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Capitolo I Interpretare lo spazio: strumenti e scienze per la comprensione della natura

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Capitolo I

Interpretare lo spazio:

strumenti e scienze per la comprensione della natura

§ 1

Dallo spazio come oggetto della “geografia fisica” alla natura

Nel 1895, sulle pagine della neonata rivista tedesca Geographische Zeitschrift, Alfred Hettner inaugurava il proprio giornale con una dichiarazione che non lasciava alcun dubbio sulla linea editoriale che la pubblicazione periodica avrebbe avuto:

Se istituiamo un confronto fra le diverse discipline scientifiche troviamo che nella maggior parte di esse l’unità riguarda gli oggetti di indagine, nelle altre scienze l’unità sta nel metodo di studio. La geografia sta nel secondo gruppo; la sua unità sta nel metodo. Se la storia e la geologia considerano lo sviluppo delle razze umane o del suolo in termini di tempo, la geografia procede dal punto di vista delle variazioni spaziali.1

Se l’evoluzione della disciplina, e la critica, hanno dimostrato che di unità di metodo non si può parlare, nemmeno in geografia,2 evidenziando come sia superata questa visione di una scienza dall’approccio unitario, al contrario è sempre più accettata nei dibattiti contemporanei la tesi per cui il problema geografico per eccellenza sia quello dell’interpretazione e dello studio della spazio, inteso nella sua più ampia accezione che abbraccia lo “spazio fisico” – la crosta terrestre e le sue innumerevoli variazioni locali – e ciò che agisce nello spazio, cioè le forme umane, animali e tutti i fenomeni ad essi connessi, da quelli sociali a quelli economici. Senza addentrarsi nei dibattiti particolaristici della geografia europea dell’ultimo secolo, il dato incontrovertibile che possiamo rilevare è come dalla fine dell’Ottocento si insinui nei territori di questa disciplina il problema della lettura e dell’interpretazione dello spazio. Non è casuale che l’enorme forza dell’argomento emerga storicamente proprio in ambito tedesco, dove cioè la riflessione sui confini dell’Erdkunde (dottrina della terra o geografia) ha origini

1 Hettner, A., Geographische Forshung und Bildung, in «Geographische Zeitschrift», vol. 1 (1895), pp.

7-8, (tr. nostra).

2 Basterebbe citare per avere una visione complessiva del tema, cioè del fallimento di un progetto di

“geografia integrale” in ambito europeo, l’illuminante disamina data da Lucio Gambi nel suo Una

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ben più profonde della tesi di Hettner richiamata in apertura, ed è chiaramente riscontrabile nell’azione innovatrice portata da Alexander von Humboldt con le proprie teorie e, prima ancora, nel ruolo assegnato dal filosofo Immanuel Kant alla disciplina nota come “geografia fisica”. Prima del 1750, prima cioè che l’enciclopedismo e l’illuminismo imperversassero in Europa dando avvio ad una sempre maggiore tendenza alla specializzazione nelle discipline, coloro che si professavano geografi e che praticavano la geografia sul campo non avevano avuto alcuna necessità di definire la propria materia di studio, né di assegnare ad essa uno statuto o un terreno privilegiato di azione. La geografia, al servizio degli stati per scopi politici, economici e militari, era nota come disciplina utile a registrare su carta le caratteristiche di un suolo dal punto di vista dei suoi confini e delle sue risorse – i geografi matematici di corte o i cartografi erano deputati a questo compito – o su mappe i continenti e lo spazio di mare che li divideva, per ragioni legate invece alla navigazione.3 Una primissima riflessione sul valore disciplinare della geografia, nella sua connessione con la storia, emerge proprio dagli ambienti culturali tedeschi quando Johann Michael Franz, fisico di professione cartografo, fonda insieme ad un manipolo di appassionati il primo consesso geografico nel 1746-47, die Cosmographische Gesellschaft, riconoscendo una stretta relazione tra geografia ed astronomia, in quanto entrambe scienze del cosmo.4 Con questa interrelazione, che non escludeva dall’orizzonte tematico la geografia matematica ma anzi ne rafforzava il ruolo con l’applicazione dei calcoli geometrici terrestri agli ambienti celesti, si sanciva per la prima volta una divisione tra la storia e la geografia, che invece sin dai primordi del pensiero classico erano state correlate come materie ancillae dal greco Erodoto, autore di testi storici e geografici al contempo. L’ultima tesi autorevole in cui storia e geografia non sono semplicemente comparate o messe in contrasto, ma sono integrate in base a categorie di fenomeni, è da attribuirsi a Immanuel

3 Sempre Gambi ricorda nel suo testo che «fino in età napoleonica la definizione di “geografo” non figura

mai a se. Quando la professione è indicata per tale (esempio Ximenes, presso la corte fiorentina di Loepoldo I) è congiunta con quella di matematico; e quindi la “geografia” è intesa in genere come la professione che esercitano coloro che rilevano o costruiscono le carte topografiche», in Gambi, L., Una

geografia per la storia, cit., p. 7, nota 6. Per una ricostruzione storica del clima culturale che si respirava

a metà Settecento e sul ruolo istituzionale della geografia si veda: Geography and Enlightenment, edited by D. N. Livingstone and C. W. J. Writers, The University of Chicago Press, Chicago and London 1999, (introduction) pp. 1-33.

4 Sulla prima società geografica della storia si veda Kühn, A., Die Neuegestaltung der deutschen

Geographie im 18. Jahrhundert, Leipzig 1939, pp. 45-54. Johann Michael Franz, dopo aver studiato

“fisica della natura” all’Università di Halle, aveva fondato un’officina cartografica con Georg Ebersperger. Nel 1755 viene nominato per meriti professore di “geografia” all’Università di Göttingen dove ritrova come docenti gli amici cofondatori della “società cosmografica”: l’astronomo e cartografo autodidatta Tobias Mayer e Georg Moritz Lowitz, docente di matematica pratica e poi astronomo a San Pietroburgo.

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Kant che nell’introduzione al suo corso di geografia fisica letto nel 1775 all’Università di Königsberg metteva ordine nell’universo delle cognizioni (die Wissen) che si possono avere a riguardo della terra.5 Secondo la tesi di Kant «ogni scienza è fondata o sull’esperienza o sulla ragione»6 e le prime – dette anche “scienze empiriche” – danno erudizione reale. Questa erudizione reale, diremmo scienza reale, cioè concreta, perché fondata su oggetti della nostra esperienza che appaiono nello spazio e nel tempo, comprende la descrizione del mondo e la storia del mondo. Sia la descrizione del mondo che la storia del mondo possono applicarsi al mondo fisico e alla realtà antropologica. Conseguentemente, nel sistema delle conoscenze delineato dal filosofo tedesco, dobbiamo ammettere l’esistenza di una storia fisica della natura e di una storia antropologica della natura. Analizzando la prima, Kant rileva che ogni scienziato, sia esso uno specialista di botanica, di geologia o di zoologia, descrivendo vari aspetti della natura reale che ha sotto i propri occhi o mettendo in evidenza i cambiamenti dell’aspetto del globo nelle varie epoche, arriva a possedere cognizioni empiriche della natura, e pratica quindi “scienza empirica della natura”. Possiederà cognizioni parziali e limitate studiando separatamente singole frange di mondo – le piante, gli animali, le rocce etc. etc. – ma potrà avere cognizioni generali e universali considerando la natura nell’insieme. Lo scienziato in grado di abbracciare lo studio della natura in maniera unitaria, cioè tutti gli oggetti empirici che si incontrano nello spazio e hanno lasciato tracce del loro stato passato nel tempo, praticherà la geografia fisica. La geografia fisica è quindi per Kant la scienza per eccellenza in grado di indagare gli oggetti della natura, in termini kantiani gli oggetti esperibili sulla superficie terrestre (die Erde), da un punto di vista completo, panoptiko. Ponendo alla base della riflessione una connessione e una mutua dipendenza di spazio e tempo come elementi ineludibili nei territori della

