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Non si tratta di una scoperta recente: il frammento 1, il più ampio (8,1 x12,4 cm

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ARCHILOCHUS P. OXY. LXIX 4708.

Introduzione.

Tra le più cospicue acquisizioni papiracee degli ultimi anni va collocata quella del frammento elegiaco restituito da P. Oxy. 4708, databile al tardo II secolo d.C., la cui edizione è stata curata da Dirk Obbink nel volume LXIX di The Oxyrynchus Papyri (London 2005, pp. 18-42). Non si tratta di una scoperta recente: il frammento 1, il più ampio (8,1 x12,4 cm.), e gli altri sette frammenti di minori dimensioni che costituiscono il verso1 del P. Oxy. 4708 erano già stati rinvenuti dai grandi papirologi Grenfell e Hunt durante le campagne di scavo egiziane di fine Ottocento, ma mai pubblicati fino all'autunno 2005. Gli otto frustoli si trovano attualmente all' Ashmolean Museum di Oxford in esposizione temporanea,2 prima di tornare definitivamente nelle Papyrology Rooms dell'oxoniense Sackler Library.

Il lungo componimento in metro elegiaco contenuto nel frammento I è meglio noto tra gli studiosi come “ Elegia di Telefo” e deve questo nome all'argomento mitico che ha per oggetto. Ma prima di approfondire la tematica e l'eccezionalità della sua trattazione in un frammento elegiaco, e per giunta di paternità archilochea, converrà esaminarne le circostanze che hanno spinto Obbink ad attribuirlo al poeta di Paro. L'ipotesi dello studioso di Oxford riposa, infatti, su importanti ragioni paleografiche e papirologiche. Un confronto incrociato con altri due testi elegiaci, da tempo noti agli studiosi e tramandati anche essi su papiri ossirinchiti, ha messo in luce interessanti somiglianze.

Il primo dei due testi è P. Oxy. 854 = Archil. fr. 4 W.²:3 _ .(.)º.(.)ª

⊗ fraª xeinoi.ª dei'pnon d'æ ouª ou[tæ ejmoi; wçai'≥ª

ajll∆ a[ge çu;n kwvõqwni qoh'ç dia; çevlmata nho;ç foivta kai; koivlõwn pwvmatæ a[felke kavdwn

a[grei dæ oi\non õejruqro;n ajpo; trugovç:oujde; ga;r hJmei'ç

1 Tav. IV 2 Tav. I 3 Tavv. VI-VII.

(2)

nhfevmen õejn fulakh'i th'ide dunhçovmeqa.

...

(?) [...

stranieri (?) […

il pasto [...

né a me [….

ma, orsù, aggirati con la coppa tra i banchi della veloce nave e rimuovi i coperchi dalle cave anfore,

attingine vino rosso fino alla feccia:

in questa guardia non potremo rimanere sobri.

Siamo sicuri della paternità archilochea di questo frammento grazie ad una citazione di Ateneo nell'undicesimo libro dei Deipnosofisti, dove compaiono i vv. 6-9 del brano:

mnhmoneuvei aujtou' (sc. tou' kwvqwnoç) kai; jArcivlocoç ejn ejlegeivoiç wJç pothrivou ou{twç: ajll∆ a[ge < dunhçovmeqa.4

È interessante notare, come si evince dalla citazione soprastante, che Ateneo inseriva questi versi tra le composizioni elegiache del poeta di Paro ( jArcivlocoç ejn ejlegeivoiç), considerazione su cui torneremo in seguito.

L'altro testo correlato al nostro P. Oxy. 4708 è P. Oxy. XXX 2507 = Adesp. eleg. fr. 61W.²:5 ºn≥oç≥ª

ºl≥oç ateª º.h poluwªnum_<

ºmin ph'mæ ejfuvt≥ªeuse brotoi'ç o]uj≥k a]n e[gwge mª

ºt≥wn favçganon≥ª ºh≥n moi kecariçm≥ªevn-

4 Athen. XI 483d.

5 Tavv. VIII-IX.

(3)

ºnehn qeççal≥ª ºç≥toç jAqhnaivhç≥ª

ºn dw'ron ejpiçt≥ªamen- ajºlkh;n ejrruvçato ≥ ª

ºdakruoventa bªevlea ºh≥ puri; me;n poluª

ºg≥oç lavmpeto kaiªomen-

[…]

[…]

…] dai molti [nomi (?) […

…] una sciagura causò ai mortali […

…] neppure io […

…] la spada [...

…] gradit[a (?) […

…] Tessaglia (?) […

…] di Atena […

…] nel dono espert[o (?) […

…] difese il valore […

…] le lacrimevoli [armi (?) […

…] col fuoco molto- (?) [...

…] brillò bruci[ato (?) […

Purtroppo, per questo frammento non possediamo alcuna testimonianza indiretta in grado di indicarcene l'autore o il contesto di provenienza. Il suo primo editore, Lobel, lo attribuiva, seppur con incertezza, al poeta di Paro sulla base del verso 10: esso sembrerebbe essere identico al famoso pentametro del fr. 1W.² in cui Archiloco condensa la sua dichiarazione di

(4)

poetica:

eijmi; dæ ejgw; qeravpwn me;n jEnualivoio a[naktoç kai; Mouçevwn ejrato;n dw'ron ejpiçtavmenoç.

Come si vede, però, il verso che precede il pentametro differisce da quello che si legge nel P.Oxy. 2507, ragione questa che ha spinto West a collocare cautamente il frammento tra gli Adespota nella sua edizione del 1989.

Tutti i frammenti di cui s'è detto finora presentano tra loro affinità non trascurabili, a partire dalla medesima scrittura maiuscola rotondeggiante (Turner),6 impropriamente chiamata onciale romana,7 databile probabilmente al tardo II secolo. Questa datazione è coerente con un altro tratto che accomuna tutti i frammenti papiracei, ad eccezione di quelli di minori dimensioni: essi riportano sul recto i resti di uno stesso documento ufficiale, probabilmente relativo ad una vendita di terre, scritto in corsivo,8 collocabile anch'esso nella seconda metà del II secolo d.C.9 A ciò si aggiunga il fatto che, con ogni certezza, almeno i tre frammenti più corposi (Archil. fr. 4 W.² = P. Oxy. VI 854, Adesp. eleg. fr. 61 = P. Oxy. XXX 2507, P. Oxy.

LXIX 4708 fr. 1) sono in metro elegiaco10 e sono stati rinvenuti da Grenfell e Hunt in uno stesso giorno, il 27 Febbraio del 1897.11

Le conclusioni cui giunge Obbink sulla base di questi elementi sono riassunte nel suo articolo

12 successivo all'editio princeps di P. Oxy 4708: secondo lo studioso, il frammento adespoto contenuto in P. Oxy. XXX 2507 sarebbe da attribuirsi ad Archiloco che avrebbe usato il

6 Henry 1998, 94 aveva già rilevato l'identità della mano di scrittura tra P. Oxy.VI 854 e XXX 2507.

7 Obbink 2005, 1: «The hand is smallish ʻround capitalʼ, almost always upright, written moderately rapidly, at first sight spindly but with some mannered traits: slight, deftly placed feet and decorative hooks on bottoms and tops of uprights. Largely (but not strictly) bilinear (top and bottom-lines bound all letters except r, u, f, y, which occasionally violate the latter». Per la scrittura si veda Montevecchi 1988, 53 e 57. Altri esempi di questa scrittura, alcuni dei quali particolarmente belli, sono P. Oxy. I 20, P. Oxy. VIII 1090, P. Oxy. XXIII 2354, per cui si veda Tav. X, P. Havara, 24-28 (Bodleian Library R. Class. A.1 (P)). L'editore confronta la mano di P. Oxy.

4708 con quelle, «less formal», di P. Oxy. VIII 1100, P. Berol. 6855, P. Berol. 11650.

8 Obbink 2006, 1: «All fragments have on their fronts the same cursive writing, extensive accounts (name with patronymics and amounts, perhaps sales of confiscated land)».

9 Obbink 2005, 1 nota che che Grenfell e Hunt sono incorsi in un errore di interpretazione, sciogliendo delle abbreviazioni contenute nel documento ufficiale vergato sul recto del P. Oxy. VI 854 : non si tratta infatti di un indizio per la datazione del documento, come Grenfell e Hunt ritenevano, traducendo ʻseventh year of an emperor (Antoninus?)ʼ, ma di una quantità di qualcosa.

10 Dato lo stato di conservazione dei frr. 2-8 in P. Oxy. 4708 si impone cautela: l'alternanza di un verso più lungo e uno più breve, spia dell'uso del distico elegiaco, può essere plausibile, secondo Obbink, solo per il fr. 2, forse per il frr. 3 e 4, ma non c'è modo di provarla con una qualche certezza per i restanti frr. 5-8. Più certa in merito si mostra Nicolosi 2007, che riconosce l'uso del distico elegiaco per i frr. 1-4.

11 Pur essendo stati reperiti nel medesimo giorno, durante la catalogazione finirono in scatole differenti e furono pertanto resi noti e studiati a distanza di anni l'uno dall'altro.

12 Obbink 2006, 1-2.

(5)

medesimo verso (kai; Mouçevwn ejrato;n dw'ron ejpiçtavmenoç.) in due diversi componimenti.

