo di Storia Naturale e del Territorio.

Ad oggi l’edificio si trova ad ospitare numerosi visitatori e lavoratori, ed è quindi indispensabile mitigare il rischio cui sarebbero sottoposti in caso di eventi eccezionali, come sisma ed incendio.

Si inserisce in tal senso questa tesi, che affronta il tema della sicurezza antincendio delle sue strutture orizzontali andando a verificarne il comportamento in caso di esposizione al fuoco e proponendo eventuali interventi atti a mitigarne il rischio, cosi come specificato nel documento interpretativo per il requisito essenziale n. 2 “Sicurezza in caso di incendio”:

“L’opera deve essere concepita e costruita in modo che, in caso di incendio:

- la capacità portante dell’edificio possa essere garantita per un periodo di tempo

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determinato;

- la produzione e la propagazione del fuoco e del fumo all’interno delle opere siano limitate;

- la propagazione del fuoco alle opere vicine sia limitata;

- gli occupanti possano lasciare l’edificio oppure essere soccorsi con altri mezzi;

- la sicurezza dei soccorritori sia presa in considerazione.”

Il lavoro di tesi è consistito in una prima fase di analisi conoscitive, andando a realizzare un inquadramento generale delle tipologie di strutture orizzontali e verticali, seguita da uno studio più approfondito degli orizzontamenti di una porzione dell’edificio, ovvero della US2 (ala meridionale e cella del priore) e della US5 (ala settentrionale, edificata nel periodo del Maggi) finalizzato alla raccolta i dati necessari alla valutazione della loro resistenza al fuoco. Nello specifico sono state rilevate con misurazioni in sito le geometrie degli intradossi delle volte e dei solai e, dove possibile, ne sono stati rilevati gli spessori tramite elaborazione delle nuvole di punti, i materiali costituenti tramite l’analisi dei saggi e ne è stata fatta una stima dei pesi. Tutti i dati raccolti sono stati inseriti in una serie di abachi utili a chi affronterà delle analisi strutturali finalizzate alla verifica della sicurezza statica, del comportamento sismico o della resistenza all’incendio.

È stato poi analizzata in modo speditivo la resistenza al fuoco delle tipologie di volte più ricorrenti, andando a proporre eventuali soluzioni da adottare nel caso questa non fosse sufficiente a garantire un adeguato livello di sicurezza.

Infine è stato approfondito lo studio di resistenza al fuoco della volta a botte dell’aula

magna situata al primo piano della US2, che per caratteristiche geometriche e di carico,

richiede particolari attenzioni. Su questa, avente corda di 7,42 metri, gravano due muri

in falso che vanno a sollecitare asimmetricamente la volta. È stata quindi effettuata

un’analisi statica per verificarne gli stati tensionali ed è stata proposta una soluzione per

evitare che, in caso di sisma, questo muro possa battere sulla volta aumentandone il

rischio di collasso. Sono state svolte le analisi termiche per conoscere, in caso di incendio,

l’andamento delle temperature all’interno della volta in funzione del tempo di

esposizione. Sono state infine effettuate le analisi statiche a caldo per verificarne la classe

di resistenza al fuoco REI e sono state proposte delle misure per adeguarla al livello di

prestazione richiesto.

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1) Indagini conoscitive

1.1) Indagini storiche

La Certosa di Pisa è un ex edificio monastico che sorge a Calci in Val Graziosa ai piedi dei Monti Pisani, ad una decina di chilometri da Pisa.

Figura 1: vista aerea della Certosa di Pisa (www.pisanews.net)

Attualmente l’edificio, dopo essere stato abbandonato dai monaci, è stato adibito in parte a Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci e in parte a Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa.

La sua struttura è frutto di una secolare attività costruttiva che ha visto continui ampliamenti e modifiche della sua planimetria per adattarsi alle funzioni cui ha dovuto asservire durante la sua lunga vita di oltre 650 anni. Uno studio della sua evoluzione storica è un passo imprescindibile per poterne cogliere tutti gli aspetti che ad una analisi dello stato attuale potrebbero sfuggire. In questa direzione ci aiutano gli antichi abitanti dell’edificio, i monaci certosini, che con la loro consueta cura, hanno annottato gran parte dei lavori svolti dal momento della fondazione.

La nascita della Certosa può essere datata al 1366 quando l’arcivescovo di Pisa Francesco Moricotti ne autorizzò la costruzione, iniziata l’anno seguente con la posa della prima pietra, finanziata grazie all’eredità lasciata dal mercante Pietro di Mirante della Vergine al sacerdote Nino di Puccetto.

Il sito su cui sorge era stato scelto in quanto ritenuto idoneo, grazie alla sua distanza dalla citta di Pisa, ad uno dei principi fondamentali della vita certosina, la ricerca della solitudine, dell’isolamento, del “deserto spirituale”, via necessaria all’ascesi dei padri.

Anche la scelta di posizionarla su un terreno pendente non è casuale ma è ricco di

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significato simbolico: il vestibolo è ad una quota inferiore alle celle dei padri evidenziando la verticalità del percorso che conduce a Dio percorrendo le “tre vie”, partendo dalla via purgativa per arrivare, passando dalla via Illuminativa, alla via unitiva.

Grazie alla generosità di numerose famiglie pisane, già dopo i primi venticinque anni dalla sua fondazione i continui lavori di costruzione permisero la formazione di un primo nucleo che permetteva lo svolgersi della vita secondo i dogmi certosini. Infatti, nel 1392 il monastero poteva contare sul tempio con la sacrestia, sul capitolo, sul refettorio, sulle celle dei padri edificate per addizione progressiva di moduli unitari, assieme al chiostro grande, entro le mura di clausura, sulle abitazioni dei fratelli conversi, sulla foresteria e sugli edifici rustici esterni all’area claustrale. Erano state realizzate anche le “case basse”

assieme al vestibolo e al granaio che già definivano il perimetro del cortile d’onore.

Nel XV secolo, grazie all’aggregazione del monastero della Gorgona, sancito dal Capitolo Generale dell’Ordine nel maggio del 1425, la Certosa di Calci vede aumentare le proprie ricchezze che vengono investite in nuovi lavori finalizzati principalmente alla ristrutturazione dell’esistente e alla decorazione del complesso che, grazie all’opera di numerosi artisti, fu ricoperto di preziosi marmi e di raffinati affreschi. Vengono infatti realizzate le scale marmoree di accesso alla chiesa dal cortile d’onore, i portici dei due chiostri piccoli e della cella priorale (lozeta del priore). Inoltre, si lavora al consolidamento del campanile che, a causa del suo eccessivo peso e dei danni provocati da un fulmine, versava in condizioni critiche.

Dopo questa fase di lavori continui, il Cinquecento vede una brusca frenata degli stessi a causa di controversie politiche sorte fra le città di Pisa e Firenze. Proprio i commissari di quest’ultima imposero delle tasse insostenibili per le casse del monastero che, vedendo arrestato il proprio Priore, fu costretta alla vendita di una parte dei propri possedimenti per pagarne la liberazione.

L’aspetto originale e semplice, tipico delle costruzioni certosine costruite secondo la Regola, viene a mutare all’inizio del 1600 quando in nuovo Priore, Don Teofilo Caucchi, avvia una nuova fase costruttiva seguendo l’idea di “reformare, restaurare, accrescere e ridurre a miglior forma e perfezione le fabbriche antiche”

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. Il monastero viene quindi ampliato di nuovi volumi come la foresteria nuova, al secondo piano sopra il refettorio e

1 ACCa, Supplicationes Conventuales, 1601

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sulla linea frontale alla destra del tempio e alla quale si accede con una nuova scala, la foresteria granducale, che si pone al primo piano tra il chiostro e l’orto, e le stanze dei Procuratori, che vengono poste al piano terra alla destra della chiesa. Il chiostro granducale viene abbellito e arricchito da una passerella che unisce due lati opposti del porticato posto al primo piano e sulla quale viene posizionata la bocca di una cisterna che permette l’approvvigionamento di acqua anche al piano nobile. Un simile lavoro viene eseguito anche nel chiostro del capitolo dove però il pian terreno viene totalmente coperto da volte a crociera ad eccezione del centro dove viene realizzata una cisterna che si apre al piano superiore. Successivamente anche il chiostro grande subisce importanti modifiche. Infatti, le celle dei padri vengono rialzate per ovviare ai problemi di umidità che le affliggevano. Questi lavori però obbligarono anche al rifacimento del porticato del chiostro che pure doveva essere rialzato. La struttura originale in laterizio viene sostituita da una più pregiata realizzata con colonne marmoree che la portarono ad avere lo splendore che ancora oggi possiamo ammirare. La seconda metà del secolo vede lo spostamento a sinistra del vestibolo allineandolo così all’asse del tempio e del chiostro grande, arricchendo di significato simbolico la via che dal mondo terreno conduce a Dio.

