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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

MIOCARDITE E TEMPO DI RILASSAMENTO T

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1.1 DIAGNOSI DI MIOCARDITE

La miocardite è una malattia cardiaca caratterizzata da infiammazione del tessuto miocardico come stato patologico temporaneo, con successiva evoluzione in fibrosi, edema, necrosi e/o alterazioni degenerative dello stesso tessuto. Può localizzarsi in qualsiasi zona delle pareti muscolari cardiache, ma sembra esserci un prevalente coinvolgimento dello strato epicardico del ventricolo sinistro. In contrapposizione alla semplicità della definizione, la diagnosi e la terapia delle miocarditi rimangono un problema nella pratica clinica. Spesso la diagnosi risulta difficoltosa a causa dell’estrema variabilità del quadro clinico (febbre, dispnea, dolore toracico, diarrea, scompenso cardiaco, morte cardiaca improvvisa); la presenza di dati di laboratorio non specifici, l’assenza di alterazioni specifiche sia all’elettrocardiogramma sia all’ecocardiogramma, rendono di fondamentale importanza la possibilità di avere a disposizione metodiche accurate nel porre una corretta diagnosi di miocardite1. Non esiste attualmente alcun esame che confermi la prognosi con assoluta certezza, perciò vanno integrate varie informazioni. Sebbene la biopsia endomiocardica (BEM) sia la metodica che permette, pur con limiti di sensibilità (è soggetta ad errori di campionamento2) ed al prezzo di una procedura invasiva, una diagnosi affidabile ed una caratterizzazione del tipo istopatologico e molecolare della miocardite3, fondamentale è il contributo non invasivo delle metodiche di imaging per una corretta prognosi e per verificare l’efficacia del trattamento delle miocarditi.

La Risonanza Magnetica Cardiaca (RMC) è l’unica tecnica di imaging che, non utilizzando radiazioni ionizzanti, permette una valutazione multiparametrica della funzione e della morfologia cardiaca, senza limiti di risoluzione spaziale, consentendo, inoltre, una maggiore caratterizzazione dei tessuti rispetto alle altre metodiche di imaging1; vanta anche una valutazione precisa della funzione ventricolare globale e distrettuale indipendentemente dalla struttura fisica dei pazienti4.

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Fig.1.1: Miocardite diagnosticata tramite biopsia endomiocardica (tratta da “Buiatti et al Cardiology Science Vol.8, Ott/Dic2010”)

Dunque, la Risonanza Magnetica (RM), visualizzando i tessuti sulla base delle proprietà magnetiche dei protoni che li compongono, rappresenta l’attuale gold standard per la diagnosi, in quanto permette di effettuare delle valutazioni acquisendo immagini T1-pesate

in seguito alla somministrazione di mezzi di contrasto extracellulari (gadolinio-chelati)5. L’utilizzo della RM nelle miocarditi è quotata A8 (appropriata), nelle linee guida americane del 2006 sull’appropriatezza della RM, dove A9 è il punteggio massimo possibile3.

In questo studio è stato fatto particolare riferimento all’utilità del tempo di rilassamento T1

nella RMC. Si tratta di una proprietà intrinseca del tessuto: ogni tessuto, incluso il miocardio, esibisce un intervallo caratteristico di valori normali di rilassamento, ad una certa intensità del campo magnetico. Una deviazione da tale intervallo può indicare la presenza di un eventuale disturbo. In particolare, la combinazione di valori T1 pre e

post-contrasto permette una diagnosi precoce e la quantificazione del contenuto di acqua o dello spazio extracellulare per ciò che riguarda la miocardite6.

1.2 CENNI DI RISONANZA MAGNETICA

La Risonanza Magnetica è un esame diagnostico largamente usato in campo medico per la sua non invasività nell’ottenere immagini cliniche e per lo studio in vivo del metabolismo dei tessuti7; inoltre, consente la discriminazione dei tessuti molli, non apprezzabile con altre tecniche radiologiche.