Inoltre, Obbink suppone che i frammenti provengano tutti da un unico volumen che doveva raccogliere i componimenti elegiaci di Archiloco, in accordo con la pratica editoriale alessandrina di dividere la produzione dei poeti secondo il metro utilizzato.13 In effetti, presso gli antichi troviamo più di una menzione di questa raccolta, cui si fa riferimento sempre tramite l'espressione ejn ejlegeivoiç («nel libro di elegie»), tanto che, oltre al già citato Ateneo,14 anche Orione, grammatico del V secolo d.C., vi allude:

ejpivrrhçiç: oJ yovgoç, kai; hJ kathgoriva: e[vnqen loipo;n kai;

ejpivrrhtoç. jArcivlocoç ejn ejlegeivoiç (fr. 14 W.²): Aijçimivdh, dhvmou me;n ejpivrrhçin meledaivnwn / oujdei;ç a[vn mavla povllæ iJmeroventa pavqoi.15

Per Obbink, dunque, parrebbe consolidarsi l'ipotesi già espressa da Crönert in riferimento al fr. 4 W.², secondo cui «editionis Alexandrinae ab Aristophane Byzantio ut videtur paratae specimen exhibet papyrus Oxyrhynchica (i.e. P. Oxy. VI 854)».16 Inoltre, Obbink è in grado di aggiungere che si trattava di un'edizione corredata da segni diacritici come mostrano, ad esempio, le paragraphoi e le coronides che compaiono nei frr. 3 e 8 del nostro papiro.17 Il P. Oxy. 4708 ci impone una rivalutazione complessiva circa l'opera elegiaca di Archiloco:

esso, infatti, per quanto malamente preservatosi, offre tuttavia un componimento in metro elegiaco, ma dal sapore inconfondibilmente epico, poichè narra un episodio mitico, per noi piuttosto oscuro, che trovava spazio nei Cypria, tra gli antefatti alla guerra di Troia. Si tratta dello scontro bellico che vide protagonisti gli Achei guidati da Agamennone e Telefo, sovrano di Misia, nato dall'amore di Eracle e Auge18: gli Argivi, in rotta verso Troia, sbarcarono

13 Nicolosi 2007, 281, in particolare, fa riferimento alla notizia antica secondo cui i componimenti di Saffo furono ordinati dai grammatici alessandrini secondo i metri utilizzati. Inoltre la studiosa ipotizza l'esistenza di analoghe raccolte anche per la produzione epodica di Archiloco, documentata forse dalla contiguità dei due Epodi di Colonia (frr. 188 e 196a W.²) in un' unica pagina di P. Köln II 58 (inv. 7511). A sostegno di questa ipotesi parrebbe essere la testimonianza di Hephaest. Ench. 7,2 [21,14 Consbr.] /

14 Athen. XI 483d. Per l'uso di analoghe espressioni in riferimento ad altro tipo di metro cfr. Athen. X 415d : jArcivlocoç ejvn tetramevtroiç.

15 Orion 55,22 Sturz s.v. ejpivrrheçiç. Cfr. anche Et. M. 363,44s. (=Et. Gen. s.v. [gl. 67 Cal.; p. 122 Miller]) sine versibus.

16 Crönert 1911, 3.

17 Obbink 2006, 2: «This was an extensive critical edition, equipped with coronides, paragraphoi, accents, diaereses, variant readings, and marginal critical signs». Va segnalato che le coronidi che appaiono in P. Oxy.

4708 sono della stessa forma di quella presente nel P. Oxy. VI 854, collocata tra i righi 1 e 2. Nicolosi 2007, 281 avanza l'ipotesi che i P. Oxy. 854, 2507, 4708 potessero appartenere ad una copia per uso personale, magari di studio, di un volumen più pregiato.

18 L'unione di Eracle con Auge viene narrata nel Catalogo delle donne, 165 W-M, dove trovavano spazio anche la nascita di Telefo e la sua aristia tale da mettere in fuga gli Achei da Teutrania.

(6)

erroneamente sulle coste della città di Teutrania e qui furono messi in fuga dal coraggioso eroe arcade. Prima della sorprendente scoperta del frammento archilocheo la storia di Telefo ci era nota attraverso altre fonti, la più importante delle quali era costituita, come s'è detto, dai Cypria. Quella che segue è la testimonianza di Proclo riguardo il contenuto del perduto poema :

e[peita ajnacqevnteç Teuqraniva/ proçivçcouçi kai; tauvthn wJç “Ilion ejpovrqoun. Thvlefoç de; ejkbohqei' Qevrçandrovn te to;n Poluneivkouç kteivnei kai; aujto;ç uJpo; jAcillevwç titrwvçketai. ajpoplevouçi de;

aujtoi'ç ejk th'ç Muçivaç ceimw;n ejpipivptei kai; diaçkedavnnuntai.

jAcilleu;ç de; çkuvrw/ proççcw;n gamei' th;n Lukomhvdouç qugatevra Dhi>davmeian. e[peita Thvlhfon kata; manteivan paragenovmenon eijç [Argoç ija'tai jAcilleu;ç wJç hJgemovna genhçovmenon tou' ejp∆

[Ilion plou'.19

Dopo aver preso il largo da lì, sbarcano nella città di Teutrania e questa mettono a ferro e fuoco, pensando si trattasse di Troia. Allora Telefo affronta Tersandro, figlio di Polinice e lo uccide, e lui stessoviene ferito da Achille. Dopoché gli Achei salpano dalla Misia, una tempesta si abbatte contro di loro e ne sparpaglia la flotta. Achille, dunque, giunge a Sciro e sposa Deidamia, figlia di Licomede. In seguito, Achille guarisce Telefo, giunto ad Argo spinto da un oracolo e in cambio Telefo guiderà gli Achei a Troia.

Stando ad uno scolio all'Iliade, l'episodio del ferimento di Telefo ad opera di Achille e la sua guarigione – come voleva l'oracolo – per mano del medesimo eroe era raccontato diffusamente nei Cypria, fr. 20.6 ss. Bern. = ç D A 59 (pp.16-17):

oJrmhvçantoç de; ejpæ aujto;n jAcillevwç ouj meivnaç ejdiwvketo: ejn de;

tw'i trevcein ejmplakei;ç ajmpevlou klhvmati to;n mhro;n titrwvçketai, nemeçhvçantoç aujtw'i Dionuvçou, o{ti a[ra uJpo; touvtou tw'n timw'n ajfhvirhto.20

Telefo, durante l'attacco di Achille, non resistette e scappò: nella fuga inciampò in un tralcio di vite e ne ebbe la coscia ferita. In questo modo Dioniso compì la sua vendetta, poiché non era stato onorato da Telefo.

19 Procl. Arg. Cypr. 36-42 Bernabé I pp. 40-41 = 47-54 Davies p. 32.

20 S D A 59 (pp.16-17) = Ciprie, fr. 20,6 ss. Bernabé. Aloni 2007 ci fa notare come anche l'iconografia antica si sia occupata di questo episodio: proviene, infatti, da Cerveteri un cratere a figure rosse, datato intorno al 510 a.C. che ci mostra Telefo mentre inciampa nelle vite (ARV² 23,5, cfr. LIMC s.v. ʻTelephosʼ 40 e foto s.v.

ʻDiomedesʼ 17).

(7)

Su questo stesso punto si sofferma Filostrato nell'Heroicus, discostandosi però parzialmente dalle versioni fin qui raccolte:

Thlevfw/ de; oJ Prwteçivlewç aujto;ç me;n çumlakh'naiv fhçi kai; th;n ajçpivda zw'ntoç periçpavçai, to;n de; jAcilleva gumnw'/ proçpeçovnta trw'çai aujto;n eujqu; tou' mhrou' kai; ijatro;n me;n u{çteron ejn Troiva/

genevçqai tou' trauvmatoç, tovte de; lipoqumh'çaiv te uJp∆ aujtou' oJ Thvlefoç kai; ajpoqanei'n a[n, eij mh; oiJ Muçoi; xundramovnteç ajneivlonto aujto;n ejk th'ç mavchç, o{te dh; levgontai polloi; tw'n Muçw'n ejpæ aujtw'/ peçei'n, uJfæ w|n hJ/matwmevnon rJuh'nai to;n Kaivkon.21 Protesilao afferma di essere stato proprio lui a battersi contro Telefo e a sottrargli lo scudo mentre questi era ancora in vita, e che Achille, in un secondo momento, scagliandosi contro di lui disarmato, lo ferì alla coscia e poi lo guarì a Troia; a quel punto, però, Telefo mancò di spirito e sarebbe morto se non fossero accorsi i Misi a condurlo viadalla battaglia;

e si dice appunto che molti tra i Misi caddero a causa sua e del loro sangue scorreva rosso il Caico.