Anche le case basse vengono arricchite di una cappella, dedicata a S. Sebastiano, aperta sull’esterno per permettere la fruizione di servizi religiosi anche alle donne. Nella cella priorale viene edificata la cappella di S. Bruno, successivamente dedicata a S. Giuseppe.

Alla fine del Seicento anche la chiesa subisce importanti modifiche con la costruzione delle volte che permisero anche alla modifica della forma delle finestre, che dall’originaria forma gotica assunsero l’attuale forma rettangolare.

Figura 2: Pianta storica Certosa 1688 - ASPi, inventario n. 14, 209

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La prima metà del diciottesimo secolo è caratterizzato principalmente dalla decorazione con marmi delle fabbriche del monastero, e precisamente del pavimento della chiesa, della facciata e delle scale di ingresso alla stessa. Nel chiostrino viene realizzata una nuova cappella, confinante col refettorio e alla quale si accedeva dal corridoio della foresteria al primo piano, mentre alla sinistra della chiesa viene realizzata la Cappella del Rosario.

Inoltre, vengono realizzati l’olivaio sopra il granaio, uniformando così le quinte del cortile d’onore, e la casa e il capannone di vigna, separati dal resto dell’edificio.

Nella seconda metà del secolo fu avviata dal priore Giuseppe Maggi una nuova ed intensa fase di lavori che rivoluzionarono significativamente la planimetria della certosa portandola alle dimensioni attuali.

I primi lavori riguardarono la foresteria nobile, che fu ampliata e modificata nelle suddivisioni interne così da ricavarne tre stanze voltate adatte ad ospitare il granduca.

Sopra questi locali furono realizzate le celle per i frati, mentre al piano terra fu aggiunto un volume che, assieme ai due già esistenti, fu adibito ad archivio e che venne poi direttamente collegato alla cella priorale per mezzo di scale interne. Al pian terreno venne anche prolungato il corridoio per permettere l’ingresso diretto ai locali dell’archivio senza dover passare dal chiostro granducale. Fu contemporaneamente realizzato un terrazzo coperto su quattro livelli che si affaccia sull’orto. I lavori di ristrutturazione riguardarono anche il refettorio la cui volta era lesionata a causa dell’eccessivo peso di un muro di una delle celle sovrastanti. Fu quindi rimosso questo muro e, uniformando le altezze dei tetti del chiostro capitolare, si riuscì a ricavare delle aperture che permisero al refettorio di essere illuminato dalla luce naturale. Venne ristrutturata anche la cappella del capitolo, con la demolizione della vecchia volta gotica e la realizzazione di una più moderna volta a vela impostata su pennacchi e sormontata da un arco che la sgravava dal peso della copertura. A questo periodo risalgono anche i lavori sui percorsi, specialmente quelli verticali, arricchiti di una nuova scala con colonne binate e di un’apertura nelle scale del corridoio che porta alle celle dei frati situate sopra il refettorio.

Oltre ai lavori strutturali, fu data grande importanza alle decorazioni degli interni eseguite da numerosi artisti toscani e forestieri.

All’esterno fu completamente riprogettata la facciata del monastero che confina con la corte d’onore che viene riorganizzata e decorata con l’aggiunta del frontone dell’orologio.

Contemporaneamente furono avviati dei lavori anche per sistemare la facciata della

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chiesa che risultava più stretta delle scale. Venne quindi allargata oltre il corpo del tempio e vennero aggiunte delle statue alla sua sommità perché altrimenti sembrava troppo tozza a causa del suo allargamento.

I lavori voluti dal priore previdero anche una importante crescita del monastero, voluta per due motivazioni: la cresciuta esigenza di spazi dovuta alla liberalizzazione del commercio del grano che permise l’aumento della produzione e la volontà del priore di abbellire la corte d’onore ricercando la simmetria nel prospetto. Venne quindi edificata l’ala alla sinistra della chiesa che esternamente appariva identica a quella di destra. La corte d’onore divenne così grande quasi il doppio, avendo demolito il vecchio granaio che la chiudeva a nord. Inoltre, fu realizzata un’ala che dalla cappella di San Bruno va a raccordarsi al Loggione della Vigna, avendo così un andamento inclinato rispetto ai due assi principali del convento. Al piano terra dell’ala alla sinistra della chiesa vengono posizionati la nuova panetteria, il forno, la fabbrica di paste, i bagni, la farineria e la falegnameria. Al primo piano vengono realizzate le cappelle mentre al piano superiore verranno realizzate altre celle per i fratelli conversi e per le persone di servizio del monastero. Quest’ala è direttamente collegata con il granaio e con il loggione sovrastante, attualmente occupati dal Museo di Storia Naturale. La fabbrica del granaio viene poi estesa fino alle case basse, andando a creare nuovi ambienti (rimesse e lavanderia) e andando a creare una separazione tra il cortile d’onore e il cortile della stalla. A questa nuova fabbrica viene poi addossato un loggiato a volte su due livelli. Risale a questo periodo il muro a grottesco che separa il cortile d’onore dagli orti, nel lato sud del monastero. Nello stesso periodo viene tirata su anche l’ala alla destra del vestibolo, di fronte alla nuova ala del monastero, che andrà ad ospitare la bottega del fabbro, il frantoio e la foresteria delle donne. Anche il prospetto di questa facciata viene sistemato e reso più uniforme e gentile, su progetto dell’ingegner Stassi, che affiancò il priore Maggi in tutti i lavori. L’ultimo dei lavori voluti dal Maggi, il nuovo campanile, rimane però incompiuto dopo la morte dello stesso. Si prova allora a recuperare la vecchia torre campanaria che però, soffrendo sempre degli stessi problemi originari, viene demolita attorno al 1830.

Venne quindi ripresa la costruzione del campanile voluto dal Maggi, ma i lavori si fermarono dopo che lo stesso aveva raggiunto un’altezza di poco superiore al tetto delle fabbriche esistenti, presentandosi così come lo vediamo oggi.

Il diciannovesimo secolo inizia nel peggiore dei modi per la Certosa e i suoi monaci in

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quanto, a seguito dell’invasione francese comandata da Napoleone, furono costretti a vendere numerosi beni per poter pagare i contributi imposti dagli occupanti. In seguito vengono inoltre destituiti gli ordini religiosi e i monaci furono costretti ad abbandonare la certosa che, incustodita, venne depredata. Fortunatamente il regno napoleonico durò poco e i monaci poterono tornare al monastero già nel 1818. Il nuovo priore avviò i lavori di restauro che riguardarono la facciata della chiesa, la sua scala e la torre campanaria. Gli anni successivi videro una stasi dei lavori in quanto i priori erano concentrati nella ricerca di nuove finanze. Però nel 1866 il Regio Decreto n° 3036 stabilisce la soppressione degli ordini religiosi e così la confisca dei beni della comunità certosina che vengono inglobati in quelli dello Stato italiano. Due anni dopo una parte del monastero viene dichiarata monumento nazionale.

Grazie a ciò cominciano una serie di lavori di restauro che riguardarono gli scoli d’acqua delle coperture e il lastricato del giardino d’onore. Inoltre, l’ala alla destra della chiesa viene concessa ad uso gratuito al conservatorio di S. Anna per ospitare il quale furono necessari dei lavori strutturali, principalmente al secondo piano, consistiti nell’adattare i vani alle nuove esigenze (apertura di alcuni vani e chiusura di altri per adibirli a dormitorio e messa in comunicazione tra loro delle celle sopra il refettorio). Venne inoltre realizzata una scala in corrispondenza della cucina e della dispensa che porta alla sala con la gradinata in legno adibita ad aula di insegnamento.