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Il suo funzionamento si basa sull’analisi dei campi magnetici dei protoni che, inizialmente, sono orientati in modo assolutamente casuale ma, sotto l’effetto del campo magnetico B0,

si allineano in posizione parallela o anti-parallela. Queste due orientazioni corrispondono a due livelli energetici, la cui differenza ΔE è proporzionale all’ampiezza del campo magnetico esterno B0:

ΔΕ = 𝜇Β! ∕ Ι [1] dove I è lo spin intrinseco e µ è il vettore che descrive il momento magnetico.

La transizione tra i due stati può essere indotta dall’applicazione di una radiazione magnetica della corretta pulsazione, nota come frequenza di Larmor:

𝜔! = ΔΕ ∕ ℏ = 𝛾𝐵! [2] Questo fenomeno è noto con il nome di risonanza.

Nella pratica non si osserva mai un singolo nucleo o un singolo momento magnetico, ma l’effetto combinato di tutti i nuclei del campione, ossia la magnetizzazione totale M:

Μ = Σ𝜇 [3] La magnetizzazione totale viene rivelata perturbando lo stato di equilibrio con l’applicazione di un campo magnetico secondario B1, perpendicolare a B0, che causa lo

spostamento di M dalla posizione di riposo parallela a B0 e lo costringe ad eseguire una

traiettoria a spirale. Quando B1 viene spento, M continua a precedere descrivendo un cono

ad un angolo α da B0. L’ampiezza del flip angle α dipende dall’ampiezza di B1 e dal tempo

τ della sua applicazione.

Tramite opportuni valori del campo B1 applicato e del tempo τ, è possibile ruotare il

vettore M di 90° (impulso di 90°) o di 180° (impulso di inversione o impulso π). L’ampiezza del vettore M non si conserva durante il processo di rilassamento. Esso coinvolge due fenomeni:

• il rilassamento trasversale o annullamento della componente trasversale Mxy

• il rilassamento longitudinale o recupero della magnetizzazione longitudinale Mz.

La costante di tempo T1, definita tempo di rilassamento spin-reticolo, governa il ritorno

all’equilibrio della componente longitudinale del vettore M e coinvolge i trasferimenti di energia presenti tra il sistema di spin ed il resto dell’ambiente; invece la costante di tempo T2, definita tempo di rilassamento spin-spin, governa l’annullamento della componente

trasversale del vettore M e coinvolge le interazioni tra i momenti magnetici dei singoli nuclei. Il tempo di rilassamento T2 è sempre minore o uguale a T1.

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Se il campo B0 non risulta omogeneo a livello locale, la frequenza di precessione dei nuclei

dipenderà dalla posizione che essi occupano rispetto a tali disomogeneità locali. Ogni pacchetto di spin precederà allora ad una propria velocità nei diversi punti del campione, sfasandosi: si osserverà un decadimento del vettore M più rapido. Tale fenomeno è considerato nella costante di tempo T2*.

In RM, ciò che si vuole estrarre da una immagine non è l’intensità del segnale (che non è riproducibile), quanto proprio tali tempi di rilassamento T1, T2 e T2*, che sono invece

riproducibili in quanto caratteristica intrinseca del tessuto. Questi parametri possono avere valori diversi per tessuti diversi, ma anche valori diversi per uno stesso tessuto, a seconda che questo si trovi in uno stato normale o patologico.

1.3 USO DEL TEMPO DI RILASSAMENTO T1 IN AMBITO CARDIACO

Il particolare interesse nei confronti del tempo di rilassamento T1, come tecnica di indagine

in ambito cardiaco, è relativamente recente. Per ottenere risultati consistenti è necessario che le misure vengano eseguite alla stessa fase cardiaca e nella stessa regione miocardica, in modo che il calcolo del T1 possa effettivamente rappresentare un approccio alternativo

per caratterizzare la composizione del tessuto miocardico8.