Il resoconto che Filostrato ci dà dell'episodio, come si noterà dalla traduzione, si allontana dai precedenti per due particolari: in primo luogo, la comparsa di un nuovo personaggio, Protesilao, col quale Telefo si scontrò effettivamente; inoltre la perdita dello scudo da parte di quest'ultimo, proprio al momento del duello con Protesilao, un punto di contatto, questo, tra il rJivyaçpiç Archiloco e il mitico Telefo, su cui capiterà di soffermarsi in seguito

È facile immaginare, infine, come l'aspetto più conosciuto della vicenda sia la sortita di un Telefo coperto di cenci nel campo acheo per implorare la guarigione che solo Achille può dargli: è questo il soggetto del perduto Telefo di Euripide, parodiato da Aristofane prima negli Acarnesi, poi nelle Tesmoforiazuse di Aristofane fino ad approdare a Pergamo, a servizio della propaganda degli Attalidi.

Per il momento si noti che, nel panorama delle testimonianze sin qui raccolte in merito all'episodio di Telefo venuto allo scontro con l'esercito acheo, quella offerta dal nuovo frammento archilocheo è sicuramente la più antica. Ma certamente rimane aperta la questione relativa alla natura e alla destinazione di questa lunga elegia dal contenuto mitico, per cui non conosciamo paralleli né nella produzione archilochea né, più in generale, nella poesia arcaica.

21 Phil., Heroicus, 23-24

(8)

Alcuni tra i più illustri studiosi si sono spesi nel tentativo di giustificare in qualche modo la preponderante presenza del mito nel frammento 1 del P. Oxy. 4708; in particolare Obbink avanza una serie di proposte tese a collegare la storia di Telefo alle vicende personali che Archiloco racconta nel resto della sua produzione elegiaca e, dunque, il frammento potrebbe:22 1) rappresentare l'ineluttabilità della Moira e riallacciarsi al fr. 16 W.² pavnta tuvch kai;

moi'ra, Perivkleeç ajndri; divdwçin;

2) tratteggiare vividamente i momenti di una battaglia reale, come avviene nel fr. 3 W.² ou[toi povllæ ejpi; tovxa tanuvççetai, oujde; qameiai; É çfendovnai, eu\tæ a]n dh; mw'lon [Arhç çunavghi É ejn pedivwi: xifevwn de; poluvçtonon e[ççetai e[rgon: É tauvthç ga;r kei'noi davmonevç eijçi mavchç É deçpovtai Eujboivhç douriklutoiv;23

3) esortare i commilitoni a non scoraggiarsi dopo una sconfitta;24

4) fungere da exmplum mythicum, volto a introdurre o contestualizzare una disavventura occorsa al poeta come quella (o proprio quella?) della perdita dello scudo, narrata nel celebre fr. 5 W.² e, dunque, la vicenda di Telefo che, stando a Filostrato, è privato dello scudo da Protesilao, nonostante sia stato protagonista di una sensazionale aristeia poco prima, potrebbe far da cornice all'episodio che riguarda lo stesso Archiloco.

22 Obbink 2005, 21.

23 Il parallelo è suggerito da Nicolosi 2007, 283.

24 A tal proposito Nicolosi 2007, 283 fa notare la possibile desinenza di I persona plurale in P. Oxy. 4708 fr. 1.4 ºeqa e, forse, anche nel fr. 3 c. I 2 º...men.

(9)

Testo

Fr. 1

***

ºi r≥ª.ºh≥.ª

....º . ª....º p≥ªaºn≥ qeou' kraterh'≥ªç uJpæ ajnavgkhç ...º..ª.º.ª..º.k≥ai; kakovthta levgei≥ªn

.ºh≥m≥ª.º.ª...ºeqa.ª.(.)ºa fugei'n feugª

...o.ª..ºou.o..w.ª ºThvlefoç jA≥rkaª≥çivdhç 5 jArge≥ivwn ejfovb≥hçe≥ po≥lu;n çtrat≥ªon,ºo≥ª

a[≥lki≥m≥ªoi,º h\≥ t≥ovça dh; moi'ra qew'n ej≥fovbe≥i≥, aijcmht≥a≥iv≥ p≥e≥ªrº ejovnteªç:º ejurreivt≥hç de; Kaviükoç pºi≥p≥t≥o≥vn≥twn nekuvwn çteivnet≥o kai; ªpedivon

M≥uvç≥i≥o≥n≥, oiJ dæ ejpi; qi'≥n≥a≥ polufloivçboiªo qalavççhç 10 cevrç∆º u{≥pæ ajmeilivktou fwto;ç ejnairovªmenoi

proºt≥ropavdhn ajp≥ev≥klinon ejukn≥hvm≥ªideç jAcaioiv.

ajºç≥pavsioi dæ ejç nevaç≥ wjªkºu≥p≥ovrªoºu≥ç≥ ªejçevban

p≥ai'devç t≥æ aj≥qanavtwn k≥a≥i;≥ ajdelfeo≥i≥v, ªou{ç jAgamevmnwn [I≥lion ªeºij≥ç iJerh;≥n h\ge machçomevno≥ªuç. 15 oºiJ≥ de; tovt≥e≥ b≥lafqevnteç oJdou' para; qª

Teºuvqrantoç≥≥ d≥≥æ ej≥r≥ath;n pr≥o;ç povlin ª.º.ª e[ºn≥q≥a≥ ªmºev≥n≥o≥ç pneivont≥e≥ç≥ oJmw'ç aujt≥o≥ª .º..ª...ºhi megavlwç qumo;n ajkhc≥e≥vªdato,

.º.n...uJyivp≥ulon Trwvwn povlin≥ eijçª 20 ..º...ª º.h≥n≥ dæ ejpavteon Muçivda purofovro≥ªn.

jHraklºeëvh≥ªçº≥.l.th.ª.º bow'n≥ tal≥ªaºkavrdion ª ..ºron..ª..ºw.nª....º dhi?wi ejn ªpolºev≥m≥ªwi

(10)

Tºhvlefon o...ª2-3ºoi'çi kakh.ª.º.ª

.º.eid≥eª...º..co.patri; carizov≥ªmenoç 25 ...º...ª.º...ª

...º.ª.º...ª...º..ª ...º....ª...º.qa.ª ***

ipsa vidi25 1 1 ºi r≥Jªoºh;≥n≥ª West : ajmfºi; rJo≥h'≥i≥ªç(i) D'Alessio : *ºi r≥ª.ºh≥.ª legi 2 init. eij de;º West ǁ p≥a'≥n≥ qeou' D'Alessio : *p≥ªa'ºn≥ qeou' malim scribere : º . i≥ qeou' West ǁ kraterh'≥ªç uJpæ ajnavgkhç Henry ap. Obbink¹ 3 ouj dei' (ouj crh; Obb.²) ajnºa≥l≥ªkeivhºn≥ West ap. Obbink¹, West : º a≥jf≥ªradivhºn≥ Luppe cl. Il. 2.368 ǁ k≥ai; legi: k≥ai potius quam n≥ai legi ǁ kakovthta levgei≥ªn vel kakovthtæ ajlevgei≥ªn Obbink¹ 4 <<> pªeirwvmºeqa Obbink¹ : n≥w't≥æ ej≥t≥ªreyavmºeqæ West ap. Obbink¹ : pºh≥vm≥ªaºt≥æ e≥u\≥ ªei{mºeqa Obbink² ([..ei{m]eq∆ iam West) : <<+> ej≥ªpiçtavmºeqæ Bowie ap. Obbink² ǁ d≥ªh'iºa Obbink¹-² : a≥i\≥ªyºa West ap. Obbink¹ : a[r≥ªhºa West : k≥ªh'rºa Ferrari ǁ fugei'n feuvgªonteç ejrivzein / a≥u[≥r≥i≥on≥ Obbink¹ : fugei'n: feuvgªein dev tiç w{rh West ap. Obbink¹, West, prob. Obbink² : f.:

feu'gªon de; kai; aujto;ç Murgia ap. Obbink¹ : f.: feu'gªon de; kai; ejçqloiv Mastronarde ibid.: f.: feu'gªon de;

kai; a[lloi Boegehold ap. Obb.² : f.: feuvgªein ga;r a[meinon Livrea ibid. : f.: feu'gªon de; kai; a[riçtoi Magnelli : fort. recte f. feuvgªonta Ferrari, Rossi vel -taç Ferrari 5 k≥a≥iv≥ p≥ot≥ªe (oJ≥p≥p≥ovt≥ªe Magnelli) mºou'n≥oç≥

e≥jw;n≥ West ap. Obbink¹ , prob. Obbink² : ….o.ª.ºou.ov g≥e≥ wJç≥ Obbink¹ : h\≥ªn d∆º o{t≥ªe kºou'r≥oç≥ ej≥w;n≥ Luppe ǁ jA≥rka≥ªçivdhç vel jA≥rka;≥ªç ejwvn Obbink¹ 6 o≥ªiJ de; fevbonto Obbink¹ : o≥ªujdæ ejgevnonto West ap.Obbink¹, West : oªi} dæ ejlavqonto West : o≥ªiJ dæ ejpevnonto Livrea ap. Obbink² : o≥ªujd∆ e[ti mei'nan vel e[t∆ e[meinan Magnelli : a[≥cªri rJeevqrwn Luppe 7 a[≥lki≥m≥ªoi,º Obbink¹ : a[≥lki≥mªoç Luppe : a[≥lkh'≥ªç dub. West h\≥ t≥ovça Janko ap. Obbink¹ : ejºç≥ t≥ovça West ǁ ej≥fovbe≥i≥ Janko ap. Obbink¹ 8 aijcmht≥a≥iv≥ per≥ ejovnteªç Parsons ap. Obbink¹-² (per≥ iam Janko ap. Obbink¹) : * p≥e≥ªrº legi : k≥e≥vk≥mhk≥a≥n≥ ªdºe; ªnºevonteªçº Luppe 9 pºi≥p≥t≥o≥vn≥twn Obbink¹ : dunovºn≥t≥wn Luppe ǁ kai;