In questi anni venne inoltre demolita la cappella della compassione che era addossata al refettorio che fu sostituita da un loggiato che univa i due lati colonnati del chiostro capitolare andando così a far perdere allo stesso la sua simmetria originale.

Una piccola famiglia di certosini fu reinserita nel monastero, composta da un priore col compito di amministratore, due padri col compito di custodi e tre laici col compito di servienti.

Durante la Prima guerra mondiale la certosa subì numerosi lavori strutturali atti ad

adattarla ad ospitare le truppe dell’esercito impegnate nel conflitto. I lavori furono seguiti

dal sopraintendente ai Monumenti di Pisa che cercò di evitare che questi deturpassero la

struttura e gli affreschi cercando di mettere a disposizione solo le parti non monumentali

o comunque prive di opere d’arte, ma nonostante questo qualche danno al patrimonio

del complesso fu comunque procurato. I granai, le stalle e il fienile vengono utilizzati per

il ricovero di mezzi e animali. Le arcate del terrazzo della lavanderia furono murate sul lato

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che dà sulla corte del fienile. L’ala alla destra della chiesa viene occupata dagli ufficiali e dal comandante.

Più difficile fu difendere il patrimonio artistico della certosa quando fu deciso di installarvi un ospedale. I principali lavori di adattamento li subì la terrazza della lavanderia a cui vennero nuovamente tamponate le arcate, il granaio che fu suddiviso in più stanze e il loggione le cui arcate furono completamente tamponate con muri provvisti di finestre trasformandolo in una corsia con 200 posti letto. Il terrazzo viene completamente chiuso per installarvi una sala chirurgica e la casetta colonica alla fine del loggione viene suddivisa per adibirla a latrine e camera mortuaria. Con l’aumentare delle necessità ospedaliere anche le aree monumentali vennero occupate e altre, come il refettorio, il chiostro capitolare e la cappella del capitolo, vennero murate impedendone l’accesso a chiunque, anche ai monaci che così persero alcuni degli ambienti fondamentali per la loro vita cenobitica.

Alla fine della guerra la certosa torno in mano ai monaci che poterono ripristinare le condizioni precedenti con lavori a carico delle casse degli ospedali. Fu in questo momento che si decise di rendere tutto il complesso monumentale passandolo dalle mani del demanio a quelle della soprintendenza.

I lavori di manutenzione furono continui a causa di diversi eventi dannosi accaduti in questi anni, come un’alluvione e il secondo conflitto bellico mondiale.

Nel 1969 l’Ordine Generale di Grenoble decreta la chiusura della comunità monastica che venne definitivamente abbandonata tre anni dopo.

La gestione del complesso passa nelle mani del Ministero dei Beni Culturali che istituisce il Museo Nazionale della Certosa Monumentale di Calci creando un collegamento tra la Chiesa, le cappelle, i chiostri, il refettorio, le foresterie, la biblioteca e la spezieria visitabile dai turisti.

Nel 1979 gli altri spazi del complesso vengono affidati all’Università di Pisa che li adibisce a Museo di Storia Naturale e del Territorio trasferendovi i reperti dei vecchi musei di Zoologia, Paleontologia e Geologia di Pisa. Inoltre, nel piano terra dell’ala alla sinistra della chiesa, nel 2016 viene inaugurato l’acquario di acqua dolce più grande d’Italia.

Negli ultimi decenni il complesso è stato ed e tuttora soggetto a interventi di recupero e

restauro volti alla conservazione degli ambienti che versano in condizioni critiche.

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1.2) Strutture orizzontali

1.2.1) Volte

Le volte sono stati uno dei sistemi di copertura più utilizzati nell’architettura del passato, prima dell’introduzione di nuovi materiali come l’acciaio e il cemento armato, per via della loro capacità statica e del loro aspetto. Grazie a questo sistema si riuscivano a coprire spazi di grandi dimensioni premettendo inoltre di creare una superficie perfetta per essere affrescata con dipinti in grado di donare eleganza e leggerezza alla struttura.

In più di tremila anni di utilizzo sono state ideate varie tipologie di volta, che variano per forma, materiali e tecniche costruttive. Essa nasce come naturale evoluzione dell’arco.

Infatti la volta a botte, prima tipologia di cui si hanno tracce, può essere vista come una successione di archi affiancati nella direzione perpendicolare al piano che li contiene. I primi esempi risalgono al periodo dei greci e degli etruschi, ma il grande sviluppo si ebbe con i romani che perfezionarono tecnica e materiali acquisendone una grande padronanza che gli permise di realizzare costruzioni molto ardite. Si deve a loro la nascita delle volte in opus caementicium, dove le volte in muratura venivano coperte con delle colate di malte pozzolaniche che andavano a creare un guscio superiore nella convinzione che questo collaborasse con lo strato di mattoni inferiore, realizzato con alcuni blocchi disposti trasversalmente in modo da migliorare la solidarizzazione.

Durante l’Impero Bizantino si ha uno sviluppo della tecnica che vede l’abbandono dell’opus caementicium in favore di volte realizzate esclusivamente in muratura che avevano il vantaggio di una maggiore leggerezza e quindi una minore spinta.

Nel medioevo, oltre ad avere uno sviluppo delle tecniche atte a limitare la spinta orizzontale delle volte con archi rampanti e pennacchi, che permettevano quindi di realizzare murature più snelle di quelle tipicamente romaniche, si ha l’evoluzione delle volte a crociera che passarono dalla conformazione classica su pianta rigorosamente quadrata con archi perimetrali ad arco di cerchio e archi diagonali ellittici (realizzate come intersezione di due volte a botte perpendicolari) ad una conformazione più libera, con archi perimetrali e diagonali che venivano realizzati anche a sesto acuto e che potevano avere le chiavi a quote differenti e piante non più solo quadrate ma anche rettangolari.

Con il rinascimento si riscoprono le tipologie tipiche dell’era romana, come volte a vela, a

padiglione e le cupole, però utilizzando il laterizio. Gli elementi che costituivano la volta

erano uniti da malte di calce o gesso dalle buone caratteristiche meccaniche. La parte

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superiore delle volte veniva ricoperta con materiale di riempimento, costituito prevalentemente da pietrisco o ghiaia, che contribuivano alla stabilità della volta opponendosi alle sue deformazioni flessionali, nonostante un aumento di peso. Se il peso era un problema, venivano utilizzati i frenelli o i costoloni di rinforzo oppure venivano realizzate delle lunette che permettevano anche una maggiore illuminazione lasciando maggiore spazio per l’apertura di finestre.

L’introduzione di nuovi materiali portò ad una progressiva scomparsa delle strutture voltate in muratura, iniziando dalle strutture di copertura, per le quali l’utilizzo dell’acciaio permetteva drastiche riduzioni di peso e nuovi orizzonti per l’illuminazione naturale, fino a coinvolgere tutte le volte, che ora possono essere realizzate in cemento armato liberandosi dai limiti della muratura e introducendo nuove forme, come volte a doppia curvatura e a paraboloide iperbolico, senza dimenticare ovviamente la possibilità di coprire luci molto superiori.

La tipologia

Le volte hanno assunto molte forme nel corso dei tempi per adattarsi all’evoluzione dei materiali e delle tecniche costruttive. Vi sono tuttavia delle tipologie ricorrenti, divisibili in semplici e composte, classificabili sulla base della forma del loro intradosso.

La tipologia primordiale, e sicuramente anche la più diffusa, è quella a botte, formata muovendo una retta (generatrice) lungo un arco (direttrice). I primi esempi di questa tipologia sono stati trovati a copertura di canali ma il miglioramento della tecnica ha permesso di coprire

luci sempre maggiori rendendole adatte anche come coperture negli edifici. Sono numerosi gli esempi di questo tipo di volta a copertura delle navate delle basiliche di epoca romana. Per via delle sue caratteristiche si adatta ad essere utilizzata in ambienti lunghi costeggiati da due muri continui, come ad esempio a copertura dei corridoi.

La cupola è invece caratterizzata dall’avere un arco sia come generatrice che come direttrice e può essere vista come la rivoluzione di un arco attorno ad un asse verticale.

Essa, nata nel periodo romano, è ricorrente nelle costruzioni di culto, di cui ne diventano il simbolo, sia per

Figura 3: volta a botte

Figura 4: cupola

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la religione cattolica che per quella ebraica.