La misura del tempo di rilassamento T1 viene eseguita sia prima che dopo l’iniezione del

contrasto, perché sarebbe difficile distinguere un tessuto sano da uno malato basandosi sul solo valore del T1 assoluto9. L’agente di contrasto extra-cellulare maggiormente utilizzato

è il Gadolinio, sostanza paramagnetica3.

La conoscenza dei valori T1 pre e post-contrasto risulta benefica per due motivi:

• fornisce informazioni sulla presenza di una eventuale infezione miocardica;

• può essere usata per quantificare il volume di distribuzione dell’agente di contrasto nel miocardio e, di conseguenza, per stimare la frazione di volume extra-cellulare dopo la correzione dell’ematocrito10.

Il T1 pre-contrasto varia al variare della quantità di acqua e risulta, rispetto ai soggetti sani,

più elevato in caso di pazienti: ischemici, cardiomiopatici, infartuati o affetti da fibrosi diffusa del miocardio.

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A conferma di ciò si ha anche la TECNICA A SOGLIA in cui la differenza di contrasto, tra aree infartuate e non, appare aumentata a causa delle diverse proprietà dei T1 tra le

diverse aree. Questo a conferma dell’ipotesi che la soglia stabilita per il T1, e derivata da

un miocardio sano, costituiva un’alternativa per distinguere un miocardio infartuato da uno non infartuato. Con la scelta della soglia, i segmenti infartuati vengono identificati con elevata sensibilità e specificità11.

I valori di T1 pre-contrasto variano molto anche a seconda dell’intensità del campo

magnetico9 e mostrano una forte dipendenza lineare con la frequenza cardiaca (infatti, generalmente, si procede applicando una correzione per normalizzare la frequenza cardiaca a 60 battiti per minuto). Invece, non è stata riscontrata nessuna relazione tra il T1

post-contrasto e la frequenza cardiaca12.

Ad oggi, si preferisce il valore del T1 misurato dopo 15 minuti dall’iniezione del bolo,

assumendolo come il tempo migliore, rispetto alle piccole variazioni nel tempo che il rilassamento T1 registra13.

A differenza del T1 nativo, il T1 post-contrasto è più alto nei soggetti sani, rispetto ai casi

patologici. Il valore post-contrasto, in realtà, è fortemente dipendente dal tipo di agente di contrasto usato e dal tempo di osservazione10. Più precisamente, le differenze riguardano il fatto che il tempo di rilassamento T1 nel caso di pre-contrasto risulta più breve dell’1% in

sistole, piuttosto che in diastole; invece nel post-contrasto si riscontra un tempo più breve del 2% in diastole, rispetto alla sistole14.

Dunque, la frequenza cardiaca influenza fortemente la misura del T1: in genere, il T1 del

miocardio è direttamente proporzionale alla frequenza cardiaca, al contrario il T1 del

sangue diminuisce all’aumentare della frequenza cardiaca15.

Anche la clearance del gadolinio, la durata della misurazione, la dose iniettata, la composizione corporea e l’ematocrito sono fattori che causano una significativa variazione del tempo di rilassamento T1 post-contrasto9.

Perfino i fattori fisiologici variano il valore del T1: il sesso e l’età, il peso e l’altezza,

l’indice di massa corporeo, lo spessore medio del miocardio e il numero medio di rate cardiaco. In realtà, nei maschi non è stata riscontrata alcuna dipendenza del T1 dall’età;

nelle donne, invece, il rilassamento T1 decresce con l’età di circa 0,7 ms/anno15.

A degradare la qualità dell’immagine si aggiungono anche gli artefatti da movimento, causati dai movimenti respiratori o da quelli del cuore (32% e 31% degli artefatti, rispettivamente)16.

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Fig.1.2: Influenza del rate cardiaco sul T1 (tratta da “Flett et al CirculationAHA2010, 122:138-144”)

1.4 USO DEL T1 NELLE VARIE TECNICHE

La composizione miocardica può essere resa nota in maniera non invasiva, misurando il tempo T1 del miocardio mediante le diverse tecniche descritte in seguito.