ªpedivon West, Obbink¹-² : k. ªojcevwn vel k. ªxifevwn vel kaiªnovtera Obbink¹: kai; ªfovreen Luppe 10 M≥uvç≥i≥o≥n West ap. Obbink¹, West ǁ polufloivçboiªo qalavççhç Obbink¹ 11 cevrçæº u{≥pæ West ap. Obbink¹ : tou;çº (sc. ….

ejnairoªmevnouç) Maehler ap. Obbink² ǁ ajmeilivktou Janko ap. Obbink² 12 ajp≥ev≥klinon vel ajn≥ev≥klinon Obbink¹ : ejªfivºka≥non Luppe ǁ ejukn≥hvm≥ªideç jAcaioiv Obbink¹ : eju?kªrºhm≥ªnæ ou[reæ oiJ a[lloi Luppe 13 ªejçevban Obbink¹ : ªe[fugon West ap. Obbink¹ : ªajnevban Nicolosi, Bossi : aliter ajºççpavçioi d∆ ejç o≥[rea ç≥w'ªoiº uJpok≥ªlovºpªeon Luppe 14 ªou}ç jAgamevmnwn Obbink¹ : ªou}ç Dio;ç ai\ça Livrea ap. Obbink² 16 para; qªumo;n o[leççan Obbink¹ : para; qªi'na Janko ap. Obbink¹, dein ajfivkonto vel ejpevbhçan vel ajnevbhçan vel ajlavlhnto vel ejpalw'nto Obb.¹, ajpevbhçan vel ejpevkelçan Tammaro : para; qªi'na me;n h|kon Luppe : para; qªæ o{rmon e[laççan vel para; qªæ i{eçan ou[rouç West : *para; qªavrçei e[bainon vel e[ballon 17 ªojºr≥ªnuvmenoi vel ªojºr≥ªmevato vel 25 Sono contrassegnate da un asterisco le mie proposte; Obbink¹ indica le proposte dello studioso nell'editio princeps, mentre con Obbink² sono contrassegnate quelle apparse nell'articolo di Obbink 2006, contenuto nella rivista ZPE; con la dicitura “West ap. Obbink¹” si indicano le proposte di West anticipate da Obbink nell'editio princeps.

(11)

ªejºr≥ªcovmenoi Obbink¹ : ªejºx≥≥ªevpeçon West ap. Obbink¹, prob. Obbink² et Tammaro : ªeijçanevban West : ªeijçevbalon Luppe 18 e[ºn≥q≥a Janko ap. Obbink¹ : drimu; West ǁ oJmw'ç vel o{mwç Obbink¹ ǁ aujt≥o≥ªiv te kai; i{ppoi vel kai;

[Arha Obbink¹ : aujt≥o≥ªçcedo;n h\lqon Parsons ap. Obbink¹ : aujt≥o≥ªçcedo;n ei\xan Luppe : *aujt≥o≥ªçtadivhi g∆ e[n cl.

Il. 13.325 : aujt≥ov≥ªççutoi a[ndreç Livrea ap. Obbink² : aujt≥w'≥ªn çfetevrhi ge Ferrari : aliter *aujt≥o≥ªi; d∆

ajpovbanteç cll. Od. 14.346 19 ajºf≥r≥ªadivºhi vel ajºm≥ªplakivºhi Obbink¹ : aj≥f≥r≥ªoçuvnºhi Battezzato ap. D'Alessio : paºn≥ç≥ªudivºhi e.g. Tammaro : ajºm≥f∆ JE≥ªlevnºhi Henry ǁ ajkhc≥e≥vªdato Obbink¹ (prob. Obbink²) vel ajkhc≥e≥vªmenoi Obbink¹ : *ajkhc≥e≥vªdatai fortasse 20 fºav≥nªtoº g≥a;r West : tºhv≥n t≥e≥ g≥a;r Obbink² : tºhv≥n rJ≥a≥ g≥a;r Danielewicz ap. Obbink² : w\≥nto (i.e. w\≥<i>nto) g≥a;r Luppe : aliter *ajºn≥t≥i≥k≥r≥u; ǁ eijçªanabaivnein Obb.¹ : eijçªafikevçqai Burkert ap. Obbink² et Tammaro : *eijçªapobaivnein cl. A.R. 4.650, 1781 21 kºa≥l≥l≥i≥ªfºu≥h≥;n≥

Obbink¹ : ai\ºy≥a: m≥ªavºt≥h≥n≥ Boegehold, prob. Obbink² : mavy: cwvrhn vel mavy: ajgaqh;n e.g. Tammaro : mavy:

ajk≥t≥hv≥n≥ Henry : aujºt≥ov≥q≥ªiº vel aujºt≥i≥vk≥ªaº: g≥h≥'n≥ e.g. Burzacchini : fa;ºn≥ m≥e;≥n≥ g≥h≥'n≥ Burkert ap. Obbink² : çth'ºç≥a≥n≥ vel mevlºl≥o≥n≥ g≥h≥'n Danielewicz ibid. : kºa≥l≥l≥i≥ªgºu≥vh≥n≥ West : aJrpºav≥g≥ªdºh≥n≥ Luppe : *oi{ geº b≥av≥ªdºh≥n≥ vel *oi{ geº ç≥uv≥ªdºh≥n≥ cl.

Aesch. Pers. 480 : Teuqranivhn e.g. Tammaro : kºa≥l≥l≥i≥ªrºov≥hn vel kºa≥l≥l≥iv≥ªçºt≥hn D'Alessio : *nhpievhn cl. Il. 12.125- 127 (iam Nicolosi vidit) ǁ epateun PPP 22 P jHraklºevh≥ç Obbink: *jHraklºevh≥ªçº malim scribere ǁ aj≥n≥a;≥ th'l≥ªeº Obbink¹ : d≥∆ h[≥n≥thç≥ªeº West ap. Obbink¹, prob. Obbink² : h|≥i≥ th'l≥ªe Burkert ap. Obbink² : *tlh(?).th'lª legi : aliter ajll∆ aj≥ªçºt≥o≥ªi;º d≥m≥h≥th'r≥æ ªejºbovwn Luppe ǁ ªuiJo;n Obbink¹ : ªejovnta Luppe : *a[ndra 23 cei'ºron Obbink¹ : ou\ºron West ap. Obbink¹ : a[kºron Burkert ibid. ǁ a≥jm≥ªeºiv≥l≥i≥k≥ªton West ap. Obbink¹, West : e≥[t≥ªikºtæ e[≥ªmenai Burkert ap.

Obbink² : a≥jm≥ªeºiv≥l≥i≥c≥ªivhç Luppe : *w≥ª..ºhÉen malim scribere 24 o...oiçi Obbink¹: o...[2-3]oiçi malim scribere : or≥k≥ fortasse PPP, unde o{r≥k≥o≥i≥ç≥ t≥oi'çi dub. Obbink¹ : oJr≥k≥o≥t≥o≥vm≥oiçi Holford-Stevens ap. Obbink¹ :P oJr≥k≥i≥ªçº≥m≥oi'çi D'Alessio : vel or≥cë PPPP, unde oJr≥c≥≥h≥ªqº≥m≥oi'çi dub. D'Alessio: vel ou≥k≥ PPP, unde dub. * ouj≥k≥ : o}ç≥P D≥a≥n≥a≥oi'çi Janko : o{ç≥ t≥æ a[≥r≥a≥ t≥oi'çi Burkert ap. Obbink² ǁ ªtºov≥ªte fuvzan ejnovrçaç West ap. Obbink¹, West:

ªejºp≥ªmhvçato moi'ran Janko ap. Obbink¹ : ªtºov≥ªte moi'ran ejpovrçaç Livrea ap. Obbink² : ªajºn≥ªivhn periavptwn Luppe 25 h[ºr≥eid≥eªn tæ a[m≥a≥coç≥ vel h[ºr≥eid≥e ªprovºm≥a≥coç≥ D'Alessio, qoud prob. Obbink² : h[ºr≥eid≥eªn moºu'≥n≥oç≥ : h[ºr≥eid≥ëæ ejªç povleºm≥on≥ Luppe ǁ carizov≥m≥ªenoç vel carizov≥m≥ªenon Obbink¹ 28 qal≥ª vel qan≥ªei'n vel qan≥ªat- vel ajëqan≥ªat- Obbink¹

(12)