La volta a vela nasce nel periodo bizantino come cupola impostata su base quadrata, e può essere vista appunto come una cupola sezionata da quattro piani verticali passanti per il quadrilatero inscritto nella base. Una ulteriore evoluzione, che unisce queste due volte in una sola, è la cupola impostata sui pennacchi.

Le volte composte sono formate dall’intersezione di due o più superfici semplici. Le più diffuse sono quelle a padiglione e a crociera formate dall’intersezione di due volte a botte:

le prime formate dai quattro fusi così ottenuti, mentre le seconde dalle quattro unghie.

Figura 6: volte a padiglione e a crociera

La volta a crociera scarica il suo peso ai quattro angoli, ed è quindi adatta a poggiare su colonne, mentre la volta a padiglione necessita di muri continui su tutti i lati e risulta essere più pesante della prima. Per limitarne il peso queste degeneravano in volte a specchio o a schifo, formate tranciando la volta a padiglione con un piano orizzontale o comunque con una superficie di grande curvatura.

Altri tipi di volte molto utilizzati sono la volta a botte con testa a padiglione e le volte lunettate, costituite da unghie disposte perpendicolarmente alle imposte che hanno il vantaggio di una maggiore leggerezza, in quanto le lunette permettevano di utilizzare meno materiale per il riempimento, e di lasciare maggiore spazio sulla parete da poter utilizzare per realizzare aperture finestrate che garantivano una migliore illuminazione degli ambienti.

Figura 5: volta a vela

Figura 9: volta lunettata Figura 7: volta a schifo

Figura 8: volta a botte con testa a padiglione

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La curvatura

Le volte in origine venivano realizzate a tutto sesto, visto che questa era considerata la forma più solida, ma durante la loro evoluzione sono state adottate curvature differenti per adattarsi ad esigenze funzionali ed estetiche. Per esempio, i costruttori adottarono volte a sesto acuto capendo che queste erano meno spingenti e che quindi non avevano la necessità di essere imbrigliate, ma molto spesso venivano preferite volte a sesto ribassato, policentriche o ellittiche che, seppure più spingenti, avevano il vantaggio di meglio adattarsi ad ambienti non eccessivamente alti. La freccia delle volte è quindi proporzionata all’altezza del vano da coprire. Alcuni trattatisti sostenevano che la freccia doveva essere di circa un quarto dell’altezza in chiave della stanza. Ma nel 19° secolo si comincia a comprendere meglio il funzionamento delle volte e si sostiene che la volta, ove possibile, debba essere a tutto sesto, riservando le volte a sesto ribassato alle stanze dove l’altezza era poca. Essendo chiaro il legame tra freccia e spinte orizzontali e l’effetto benefico del peso gravante sui piedritti che sostengono le volte, furono ipotizzate le frecce minime adottabili in palazzi, dove le volte dei piani inferiori potevano avere una freccia inferiore a quelle dei piani superiori in quanto il peso stabilizzante sui piedritti diminuiva man mano che si andava su con i livelli.

Figura 10: tipi di curvature nelle volte

Tecniche costruttive

Da quando le volte hanno cominciato ad espandersi una tecnica costruttiva l’ha fatta da

padrona, quella che vede l’utilizzo di blocchi in laterizio. Questo sistema, grazie alla

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leggerezza, alla facilità di posa dei mattoni e alla maggior economicità, è sempre stato preferito, salvo casi particolari, alle volte in pietra che invece richiedevano capacità e tempi di lavoro molto maggiori ed erano quindi riservate ai casi più importanti o alla sola ossatura della volta.

La loro realizzazione segue essenzialmente tre fasi: la costruzione dell’armatura, la disposizione dei mattoni e infine il disarmo.

L’armatura è costituita da due elementi: le centine e il manto. La sua realizzazione, soprattutto per le volte di grandi dimensioni, era un procedimento lungo e molto complesso che richiedeva delle conoscenze specifiche, sia per la difficoltà di disegnarne il profilo, sia perché esse dovevano sostenere un peso notevole. Vi sono tuttavia casi in cui questa fase viene saltata, come da esempio per la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, dove l’impossibilità di realizzare un’armatura sufficientemente resistente a sostenerne tutto il peso, ha portato all’ideazione di una tecnica che ne poteva fare a meno, ovvero quella delle cupole autoportanti.

Sono numerosi i trattati che si occuparono specificatamente di questa fase comprendendone la criticità. Il primo ostacolo, come già accennato, era quello di disegnare correttamente l’intradosso, cosa molto complicata per le volte complesse come quelle a padiglione. Il secondo ostacolo era quello di posizionarle assicurandone la stabilità. Per volte di grande luce le forme (i pezzi di legno che definivano l’intradosso) dovevano essere sorrette da una

sorta di travi reticolari.

Nel caso di volte impostate a grande altezza le centine venivano poggiate su mensole create alla sommità dei piedritti che poi venivano trasformate in cornici decorative.

Costruzione volta: Durante la costruzione era buona norma realizzare le volte in continuo con i muri in modo che il loro legame fosse più forte rispetto a quando vengono realizzati in due fasi successive. Inoltre era importante, al fine di proteggere il loro punto debole, realizzare il rinfianco almeno fino a 30° dall’imposta, aumentando la solidarizzazione tra muro e volta. La disposizione dei mattoni avveniva contemporaneamente da tutti i lati della volta, in modo da evitare una deformazione asimmetrica delle centine e quindi della

Figura 11: armatura per volte di grande luce

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volta stessa. La sistemazione dei conci di chiave era una fase molto delicata in quanto determinante per diminuire l’abbassamento della volta durante il disarmo. A seguire veniva effettuata una gettata di malta di gesso o calce e sabbia.

Apparecchiatura: Notevole importanza assume la disposizione dei mattoni che può influenzare il comportamento della volta. I mattoni potevano innanzitutto essere posati in foglio o di coltello. Inoltre, in entrambi i casi potevano essere sistemati seguendo diverse tessiture.

Nelle volte a botte la disposizione classica era quella con mattoni posti parallelamente alle imposte, ma per volte di grandi luci e con frecce ribassate i filari in prossimità della chiave risultavano praticamente verticali e ne riducevano la stabilità. La disposizione con filari perpendicolari alle imposte aveva il vantaggio di poter essere chiusi in chiave velocemente e quindi si poteva realizzare una centina più piccola che veniva spostata progressivamente con lo sviluppo della volta ma garantivano una minor collaborazione tra filari contigui.

Gli altri tipi di tessiture avevano migliori comportamenti statici, ma richiedevano maestranze più esperte e tempi di realizzazione maggiori.

Anche le altre tipologie di volte prevedevano diversi modi di disporre i filari. Le volte a crociera venivano realizzate con filari paralleli agli archi di imposta, ma si creava un punto debole in corrispondenza delle diagonali. Allora per migliorarne il comportamento i filari potevano essere posati perpendicolarmente alle diagonali.

Le volte a vela erano solitamente apparecchiate con filari concentrici fino a quando il cerchio non diventava troppo piccolo, e venivano quindi chiuse con filari paralleli alle diagonali. Oppure potevano essere realizzate con filari con archi concentrici ai vertici della volta.

Le volte a padiglione e quelle a botte con testa a padiglione, che presentano un punto debole in corrispondenza delle diagonali, venivano realizzate con filari paralleli alle

Figura 12: esempi di apparecchiature

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imposte lungo i quattro lati fino ad un certo punto, poi gli angoli venivano rinforzati con mattoni disposti a 45°

fino ad incontrarsi e infine venivano chiuse con filari paralleli al lato corto.

La disposizione dei mattoni in foglio veniva utilizzata nelle varie tipologie di volte quando si voleva contenere

il peso e limitare le spinte orizzontali e quando non erano richieste prestazioni elevate, e trovavano applicazione soprattutto in edifici civili in cui le luci erano limitate a circa 6/7 metri.

Disarmo: Anche la fase del disarmo era molto delicata e doveva avvenire lentamente per accompagnare il fisiologico abbassamento della volta dovuto al suo assestamento e alla compressione dei giunti di malta. Subito dopo la posa dei conci di chiave era buona norma abbassare di poco l’armatura in modo che i giunti potessero comprimersi andando a riempire i vuoti, ma non troppo per evitare che la malta fuoriuscisse completamente dai giunti. L’armatura veniva lasciata per mesi continuando a poco a poco.