La Risonanza Magnetica Cardiovascolare è in grado di valutare in maniera accurata l’anatomia e le funzioni cardiache, ma anche di determinare eventuali cambiamenti all’interno del miocardio, in relazione alle condizioni fisiche e chimiche dei protoni di acqua presenti. Infatti, è un modo non invasivo per indagare il miocardio attraverso la valutazione del tempo di rilassamento T1 pre e post-contrasto, ma ha una complessa

modellizzazione cinetica per cui non è possibile rimuovere completamente altri fattori di confondimento come: la frequenza cardiaca, la composizione corporea e la variabilità della clearance renale16.

Un’altra tecnica simile è rappresentata dall’EQ-CMR, ovvero Risonanza Magnetica Cardiovascolare con Contrasto Equilibrato: si tratta di un potente metodo clinico, robusto, applicabile e non invasivo. L’EQ-CMR è potenzialmente e clinicamente applicabile prolungando di 10 minuti il tempo di scansione, rispetto ad una RMC tradizionale. In genere, si riscontra anche in questo caso un aumento del T1 rispetto al

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Il Delayed Enhancement (DE) per l’imaging post-cardiaco è una tecnica che si basa sul calcolo della differenza relativa tra le intensità dei segnali di un miocardio normale e di uno patologico, senza però permettere la quantificazione del valore del tempo T1 del

tessuto. Queste motivazioni hanno spostato l’attenzione verso tecniche che misurano direttamente il rilassamento T1 del miocardio prima e dopo la somministrazione del

contrasto. L’imaging DE viene comunque usato come standard di riferimento per la delineazione della zona cardiaca infartuata10.

L’Effective Circulating Volume (ECV) è una tecnica sviluppata per quantificare la distribuzione di volume della frazione miocardica extra-cellulare9. Anche questo approccio

è basato sulla variazione del valore del tempo di rilassamento T1 in seguito alla

somministrazione di un agente di contrasto extracellulare. Il calcolo di ECV richiede la conoscenza dell’entità della variazione del rate di rilassamento del sangue, comprendendo quei fattori che confondono le immagini T1-pesate e le mappe T118. Inoltre, si tratta di una

quantificazione che, per essere calcolata, richiede un rapido e accurato tempo T1 di

rilassamento che risulta essere molto più alto nei soggetti patologici, che in quelli sani. L’uso dell’ECV, piuttosto che del T1 del miocardio, sembra essere più vantaggioso per

applicazioni in situazioni meno standard19.

Il T1 mapping è una tecnica che permette la quantificazione diretta in vivo di piccole

variazioni nel tessuto del miocardio, fornendo così una nuova possibilità diagnostica per le malattie cardiache, senza l’uso di agenti di contrasto8. I valori T1 ottenuti con tale tecnica

dipendono dall’intensità del campo magnetico e aumentano con esso.

In realtà, in ambito cardiaco risulta difficile adattarsi ai 3 Tesla, a causa della disomogeneità sia del campo magneto-statico e sia del campo di trasmissione della radio-frequenza, perciò si rimane a 1.5 Tesla. È possibile rilevare una mappa T1 anche con un

unico breath-hold della durata di circa 10 secondi. Le mappe T1 vengono valutate per

qualità e affidabilità seguendo tre criteri: • ispezione visiva della mappa T1 stessa,

• ispezione visiva di tutte le immagini del rilassamento T1 acquisite, contenenti anche

potenziali artefatti,

• utilizzo delle mappe R2 per garantire che il fit T1 sia robusto per tutti i segmenti

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Le mappe R2 sono mappe parametriche usate per garantire la bontà di adattamento; si tratta di mappe che forniscono un significato aggiuntivo all’identificazione degli artefatti e delle aree che compromettono la precisione del T1 e permettono una giusta valutazione critica

della qualità delle mappe T1, in modo da aumentare l’affidabilità del T1 mapping rispetto

alle modalità RMC standard20.