5

Se solitamente non consideriamo il filosofo di Königsberg un’auctoritas anche in campo geografico, dobbiamo ricrederci esaminando la voluminosa edizione della sua Geografia fisica, stampata per la prima volta nel 1801 a Magonza e Amburgo (Immanuel Kants physische Geographie, Vollmer, Mainz und Hamburg 1801) e redatta in base alle note manoscritte ai manuali usati da Kant durante i corsi universitari del 1778, 1782 e 1793. Tralasciando l’intrigante vicenda editoriale che ruota attorno alla pubblicazione della geografia kantiana, è bene solo precisare che tale ponderosa edizione si basava su tre differenti trascrizioni di Vorlesungnachschriften (appunti presi a lezione da studenti), ripulite degli errori di ascolto e di ortografia, e che tale edizione presenta alcune differenze rispetto al volume della Geografia fisica di Immanuel Kant accolta nel 1923 nell’edizione dell’Accademia di Berlino. Si veda per la storia delle vicende riguardanti l’edizione della geografia kantiana e tutte le notizie relative alla storia dei contrasti tra F.T. Rink, affidatario delle dispense kantiane, e l’editore Vollmer: Adickes, E., Untersuchungen zu Kants

physicher Geographie, Mohr, Tübingen 1911; Gedan, P. Immanuel Kants physische Geographie, in Kant,

I., Kant’s Gesammelte Schriften, (comprendente Kant’s Werke e Kant’s Briefwechsel) XV Bände, hrs. von der Königlichen Preussischen Akademie der Wissenschaften, [poi] von der Deutschen Akademie zu Berlin, 1900-1923, Band IX, pp. 509-513 e Band XIII, pp. 526-532.

6 Kant, I., Geografia fisica di Emanuele Kant, VI voll., tr. it. di A. Eckerlin, Silvestri, Milano 1807-1811,

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conoscenza, Kant determina un’idea di geografia che possiamo accomunare – pur con le differenze che evidenzieremo – alla “scienza del cosmo” teorizzata e praticata qualche decennio dopo da Humboldt. Il filosofo tedesco, noto sopratutto per le proprie opere “trascendentali”, aveva nelle lezioni universitarie delineato una divisione semplice, ma non per questo poco sofisticata, dei differenti approcci conoscitivi dello scienziato di fronte al problema alla realtà, in base a ciò che i critici più attenti hanno definito “schema”. L’idea cioè di indicare nella geografia fisica la disciplina cardine dell’intero sistema delle cognizioni reali, aveva indotto il pensatore tedesco ad individuare nello spazio terrestre, nelle Terra, l’oggetto principale delle ricerche geografiche, sulla base del tipo di rapporto esperienziale che il geografo (più genericamente, lo scienziato) era in grado di instaurare con l’ambiente. Per tale ragione la conoscenza della terra è secondo Kant dipendente dal grado di conoscenze, cioè di esperienze fatte o riscontrabili nella storia.

La terra la dividiamo ancora secondo cognizioni maggiori o minori che abbiamo, benché una tal divisione non sia affatto fisica, come: 1. in paesi il cui circuito interno ed esterno sono conosciuti interamente, l’EUROPA; 2. in paesi il cui circuito è conosciuto interamente e la maggior parte dell’interno, l’ASIA; 3. in paesi di cui è conosciuto solo il circuito e niente affatto l’interno, l’AFRICA; 4. paesi di cui non è conosciuto interamente il circuito ed ancora meno l’interno, l’AMERICA e la NUOVA OLANDA; 5. in paesi che realmente sono stati veduti e non più ritrovati; 6. in paesi conosciuti benissimo dagli antichi, i quali ora sono perduti; 7. in paesi che solamente si suppongono.7

Questo passo è interessante anche per istituire un parallelismo con ciò che Alexander von Humboldt prenderà in considerazione nei propri scritti di storia del pensiero geografico.8 Sul terreno della “geografia immaginaria” e delle sedimentazioni mitologiche che hanno contraddistinto la geografia, il distacco sul modo di procedere nei due pensatori tedeschi è netto. Uno degli argomenti di “critica alla conoscenza” geografica che Humboldt invocherà, è proprio diretto a quella tradizione di studio che si ostina a considerare scientificamente attendibili le notizie intorno a terre immaginarie la cui esistenza è dettata dalla mitografia. Dal mito di Atlantide a quello dell’Isla do

7

Ivi, vol. III, p. 149.

8 Per questi aspetti si veda: Humboldt, A. von, Examen critique sur la géographie du Nouveau Continente

et des progrès de l’astronomie nautique aux XVe et XVIe siècle, Gide, Paris 1836-1839, 5 voll, in

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Brasil, spesso la scienza, e non solo la vulgata comune, hanno dato per vere informazioni su terre scomparse desumibili solo dalla letteratura di alcuni popoli o da tradizioni orali tramandatesi per secoli; cosa che ha portato a inventare in toto paesi fantastici (sopratutto nell’oceano tra Vecchio e Nuovo Mondo). Kant fa uso, nella classificazione delle terre di un principio estremamente pratico: quello della vicinanza tra soggetto e oggetto, cioè tra uomo e continente. Come ha evidenziato il geografo Farinelli, è soltanto ammettendo un’«opposizione tra classificazione logica alla Linneo, che produce sistemi logici basati sulla somiglianza e similarità, e kantiana classificazione fisica fondata sulla vicinanza e prossimità alle cose»9 che è possibile comprendere il programma della geografia fisica professato nelle lezioni universitarie da Kant, programma che assegnava al termine spazio il significato di superficie terrestre realmente conosciuta e non superficie cartografica, la mappa, così come la geografia matematica, e la cartografia del XVII e XVIII secolo, ancora intendevano. Per comprendere lo spazio lo scienziato non può limitarsi a ridurre su carta, sul piano di lavoro bidimensionale, le terre conosciute, né può limitarsi alla classificazione sistematica degli esseri presenti sulla crosta.

La geografia fisica considera soltanto le condizioni naturali della terra e ciò che essa contiene: mari, continenti, montagne, fiumi, l’atmosfera, l’uomo, gli animali, le piante e i minerali. Tutto questo, comunque, non con la completezza e l’esattezza filosofica che spettano alla fisica e alla storia naturale, ma con la ragionevole curiosità che ha per il nuovo un viaggiatore che ricerca per ogni dove quel che è degno di nota, peculiare e meraviglioso, e compara le osservazioni che accumula secondo un certo piano (Plan).10

9

Farinelli, F. Experimentum mundi, in Kant, I. Geografia fisica, rist. an. cit., p. XII. Una interpretazione più ampia e profonda dei risvolti filosofici cui darebbe luogo l’abbandono dei concetti di genere e specie derivanti dalla filosofia botanica di Linneo, proprio a partire dalla Naturphilosophie trascendentale di Kant, è stata tracciata da Ernst Cassirer in Sostanza e funzione. Sulla teoria della relatività di Einstein, a cura di G. Preti, tr. it. di E. Arnaud e G. A. De Toni, La Nuova Italia, Firenze 1973; in particolare l’esponente del neocriticismo novecentesco dibatte della necessità di sostituire il concetto di genere, proprio della botanica e che presupporrebbe induttivismo metodologico nelle scienze (induttivismo al quale si professarono favorevoli anche i filosofi della scuola dell’empirismo inglese), con quello di

funzione; il quale, se applicato per la spiegazione del trascendentalismo critico kantiano, risolverebbe i

problemi derivanti dall’applicazione delle “categorie” e permetterebbe di leggere gli “a priori” di Kant in maniera funzionale alla conoscenza delle esperienze mutevoli che facciamo di volta in volta del mondo trattandole in maniera “relativistica” (e non relativa). Tale necessità era nata all’interno del neocriticismo marburghese per respingere le critiche dei neopositivisti sulla non adattabilità delle tesi kantiane ai nuovi orizzonti della scienza, quali appunto la relatività einsteniana, che metteva in discussione proprio i concetti assoluti di spazio e tempo della fisica newtoniana, ancora abbracciati da Kant nei suoi scritti.