Per regolare l’altezza dell’armatura erano stati escogitati diversi metodi, ma i più diffusi consistevano nel poggiare la centina o su due cunei che se allontanati riducevano l’altezza o su sacchi di sabbia che venivano svuotati il necessario per ottenere l’abbassamento

desiderato. In epoca più recente questi sistemi sono stati sostituiti da viti o martinetti.

Nel diciottesimo secolo fu introdotta una nuova tecnica costruttiva che permetteva la realizzazione di “false”

volte, caratterizzate da un’estrema leggerezza, chiamate in canniccio o in camorcanna, che non avevano funzione portante, ma solo finalità estetiche.

Erano realizzate con stuoie di canna, appese su centine lignee e ricoperti di intonaco nell’intradosso.

Figura 13: possibile apparecchiatura per volte a schifo

Figura 14: cunei per disarmo graduale

Figura 15: particolare volta in canniccio

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1.2.2) Solai

I solai sono le strutture di chiusura orizzontale maggiormente utilizzate in architettura e, rispetto alle volte, hanno il vantaggio di essere economiche e leggere. Inoltre permettono un collegamento più rigido tra i muri verticali aumentandone sensibilmente la stabilità e permettendone quindi una realizzazione più snella.

Le tipologie di solaio sono varie e non vuole essere scopo di questa tesi farne una completa trattazione, ma ci si limiterà a citare le tipologie presenti all’interno della Certosa di Pisa, cioè principalmente solai con struttura in legno e mezzane, con qualche eccezione per alcuni solai di copertura recentemente ricostruiti nell’ala destra delle case basse a partire dal vestibolo che sono stati realizzati con travi prefabbricate in cemento armato tipo

“Varese” e tavelloni in laterizio (fig. 21).

Se nelle aree più antiche e nobili della certosa gli orizzontamenti erano principalmente costituiti da volte, nelle aree accessorie e negli ultimi piani i solai in legno sono largamente utilizzati, sia come solai di copertura che come controsoffitti.

Si possono trovare principalmente quattro tipologie differenti, ovvero solai in legno a semplice orditura per le stanze con luci modeste (fig. 16), solai in legno a doppia orditura per i solai interpiano e per i controsoffitti (fig. 17), solai in legno a tripla orditura (fig. 18) e solai in legno con capriate (fig. 19) per i solai di copertura. Inoltre, nella Cella B sono presenti due solai in legno a cassettoni (fig. 20). Tutte queste tipologie sono accomunate dall’avere, al di sopra dei travetti, uno strato di mezzane in laterizio.

Figura 16: solaio in legno a semplice orditura e mezzane in cotto

Figura 21: solaio con travi prefab. in C.A e tavelloni in laterizio

Figura 20: solaio in legno a cassettoni e mezzane in cotto

Figura 17: solaio in legno a doppia

orditura e mezzane in cotto Figura 18: solaio in legno a tripla orditura e mezzane in cotto

Figura 19: solaio in legno con capriate e doppia orditura e mezzane in cotto

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1.3) Strutture verticali

La Certosa di Pisa è costituita principalmente da murature in pietre naturali non squadrate e/o in mattoni di laterizio su letti di malta.

Tra gli scopi di questa tesi vi era quello di realizzare una mappatura delle tipologie di murature presenti nell’edificio, e per fare ciò sono stati eseguiti dei rilievi visivi dell’intero complesso. Nella maggior parte della loro superficie, le murature sono rivestite da uno strato di intonaco, sia interno che esterno, che cela la composizione della muratura sottostante. Tuttavia, vi sono dei punti in cui è possibile vederla, o perché fu lasciata nuda, come nelle aree meno nobili del piano terra al tempo

adibite a cantina o a locali di servizio, o perché a causa del degrado l’intonaco si è staccato, o perché è stata riportata in evidenza per la campagna di saggi che le ha interessate nel 2019 (fig. 23), come nella US2 (l’area alla destra del tempio).

Purtroppo questi punti non erano sufficienti a permettere una mappatura certa di tutte le murature, che è quindi stata realizzata sulla base di ipotesi riguardanti la vicinanza a murature note, al periodo costruttivo e al loro spessore ed è stata riportata nelle tavole da 1 a 4, allegate alla tesi.

Sono state individuate tre tipologie differenti, ovvero muratura con pietre naturali sbozzate e malta (fig. 22) utilizzate prevalentemente nei muri controterra dei piani terra delle US2 e US5, muratura mista con pietre sbozzate, ciottoli, mattoni, detriti e malta (fig. 23) utilizzata per la stragrande maggioranza dell’opera e muratura con mattoni pieni di laterizio (fig. 24) utilizzata nelle aree più recenti e principalmente per i muti interni. Inoltre possiamo individuare una quarta tipologia, ovvero la muratura in blocchi di marmo squadrati (fig. 25) che però non ha funzione strutturale, ma solo di rivestimento della facciata del tempio.

Figura 24: muratura in mattoni

Figura 25: muratura in marmo Figura 22: muratura in pietra

Figura 23: muratura mista

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1.4) Rilievi geometrici

Il lavoro di rilievo geometrico degli intradossi degli orizzontamenti dell’area di studio (US2 e US5) è stato svolto con misurazioni in sito e, in alcuni casi, con l’elaborazione delle nuvole di punti ottenute attraverso la scansione laser di alcune stanze.

Per il rilievo delle volte si è proceduto misurando per punti le linee principali che le definiscono, diverse a seconda della tipologia di volta. Per le volte a botte è stata misurata la direttrice, per le volte a padiglione e a schifo i due assi di simmetria, per le volte a crociera e le volte a vela gli archi perimetrali e i due assi di simmetria. Inoltre, nei casi in cui erano presenti, sono state rilevate anche le lunette lungo l’arco perimetrale e l’asse di simmetria.

Il rilievo è stato eseguito posizionando un metro a nastro sul pavimento lungo la linea scelta e misurando le altezze per punti con un distanziometro laser. Le misurazioni sono state più fitte all’altezza delle reni, con intervalli di 10 cm per i primi 50 cm, intervalli di 25 cm tra i 50 e i 150 cm successivi e intervalli di 50 cm per le distanze maggiori. Nei casi in cui la pavimentazione non era piana si è provveduto a correggere le altezze ottenute considerando il dislivello del pavimento rispetto alla linea orizzontale partente dal primo punto di misurazione. I punti così ottenuti sono stati riportati su Autodesk Autocad ed è stata disegnata la linea curva semplice che meglio li approssimava (arco di circonferenza, arco di ellisse o curva policentrica).

Per le stanze di cui è stata messa a disposizione la nuvola di punti si è proceduto sezionandola con piani verticali lungo le stesse linee scelte per le volte misurate in sito utilizzando il software Autodesk Recap. Le linee così ottenute sono state esportate su Autocad per poi disegnare le linee curve semplici che meglio le approssimavano.

Per il rilievo dei solai sono state misurate le altezze rispetto al pavimento degli stessi e le dimensioni degli elementi lignei. Le altezze delle travi sono state ottenute semplicemente per sottrazione tra l’altezza rispetto al pavimento della base del travetto e la base della trave. Le larghezze delle travi sono state ricavate attraverso l’elaborazione delle fotografie scattate dal basso al solaio. Queste sono state modificate sul software Adobe Photoshop per correggerne la distorsione e successivamente importate su Autocad e scalate alle dimensioni reali potendo così misurane le dimensioni di interesse.

I travetti sono stati ipotizzati tutti a sezione quadrata con lato di 8 cm in quanto queste

erano le dimensioni dei vari travetti che sono stati potuti misurare in sito.

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1.5) Rilievi materiali e stratigrafie

Nella prima metà del 2019 la Certosa di Pisa è stata oggetto di una campagna di saggi, che ha riguardato gli orizzontamenti della US2, ovvero dell’ala meridionale e della cella del priore.

I saggi sugli orizzontamenti sono stati effettuati principalmente dall’alto, andando a sollevare una piccola area della pavimentazione e scavando attraverso gli strati sottostanti, fino a raggiungere l’estradosso della volta o del solaio. Questo ha permesso di conoscere i materiali impiegati e di individuare presenza di eventuali sistemi di rinforzo o alleggerimento o di lesioni nascoste.