Fr. 2

c. I c. II

***

. º ej≥xo≥kª . º . ei

. º g≥e≥ skevpar≥n≥ªon . º path;r

. ºo≥mªevºnouç q≥..ª 5 . º .aj≥r≥e≥th'i

. º k≥ªaºk≥ov≥thtoç . º

. º . ***

. º 10 . ª . ºou . ª ... ª

*** º.ª ***

2 1 e≥jxw≥kªeivlaç vel -ei'lai vel- eivlan Obbink¹ : ej≥xw≥vkªeilan vel ej≥xwv≥kªellon Nicolosi : *ej≥xw≥vkªeilaç dub. : aliter e≥jxw, ej≥x, w\≥kªa televççaç Obbink¹ 5 -ºomevnouç dub. Obbink¹ : ºo≥mªevºnouç malim scribere, dein q≥h'≥ vel q≥h'≥n≥

Obbink¹: ºo mevnouç...ªpossis

(13)

Fr. 3

c. I

***

. ejnnoçiºg≥aivou≥ ª º . º..men o[rfn≥h≥ªiº . ºei'≥n

. º

. º 5 ***

. ºa . ª

. º ⊗ . ª . º. . ª

*** ***

Fr. 4

***

. º.hç . º.ª º

. ºn o[fræ e[ti pasaª . º.ª

. º..ª 5

***

3 2 ºg≥a≥men vel ºg≥a≥ me;n vel ºg≥a≥ mæ en, unde Nicolosi e[rºga ktl. e.g. 4 3 o[fræ e[ti pa'ça vel pa'çan possis

(14)

Fr. 5

***

º.ª º ºdw.ª º

º.o. . . .ª 5

***

(15)

Fr. 6

***

º . ª º...oª ºhn...ª º.kteª

º..evreaª 5 ºe..ª ºeª

º.ida...ª ºprwt..ª ojºçteva leªuka;

.º. ;ç vçidep.ª 10 .º...ª ºchkª

º.e..ª º....ª º.ª.º.ª

***

6 4 fortasse kteªin- vel kteªn- vel e≥kteªin- Nicolosi, sed alia possis 5 kºt≥ev≥rea Obbink¹ 7 ºo≥ vel q≥ Obbink¹ 8 fortasse ºprwvtwë Obbink¹ 9 ojºçteva leuªka; Obbink¹ 11 pavntºa≥ t≥uvch kªai; moi'ra Perivkleeç ajndri;

divdwçin rest. dub. Obbink¹ ex fr. 16 W.²

(16)

Fr. 7

***

º . ª ºnª.º .p. ª º . ª.ºn.ª.ºçeª º . ª.ºo. ª

ºp. ª 5 ºw. ª

ºmª º. .ª º.ª

Fr. 8

***

⊗ _e. ª o. ª

e. ª 5 o. ª

***

8 1 finis carminis, fortasse ejrrevtw (Archil. fr. 5.4 W.²), sed Obbink¹ idem fuisse negat 2 initium carminis, fortasse w\ Obbink¹ cl. Archil. fr. 13.6 W.² w\ filæ 5 eu≥ª vel ec≥ª post 6 finis carminis

(17)

Traduzione.

Fr. 1

…]

…] sotto la dura [necessità] imposta dal dio …] chiamare codardia

…] sfuggire fuggendo […

…] Telefo, discendente di Arcade,

volse alla fuga il grande esercito degli Argivi. [Scapparono

quegli uomini coraggiosi – a tal punto il volere degli dei li spingeva alla fuga – pur essendo valorosi in battaglia. E il Caico dalla bella corrente

rigurgitava i cadaveri dei caduti e così [la pianura Misia, e quelli verso la riva del mare sciabordante, sterminati dalla mano di un uomo implacabile, si precipitarono in tutta fretta, gli Achei begli schinieri.

Con animo sollevato salirono sulle veloci navi figli e fratelli di immortali, [che Agamennone a Ilio sacra guidava a combattere.

Ma essi, ingannati nella rotta, approdarono al litorale;

contro l'amata città di Teutrante […, dove, pur spirando ardore guerriero […

…] pesantemente patirono nell'animo.

…] infatti alla città di Troia dalle alte porte […

e, invece, misero il piede sul suolo della Misia produttrice di grano.

…] chiamando in aiuto il [figlio] dal valente cuore

(18)

…] a rovinosa battaglia, Telefo, [...] una vergognosa […

…] compiacendo il padre […

…]

…]

…] [im]mort[al- (?) …].

Fr. 2

c. I

…] si incagli[arono (?) …]

…] ascia …] padre

…]

…] con valore

…] di codardia/disgrazia

(19)

Fr. 3

c. I

…] Enosígeo …] nell'oscurità

…]

…]

…]

…]

…]

…]

Fr. 4

…]

…]

…] finché ancora tutt- …]

…]

(20)

Fr. 6

…]

…]

…]

…] uccid- (?) […

…] onori funebri (?)

…]

…]

…] prim- […

…] bianche ossa […

…]

…] il fato (?) […

…]

…]

…]

Fr. 8

…]

Oh (?) […

…]

…]

…]

…]

(21)

Commento filologico.

Fr. 1

Secondo la testimonianza di Obbink questo primo ampio frammento26 sarebbe stato enucleato già dal Lobel molto tempo prima dell'editio princeps, senza però che l'insigne studioso ne riconoscesse la paternità archilochea.27 Esso, come già anticipato, ha per protagonista Telefo, l'eroe di origine arcadica figlio di Eracle e Auge, il cui nome è legato ad una storia mitica, con ogni probabilità anteriore alla tradizione iliadica.28 Sbarcati per errore sulla costa di Misia mentre navigavano alla volta di Troia, gli Achei vengono a conflitto con Telefo, succeduto sul trono di Teutrania al re eponino Teutrante. Durante lo scontro Telefo mette in fuga l'esercito argivo, ma, di fronte all'incedere di Achille, non regge e scappa, inciampando così in un tralcio di vite appena comparso per volere di Dioniso e subendo le ferite del re dei Mirmidoni.

È qui che si inserisce il particolare dello scudo nella versione che della storia ci dà Filostrato:

prima di essere ferito da Achille, Telefo era stato privato del suo scudo da parte di Protesilao, con il quale era venuto a conflitto inizialmente. Ma sul fatto che il ferimento ai danni di Telefo sia stato per mano di Achille tutte le fonti sono concordi e Pindaro più volte lo ricorda nei suoi carmi, nell'I. 5. 41s. ti;ç a[ræ ejçlo;n Thvlefon / trw'çen eJw'/ dori; Kaiv>kou paræ o[cqaiç; e nell'I. 8.49s., o} kai; Thlevfou mevlani / rJaivnwn fovnw/ pedivon.29

Il resto della vicenda, come è noto, costituiva l'argumentum del Telefo30 di Euripide e vedeva l'eroe arcade alla ricerca di Achille, su suggerimento di un oracolo, poiché solo colui che aveva inferto la ferita ne avrebbe causato la guarigione. Il fr. 1 del P. Oxy 4708, nella parte che ci è conservata, si concentra solamente sul momento della fuga dei Greci, che torna per ben due volte nel testo.31 Seguendo la divisione narratologica proposta da Obbink,32 troviamo che il frammento si apre con un riferimento ad un atto di codardia e ad una fuga (vv. 2-3);

26 Tavv. II-III.

27 Obbink, 2006, 1: «The task of reconstruction was begun when Edgar Lobel extracted fr. 1 from a box of papyri excavated by Grenfell and Hunt in their first season at Oxyrhynchus. This process will no doubt not end here, but enough of the text has now emerged to recognize the poem as Archilochus' ( which Lobel did not) and to begin to appreciate its structure as something approaching a complete poem».

28 Burgess 2001, 73 e nn. 87s.

29 Pindaro torna ancora una volta sull'episodio dello scontro tra Misi e Achei in Ol. IX 70-73, tou' pai'ç (sc.

Patroclo) a{mæ jAtreivdaiç / Teuvqrantoç pedivon molw;n e[çta çu;n jAcillei' / movnoç, o{tæ ajlkaventaç Danaou;ç trevyaiç aJlivaiçin / pruvmnaiç Thvlefoç e[mbalen.

30 Per il perduto Telefo euripideo, si vedano Preiser 2000 e Kannicht 2004, 680-731 ( = frr. 696-727c).

31 Cfr. anche Nobili 2009, 230.

32 Obbink 2005, 20.

(22)

segue il nome di Telefo e la fuga cui costringe l'esercito acheo (vv. 4-7); compare poi il mitico fiume Caico la cui corrente trascina numerosi corpi degli Achei (vv. 8-9) che non sono scampati all'aristeia di Telefo: l'eroe respinge i nemici verso le loro navi (vv. 10-15); essi, seguendo la loro rotta per Troia, sono erroneamente sbarcati sulle coste di Misia e hanno raggiunto la città di Teutrania, pensando si trattasse della città di Priamo (vv. 16-21); si evince, infine, che ci deve essere un grido di aiuto a cui Telefo risponde, scatenando una sanguinosa battaglia (vv. 22-4); poi la menzione di un padre (probabilmente quello di Telefo, Eracle), gratificato (v. 25) e di una morte o di un essere immortale (v.28) prima che il frammento per noi si interrompa. Come si nota dalla struttura sopra delineata, al v. 16 parte una nuova narrazione dello scontro tra Telefo e l'esercito guidato da Agamennone, una sorta di flash-back33 che si tenterà di giustificare in seguito.