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Il piano, lo schema mentale, la rappresentazione geografica nel suo significato letterale, devono necessariamente precedere l’osservazione. Senza questa priorità il geografo non sarà in grado di connettere le singole osservazioni realizzate sul campo – la materia dell’erudizione parziale cui facevamo riferimento in precedenza – in un disegno d’insieme che possa restituire un’immagine complessa e complessiva del cosmo che vada oltre la rappresentazione grafica.11 Il ruolo fondamentale svolto dall’operare connessioni di singole conoscenze nella materia geografica – e non semplicemente accumulo di nozioni – è indicato già nelle primissime pagine del testo kantiano, quando l’autore si accinge a definire ciò che realmente è in grado di produrre “scienza”, ovvero le cognizioni subordinate, quelle cioè che «riunite sotto un’idea vengono da un principio determinate»12. Altri elementi nella definizione kantiana di geografia fisica sono di particolare rilievo per comprendere l’evoluzione del pensiero geografico più in generale e l’esito della riflessione sulla geografia in Alexander von Humboldt. Kant infatti menziona due aspetti particolarmente importanti tra i compiti del geografo fisico: l’attenzione verso le “condizioni naturali della terra” e l’importanza del viaggio come strumento ineludibile di esperienza. La prima istanza, l’attenzione verso le caratteristiche complessive del globo dal punto di vista degli elementi naturali che fanno da cornice, verrà fatta propria da Humboldt per ricondurre le singole descrizioni di paesaggi naturali ad un’immagine complessiva del paesaggio di una determinata zona della terra nella quale tutti gli elementi naturalistici concorrono per definirne le caratteristiche: il clima, la vegetazione, la fauna, le qualità geologiche, l’aria atmosferica. Il secondo aspetto emergente dalla definizione sopra richiamata, l’importanza cioè dei viaggi per l’incremento delle conoscenze scientifiche di un luogo, è invece l’elemento portante dell’intera concezione scientifica humboldtiana, oltre che il tratto caratteristico della sua vita, come vedremo in seguito.

§ 2

11 Non a caso, più avanti (p. XXII), Kant ritorna sul concetto di “schema”, su quella cioè che gli interpreti

del filosofo hanno chiamato “idea architettonica”. Kant infatti sostiene: «La cognizione del mondo dev’essere un sistema, altrimenti non saremmo sicuri di dover abbracciare l’insieme, e nemmeno di ritenerlo a mente, poiché non dominiamo con lo sguardo tutto quello che sappiamo. Nel sistema il tutto è prima delle parti, nell’aggregato le parti sono prime. Esso [cioè il sistema] è l’idea architettonica, senza la quale la scienza non può fabbricarsi come per così dire una casa. Chi vuol fabbricarsi una casa deve farsi dapprima un’idea dell’insieme, dal quale poi si deducono tutte le parti. Tutta la descrizione del mondo e della terra, quando deve essere sistema, deve cominciare col globo, l’idea dell’insieme, e riportarsi sempre a questo». Cfr. Pierobon, E., Kant et la fondation architectonique de la métaphysique, Millon, Grenoble 1990, pp. 58-65.

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Dalle geografie alla geografia

Le tesi riscontrabili nelle successive pagine dell’opera kantiana forniscono altri elementi sulla “sfera d’azione” della geografia, rimarcando l’interazione dei fattori spazio e tempo nella descrizione geografica. Se il concetto di spazio coincide per Kant con il concetto di globo, quindi di superficie terrestre, ed è pertanto più facile da comprendere nell’ottica del ruolo storicamente assegnato alla geografia – scienza che si occupa primariamente del “disegno e della rappresentazione della terra” –, il concetto di tempo si intuisce solamente nel proseguo del ragionamento. La geografia fisica «ci descrive lo stato e la qualità delle cose naturali in un certo tempo, per esempio del presente, e considera lo stato passato solamente come un mezzo che contiene alcune cause per la loro spiegazione»13. Quindi la variabile tempo deve interessare il geografo fisico nelle proprie ricerche come nesso causale che giustifica, e solo è in grado di spiegare, il rapporto tra lo stato dello “spazio terrestre” esperibile in un dato momento e il suo stato antecedente, in altre parole l’evoluzione stessa del globo. Solo inserendo la variabile tempo si potrà quindi cogliere la storia del globo, cioè le modificazioni, i cambiamenti e le trasformazioni di uno “stato primitivo”. La sfera della geografia fisica «non è minore della natura»14 ed essa sola è in grado di restituire un quadro (Ansicht) della natura stessa. Il termine “quadro” venne non casualmente utilizzato anche da Humboldt come titolo di una delle sue opere più famose, Ansichten der Natur15, per dare una forte impronta innovativa alla proprie argomentazioni col preciso intento di comunicare al pubblico gli esiti dei propri viaggi nelle lontane terre equinoziali d’America fornendo un primissimo quadro della natura sud americana, una rappresentazione ed un’immagine unitaria e circoscritta dei molteplici aspetti naturali esperiti durante l’esplorazione. Se sull’analisi di questo elemento ritorneremo necessariamente più avanti, parlando del rapporto tra modalità di comunicazione artistica e comunicazione scientifica dei dati di natura nelle tavole annesse agli atlanti di Humboldt, è doveroso soffermarsi ancora sulle motivazioni che portarono Kant ad assegnare alla geografia fisica un ruolo preminente rispetto a diverse “geografie”, diverse “conoscenze reali della natura” tutte tendenti a subordinarsi ad una disciplina unitaria. La geografia matematica,

13 Ivi, p. XXIV. 14 Ivi, p. XXV. 15

Humboldt, A. von, Ansichten der Natur, (prima ed. 1807) terza ed. accresciuta, Cotta, Stuttgart und Tübingen 1849. Faremo riferimento anche alla traduzione francese curata dallo stesso Humboldt e dall’amico parigino Galusky del 1851 (2 voll, Gide et Boudry) e alla recente traduzione italiana Quadri di

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la geografia degli stati o geografia politica, la geografia del commercio, la geografia teologica, persino la geografia morale, sono ricondotte nell’alveo della geografia fisica, scienza che trarrà in ogni caso utilità dalla topografia, dall’orografia, dall’idrografia e dalla corografia. Il significato di quest’ultimo termine, ovvero la «descrizione del paese e del circondario, la quale rappresenta per così dire la fisionomia di una regione, quasi un quadro delle sue bellezze»16 è il più interessante da analizzare per poter istituire un collegamento con le tesi che più di trent’anni più tardi Humboldt farà proprie. Al geografo fisico spetta il compito di studiare e analizzare vari oggetti e vari fattori agenti sulla superficie terrestre, senza dimenticare l’aspetto estetico, lo sfondo paesistico di una regione del globo, facendo quindi particolare attenzione alla sua fisionomia, ai suoi caratteri immediatamente riconoscibili: a quei caratteri che, stimolando primariamente il senso della vista, danno al visitatore l’impronta immediata delle bellezze di una zona del mondo. Il geografo fisico non deve però escludere dal proprio raggio d’azione ciò che la geografia matematica gli suggerisce. Infatti «le precognizioni più importanti – sostiene Kant – si attingono dalla geografia matematica, la quale parla della figura e grandezza della terra»17. Questa affermazione può essere interpretata come la congiunzione ideale tra gli aspetti innovativi della dottrina geografica professata dal filosofo di Könisberg e la storia della geografia stessa, che sin dall’antichità era andata configurandosi come scienza dedita agli aspetti misurabili della superficie terrestre.18 A conferma di ciò sin dai primi capitoli delle lezioni kantiane si trovano trattate le “nozioni preliminari matematiche della geografia fisica”, cioè la figura, la grandezza e il movimento della terra, a sottolineare quasi il debito del pensiero geografico antico su quello moderno, ma anche per istituire un punto di partenza nel procedere argomentativo in base agli oggetti esperibili sul globo terrestre e a quel principio di prossimità e vicinanza che abbiamo richiamato in precedenza.19 La questione del metodo alla base della riflessione geografica aveva anche interessato gli enciclopedisti

16 I. Kant, Geografia fisica, cit., p. XXXI. 17 Ivi, p. XXX.

18 Il dibattito sull’ecumene, che impegnò la geografia antica greca, poi quella alessandrina, e romana ma

anche gli ambienti scientifici arabi, non viene quindi escluso dall’orizzonte kantiano che anzi ritiene la geografia matematica il presupposto fondamentale della geografia fisica. Questo non soltanto per il fatto che la geografia matematica fornisce gli strumenti materiali per studiare la superficie terrestre dal punto di vista newtoniano abbracciato da Kant, ma anche perché grazie ad essa il cartografo era in grado di mettere su carta i rilievi e i calcoli matematici. Si veda a riguardo Cordano, F., La geografia degli antichi, Laterza, Roma 1992 e Farinelli, F., Geografia, Einaudi, Torino 2003, pp. 3-14.