L’approccio standard per il T1 mapping pre e post-contrasto è il metodo Look-Locker

(LL), che usa un’acquisizione continua di immagini e dati, ma non è adatta per le applicazioni cardiache, perché gli artefatti dovuti al movimento del cuore creano spiacevoli spostamenti delle strutture cardiache durante l’acquisizione delle immagini.

Per superare questi problemi di sincronismo è stata proposta la tecnica Modified Look-Locker IR (MOLLI) che, rispetto alla tradizionale LL, usa le immagini in tele-diastole attraverso opportuna sincronizzazione con il segnale ECG e, con questo approccio, i dati dell’immagine di una single-slide del T1 mapping del cuore possono essere acquisiti con

una elevata risoluzione spaziale e in un unico breath-hold21.

Le novità che MOLLI introduce rispetto all’imaging Look-Locker convenzionale sono: • acquisizione dati selettiva, che diminuisce il numero di immagini acquisite per ogni

esperimento LL relativo ad un battito cardiaco;

• fusione dei dati ricavati da esperimenti multipli LL in un unico data-set, che aumenta il numero di campioni della curva di rilassamento fino ad un valore tale da avere un’ottima stima del T122.

La ricostruzione delle mappe T1 a partire dalle immagini MOLLI viene tipicamente

eseguita off-line attraverso programmi di post-processing. I dati delle immagini sono ordinati in base al loro tempo di inversione TI effettivo e, a seguire, viene fatto il fitting delle curve non lineari in relazione a tre parametri, usando l’algoritmo di Levenberg-Marquardt. Una volta completate, le mappe T1 verranno poi memorizzate nel formato

standard codificato DICOM21.

Il protocollo MOLLI tradizionale usa tre blocchi di Inversion Recovery IR (Fig.1.3) per acquisire 11 immagini in 17 battiti cardiaci (HB), ma questi breath-hold più lunghi ne limitano l’applicazione clinica per quei pazienti che hanno una respirazione compromessa a causa delle malattie cardiache.

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Fig.1.3: Schema della sequenza di impulsi MOLLI. 3 esperimenti LL, ciascuno separato da un impulso di inversione a 180°. Tra i vari esperimenti vi è una pausa di un numero definito di cicli cardiaci, per consentire il recupero indisturbato

del segnale (tratta da “Messroghli et al Journal of Magnetic Resonance Imaging 26:1081–1086(2007)”)

Numerosi sono i tentativi fatti per ridurre tale tempo di acquisizione, in particolare è stata validata l’accuratezza di sequenze MOLLI a 11 HB e a 17 HB a 3 T e non si sono registrate differenze significative, anzi la tecnica a 11 HB ha dimostrato una buona corrispondenza con quella a 17 HB.

Di fatto, un breath-hold di 17 battiti è difficile da ottenere nei soggetti più anziani e nei pazienti con funzioni cardiovascolari e polmonari compromesse16.

Il T1 del miocardio ha un valore di circa 1000 ms per un campo di 1.5 T, quindi supera la

durata del ciclo cardiaco (600-1200 ms) nella maggior parte dei soggetti22.

Ad ogni modo, i risultati ottenuti con i due metodi sono abbastanza in accordo, nonostante i valori LL siano più alti rispetto ai valori MOLLI e le misure LL siano di 60 ms più lunghe23.

ShMOLLI (SHortened Modified Look Locker IR) rappresenta un valido strumento clinico per la caratterizzazione del tessuto miocardico; è un’acquisizione abbreviata che costituisce l’alternativa rapida a MOLLI; è in grado di generare una pronta ed elevata risoluzione miocardica delle mappe T1 in un unico breath-hold con soli 9HB8.