Si propone ora un commento filologico puntuale del fr. 1, precisando che il testo di riferimento è quello che, per quanto possibile, si è tentato di ricostruire dopo una visione autoptica del papiro, di volta in volta discusso alla luce dell'editio princeps di Obbink e delle proposte dei vari studiosi che si sono occupati del brano.

v. 1 - ºi rºi rºi rºi r≥≥≥≥ª.ºhª.ºhª.ºh≥≥≥≥.ª.ª.ª.ª:ª.ºh

dall' apparato papirologico che Obbink fornisce nell'editio princeps si apprende che le prime tracce visibili del frammento appartengono alla seconda metà di un perduto pentametro34 e sono costituite da due verticali che scendono entrambe sotto il livello del rigo,35 e suggerirebbero, rispettivamente, un R o U la prima e un F o Y la seconda. Diversa, e a ragione, l'interpretazione che delle tracce evanide danno West e D'Alessio: entrambi, infatti, notano che solo la seconda delle due verticali scende al di sotto della linea di scrittura, mentre la prima si mantiene sopra. L'immagine di seguito mostra quanto appena indicato:

33 Cfr. D'Alessio 2006, 21 e Aloni 2007, 209-210.

34 Si noti, come già segnalato in West 2006, 12, che nella trascrizione diplomatica che Obbink 2005, 21 e 28 dà del v. 1 le tracce delle lettere sono erroneamente collocate all'inizio del verso, ma si trovano in realtà verso la fine, in corrispondenza di qeou' krat< al rigo sottostante.

35 Obbink, 2005, 22: «].., two descenders, (I) beneath the line of writing, (II) lower than the first, which sugggests R U; the second F Y».

(23)

Mi trovo, pertanto, d'accordo con gli studiosi nell'interpretare i due tratti come appartenenti ad uno I seguito da un R.36 Grazie alla tecnica della fotografia multispettrale (multispectral imaging) cui è stato sottoposto il papiro, riusciamo ad intravedere la presenza di una terza lettera dopo il R, sebbene sia impossibile indicarne la natura.37 Ciò che segue è quasi sicuramente un H o, meno probabilmente a mio parere, EI; l'ultima traccia presente nel verso, infine, è una verticale che si mantiene sul livello del rigo, forse un N, secondo West, o piuttosto uno I, stando a D'Alessio.

In base a questa interpretazione dei segni superstiti West propone di leggere la seconda metà del pentametro come i± r≥ªoºhn≥ ª++-,38 in cui roh; assumerebbe, secondo Obbink, il valore metaforico di “ lo scorrere degli eventi” o “ corso della battaglia”.39 Di diverso avviso D'Alessio che propone invece di leggere ajmfºi;≥ rJ≥o≥h≥i≥ªç(i)+-: al singolare rJoh;n di West, lo studioso preferisce una forma plurale, la sola che si trovi attestata in Omero e Archiloco. Il sostantivo rJoh; è presente 13 volte nell'Iliade e 5 nell'Odissea, sempre al plurale;40 esso compare una volta nell' Archiloco che ci è rimasto, nel fr. 22 W.², al verso 2, al plurale anche in questo caso:

oujdæ ejratovç, oi|oç ajmfi; Sivrioç rJoavç.

In tutti i casi sopra citati, inoltre, il sostantivo è usato con significato proprio, indicando cioè la corrente di un fiume, circostanza, questa, che spinge D'Alessio a pronunciarsi a favore di

36 West, 2006, 12: «The first two traces are descenders, the second longer than the first, and they are too close together to be anything but ir». D'Alessio, 2006, 19: «Questa circostanza (ovvero che il primo tratto non scende al di sotto del rigo), e la distanza tra i due tratti, rende inevitabile l'interpretazione del secondo tratto come un rho, mentre il primo era con ogni probabilità uno iota».

37 Obbink, 2006, 5 suggerisce, seppur timidamente data l'entità della traccia ancora visibile, che essa sarebbe meglio conciliabile con una lettera costituita da una verticale, piuttosto che con una di forma tondeggiante.

38 Per quanto riguarda la lettera perduta tra r e h, da una visione autoptica del papiro si evince che doveva esserci spazio a sufficienza per un o.

39 Obbink, 2006, 5: « If correct (id. la lettura proposta da West), the reference is presumably to the “flow of events” or the “tide of battle”, rather than to the Kaikos or Scamander or any of the rivers mentioned by Archilochus».

40 Il. 2.869; 3.5; 4.91; 5.774; 6.4; 8.560; 11.732; 16.229; ib. 679; ib. 719; 18.240; ib. 402; 19.1. Od. 6.216;

9.450; 10.529; 22.197; 24.11.

(24)

un'interpretazione in senso concreto del vocabolo, che potrebbe far riferimento qui al luogo fisico dello scontro tra gli Achei e Telefo, il fiume Caico.

A tal proposito, è opportuno segnalare il suggerimento della Prauscello:41 ammettendo che l'episodio della perdita dello scudo da parte di Telefo abbia una qualche rilevanza ai fini di questo frammento e che possa in qualche modo collegarlo al fr. 5 W.² in cui è narrata la scelta antieroica compiuta da Archiloco, la studiosa nota come proprio un fiume faccia da scenario ad un altro celebre episodio analogo, che vede protagonista Anacreonte nelle vesti di rJivyaçpiç:

ajçpivda rJivyaç potamou' kallirovou paræ o[cqaç.42

Si tratta, comunque, di una mera ipotesi: come si affretta a precisare Obbink 2005, 33 le tracce ancora visibili del primo verso pentametrico di P. Oxy. 4708 fr. 1 non sono certamente compatibili con Archil. fr. 5.4 e, dunque, anche nel caso in cui i due frammenti rappresentassero due porzioni di uno stesso componimento, esse non dovevano essere contigue.

v. 2 - ....º....º....º....º .... ª....ºª....ºª....º p≥ªaºnª....ºp≥ªaºnp≥ªaºnp≥ªaºn≥ qeou' kraterh' qeou' kraterh' qeou' kraterh' qeou' kraterh'≥≥≥≥ªç uJpªç uJpªç uJpææææ ajnavgkhçªç uJp ajnavgkhç ajnavgkhç ajnavgkhç :

dal secondo verso del frammento risulta chiaramente leggibile la sequenza QEOUKRATER, collocata nel secondo emistichio. Per l'inizio di verso, nell'apparato papirologico dell'editio princeps, Obbink si limita a registrare delle «negligible traces» precedenti un tratto diagonale che si ricongiunge ad uno verticale immediatamente prima di qeou': forse un N, o, se si pensa a due lettere, AI, KI, LI, CI.43 West 2006, 11 propende per eij de;º all'inizio di verso,44 ma non azzarda proposte per quanto riguarda le lettere precedenti qeou', stampando un cauto º.i≥

qeou' etc.

Al contrario, D'Alessio tenta un'interpretazione delle tracce, seppur minime, ancora visibili sul papiro prima di qeou', ricavandone una proposta interessante. Lo studioso, innanzitutto, nota la

41 Ap. D'Alessio 2006, 19, n. 3.

42 Anacr., fr. 85 Gent. [36b (PMG 381b) P.]

43 Si noti una svista nell'editio princeps, 22, già segnalata da D'Alessio 2006, 19 per cui anziché riportare AI, KI, LI, CI, Obbink scrive A, K, L, C.

44 Obbink 2006, 2 accetta la proposta di West, ma se ne discosta per la punteggiatura: a differenza di quest'ultimo, infatti, non pone la virgola alla fine del secondo verso, ma alla fine del successivo, dove, invece, per West si conclude la frase. Questo, ovviamente, ha una ripercussione sulla costruzione sintattica che i due studiosi danno sei vv. 2 – 3, come si evince dalle traduzioni che ne danno. West 2006, 12: «[If an army is driven back by] the force of divine [compulsion, one should not] call it cowardice and [baseness.]». Obbink 2006, 5:

«If there is no need to call it weakness and cowardice, (to suffer) under the compulsion of a god, [...]».