19 Sfogliando infatti l’indice dei volumi si riesce a comprendere chiaramente l’andamento interno-esterno

del discorso kantiano, che abbraccerà l’intero globo a partire dalla superficie terrestre, per poi salire sempre più verso l’atmosfera e il cielo in generale.

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francesi che avevano dedicato una voce del loro dizionario al termine géographie phisyque, il corrispondente cioè del termine kantiano, physische Weltbeschreibung. In essa si fa riferimento alle difformità della crosta terrestre come oggetto principale di interesse di un “geografo fisico”, ma viene anche istituito un rapporto diretto tra geografia e filosofia naturale, presente tra l’altro in Kant e in Humboldt. Il soggetto della geografia fisica è secondo gli enciclopedisti

la description raisonné des grands phénomènes de la terre, & la considération des résultats généraux déduit des observations locales & particulaires, combinées & réunies méthodiquement sous différentes classes, & dans un plan capable de faire voire l’économie naturel du globe, en tant qu’on l’envisage seulement comme une masse qui n’est ni habitée ni féconde. A mesure que la géographie et la physique se sont perfectionnées, on a rapproché les principes lumineux de celle-ci, des détails secs & décharnés de celle-là.20

In tal modo viene sì sottolineata la connessione di geografia e fisica, i cui principi, illuminandosi a vicenda, permetterebbero la “descrizione dei grandi fenomeni della terra”, ma tale unione di principi possiede ancora solo lo scopo di “mostrare l’economia naturale del globo”. Anche nel passo successivo dell’Encyclopedie si delineano alcuni presupposti di ricerca “cosmologica” che torneranno in Kant. La felice associazione delle due materie (geografia e fisica) porta infatti a progressi attraverso i quali:

notre propre séjour, notre habitation qui nous avoit présenté d’autre image que celle d’un amas de débris & d’un monde en ruine, qu’irrégularités á sa surface, que désordres apparent dans son intérieur, s’offrit á nos yuex eclairés avec des deshors où l’ordre & l’uniformité se firent remarquer, ou les rapports généraux se découvrirent sous nos pas.21

Il risultato più evidente dell’applicazione del metodo descrittivo fisico-geografico è quindi un mutamento radicale di sguardo: dalla terra presentata quale “immagine di un ammasso di cocci e di un mondo in rovina, con irregolarità sulla superficie e con disordine apparente al suo interno”, alla considerazione di essa sotto il segno dell’ordine

20 Encyclopedie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts e des métiers, par une societé des gens de

lettetres, mis en ordre & publié par Diderot et D´Alembert, XVIII voll., Franco Maria Ricci, Parma [poi]

Milano 1970-1979, (facsimile dell’ed. Paris 1751-1777); VII tome, vol. XV- Textes [ET-ISL], ad vocem, pp. G,39 – G,51, p. G,39.

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e della regolarità “ove i rapporti generosi si svelano sotto i nostri passi”. Un mondo, che se il geografo osserva con le regole della fisica, scopre multiforme ma armonioso, e che può disegnare ponendo cura “alla storia del globo” e “distribuendo paesi e contrade nella corretta posizione sulla carta in base a quanto il naturalista precedentemente aveva descritto e disposto per classi e ordini”.22 Troviamo quindi negli enciclopedisti la forte risonanza per le difformità e le disuguaglianze del globo come nodi problematici del lavoro del geografo, ma non vengono evidenziate invece le diverse geografie menzionate da Kant. È d’obbligo chiarire che per i contemporanei di Kant o di Humboldt il termine “physische” come attributo di geografia non aveva lo stesso significato del sostantivo “fisica” come oggi l’ho intendiamo, cioè tutto ciò che riguarda i fenomeni naturali e le leggi che possono spiegare tali fenomeni. Sia Kant che Humboldt includono sotto il termine “geografia fisica” lo studio delle razze, delle lingue, dei costumi e delle tradizioni umane.23 La traduzione che si più si avvicina al concetto di “geografia fisica” in termini moderni, è quella di geografia generale per la tradizione accademica europea, o di geografia sistematica per quella americana. Prima però di chiederci se e quale debito sia da assegnarsi alla riflessione kantiana per comprendere la svolta geografica operata da Alexander von Humboldt, è necessario soffermarsi ancora una volta sul testo delle lezioni di geografia fisica. Nel sesto ed ultimo volume della poderosa edizione il filosofo concentra la propria attenzione sul metodo concreto della geografia. È un’affermazione piuttosto interessante, se si considera che a farla è uno studioso che mai si era spostato dalla propria città natale per viaggi di istruzione o di esplorazione, quindi un geografo ante litteram rispetto alla tradizione geografica contemporanea.

Il metodo della geografia fisica dovrebbe contenere un viaggio fatto in tutte le regioni del globo, e descrivere gli animali e gli avvenimenti in ciascun clima ed elemento. La geografia fisica è quasi l’introduzione e la preparazione per una simile impresa. Essa giungerà al suo termine quando avrà eccitato in ciascuno più o meno l’interesse per un simile viaggio, e risvegliato l’attenzione sulla natura e

22 Nell’edizione originale: «A mesure que les idées se développerant, le géographe dessinateur prit pour

base de ses descriptions topographiques l´histoire de la surface du globe, & distribua par pays & par contrées, ce que le naturaliste décrivit & rangea par classes & par ordre de collection».

23 Si veda in proposito anche l’uso che ne fa Humboldt nelle sue lezioni berlinesi del semestre 1827-1828

in Humboldt, A. von, Vorlesungen über physikalische Geographie nebst Prolegomenen über Stellung der

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sugli effetti di essa, tanto nei corpi organici, quanto nei non organici (…) Non dovrebbe ella (la natura) destare in noi il desiderio di conoscerla più da vicino?24

Ancora una volta quindi l’utilità della geografia fisica è individuata nella preparazione che essa può fornire ad un viaggiatore, soprattutto dal punto di vista dello schema mentale, dell’approccio necessario ad affrontare il laboratorio della natura. Il rapporto tra viaggi e geografia fisica è quindi scambievole: se la geografia fisica fornisce al viaggiatore gli strumenti per affrontare lo studio della natura, così il viaggio incrementa e fa crescere la scienza geografica. Lo stesso Kant infatti aveva sostenuto che «il viaggiatore non può in alcun modo essere privo di cognizioni geografiche (…) la geografia insegna al viaggiatore a quali oggetti dirigere l’attenzione»25. Con Kant, per la prima volta nella riflessione moderna, il soggetto della geografia ritorna ad avere un preciso, vastissimo, campo di influenza nello studio dei fenomeni terrestri. Da queste ultime definizioni tratte dalle lezioni di Kant è percepibile uno scarto nei confronti della geografia anticamente intesa, ma non nel suo “campo d’azione”, bensì nel suo effettivo uso: la geografia diviene quell’insieme di conoscenze che ci permetterebbe, oltre che di individuare precisi luoghi dotati di una particolare conformazione e soggetti abitualmente a determinati fenomeni naturali (terremoti, correnti, maree…), anche di poter trarre vantaggio da tali “cognizioni”.26 La tesi kantiana dell’utilità della geografia, pur focalizzandosi sul rapporto viaggi/incremento di conoscenze, aveva una lunga tradizione alle spalle - anche se quello dei due secoli precedenti restava ancora un interesse verso la cartografia, un’idea impura di scienza geografica -. Tuttavia, se

24

Kant, I., Geografia fisica, cit., vol. III, pp. 503-504.