Tale tecnica, rispetto a quella MOLLI, ha un tempo di breath-hold più breve del 50% ed è anche indipendente dalla frequenza cardiaca oltre un certo range di valori T120.

Il principale parametro biologico che influenza il valore T1 ShMOLLI è il genere

femminile, infatti risulta maggiore per le donne di età superiore ai 45 anni, mentre per gli uomini non c’è molta differenza.

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Una volta corrette le differenze di sesso ed età, l’unico fattore fisiologico che dà un piccolo effetto sul T1 ShMOLLI del miocardio è la frequenza cardiaca entro un certo range di

valori. Il peggior contributo è dato dal disturbo dovuto all’effetto del volume parziale derivante dal fatto che, quando si fa un’analisi manuale dell’immagine, vengono inclusi anche i tessuti adiacenti15. Inoltre, il T1 può essere valutato direttamente durante la

scansione, senza la necessità del post-processing24.

La sequenza MCINE-IR consiste in un impulso di inversione adiabatico non selettivo, applicato immediatamente dopo l’innesco dell’onda R dell’ECG, seguito da una acquisizione CINE (k-spazio segmentato), dove ogni fase cardiaca mostra diversi tempi di ritardo dopo l’impulso di inversione. L’acquisizione è estesa a molti cicli cardiaci, permettendo un recupero completo della magnetizzazione longitudinale.

Le sequenze a impulso, come MOLLI e IR-CINE, hanno dato prova di essere abbastanza affidabili nella stima del T1 del miocardio dopo la somministrazione dell’agente di

contrasto, ma non risultano adatti per il mapping.

Tuttavia, questi valori di T1 rimangono uguali nonostante le variazioni fisiologiche, perché

sono relativamente lunghi rispetto al ciclo cardiaco. La MCINE-IR è la sequenza di impulso modificata che consente di ottenere una migliore stima del T1 pre-contrasto, senza

ulteriori correzioni della frequenza cardiaca nel modello di fitting. Il fulcro della MCINE-IR è di consentire il completo rilassamento della magnetizzazione longitudinale tra due impulsi di inversione consecutivi. Infatti, in una sequenza IR-CINE convenzionale, una magnetizzazione IR è applicata all’inizio di ogni intervallo cardiaco R-R; dopo la riproduzione dell’impulso RF, una fast gradient-echo viene riprodotta segmentando un’acquisizione CINE, producendo un set di immagini multifase, ognuna con un diverso tempo di inversione TI.

Di conseguenza, la magnetizzazione precedente non viene pienamente recuperata prima che sia applicato il successivo impulso di IR, influenzando il calcolo del tempo di rilassamento T1. Per garantire sempre la completa magnetizzazione, nella MCINE-IR il

numero dei battiti cardiaci negli impulsi di inversione viene determinato in relazione alla frequenza cardiaca del soggetto, per consentire il minimo tempo per il recupero della magnetizzazione. Questa correzione rende la sequenza indipendente dalla specifica frequenza cardiaca di un soggetto e quindi permette il confronto tra i vari risultati, grazie alla flessibilità della sequenza nella determinazione del numero di battiti cardiaci necessari per il recupero della magnetizzazione longitudinale.

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Inoltre, mentre nel caso originale l’acquisizione CINE era limitata al primo ciclo cardiaco seguendo l’inversione, l’acquisizione nella MCINE-IR è estesa a vari cicli cardiaci, consentendo più magnetizzazioni longitudinali complete.

Ogni acquisizione avviene in un singolo breath-hold10.

Fig.1.4: Sequenza di impulsi MCINE-IR. Esempi di curve di recupero della magnetizzazione longitudinale rispettivamente per: a) T1=500ms, b) T1=1000ms, c) T1=3000ms; TReff impostato a 5000ms. Il tracciato ECG presuppone

una frequenza cardiaca ipotetica di 60 bpm (tratta da “Milanesi et al Journal of Magnetic Resonance Imaging 37:109-118 (2013)”)

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