(25)

presenza di tre lettere. Appartenevano alla prima una verticale cui si attacca a destra un'orizzontale in alto sul rigo, un possibile P, G, T, (ammettendo che sia completamente andato perduto il tratto orizzontale a sinistra della verticale). La traccia che la seconda lettera ha lasciato, anche in questo caso nella parte soprastante del rigo di scrittura, è davvero troppo trascurabile per poter indovinare qualcosa in più. Infine, per quanto riguarda la terza lettera, quella costituita, come si è detto sopra, da una linea diagonale che incontra la base di una verticale, D'Alessio sembra piuttosto risoluto nell'individuarci un N. A questo punto la metrica può soccorrerci: partendo dal presupposto che il verso in questione non possa essere privo di una cesura regolare, D'Alessio ipotizza che si tratti qui di una pentemimere e che essa debba cadere prima di una parola monosillabica che preceda qeou'. Sulla base di queste premesse paleografiche e metriche lo studioso basa la sua proposta º p≥a≥'n≥ qeou'. Si tratta certamente di un' integrazione molto suggestiva che ha dalla sua un importante parallelo in Pindaro: il nesso tra pa'n e il successivo ajnavgkh (integrazione nel testo)45 ricompare in Pindaro, fr. 122.9 S.- M. çu;n dæ ajnavgkai pa;n kalovn, e sarebbe da intendersi come: “ < ma bisogna accettare/soffrire > tutto sotto la violenta costrizione del dio”.46 D'altra parte, però, tale congettura è passibile di alcune obiezioni: oltre al fatto che nei versi che si sono preservati la cesura predominante è quella trocaica,47 seguendo D'Alessio si è costretti ad intendere qeou' come monosillabico, mentre, come ammette lo stesso studioso, «l'attesa sarebbe, ovviamente, che qeou' fosse scandito come bisillabo, all'inizio del secondo emistichio, e preceduto da sillaba breve [...]».48

Merita una menzione la bella congettura proposta da Henry in clausola d'esametro: qeou' kraterh'≥ªç uJpæ ajnavgkhç49 costituirebbe una riflessione circa l'ineluttabilità del destino voluto dagli dei, sebbene resti da definire se esso si riferisca alla condizione di Archiloco e compagni,50 o debba applicarsi già al piano mitico. Numerosi i paralleli che si riscontrano nella letteratura greca: per l'uso dell'aggettivo kratero;ç in contesti analoghi da parte di

45 Cfr. infra.

46 D'Alessio 2006, 19.

47 Obbink 2005, 19: «In the hexameter the “feminine” caesura predominates over the “masculine” (7 out of 13 hexameters where preserved in fr. 1), as it does in early Ionian elegy and Tyrteus (2:1); it predominates in the next group of poets (at Homeric level 4:3), then in Ion of Chios and Critias the masculine caesura predominates.

[…] On this basis the hexameters of fr. 1 would belong to the earliest group.» Cfr. inoltre West 1974, 112 e id.1982, 45.

48 D'Alessio 2006, 19, n.4. Per la scansione monosillabica di qeou' si rimanda a West 1974, 83 e a Battezzato 2000, 61 e 72. Per quanto riguarda, invece, la presenza di un monosillabo dopo la cesura, cfr. Il. 1.154, 19.33, 21.348, 24.414.

49 Ap. Obbink 2005, 33.

50 Obbink 2005, 20: «It is no certain that fr. 1.1-4 tell the story of Telephos or, rather, (as Professor Parsons suggests) inroduce it a s a comparison to the poet's own concerns in a larger poem, pheraps along the lines of, or even continuing, Archil. fr. 5 W.² on the loss of the poet's shield [...]».

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Archiloco, si veda il fr. 13.6 W.² ejpi; kraterh;n tlhmoçuvnhn e[qeçan, che appartiene alla celebre elegia dedicata all'amico Pericle, in cui il poeta invita i concittadini a non eccedere nel femmineo pianto per i compagni morti in un naufragio, ma a comportarsi secondo la virile sopportazione che gli dei han stabilito per loro. Per quanto riguarda, in particolare, l'uso di kratero;ç in unione ad ajnavgkh, il nesso si trova due volte in Omero, in occasione di considerazioni sulla sorte di uno dei personaggi: così in Il.6.458 kraterh; dæ ejpikeivçetæ ajnavgkh è detto del triste destino di schiava che attende Adromaca alla morte di Ettore; in Od.10.273 leggiamo kraterh; dev moi e[pletæ ajnavgkh, espressione con cui Odisseo motiva al compagno Euriloco la sua decisione di recarsi ad Eea, l'isola di Circe.51 D'Alessio punta l'attenzione su due passi paralleli in particolare: Hes. Theog. 517 [Atlaç d∆ oujrano;n eujru;n e[cei kraterh'ç uJpæ ajnavgkhç, con cui viene giustificata la pena comminata ad Atlante da Zeus;52 Cypr. fr. 9.3 Bern. thvn pote kallivkomoç Nevmeçiç filovthti migei'ça É Zeni; qew'n baçilh'iü tevke kraterh'ç uJpæ ajnavgkhç, dove si offre un'interessante alternativa per l'ascendenza di Elena, che non sarebbe nata da Leda e Zeus, bensì da quest'ultimo unitosi alla dea Nemesi. La iunctura ritorna ancora in in Theogn. 195s. ejpei; kraterhv min ajnavgkh É ejntuvnei, per stigmatizzare la necessità di un matrimonio misto, qualora ci si trovi in precarie condizioni economiche e ib. 387 blavptouça ejn çthvteççi frevnaç kraterh'ç uJpæ ajnavgkhç, detto della condizione di Impotenza (ajmhcanivh), generata da Povertà (penivh) in cui versano tristemente coloro che si tengono lonatano dai mali e perseguono la giustizia (ta; divkaia fileu'nteç).53 Per concludere, va ribadito che l'integrazione di Henry è senza dubbio pregevole, come dimostra il largo consenso di cui gode tra gli studiosi. Tuttavia si noti che essa crea un nesso piuttosto forte, se non proprio pesante: in effetti, l'esplicitazione di una

«dura necessità del Dio» è un concetto che potremmo a ragione definire “eschileo” e stupisce in qualche misura che esso possa aver trovato spazio nella poetica archiochea.

v.3 - ...º..ª.º.ª..º.kai; kakovthta levgei...º..ª.º.ª..º.kai; kakovthta levgei...º..ª.º.ª..º.kai; kakovthta levgei≥≥≥≥ªn...º..ª.º.ª..º.kai; kakovthta levgeiªnªnªn:

della prima metà del pentametro non rimangono che tracce, difficili da ricondurre a singole lettere, e tuttavia il primo tentativo di integrazione compare già nell'editio princeps, ad opera

51 Nicolosi 2007, 298, n.7 cita inoltre Od. 2.110 (= 19.156, 24.146) oujk ejqevlouçæ, uJpæ ajnavgkhç, riferito alla tela che Penelope si vede costretta a fare di giorno e disfare la notte. Identica dizione rispetto a Od.10.273 ricorre in Hymn. Aphr.130: sono, stavolta, parole che Afrodite rivolge ad Anchise.

52 Nicolosi 2007, 298 dell passo esiodeo sopra riportato cita anche il successivo v. 520 tauvthn gavr oiJ moi'ran ejdavççato mhtiveta Zeuvç, notando come l'idea della necessità divina torni in Hes. per ben due volte nell'arco di 4 versi (al v. 517 e al v. 520); così anche nel nostro fr., al verso 2 e al verso 7.

53 Si ricordino, inoltre, tra gli esempi più interessanti del nesso Bacchil. 20.19-20 M.; Parmen. fr.8.30 D.-K.; A.

R. Arg. 2.18.

(27)

di West: ouj dºei' ªajºnªalkivhºn≥, che, però, non è del tutto soddisfacente poichè ajnalkivh risulta essere un hapax legomenon nella letteratura greca, comparendo solo in Theogn. 891 w[ moi ajnalki–vhç:54 ajpo; me;n Khvrinqoç o[lwlen, dove, peraltro, è corretto da Bekker in ajnalkeivhç.55 In questa direzione si muove proprio la seconda proposta di West 2006, 12 ouj dei' ajnºa≥l≥ªkeivhºn≥, mentre Obbink 2006, 2 preferisce ouj crh; ajnºa≥l≥ªkeivhºn≥; di diverso avviso Luppe56 che pensa a º a≥jf≥ªradivhºn≥, sulla base di Il.2.368, h\ ajndrw'n kakovthti kai; ajfradivh/

polevmoio.

Per quanto riguarda le tracce che precedono -ai, si individua ai margini del buco la base di una linea verticale nella parte sinistra57 dello spazio che doveva essere occupato dalla lettera scomparsa, forse G,H,K,N, o P. Qui, dopo la cesura principale del pentametro, Obbink ritiene necessaria la presenza di un monosillabo58 e propende per un kai; o un meno probabile nai;, per cui propone come parallelo Theogn. 1045 nai; ma; Divæ, ei[ tiç tw'nde kai;

egkekalummevnoç eu{dei.

Nella seconda metà del pentametro si legge con certezza la sequenza AIKAKOTHTALEGEI≥,59 sorgono, però, dubbi in merito alla resa del termine kakovtht(a), da un lato e alla divisio verborum, dall'altro. Innanzitutto, kakovthç al v. 3 potrebbe richiamarsi in Ringkomposition al kakh.ª di v. 24; esso può avere il significato sia di “sventura” (I), sia di “codardia” (II), entrambi ben attestati: per (I), si veda, ad esempio, Il. 10.332 pro;ç puvrgon...kakovthta fevronteç e Od. 3.175 = ib. 10.129 = ib. 23.238 kakovthta fugovnteç per (II), un analogo uso del sostantivo, ricorre in Il. 2.368, h\ ajndrw'n kakovthti kai; ajfradivh/ polevmoio. Va considerato, poi, che kakovthç è parola piuttosto frequente nell'elegia del VII-VI, in cui è spesso usata per esprimere i principi della morale arcaica: così in Sol. fr. 11.1 eij de;

pepovnqate lugra; di∆ uJmetevrhn kakovthta, o in Tyrt. fr. 10.10, a proposito del disonore che attende i vili in battaglia, pa'ça d∆ ajtimivh kai; kakovthç e{petai o, con uso simile, ma riferito ai cattivi governanti della città in Thgn. 1082b, pollh;n eijç kakovthta peçei'n.60

54 Per la lunghezza dello i cfr. Schwytzer 1934², 349ss., 363, 474s.

55 Nell'edizione teognidea di Van Groningen 1966, 338-38 si legge:«ajnalkivhç: dans Homère toujours ajnalkeivh, savoir ajnalkeivh/çi damevnteç Z 74, P, 320 et 337, ce pourquoi Bgk (i.e. Bergk) propose ici ajnalkeivhç.