25 Ivi, p. XXXIV (introd).

26 È chiaro che in un’Europa travolta dalle idee illuministiche, e con una già marcata vocazione nel

varcare l’Atlantico di paesi come Portogallo, Spagna e Gran Bretagna, risultava sempre più necessaria una “scienza” che potesse essere di prezioso aiuto nella pianificazione di viaggi ed esplorazioni ad uso commerciale. Nessuno di questi tre paesi vedrà lo svilupparsi della disciplina “in casa propria”, con una sua istituzionalizzazione – anche se ovviamente le nozioni geografiche furono un presupposto essenziale per i viaggi commerciali dei regni portoghesi e spagnoli nelle Indie occidentali e per le successive spedizioni coloniali della corona inglese nelle Indie orientali – e sarà invece nell’ambito della riflessione tedesca, che da Kant fino a Ritter, la geografia tornerà ad avere una degna considerazione nel contesto delle Naturwissenschaften, anche a livello accademico. Potremmo isolare il caso eccezionale inglese all’interno del quale, con la spinta decisiva dell’Ammiragliato della Corona, si iniziarono a organizzare dei corsi di perfezionamento per gli allievi della Royal Navy, il cui futuro cursus honorum all’interno della Marina di Sua Maestà sarebbe dipeso dalle conoscenze cartografiche, dall’abilità pittorica a “mano nuda” (per la realizzazione di vedute di porti, città e insenature), oltre che dalle ovvie capacità di navigazione e conduzione di vascelli. Per questo ultimo aspetto è utile ricordare quattro raccolte cartografiche che ebbero un notevole successo in Inghilterra e che furono alla base anche del viaggio intorno al mondo di James Cook: il Book of Sea Plats di Joseph Moxon, pubblicato nel 1657, il The

Englisch Pilot dell’idrografo John Seller, stampato tra il 1671 e il 1672, l’Atlas Maritimus del 1675 e

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pensiamo al fatto che «Kant appartiene alla prima generazione di uomini per i quali il globo terrestre era, rispetto al mondo degli antichi, qualcosa di continuo, omogeneo e isotropico»27 possiamo allora comprendere realmente l’importanza della sua riflessione e il distacco dalla definizione di geografia fisica data dagli enciclopedisti. In Kant le difformità della crosta e le ineguaglianze richiamate nelle definizione di Diderot e D’Alembert non sono punto evidenziate, anche perché la filosofia di fondo è quella di un mondo ordinato e di leggi di natura in grado di spiegarne il meccanismo infallibile, almeno dal punto di vista della natura esterna. In questa prima generazione di pensatori che descrivono la realtà naturale presupponendo una omogeneità di fondo dobbiamo annoverare sicuramente l’autore dell’enciclopedica Historie naturelle génerale et particuliére, J.L. Leclerc de Buffon - la cui opera era stata letta e assimilata da Kant come dimostrano i suoi scritti - e considerato a quel tempo il più importante oppositore della teoria classificatoria di Linneo. Oltre a questi va ricordato anche il professore di filosofia della fisica e storia naturale all’Università di Ginevra, Horacé Benedicte De Saussure, uno dei pochi naturalisti citati nella Critica del giudizio. Il presupposto kantiano di un mondo uniforme aveva indotto, non senza conseguenza per il nostro ragionamento, a riflettere sul problema dell’origine del cosmo e di come interpretare il mondo alla luce delle sue leggi. Kant si era sin dai primi anni di studio nella Regia Università prussiana di Königsberg applicato agli studi di fisica e di storia della terra, mostrando un forte interesse verso la comprensione delle dinamiche terrestri. Come ogni naturalista che si rispettasse, anche il giovane studente si era cimentato con il problema dell’origine del cosmo, prima di indagare in profondità le dinamiche che lo regolano nella sua attualità. La risposta giovanile a tale antica questione parte dall’osservazione dell’universo e può essere tutta sintetizzata nel passo tratto dalla Teoria del cielo secondo cui

Di fronte all’incommensurabile grandezza, varietà e alla bellezza infinite di cui risplende in ogni sua parte l’universo, si resta ammutoliti dallo stupore. Se guardare una perfezione simile tocca la nostra immaginazione, un incanto tutto diverso avvince l’intelletto ogniqualvolta esso considera che tanto fascino e tanta grandezza scaturiscono da un’unica regola universale, secondo un ordine eterno e giusto.28

27 Farinelli, F.,“Experimentum mundi”, cit., p. XV.

28 Kant, I., Storia universale della natura e teoria del cielo, a cura di G. Scarpelli, tr. it. di S. Velotti,

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Possiamo concludere allora che per Kant la geografia – ricordiamo che in lingua tedesca si usano i termini Erdbeschreibung ed Erdkunde, descrizione o dottrina della terra – in quanto Weltwissenschaft, si inseriva all’interno di un preciso e sistematico modo di intendere ogni tipo di conoscenza: al geografo è dato il compito di studiare il cosmo in una prospettiva che tenga conto dell’unità di piano che lo sorregge e che è fondata sopra leggi necessarie, ma allo stesso tempo egli dovrà riporre la massima attenzione alla registrazione di tutte le variazioni morfologiche nel tempo e nello spazio. Leggendo queste pagine kantiane sulla natura della geografia viene spontaneo tentare di istituire un confronto con la definizione humboldtiana di “dottrina della terra” che più si avvicina, se non altro per la complessità delle sue conseguenze, al termine amplissimo di geografia fisica. Circa vent’anni dopo la pubblicazione illegale delle lezioni di Kant, i medesimi concetti di base riguardanti il ruolo della geografia vengono trattati da Humboldt nella sua prima importante pubblicazione, edita nel 1793 all’età di ventiquattro anni. Humboldt stava in quegl’anni perfezionando la propria preparazione all’Accademia mineraria di Freiberg29, sotto la guida del noto mineralogista Abraham Gottlob Werner, al fine di acquisire quel bagaglio di conoscenze, teoriche e pratiche, necessarie al futuro impiego amministrativo nelle miniere di Franconia. Humboldt aveva infatti rifiutato di continuare gli studi di cameralistica iniziati col fratello dopo la morte del padre (1779) e si era sempre più appassionato alla botanica e alla morfologia terrestre. Era stato anche introdotto al fascino della geografia di viaggio da Georg fisico-teologica, «insostenibile, al pari delle altre [in quanto] è l’intelletto e non solo l’immaginazione a dovere ammettere la propria impotenza, l’incapacità a dominare per intero il teatro del mondo» (in Kant, I, Critica della ragion pura, a cura di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, riv. da V. Mathieu, Laterza, Roma Bari 1969, p. 488) a tal punto che anche la nostra capacità di descrivere matematicamente e fisicamente tutte le cose viene meno. Solo il movimento dei corpi celesti rimane saldo sopra la spiegazione newtoniana, ma quando ci caliamo sempre più in profondità nel cuore della terra e ci accingiamo a studiare anche solo un filo d’erba il «nostro giudizio sul tutto deve risolversi in un muto, ma perciò tanto più eloquente stupore» (Ivi, p. 25).

29 L’accademia mineraria di Freiberg, il centro minerario più antico della Sassonia, venne fondata nel

1765 con il nome di Bergakademie, il primo istituto minerario del mondo. L’istituto si presentò subito come centro di ricerca all’avanguardia sia dal punto di vista dell’organizzazione dell’insegnamento, sia da quello delle conoscenze trasmesse. A differenza infatti delle università tradizionali la Bergakademie propone un percorso di studio che accanto a discipline canoniche (matematica, geometria, fisica teorica e sperimentale, trigonometria sferica) affianca materie tecnico pratiche, che sarebbero servite per il lavoro sul campo (agrimensura, topografia, mineralogia, geologia) e discipline economico giuridiche (diritto minerario della Sassonia). Alle lezioni in aula fanno seguito esercitazioni sul campo ed escursioni che consentono di verificare il bagaglio nozionistico acquisito in aula. Si trattava per quell’epoca di un metodo di insegnamento inedito. Se a ciò si aggiunge che l’accademia si pose sin dall’inizio all’avanguardia per ciò che concerne le personalità scientifiche che vi gravitarono, si comprende l’assoluta importanza di questo periodo di formazione per il giovane Humboldt. Tra i docenti più illustri figurava anche il fondatore della mineralogia e della geologia sistematica Abraham Gottlob Werner (1749-1817), il primo a propugnare l’idea dell’origine sedimentaria delle rocce, conosciuta con il termine di nettunismo.