Per i punti dove questo non era possibile è stato utilizzato l’endoscopio che, passando attraverso piccoli fori, ha permesso di capire come sono realizzate le strutture nascoste dall’orizzontamento.

Per questa tesi si è fatto uso della documentazione fotografica, eseguita inquadrando un metro poggiato sull’intradosso della volta, che ha permesso la determinazione dello spessore degli strati di materiali presenti all’interno degli orizzontamenti e di realizzarne quindi le stratigrafie con la stima dei pesi.

Figura 26: saggio P_1.02, volta a crociera con reni a due teste

Figura 27: saggio P_1.02, riempimento in sabbia e detriti

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Figura 28: saggio P_1.03, volta a botte con mattoni disposti di coltello

Figura 29: saggio P_1.04, presenza di arco di rinforzo

Figura 30: saggio P_2.10, volta senza riempimento con pavimento su solaio ligneo

Figura 31: saggio E_2.05, frame estratto dal video girato con l’endoscopio

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1.6) Rilievo del quadro fessurativo

Nell’ambito delle indagini conoscitive è stato effettuato anche un rilievo del quadro fessurativo delle volte utile ad avere informazioni riguardo eventuali meccanismi in atto che potrebbero creare dissesti e minare la sicurezza strutturale.

Questo lavoro non è stato effettuato con l’intento di essere completo ed è stato eseguito solo sulle volte senza estendersi ai muri perimetrali come sarebbe indispensabile fare per comprendere appieno il meccanismo in atto, e non è stata data nemmeno indicazione della gravità delle fessure. Tale rilievo vuole essere solamente un’indicazione per evidenziare i punti in cui esse sono presenti e quindi meritevoli di future attenzioni.

Si vuole evidenziare, però, come ogni tipologia di volta sia afflitta da quadri fessurativi tipici e che quindi, anche solo guardando la posizione nella quale si crea la fessura, ci si può fare già un’idea della sua pericolosità e dell’eventuale meccanismo in atto.

Si vuole fare l’esempio più classico della volta a botte impostata solo sui due muri laterali e con le teste libere e del quale si hanno vari esempi a copertura dei corridoi della Certosa di Pisa. Questo tipo di volta può essere considerato come una successione di archi affiancati e quindi anche i quadri fessurativi tipici sono gli stessi. La presenza di lesioni longitudinali in chiave e alle reni possono considerarsi fisiologiche e, finché non viene a crearsi almeno una quarta cerniera in corrispondenza della base di uno dei piedritti, il collasso non dovrebbe avvenire. Possiamo apprezzare questo tipo di lesioni in varie volte della Certosa come ad esempio le 2_2.40_vol2 e 2_0.44_vol1. Sono state scelte queste due in quanto, seppure presentano fessure in posizioni simili, hanno gravità molto diverse.

La prima è una volta dell’ultimo piano, sopra la quale probabilmente non vi è il

riempimento che aiuta a contrastarne fenomeni flessionali, ma non deve portare

nemmeno carico, quindi non desta grosse preoccupazioni. Se i muri sui quali è impostata

non avranno cedimenti dovuti a cause indipendenti dalla volta, che è poco spingente visto

il suo scarso peso, la volta non dovrebbe correre il rischio di collassare. La seconda volta

indicata, invece, presenta qu quadro fessurativo molto grave, ed è ad oggi puntellata per

evitarne il collasso. Essa è più pesante della prima e quindi più spingente. Non essendovi

dispositivi atti a contrastarne la spinta, ed essendo essa impostata su un muro perimetrale

dell’edificio, tra l’altro costituito da una successione di archi su pilastri, potrebbero essersi

create delle cerniere alle basi di questi pilastri (per eccessiva spinta della volta a per un

cedimento del terreno) che hanno portato al dissesto della volta.

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1.7) Catalogazione degli orizzontamenti

Obiettivo principale di questa tesi è stato quello di creare una catalogazione degli orizzontamenti delle US2 e US5 contenente i dati necessari ad effettuare le analisi strutturali per verificare il loro comportamento statico, sismico e se esposte al fuoco, oltre ad altre informazioni utili a conoscere il loro stato di fatto. Nello specifico gli abachi contengono dati riguardanti la geometria degli orizzontamenti, ottenuta come specificato nei paragrafi precedenti, e la loro stratigrafia ottenuta, dove disponibili, dall’elaborazione dei dati raccolti durante la campagna di saggi svoltasi nel 2019 nella US2.

Sono state create due tipologie di abaco, una per gli orizzontamenti voltati e una per quelli piani (in quanto le informazioni utili a definirli sono differenti), entrambe organizzate a riquadri. L’abaco per le volte è costituito da cinque riquadri, mentre quello per i solai da quattro.

In entrambe le tipologie di abaco, il primo riquadro, posto alla loro sommità ed evidenziato con un riempimento grigio, contiene un codice univoco identificante l’orizzontamento trattato, assegnato seguendo la seguente forma:

X_Y.nn_ZZZmm dove:

X numero identificativo dell’Unità di Studio;

Y numero identificativo del piano;

nn numero identificativo della stanza;

ZZZ codice identificativo della tipologia di elemento (vol per le volte e sol per i solai);

mm numero progressivo identificativo dell’elemento;

Nel secondo riquadro sono contenute varie informazioni, differenti per volte e solai. Negli abachi delle volte sono riportate informazioni riguardanti la tipologia di volta (a botte, a crociera, etc.), la loro localizzazione all’interno della Certosa, il tipo di intradosso (se nudo, intonacato o affrescato), la condizione dell’intradosso (se integro o se presenta fessurazioni), la tecnica costruttiva adottata (mattoni disposti in foglio o di coltello, in canniccio), il metodo utilizzato per rilevare l’intradosso (se da misurazioni in sito o da elaborazione di nuvola di punti), lo spessore in chiave (ricavato dove disponibile dalle nuvole di punti), e il riferimento del saggio dal quale è stata estrapolata la sua stratigrafia.

Sono inoltre presenti una fotografia scattata dal basso e un modello tridimensionale della

volta, ricostruito al CAD, utilizzato per misurare la superficie dell’intradosso della volta e

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il volume del riempimento e utilizzabile nei programmi di calcolo strutturale agli elementi finiti. Negli abachi dei solai sono riportate informazioni riguardo la tipologia e il materiale utilizzato, la loro altezza dal pavimento (presa nel punto più alto), la loro localizzazione, la loro condizione attuale (se integri o puntellati), il riferimento del saggio dal quale è stata estrapolata la sua stratigrafia o se è frutto di ipotesi (per esempio per i controsoffitti dell’ultimo piano si è ipotizzato che sopra lo strato di mezzane non vi sia nulla, come rilevato in vari punti accessibili) ed eventuali note su presenza di botole di accesso al sottotetto o travi di rinforzo in acciaio. È inoltre presente una fotografia del solaio scattata dal basso.

Nel terzo riquadro è presente una pianta dell’elemento con le relative quote per entrambe le tipologie di abaco. Nel caso delle volte è riportata anche indicazione di eventuali fessurazioni presenti su di esse.

Nell’abaco delle volte è presente un quarto riquadro contenente le loro sezioni con le relative quote. Si specifica che queste sezioni vogliono dare indicazioni solamente sulla geometria dell’intradosso e sulla sua altezza rispetto al pavimento, e non tengono in considerazione ciò che si trova sopra l’intradosso o ai lati delle imposte.

L’ultimo riquadro contiene, in entrambe le tipologie di abaco, indicazioni sulla stratigrafia dell’elemento e una stima dei pesi dei vari strati. La stratigrafia è stata ottenuta dall’elaborazione dei saggi effettuati durante la campagna del 2019 e riguardano solo alcuni orizzontamenti della US2. Per questo motivo è stata ricostruita la stratigrafia solo di alcuni orizzontamenti di quest’area e ipotizzata per quelli prossimi a questi, mentre per i restanti della US2 e tutti quelli della US5 ciò non è stato possibile.