Vu la grande rareté du substantif (a[nalkiç est plus fréquent) il est impossible de dire si la tradition est fautive ou non». ajnalkivhç è accolto oltre che dal Van Groningen, da Hudson-Williams 1979 e da West². Nel LSJ non compare la voce ajnalkiva–/h (e neppure la forma ionica ajnalkeivh invero), ma solo ajnavlkeia, «want of strenght, feebleness, cowardice». Per l'uso di ajnavlkeia nell'Iliade, cfr. 6.74 = 17.320.

56 Luppe 2006, 1.

57 Obbink 2005, 22, per svista, scrive: «[...]foot of upright in right part of letter-space[...]».

58 Obbink 2005, 33: «A monosyllable after the carsura is required».

59 La lettera che segue la e è con ogni probabiltà uno i, così come indicato da Obbink 2005, 28. Secondo lo studio paleografico di Obbink 2005, 22: «[...]mid stroke of e connecting to following letter near top line».

60 Per l'uso di kakovthç nell'elegia arcaica cfr. Obbink 2005, 33 in cui si dà il numero di attestazioni del termine

(28)

Nella nostra elegia il termine kakovthç potrebbe rivestire entrambi i significati,61 e il riferimento potrebbe essere alla precipitosa fuga cui si danno gli Achei incalzati da Telefo, ricordata, con ogni probabilità, al verso successivo attraverso le parole fugei'n feugª e poi compiutamente raccontata ai vv. 6-7 e, ancora, ai vv. 10-14. Né, purtroppo, ci aiuta nella scelta semantica il verbo reggente, poiché i dubbi relativi alla divisio verborum si riferiscono proprio a quest'ultimo. Sono infatti possibili due diverse divisioni della sequenza (AI)KAKOTHTALEGEI≥, in grado di alterare il significato dell'espressione: essa può essere letta come kakovtht∆ a[legei≥ªn o come kakovthta legei≥ªn. Nel primo caso essa varrebbe

“darsi pensiero, premurarsi di codardia / sventura”. Il verbo ajlevgw secondo una glossa di Esichio equivale al verbo frontivzein62 ed è spesso usato in espressioni negative,63 come accade in Od. 16.307 hjd∆ o{tiç oujk ajlevgei, çe; d∆ ajtima'/ toi'on ejovnta; esso ha più riscontri in uso con il genitivo, ma si trova attestato anche in unione con l'accusativo: si veda, ad esempio, Il. 16.388 = Hes. Op. 251 qew'n o[pin oujk ajlevgonteç; Od. 6.268 nhw'n o{pla melainavwn ajlevgouçin, et al.

Al contrario di Luppe, che preferisce questa prima soluzione,64 Obbink e West65 prediligono la divisio verborum alternativa, per cui si ottiene kakovthta levgei≥ªn, “dire, chiamare codardia” o

“raccontare la sventura”, sempre da riferirsi all'ignominiosa fuga degli Argivi. Esiste, poi, una terza possibilità adombrata da Obbink 2005, 33, ma mai presa in considerazione in nessuno degli altri studi successivi: essa prevede la costruzione di kakovtht(a) con fugei'n feugª del verso successivo, il cui significato sarebbe quello di “evitare, sfuggire una sciagura”, come in Od. 3.175 o[fra tavciçta uJpe;k kakovthta fuvgoimen e ib. 5.414 ejkfugevein kakovthta.

Più in generale, l'idea che tutti gli studiosi, seppure con differenti approcci, ricavano da questo terzo verso è quella di una giustificazione di un episodio, segnatamente la fuga cui si allude al verso successivo, che tradizionalmente verrebbe avvertito come una disgrazia o un'onta, o ascritto alla lista delle azioni vergognose da rifuggire, e che qui, tuttavia, vuole essere se non

in Tirteo (x1), Solone (x1), Teognide (x16) e anche nel più tardo Eveno di Paro, poeta del V-IV secolo, di cui rimangono solo pochi frammenti, tra i quali 4.2, cwri;ç de; blaberhv, kai; kakovthta fevrei. Si veda anche la discussione generale di West 1974, 15-18, sui temi della poesia elegiaca arcaica e, in particolare, su quelli di stampo moral-filosofico.

61 Obbink 2005, 33 nota che entrambi i valori di kakovthç bene si attagliano ad un contesto di guerra qui eventualmente adombrato, sebbene esso non sia da darsi per scontato. É da escludere, a questa altezza, che kakovthç possa riferirsi alla ferita che Telefo ha riportato in seguito allo scontro con Achille: anche ammesso che nella presente elegia possa aver trovato spazio il racconto di questo episodio, Telefo entra in scena solo al v. 5, rendendo del tutto improbabile che qui possa si possa parlare della sua celebre ferita come kakovthç.

62 Hesych. A 2820 L. ajlevgei: frontivzein.

63 Obbink 2005, 33.

64 Luppe 2007, 1.

65 Obbink 2005, 33; id. 2006, 2 e 5; West 2006, 11.

(29)

proprio accettato, quanto meno non condannato: Obbink 2006, 5 «If there is no need to call it weakness and cowardice»; West 2006, 12 «[...one should not] call it cowardice and [baseness]». Si confrontino a tal proposito le parole di Agamennone in Il. 14.80-81, cui farà seguito peraltro una durissima risposta di Odisseo:

ouj gavr tiç nevmeçiç fugevein kakovn, oujdæ ana; nuvkta.

bevlteron o{ç feuvgwn profuvgh/ kako;n hje; aJlwvh/.

v.4 - .ºh.ºh.ºh≥≥≥≥m.ºhmmm≥≥≥≥ª.º.ª. . . . .ºeqa.ª.(.)ºa fugei'n feugªª.º.ª. . . . .ºeqa.ª.(.)ºa fugei'n feugªª.º.ª. . . . .ºeqa.ª.(.)ºa fugei'n feugª:ª.º.ª. . . . .ºeqa.ª.(.)ºa fugei'n feugª

Nell'editio princeps del 2005 Obbink crede di poter decifrare, all'inizio di verso, .[ ]w≥[ ] seguito da un p≥ o da t≥e≥; questo primo tentativo viene rettificato dal Luppe,66 con la proposta di leggere anziché l'w di Obbink le tracce di due lettere, ovvero la parte destra di un m seguito da un f. Pare, invece, essere risolutivo il successivo intervento di West:67 questi, al pari di Luppe, intravede non una, ma due lettere, la parte destra di un h o di un w accanto al quale è ancora visibile il lato sinistro di un perduto m, sopra cui si intravede una sorta di macchia,

«[...] superscript iota, implying that the preceding long vowel should belong in a long-vowel diphthong.». Questa ottima soluzione offerta dal West, molto accorta anche dal punto di vista paleografico,68 è ripresa da Obbink 2006, 5 che propone pºh≥vm≥ªaºt≥(a) e≥u\≥ª,69 argomentando a favore di entrambe le parole: nel caso di pºhv≥m≥ªaºt≥(a) lo studioso propone come parallelo Arch.

fr. 26. 5-6 W², w\nax, [Apolõlon, kai; çu; tou;ç me;n aijtivouç \ phvmaine õkaiv çfaç o[llu∆

w{çper ojlluveiç, che costituisce un accorato appello ad Apollo affinché punisca dei non meglio identificati colpevoli, dove compare una parola, phvmaine, dalla medesima radice semantica;70 per quanto riguarda e≥u\≥ª, Obbink nota che l'avverbio qui si troverebbe in un contesto appropriato e suggerirebbe l'idea che a volte, per quanto ignominiosa (kakhvn), la fuga è la soluzione preferibile.71

66 Luppe 2006, 1.

67 West 2006, 12-13.

68 Se si osserva il papiro autopticamente, non potrà sfuggire la vicinanza delle prime tracce del v. 4 con la sequenza delle lettere -um- al v. 19, a conferma che l'ipotesi del West, secondo cui dietro le tracce ancora visibili si nascondono non una ma due lettere, è fondata.

69 Secondo Obbink 2006, 5 la macchia che si intravede sopra il m potrebbe essere uno iota soprascritto:

«pheraps it was placed to indicate a long-vowel diphtong in error in the firts syllable of the line».

70 Obbink 2006, 5: «[...] good parallels for the ills of battle in early poetry: cf. Archil. fr. 26.6 W. [...]» Non risulta chiaro, però, dove emergano in questo frammento “the ills of battle” cui allude Obbink.

71 Obbink 2006, 5: «The adverb eu\ wold be well placed in this context, suggesting that in certain cases the action of flight could be advisable, though disastrous or even cowardly (24 kakhvn)». Cfr. supra. Inoltre Obbink intravede una relazione col fr. 2 in cui potrebbe essere riproposto un analogo contrasto tra onore (a≥jr≥e≥th'i) e

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