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Forster, con il quale si era recato tra il 1789 e il 1790 nei Paesi Bassi, Inghilterra e Francia dopo un’escursione lungo il Reno. L’esito dei primi viaggi giovanili di esplorazione nel “tempio della Natura” – come Humboldt dichiarava – fu quindi la pubblicazione di due testi, il primo di argomento strettamente geologico e considerato come un’esercitazione accademica30, ed il secondo, la Florae Fribergensis Specimen31, di più ampio respiro e di approccio innovativo per il tempo, trattando delle specie crittogamiche presenti nei dintorni di Friburgo in rapporto alla qualità dei “suoli” nei quali si trovano a vivere, o dei sottosuoli nei quali si sviluppano. Questa seconda operetta – se paragonata ai successivi volumi – era stata particolarmente apprezzata a quel tempo da molti naturalisti, tra cui Goethe, per l’approccio olistico allo studio della natura che molti poeti scienziati della Goethezeit già praticavano. Si tratta di un testo particolarmente interessante tra quelli di genere odeporico poiché per la prima volta l’interesse del viaggiatore scienziato non è solamente rivolto alla ricognizione delle specie vegetali presenti sulla crosta terrestre ma è diretto anche all’esplorazione del sottosuolo e alle forme di vita nascoste in anfratti e caverne.32 La dimensione sotterranea del viaggio scientifico è già un primo elemento innovativo della scienza di viaggio humboldtiana, anche alla luce della variegata letteratura di istruzioni per viaggiatori che un esiguo interesse aveva rivolto all’esperienza esplorativa del sottosuolo.33 Limitandosi ad evidenziare gli aspetti metodologici e teorici del viaggio nei dintorni di Friburgo,

30

Si tratta delle Mineralogische Beobachtungen über einige Basalt am Rhein, Schulbuchhandlung, Braunschweig 1790.

31 Humboldt, A. von, Florae fribergensis Specimen plantas cryptogamicas praesertim subterraneas

exhibens. Accedunt aphorismi ex doctrina physiologiae chemicae plantarum, Rottman, Berolini 1793.

32 Cfr. in proposito l’antologia di scritti Esplorazioni e viaggi scientifici nel Settecento, a cura di M.

Ciardi, Bur, Milano 2008.

33 Confrontando infatti i testi di istruzioni scientifiche per viaggiatori, genere letterario di una certa

importanza la cui prima testimonianza è del 1666 ad opera di Robert Boyle, emerge chiaramente come il richiamo alla natura sotterranea sia limitato in molti casi all’esplorazione di miniere e condotti naturali affinché si possano annotare gli eventuali benefici economici derivanti dall’esplorazione delle miniere e dallo sfruttamento dei metalli. Esemplare in tal caso il consiglio di Vallisneri che nel suo Piano di

ricerche naturalistiche nella Garfagnana (1726) consiglia di fare «minuziose osservazioni» che possano

essere «d’utilità ai Principi e ai sudditi». Nel testo più complesso e autorevole di istruzioni per viaggiatori, redatto da Linneo nel 1759, il botanico svedese indica l’importanza di esplorare le grotte sotterranee, «perché non mancano mai di contenere qualcosa degno di essere visto». L’indicazione di Linneo si ferma però a questo particolare senza nessun tipo di approfondimento – come ci si aspetterebbe da un botanico – circa le forme di vita vegetale presenti. Per tale ragione, a poco più di trent’anni di distanza, le memorie dal sottosuolo di Humboldt rivestono un ruolo particolare tra la letteratura scientifica di viaggio. Per i testi sulle istruzioni scientifiche consultati, e in particolare gli autori richiamati in note, si veda: Le istruzioni scientifiche per i viaggiatori (XVII-XIX secolo), a cura di S. Collini e A. Vannoni, Polistampa, Firenze 1997; per la citazione da Linneo si veda Di Bartolo, A., Disposizioni per il

viaggiatore, prima tr. it. completa, in C. v. Linné, Aforismi e viaggi, a cura di A. Minelli, Panoptikon,

Seregno 2007. Sul tema del rapporto tra viaggi e genere letterario di istruzioni per viaggiatori fondamentale il volume collettaneo Viaggi e scienza. Le istruzioni scientifiche per i viaggiatori nei secoli

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notiamo che è proprio in questa pubblicazione che viene data la prima definizione di geognosia. Se nei primissimi anni di formazione Humboldt si era dedicato all’approfondimento di scienze speciali (botanica, geologia e geomorfologia), subito gli era mostrata la necessità di porre delle distinzioni logiche tra geografia e altre scienze. In un lunga nota a piè pagina dell’opera del 1793 l’autore definisce per la prima volta il termine nel contesto introduttivo del volume sulla flora di Friburgo, nel quale già si vede con chiarezza l’interesse per gli aspetti ecologici delle forme di vita vegetale. Nel prodromo l’autore, alla descrizione sistematica della flora crittogamica, premette osservazioni circa il sito naturale delle città, la campagna limitrofa, le condizioni dell’aria (“ciò che chiamano anche clima”), l’azione del sole, le rupi montuose e la spiegazione delle stratificazioni rocciose.34 Tale interesse per l’habitat naturale in cui le piante si trovano a vivere e per le variazione stesse delle specie in base al loro “luogo natale”, è proprio della geografia delle piante. Nella definizione leggiamo infatti:

La geognosia (Erdkunde) studia la natura animata e inanimata (…) considera sia i corpi organici che quelli inorganici. Essa è divisa in tre parti: la Geografia orittologica, che più semplicemente viene chiamata geognosia, sulla quale Werner ha compiuto studi egregi; la Geografia zoologica, i cui fondamenti furono imposti da Zimmermann; e la Geografia delle piante, che i nostri colleghi hanno tralasciato. Le osservazioni su parti individuali di specie arboree o di terreni non si possono considerare come parti della geografia botanica, cui spetta invece tracciare relazioni e connessioni riguardo a tutte le associazioni di vegetali, determinare le caratteristiche dei terreni in cui si trovano, mostrare le condizioni atmosferiche in cui vivono, informare sulla distruzione di pietre e rocce a causa di potenti alghe primordiali e di radici arboree, descrivere la superficie della terra in cui l’humus è preparato. Questo è ciò che distingue la geognosia dalla

physiographia (Naturbeschreibung), ingiustamente definita “storia naturale”;

zoologia, botanica e geologia, tutte formano parti dell’indagine naturale, ma esse studiano solamente le forme, l’anatomia, i processi, etc., di specie animali, piante, metalli o fossili. La storia della terra (Erdgeschichte), più vicina a ciò che definiamo geognosia che alla physiographia, non ancora approfondita da alcuno, studia le specie animali e vegetali che abitavano le ere primordiali del globo, le migrazioni delle specie e la scomparsa di molte di esse, la formazione di montagne, valli, formazioni rocciose e vene minerali, la superficie della terra

34

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gradualmente ricoperta da humus e piante, denudata da catastrofi atmosferiche e ancora ricoperta da vegetazione. La storia zoologica, la storia delle piante e la storia delle rocce, che ci informano sulla storia passata del globo, non devono confondersi con l’oggetto della geognosia.35

Analizzando quindi la definizione di geognosia, nel testo che molti studiosi considerano la pietra miliare della fitogeografia, si può infatti evidenziare uno scarto ed un ampliamento rispetto al significato assegnato al termine geografia fisica da Immanuel Kant. Innanzitutto il termine geognosia corrisponde al tedesco Erdkunde, cioè dottrina della terra, e ad esso è assegnato un ventaglio di oggetti di studio molto ampio, dalle forme animali a quelle vegetali, dalle stratificazioni rocciose ai minerali in genere. I tre regni naturali sono quindi il terreno d’azione della geognosia e di conseguenza all’interno di essa sussistono tre macroaree di studio, tutte legate al discorso geografico: la geografia orittologica, quella degli animali e quella delle piante. Mentre per le prime due Humboldt individua come padri fondatori (Werner e Zimmermann) scienziati che già hanno ampiamente indagato il mondo minerale e animale dal punto di visto della “dottrina della terra”, e che quindi hanno approfondito i differenti ambiti non semplicemente in chiave storica o sistematica, per la geografia delle piante sussiste ancora un vuoto che necessita di essere colmato. Per Humboldt la geografia delle piante, seppur emersa tra gli interessi di naturalisti e botanici, non aveva mai avuto uno spazio autonomo nel contesto delle scienze naturali e tanto meno nello sviluppo interno della

35 Ivi, pp. IX-X* (nota), trad. nostra. Riportiamo per intero la citazione dal testo originale latino in quanto

in essa sono presenti termini specifici il cui utilizzo è particolarmente importante per un confronto con il testo kantiano sulla geografia fisica. Si sono mantenuti lo stilema corsivo e le maiuscole come nel testo originale. «Geognosia (Erdkunde) naturam animantem aeque ac inanimam vel, ut vocabulo minus apto ex antiquitate saltem haud petito utar, corpora organica aeque inorganica considerat. Sunt tria, quibus absolvitur, capita: Geografia oryƇtologica, quam simpliciter Geognosiam dicunt virque acutissimus