Inoltre i saggi a disposizione sono stati eseguiti dall’estradosso e si sono fermati all’estradosso della volta o dello scempiato di mezzane del solaio, per questo lo spessore di questi elementi non è stato misurato in sito. Per quanto riguarda i solai, le mezzane sono state ipotizzate ovunque con spessore di 3 centimetri, mentre per le volte è stato ricavato il loro spessore solo dove erano disponibili le nuvole di punti delle stanze separate dall’orizzontamento considerato, sottraendo allo spessore totale lo spessore degli strati superiori e ipotizzando lo spessore dell’intonaco all’intradosso di un centimetro.

I valori non disponibili sono stati indicati con la sigla ND, mentre quelli frutto di ipotesi sono stati evidenziati con un asterisco.

Gli abachi sono stati inseriti negli allegati di questa tesi.

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2) Verifica comportamento al fuoco della volta a botte dell’aula magna 2.1) La combustione

Come già accennato, l’incendio si basa su una combustione non voluta e non controllata di materiali combustibili non destinati a questo uso.

La combustione è una reazione chimica esotermica provocata dall’ossidazione di un combustibile in presenza di un comburente e di un innesco. La presenza contemporanea di questi tre elementi è necessaria per avere una combustione, così come rappresentato dal triangolo del fuoco. Quando uno di questi elementi viene

a mancare anche la combustione cesserà. Può succedere che la fonte di innesco sia un evento istantaneo e che quindi venga a mancare subito. In questo caso la combustione può continuare se si attiva l’autocatalisi, ovvero l’autoalimentazione della combustione generata dall’elevata temperatura della fiamma che funge quindi da innesco per la restante miscela.

Nella quasi totalità dei casi il comburente è costituito dall’ossigeno presente nell’aria. Per questo il rischio di incendio non sarà mai azzerabile in caso di contemporanea presenza di combustibile e persone in quanto l’eliminazione del comburente ne renderebbe impossibile la sopravvivenza.

La combustione produce calore e provoca la trasformazione della materia combusta.

Inoltre, non trattandosi mai di combustioni pure, si ha la formazione di gas di combustione, come ossido di carbonio, anidride carbonica, anidride solforosa, ammoniaca ecc., fumi, particelle solide o liquide sospese nell’aria e residui della combustione.

I combustibili si possono classificare in solidi, liquidi o gassosi.

I combustibili solidi ad una certa temperatura emettono sostanze volatili infiammabili che miscelati con l’ossigeno e in presenza di un innesco bruciano. Il calore prodotto riscalda la massa circostante che emettendo altri vapori alimentano ulteriormente la fiamma. La combustione con fiamma continua fino a che i vapori non saranno esauriti, dopodiché il combustibile continuerà a bruciare sottoforma di brace. La facilità con cui un combustibile solido brucia è dipendente dalla sua densità, dalla sua pezzatura e dall’umidità contenuta.

I combustibili liquidi non bruciano nel loro stato, ma in forma di vapore. Raggiunta una

Figura 32: triangolo del fuoco

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certa temperatura (temperatura o punto di infiammabilità) la superficie del liquido emette vapori in quantità sufficienti a creare con l’aria una miscela infiammabile. In presenza di un innesco essa brucerà e il calore prodotto potrà provocare l’evaporazione di altro liquido continuando così a mantenere viva la combustione.

La temperatura di infiammabilità varia a seconda della sostanza, e tanto sarà minore, tanto sarà maggiore il rischio di incendio. I combustibili liquidi vengono quindi classificati in tre categorie in base a questo parametro. I liquidi di categoria A, in grado di provocare esplosioni, hanno punto di infiammabilità inferiore ai 21° C (es. benzine), quelli di categoria B hanno punto di infiammabilità compreso tra 21 e 65° C (es. alcool etilico e petroli raffinati) mentre quelli di categoria C hanno punto di infiammabilità compreso tra 65 e 125° C (es. oli minerali e diesel).

I combustibili gassosi possono provocare la combustione se miscelati con l’ossigeno presente nell’aria in percentuali comprese nel campo di infiammabilità e ovviamente in presenza di un innesco. Questo campo è definito da due limiti, superiore ed inferiore, oltre i quali la combustione non può avvenire. I limiti di infiammabilità sono riferiti alla percentuale in volume del gas combustibile rispetto alla sua miscela con aria.

Gli incendi sono classificati in base al tipo di combustibile coinvolto:

Classe A: incendi di materiali solidi la cui combustione produce braci incandescenti;

Classe B: incendi di liquidi infiammabili o solidi liquefacibili;

Classe C: incendi di gas infiammabili;

Classe D: incendi di metalli combustibili (es. sodio, potassio ecc.);

Classe E: Incendi di apparecchiature elettriche.

La classificazione degli incendi è indispensabile per rendere più semplice e sicura la scelta del tipo di estinguente più adatto. Per esempio, all’interno dell’aula magna della Certosa di Pisa, oggetto di studio di questa tesi, si trovano due estintori a schiuma di tipo 21A 189B, sigla che indica che possono essere utilizzati, con sicurezza e efficacia, su incendi di materiali solidi o liquidi infiammabili. Utilizzarli su un incendio di apparecchiature elettriche potrebbe invece essere dannoso in quanto potrebbe causare cortocircuiti o

comunque rovinare le stesse.

Figura 33: estintore presente nell'aula studiata

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2.2) Comportamento al fuoco dei materiali e degli elementi costruttivi

Gli effetti di un incendio, come detto, sono principalmente l’emissione di fumi, di prodotti di combustione e la produzione di calore. Dal punto di vista della sicurezza strutturale ci preoccupiamo di quest’ultima. Infatti, quando il calore prodotto supera quello che l’ambiente studiato riesce a dissipare, si ha un innalzamento delle temperature interne che influenzeranno il comportamento degli elementi strutturali.

L’innalzamento delle temperature degli elementi costruttivi causa una variazione delle caratteristiche meccaniche dei materiali che li costituiscono, generalmente riducendone la capacità portante, e produce delle autotensioni dovute a dilatazioni termiche ostacolate da eventuali vincoli e a gradienti di temperatura all’interno dello spessore dell’elemento esposto.

In questa tesi si vuole valutare l’effetto di un incendio su una volta in muratura costituita da mattoni pieni di laterizio con giunti di malta a base di calce.

Va innanzitutto specificato che gli elementi componenti la muratura, essendo a base di ossidi metallici o di composti inorganici, sono incombustibili, per cui non partecipano all’incendio (gruppo di materiali GM0 di reazione al fuoco secondo il D.M. 3 agosto 2015).

L’esposizione all’alta temperatura nei laterizi innesca processi chimico-fisici tra i quali:

- fase di disidratazione al raggiungimento dei 100°C;

- inversione espansiva del quarzo-α in quarzo-β a 573°C;

- fusione del laterizio a circa 1100°C.

Durante la fase di disidratazione, la pressione del vapore contenuto nei pori del materiale aumenta provocando microfratture, in funzione anche della velocità di riscaldamento.

Anche l’inversione del quarzo-α in quarzo-β, che avviene in modo repentino al raggiungimento dei 573°C, provoca un’espansione della struttura cristallina, di circa l’1%.

Questi due eventi causano il fenomeno dello spacco superficiale, anche detto spalling, che porta al distacco di materiale e quindi alla riduzione del suo spessore con conseguente riduzione di resistenza irreversibile.

Dal punto di vista quantitativo, non abbiamo riferimenti normativi che indichino la variazione dei parametri meccanici di una muratura in mattoni pieni e malta.

Nell’appendice D dell’Eurocodice EN 1996-1-2 sono riportate indicazioni da utilizzare nel

caso si utilizzi il metodo di calcolo avanzato. La figura D.1(a) contiene i valori di calcolo

delle proprietà del materiale dipendenti dalla temperatura per blocchi di laterizio utili ad

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eseguire un’analisi termica.

Figura 34: Figura D.1(a) Appedice D - EN 996-1-2

Tuttavia, questi valori si riferiscono al solo blocco di laterizio, senza considerare la presenza della malta, le cui caratteristiche meccaniche in funzione della temperatura andrebbero ottenute per via sperimentale. Inoltre i valori precedentemente citati si riferiscono a blocchi di laterizio aventi massa volumica lorda a secco compresa nell’intervallo 900 – 1200 kg/m

3

e con resistenza a compressione normalizzata compresa nell’intervallo 12 – 20 N/mm

2

, quindi non sono rappresentativi del caso di studio di questa tesi, dove la volta da verificare è costituita da blocchi pieni aventi massa volumica di circa 1800 kg/m

3

.