Wernerus egregie digessit, Geographia zoologica, cujus doctrina fondamenta Zimmermanus jecit et

Geographia plantarum, quam aequales nostri fere intaƇtam relinquunt. Multum quidem abest, ut credam observationes in singulas stirpium v.c. graminum partes Geographiam plantarum speƇtare, quae vinculum ac cognationem tradit, qua omnia vegetabilia inter se apta sint, terrae traƇtus designat quos tenet, in aerem atmosphaericum quae sit earum vis ostendit, saxa atque rupes quibus potissimum algarum primordis radicibusque arborum destruantur docet, eamque telluris superficiem commonstrat, cui humus paratur. Est itaque quod differat inter Geognosiam et Physiographiam (Naturbeschreibung) historia naturalis perperam nuncupata, quum Zoognosia, Phytognosia et OryƇtognosia, quae quidem omnes in naturae investigatione versantur, non nisi singulorum animalium, vegetabilium, rerum metallicarum vel (venia sit verbo) fossilium formas, anatomen vires etc. scrutantur. Historia Telluris (Erdgeschichte) Geognosiae magis quam Physiographiae affinis, nemini adhuc tentata, plantarum animaliumque genera, orbem inhabitantia primaevam, migrationes eorum pluriumque interitum, ortum quem montes, valles, saxorum strata et vene metalliferae ducunt, sive aquam densando aere natam, sive aerem oceani exhalationibus rarefaƇtum, mutatisque temporum vicibus modo purum modo vitiatum, terrae superficiem humo plantisque paulatim obteƇtam, fluminum inundatium impetu denuo nudatam interumque siccatam et gramine vestitam commemorat. Igitur Historia zoologica, historia plantarum et historia oryƇtologica, quae non nisi pristinum orbis terrae statum indicant a Geognosia probe distinguenda».

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botanica. In tal senso con Humboldt si viene a compiere una rottura con la tradizione della botanica sistematica che sottende un ripensamento e un ampliamento della botanica sistematica di Linneo. Si può notare dalla definizione precedentemente citata come il bagaglio di conoscenze che il geografo delle piante deve preporre all’indagine naturale è vasto tanto quanto quello del geografo fisico delineato da Kant. Dalla geologia alla geomorfologia, dalla meteorologia alla topografia, il geografo delle piante dovrà essere in grado di costruire una sintesi delle caratteristiche del globo al fine di dare spiegazione dello stato della vegetazione al momento presente, nel rapporto con le eventuali modificazioni intercorse nella storia, così come i relitti vegetali o la storia delle migrazioni botaniche riescono a provare. È interessante a questo punto notare come l’operazione di Humboldt sia, in questo scritto giovanile, quella di applicare ed estendere l’approccio che Werner impartiva alla materia dei propri corsi accademici nello studio dei minerali36 - presupponendo una divisione tra oryctognosia e geognosia - alla zoologia e alla botanica, distinguendo nettamente tra indagine storica e indagine corologico-spaziale. Per tale ragione l’autore critica fortemente coloro che sostengono di fare storia naturale quando invece compiono solo ricerche fisiografiche37

(Naturbeschreibung) sulla terra sviscerando analisi dettagliate di singole specie animali o vegetali, ed esorta quindi i naturalisti a non farsi semplicemente attrarre dalla tassonomia. L’accento è ancora una volta – come tra l’altro già in Kant – sull’aspetto “spaziale” e corografico che lo scienziato intende mettere in atto nel proprio lavoro, quindi sulla visione d’insieme della natura nei suoi multiformi aspetti e nell’evidenziare le relazioni che gli oggetti di natura hanno tra loro.

§ 3

Geognosia e scienze particolari in Alexander von Humboldt

36

Cfr. “Abraham Gottlob Werner”, in Allgemeine deutsche Biographie, vol. 42, pp. 33-39 e Blöde, W.,

Die Geschichte und die jetzigen Verhältnisse der Bergakademie, in Festsschrift zum hundertjährigen Jubiläum der königlichen sächsischen Bergakademie zu Freiberg, Dresden 1866, p. 9. La distinzione tra

orictognosia e geognosia era fondata per Werner sui differenti oggetti di indagine per ciò che concerne i minerali. Da un lato lo studio dei minerali che compongono il globo e dall’altro lo studio della formazioni rocciose e delle montagne in genere. Per questo secondo settore definito geognosie o Erdkunde, la posizione di Werner,

37 Alcuni studiosi di Humboldt hanno preferito tradurre il termine latino Physiographia con il termine

generico “geografia”, giustificando la scelta con il fatto che oggi il termine fisiografia ha assunto un significato differente da quello che Humboldt gli avrebbe assegnato (Cfr. Hartshorne, R., The concept of

Geography as a science of space, from Kant and Humboldt to Hettner, in «Annals of the Association of

American Geographers», vol. 48, 1958, pp. 100) e sostenendo che il termine Erdkunde, più prossimo al termine geognosia, diventi in Humboldt sinonimo di geografia.

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L’idea, ambiziosa quanto controcorrente rispetto a ciò che stava avvenendo negli ambienti accademici e scientifici, è quella di studiare i fenomeni naturali non come fatti muti, isolati e autonomi nella vita del globo, ma come fatti in relazione, inseriti in un contesto generale. L’obiettivo venne espresso a chiare lettere in una missiva inviata da Humboldt all’amico Friedrich Schiller proprio in riferimento allo studio della vegetazione.

L’armonia generale della forma, il problema dell’esistenza di una forma originaria di pianta, la suddivisione della varie forme sulla superficie della terra, le diverse impressioni di gioia e di malinconia che il mondo delle piante produce nelle persone sensibili, il contrasto tra la massa rocciosa, morta, immobile, e perfino tra i tronchi degli alberi che sembrano inorganici, e il vivente tappeto vegetale che, si potrebbe dire, riveste delicatamente lo scheletro della terra come una tenera carne, la storia e la geografia delle piante, cioè la descrizione storica dell’intera diffusione dei vegetali sulla superficie della terra (argomento non studiato della storia generale del mondo), l’attento esame della vegetazione primordiale nei suoi mutamenti funebri (fossili, carbone minerale, torba ecc.), la progressiva abitabilità della superficie terrestre, migrazione e distribuzione delle piante, sia sociali sia solitarie, una cartografia che rappresenti tale processo (…), l’inselvatichirsi delle piante coltivate (esistono piante americane e persiane allo stato selvatico dal Tago all’Ob), la confusione generale che le colonizzazioni hanno provocato nella geografia delle piante – questi mi sembrano argomenti degni di attenzione, e quasi del tutto trascurati.38

Se la geografia delle piante diviene quindi la leva per poter estendere la geognosia, in virtù del fatto che molte problematiche sulla distribuzione geografica delle specie vegetali e sulle cause di tale distribuzione sono state ignorate dai botanici e dai naturalisti in genere,39 al contempo gli oggetti cui deve dirigere la propria attenzione il geografo delle piante sono similari a quelli emergenti nelle lezioni kantiane sulla geografia fisica, soprattutto in relazione allo studio dei “fattori ambientali”, e geografici

38 Lettera a Schiller citata in Humboldt, A. von, La geografia I viaggi, a cura di M . Milanesi e A.

Visconti, Franco Angeli, Milano 1975, p. 24.

39

Cfr. Browne, J, The secular ark. Studies in the History of Biogeography, Yale University Press, New Haven and London 1983, p. 43. La Browne, in questo testo che viene giustamente considerato una delle pietre miliari per una ricostruzione storica della biogeografia, riconosce il fatto che Humboldt ha fornito le prime regole concrete per investigare la natura dal punto di vista della geografia botanica.

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più in generale.40 Inoltre l’assoluta centralità dell’esperienza del viaggio, come fase necessaria per poter rilevare tutti i differenti fenomeni di natura, prima di operare connessioni e confronti delle esperienza acquisite, ci riporta al tema della scienza di viaggio humboldtiana che permea l’intera sua riflessione. Possiamo rilevare inoltre che è Humboldt stesso nelle lezioni berlinesi del biennio 1827-1828, pubblicate quasi un secolo più tardi, a dichiarare che la formula “physische Weltbeschreibung”41 è stata presa a prestito da Kant ma, a parte tale riferimento diretto, non ci sono ulteriori indizi che possano dimostrare una filiazione diretta nelle idee abbracciate dai due. Humboldt cerca di chiarire più tardi, nella sua ultima opera Kosmos, la differenza tra “storia fisica del mondo” e “descrizione fisica del mondo” dichiarando che quest’ultima considera «die Welt als Gegenstad des äusseren Sinnes»42, in questo modo rilevando un’estensione ulteriore nell’interesse del geografo: dal mondo all’universo, dai fenomeni fisici e geografici esperibili “con i sensi esterni” sulla crosta terrestre ai fenomeni astronomici.43 La geognosia deve essere principalmente descrizione fisica del mondo ma per essere tale non può escludere la storia del globo, cioè del cosmo nella sua interezza e soprattutto non può prescindere dalla variabile spazio: «la descrizione fisica del mondo è fondata sulla contemplazione della universalità delle cose create, di tutto ciò che coesiste nello spazio, in fatto di sostanze e di forze, della simultaneità degli enti materiali che costituiscono l’universo».44 Dobbiamo chiederci a questo punto quale ruolo le cosiddette “scienze particolari” abbiano nella riflessione di Humboldt, a partire proprio dal valore assegnato alla scienza che genericamente veniva detta fisica al tempo di Humboldt, e che gli enciclopedisti avevano messo in particolare risalto parlando della

40

Alcuni critici di Humboldt si sono impegnati nel cercare di trovare punti di raccordo tra il pensiero di Kant e quello di Humboldt. Ci si è interrogati anche sul presunto episodio di incontro tra i due nella città di Königsberg, dalla quale Kant non si era mai spostato, ma bisogna precisare che di questo incontro non vi è menzione né in Kant né in Humboldt. Inoltre il nome di Kant non compare mai tra i corrispondenti di Humboldt. È evidente, al contempo, che il giovane studente berlinese abbia studiato e affrontato le ricerche geografiche kantiane, come anche la sua filosofia da cui dissentiva, secondo l’analisi fatta da Borch nel dopoguerra. Cfr. Borch, R., Alexander von Humboldt: Sein Leben und Berichten, Berlin 1948, pp. 26-41.

41 Humboldt, A. von, Vorlesungen über Stellung der Gestirne, Berlin im Winter 1827-1828, hsg. von

Miron Goldstain, Berlin 1934, p. 14.

42 «[la descrizione fisica del mondo] considera l’universo come oggetto dei sensi esterni». Per tutte le

citazioni da Kosmos abbiamo fatto riferimento alla più recente edizione critica tedesca: Humboldt, A. von, Kosmos, hrg. und komm. von H. Beck, Band VII/1-2, Darmstädter Ausgabe, Darmstad 2008. Abbiamo consultato anche l’unica traduzione italiana completa esistente, anche se datata. Cfr. Cosmos

ovvero saggio di una descrizione fisica del mondo, tr. it. di G. Vallini, 4 voll., Grimaldo, Venezia 1860.

Tutti i passi di Humboldt, se non altrimenti specificato, sono tradotti dall’autore.

43

In una famosa definizione di Kosmos Humboldt sostiene: «la scienza che cerco di definire ha quindi per l’uomo, abitatore della terra, due parti distinte: la terra stessa e gli spazi celesti», in Humboldt, A. von,

Cosmos, tr. it. cit., p. 43.

44

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geografia come scienza che può dialogare proficuamente con la fisica. Il tentativo di superamento una visionale specialistica della realtà e delle discipline scientifiche è fortemente sostenuto da Humboldt, nell’arco di tutta la propria produzione. È nelle pagine di Kosmos che ritroviamo infatti citata la “fisica generale”, la fisica di ascendenza newtoniana, come disciplina necessaria allo sviluppo della geognosia, paragonata però per importanza ad altre materie:

la descrizione fisica del mondo non potrebbe essere una mera associazione enciclopedica di scienze, testé nominate [fisica generale, storia naturale descrittiva,

geologia, geografia comparata]. La confusione fra cognizioni strettamente congiunte è tanto maggiore, quanto che, da secoli, è invalsa l’abitudine di indicare gruppi di nozioni empiriche con denominazioni che sono ora troppo vaghe, ora troppo ristrette, rispetto alle idee che debbono richiamare. (…) Si è tentato sovente, e quasi sempre senza risultati, di sostituire alle antiche denominazioni, vaghe senza dubbio, ma oggi generalmente comprese, nuovi nomi e meglio formati. Tali mutamenti vennero specialmente proposti da coloro che s’applicarono alla riduzione in classi generali dello scibile umano, dalla grande Enciclopedia di Gregorio Reisch, priore della Certosa di Friburgo, verso la fine del XV secolo, fino al cancelliere Bacone, da Bacone sino a d’Alembert, e in questi tempi, sino ad un fisico molto sagace, quale A. M. Ampère.45

Ripensare quindi la suddivisione dello scibile umano e non escludere, ma anzi integrare, le varie discipline sperimentali in una visione unitaria del sapere scientifico è l’obiettivo che sotterraneamente attraversa tutta l’opera di Humboldt. Geognosia, geografia fisica e fisica del mondo sono termini che sovente vengono utilizzati come sinonimi dall’autore, ma sempre ricondotti nell’alveo di una nuova metodologia scientifica che dalle singole pratiche e dalle singole osservazioni giunge ad una scienza unitaria della natura. L’esempio più appropriato per comprendere il ripensamento di fondo della “scienza humboldtiana” è riscontrabile nell’approccio allo studio della vegetazione. Le discipline che i contemporanei di Humboldt distinguono per differenti oggetti di studio, vale a dire la fisica e la chimica, concorrono in ugual modo a favorire il lavoro dello scienziato. Se da una lato infatti la fisica si occupa dell’«essenza generale della materia e delle forze che le imprimono movimento», e la chimica dell’«eterogeneità delle sostanze, la loro

45

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composizione elementare, le loro attrazioni»46, entrambe devono essere integrate nella spiegazione delle forme vegetali esperibili sulla terra, partendo dall’assunto che è la stessa descrizione della terra a mettere in evidenza come ogni fenomeno sia il risultato di azioni fisiche e chimiche al contempo. Ed è proprio sul terreno della geografia delle piante che questa concatenazioni continua di fattori agenti nella natura si svela in maniera paradigmatica. Ne abbiamo riprova quando Humboldt si accinge a dare spiegazione, nella prefazione di Kosmos, delle motivazioni personali che lo hanno condotto a studiare il mondo vegetale nell’ottica della distribuzione geografica delle specie secondo i dettami della geognosia - cioè non della semplice descrizione sistematica e tassonomica né dal punto di vista della storia naturale descrittiva -.

Le vicissitudini della mia vita e una forte brama di istruirmi sopra oggetti diversificati, mi obbligarono ad occuparmi (…) di scienze speciali, di botanica, di geognosia, di chimica, di posizioni astronomiche e di magnetismo terrestre. Mi preparavo così con tali studi a effettuare con profitto viaggi lontani; lo scopo che mi guidava era più alto. Desideravo conoscere il mondo dei fenomeni e delle forze fisiche nella loro connessione e mutua influenza. Godendo sin dalla mia prima gioventù, dei consigli e della benevolenza di uomini superiori, m’ero di buon’ora persuaso intimamente che senza il desiderio di acquisire una solida istruzione nelle parti speciali delle scienze naturali, ogni contemplazione della natura in grande, ogni tentativo di comprendere le leggi che compongono la fisica del mondo, non sarebbero che una vana e chimerica impresa. Le cognizioni speciali, a causa della concatenazione stessa delle cose, si assimilano e si fecondano vicendevolmente. Quando la botanica descrittiva non rimane frenata dall’angustia cerchia dello studio delle forme e della loro classificazione in genere e specie, l’osservatore che va esplorando, sotto climi differenti, per vari tratti di continenti, per montagne e altipiani, viene da essa guidato ad apprendere le nozioni fondamentali della

Geografia delle piante. (…) Ora per comprendere le cause complesse delle leggi

che regolano tale distribuzione, è necessario studiare a fondo le variazioni di temperatura del suolo irradiante e dell’oceano aereo che avvolge il globo. 47

Il naturalista – inteso nella sua più ampia accezione di studioso della natura – è quindi condotto dalla natura stessa a considerare i fenomeni nella loro concatenazione, come la parabola biografica di Humboldt dimostrerebbe. Così la geografia delle piante, se vorrà

46 Ivi, p. 47. 47

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