Come detto, l’esposizione al fuoco di elementi costruttivi ne comporta un aumento di temperatura che causeranno deformazioni e indurranno delle tensioni interne (per via del gradiente termico tra faccia esposta e non esposta), di cui bisogna tenere conto in caso di utilizzo del metodo di calcolo avanzato, così come esplicitato dall’appendice D dell’EC6.

Per capire gli effetti del fuoco su una parete separante esposta da un solo lato possiamo immaginare una mensola verticale incastrata alla base con un focolaio su un lato di essa.

L’aumento delle temperature produrrà un allungamento della mensola, mentre il

gradiente termico presente tra le due facce dell’elemento, produrrà un suo incurvamento

con convessità verso la fonte di calore, tanto più accentuata quanto maggiore sarà la

velocità di riscaldamento. Se tali deformazioni fossero impedite dai vincoli, allora si

produrrebbero tensioni interne da considerare in fase di analisi.

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2.3) Quadro normativo

Il tema della sicurezza strutturale in caso di incendio è oggetto di attenzione da parte dei legislatori già dal primo dopoguerra, quando alcune dimensioni minime per muri tagliafuoco erano imposti nei regolamenti comunali.

Nel 1959, con il D.P.R. 689/59, si ha il primo elenco delle attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco e due anni dopo, con la Circolare 91 del 14/09/61, viene emanata la prima norma a livello nazionale riguardante la sicurezza contro il fuoco di edifici con struttura in acciaio ad uso civile. In questa vengono riportati i criteri per il dimensionamento delle protezioni contro il fuoco che dovevano garantire che l’incendio di materiali combustibili contenuti in un locale o edificio terminasse prima che le strutture raggiungessero temperature tali da comprometterne la stabilità. La durata dell’ipotetico incendio veniva stimata sulla base del quantitativo di materiale combustibile per unità di superficie, chiamato carico d’incendio q ed espresso in kg legna/m

2

, che moltiplicato per un coefficiente di riduzione k rappresentativo delle condizioni reali di incendio del compartimento permetteva di ottenere la classe di resistenza C, espressa in minuti, che doveva avere la struttura:

𝐶𝐶 = 𝑘𝑘 ∙ 𝑞𝑞

La resistenza al fuoco di un elemento da costruzione, definita nel D.M. 30/11/83 come

“attitudine di un elemento da costruzione – componente o struttura – a conservare, secondo un programma termico prestabilito e per un tempo determinato, in tutto o in parte: la stabilità R (ovvero la capacità portante), la tenuta E e l’isolamento termico I”, doveva essere certificata per via sperimentale sottoponendo dei campioni a specifiche prove presso il forno di prova del centro Studi ed Esperienze del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco delle Capannelle o di altri forni autorizzati.

Durante l’esperimento i campioni vengono sottoposti ad un incendio convenzionale rappresentato dalla curva temperatura- tempo unificata riportata a destra (molto simile alla ISO 834) ottenuta dall’inviluppo di numerose curve naturali rappresentative di incendi differenti per ventilazione, carico

incendio o pezzatura del combustibile.

Figura 35: curve Temperatura-tempo unificata e ISO834

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32

Vista l’impossibilità di eseguire tale tipo di prova per ogni progetto, vennero redate delle tabelle basate sulle prove delle tipologie di elementi più ricorrenti, e per le tipologie non comprese vennero ideati dei metodi analitici comunque tarati attraverso il confronto con numerosi esperimenti eseguiti in questi centri.

Tutte le norme successive vennero basate su questo tipo di verifica e fino al nuovo millennio erano di tipo prescrittivo, ovvero dettavano al progettista antincendio la soluzione idonea, per le varie attività, a garantire un livello di rischio accettabile. Un tale tipo di approccio aveva il vantaggio di essere estremamente semplice, garantendo una buona omogeneità di applicazione e una valutazione più uniforme da parte dei controllori, ma portava con sé il grande svantaggio di non essere applicabile a tutti i casi per ragioni tecniche, economiche o di tutela dei beni artistici. Per questo motivo in Italia, con D.M 9/05/2007, vennero definiti procedure e criteri da adottare per valutare il livello di rischio e progettare le eventuali misure compensative utilizzando l’approccio ingegneristico, ovvero il metodo prestazionale, seguendo l’esempio di paesi come gli USA, precursori in questo campo della sicurezza. La procedura ingegneristica proposta dal D.M. è finalizzata all'individuazione dei provvedimenti da adottare nell'ambito delle attività soggette alla disciplina di prevenzione incendi, nel caso di attività non regolate da specifiche disposizioni antincendio e all'individuazione delle misure di sicurezza che si ritengono idonee a compensare il rischio aggiuntivo nell'ambito del procedimento di deroga. Viene quindi definito un nuovo iter procedurale che si affianca a quelli esistenti lasciando al progettista la scelta di quale seguire.

Il D.P.R. 1/08/2011 n° 151, “regolamento recante semplificazioni della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi”, aggiorna la lista delle attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco (precedentemente ci si riferiva a quella del D.M.

16/02/1982), e semplifica le procedure di prevenzione incendi velocizzando l’iter.

Con il D.M. 3/08/2015 si mette ordine al vasto corpo normativo relativo alla prevenzione

degli incendi, creando una nuova norma orizzontale dalla quale poter partire per ogni

progettazione. Quest’ultimo è stato recentemente modificato dal D.M. 12/05/2019 che

prevede l’eliminazione del cosiddetto “doppio binario” per la progettazione antincendio

ponendo fine al periodo transitorio di applicazione volontaria del Codice di Prevenzione

Incendi per le attività soggette al controllo dei VV.F. non dotate di specifica regola tecnica,

per le quali diventerà cogente, lasciando al progettista la scelta se utilizzarlo per le attività

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soggette al controllo e dotate di propria regola tecnica verticale.

In ogni caso, quando si parla di progettazione antincendio, non si può fare a meno di citare il documento interpretativo per il requisito essenziale n. 2 “Sicurezza in caso di incendio”

dove si dichiara che:

“L’opera deve essere concepita e costruita in modo che, in caso di incendio:

- la capacità portante dell’edificio possa essere garantita per un periodo di tempo determinato;

- la produzione e la propagazione del fuoco e del fumo all’interno delle opere siano limitate;

- la propagazione del fuoco alle opere vicine sia limitata;

- gli occupanti possano lasciare l’edificio oppure essere soccorsi con altri mezzi;

- la sicurezza dei soccorritori sia presa in considerazione.”

Nello sviluppo di questa tesi sono stare utilizzate le seguenti norme:

- D.P.R. 1 Agosto 2011, n. 151 “Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione di incendi, a norma dell’aricolo 49, comma 4-quater, del D.L. 31 marzo 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”

- D.M. 3 Agosto 2015 “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139”

- D.M. 12/05/2019 “Modifiche al D.M. 3 agosto 2015, recante l’approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del D.Lgs. 8 marzo 2006, n. 139”

- D.M. 17 Gennaio 2018 “Aggiornamento delle «Norme tecniche per le costruzioni»” (N.T.C. 2018);

- Circolare 21 Gennaio 2019, n. 7 C.S.LL.PP. “Istruzioni per l’applicazione dell’«Aggiornamento delle “Norme tecniche per le costruzioni”» di cui al D.M 17 gennaio 2018”

- UNI EN 1991-1-1 “Eurocodice 1 - Azioni sulle strutture – Parte 1-1: Azioni in generale - Pesi per unità di volume, pesi propri e sovraccarichi per gli edifici”;

- UNI EN 1991-1-2 “Eurocodice 1 - Azioni sulle strutture – Parte 1-2: Azioni sulle strutture esposte al fuoco”;

- UNI EN 1996-1-2 “Eurocodice 6 – Progettazione delle strutture in muratura – Parte

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1 – 2: Regole generali – Progettazione strutturale contro l’incendio;

- UNI EN ISO 10456 “Materiali e prodotti per edilizia – Proprietà igrometriche – Valori tabulati di progetto e procedimenti per la determinazione dei valori termici dichiarati e di progetto”

- DCPREV 4638-2013 “Circolare: Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale degli Annessi

Nazionali degli Eurocodici”

Riferimenti

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