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L’ovario, una volta che il fiore è stato fecondato, inizia a trasformarsi in un piccolo acino (allegagione) che aumenterà, con il tempo, il suo volume e il peso andando a formare cosi la bacca;

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1 Introduzione

1.1 Uva

La vite, la pianta che produce l'uva, appartiene alla famiglia botanica delle Vitacee, e fra le decine di membri appartenenti a questa famiglia, il genere vitis è quello di principale importanza per la produzione di vino. Il più importante fra questi è la vitis vinifera, da cui proviene oltre il 99% del vino prodotto in tutto il mondo e le cui origini sono l'Europa e l'Asia Centrale e Orientale. L’uva costituisce la materia prima della vinificazione e il suo stato di maturazione è uno dei fattori che condiziona maggiormente la qualità del vino. La maturazione degli acini di uva è il risultato di un insieme di fenomeni fisiologici e biochimici, il cui andamento è principalmente influenzato dalle condizioni ambientali.

1.1.1 Morfologia

L’ovario, una volta che il fiore è stato fecondato, inizia a trasformarsi in un piccolo acino (allegagione) che aumenterà, con il tempo, il suo volume e il peso andando a formare cosi la bacca;

In generale la dimensione di un acino a maturazione dipende dalla piovosità che si verifica dopo l’allegagione; infatti la dimensione media degli acini ottenuti in annate piovose è maggiore rispetto a quella di acini sviluppatisi durante annate secche. Una scarsa produzione del vitigno, in termine di numero di grappoli per pianta, favorisce anch’essa l’aumento di volume e di peso dell’acino, cosi come il numero di vinaccioli presenti comporta un aumento delle dimensioni. L’infruttescenza della vite si presenta sotto forma di grappolo, costituito da un supporto erbaceo detto raspo o graspo, con un asse centrale detto rafide, suddiviso in numerose ramificazioni, dette racimoli, che terminano con i pedicelli portanti l’acino. Il raspo rappresenta il 2,5 – 7% del peso del grappolo alla maturazione dell’uva. L’uva è una bacca classificata come appartenente al gruppo della frutta carnosa con semi.

Ogni acino è costituito da un insieme di tessuti, il pericarpo, che circonda i vinaccioli. Lo stesso

pericarpo è suddiviso in esocarpo (la buccia), mesocarpo (la polpa) ed endocarpo (il tessuto che

tappezza le logge contenenti i vinaccioli, che spesso non si distingue). I vari acini sono organizzati

in grappoli e sono attaccati ai raspi da un corto pedicello contenente fasci vascolari che lo

alimentano di acqua e di sostanze nutritive. Gli stessi fasci vascolari, di natura libro-legnosa, si

ramificano nella polpa e questo reticolo si può osservare per trasparenza negli acini maturi di alcune

varietà bianche. La buccia dell’uva è un insieme eterogeneo costituito da cuticola, epidermide ed

ipoderma. La cuticola è uno strato continuo di spessore variabile a seconda della varietà: va da 1,5

µm nelle varietà Vitis Vinifera e arriva a 10 µm in alcune viti americane. Durante lo sviluppo e la

maturazione del frutto, diventa sempre più disorganizzata e il suo spessore diminuisce. La cuticola è

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generalmente ricoperta da uno strato ceroso, la pruina, che si presenta al microscopio elettronico come una serie di lame impilate le una sulle altre. Lo spessore della pruina rimane relativamente costante durante la crescita del frutto. L’epidermide è invece costituita da uno o due strati di cellule allungate in senso tangenziale (Fig.1) il cui spessore dipende dalla varietà. L’ipoderma è formato da due regioni ben differenti (una superficiale di cellule rettangolari e una profonda di cellule poligonali).

Figura 1: Morfologia schematica dei diversi tessuti dell'acino d'uva a maturità (Ribereau – Gayon et al., 2006

)

La polpa è costituita da cellule poligonali di grandi dimensioni (Fig.1), a parete sottilissima e molto

tesa: si contano da 25 a 30 strati di cellule organizzate in tre regioni distinte. Nella polpa sono

contenuti in genere quattro vinaccioli che derivano dai quattro ovuli fecondati dell’ovario

(l’eventuale aborto di uno o più ovuli riduce il numero di vinaccioli). In casi di fecondazione

difettosa, l’acino può essere anche senza vinaccioli (o comunque di piccolissime dimensioni) col

risultato di una crescita ridotta e un maggior contenuto zuccherino. L’assenza di vinaccioli

(apirenia) negli acini è una caratteristica della varietà, particolarmente apprezzata per le uva da

tavola e per le uve destinate alla preparazione di uve passite. Ogni vinacciolo comprende una

cuticola, un’epidermide e tre involucri che circondano l’albume e l’embrione. La consistenza

dell’acino dipende dallo spessore delle pareti delle cellule della buccia e della polpa: le varietà

d’uva da tavola hanno acini a buccia sottile, croccanti e carnosi mentre le varietà da vino, sono al

contrario, a buccia coriacea e a polpa succosa. La forma più frequente dell’acino delle uve da vino è

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la forma sferica, talvolta più o meno allungata. Per quanto riguarda il colore, le uve possono essere bianche, rosse o nere. L’acino incomincia ad assumere la sua colorazione, abbandonando l’originario color verde, all’invaiatura e soltanto a maturazione completa appare nella sua colorazione definitiva. La sintesi di sostanze colorate, quale gli antociani, dipende sensibilmente dalle condizioni climatiche e dunque ogni anno potremo avere un’intensità di colorazione diversa dell’ uva. L’acino a completa maturazione arriva a raggiungere un peso variabile da 1 a 5 grammi, a seconda della varietà. Sulla superficie dell’acino si trovano da 25 a 40 stomi i quali dopo l’invaiatura non sono più funzionali e si necrotizzano. L’ingrossamento dell’acino crea delle tensioni che provocano la formazione di micro fessure peristomatiche.

1.1.2 Composizione

Il raspo è povero in zuccheri e ricco in acidi altamente salificati vista l’elevata presenza di cationi.

Contiene fino al 20 % di composti fenolici (forte sapore astringente) totali del grappolo. Durante la maturazione non subisce sensibili variazioni, ad esclusione del contenuto di acqua che diminuisce in relazione del progredire della lignificazione dei tessuti vegetali del raspo. I vinaccioli costituiscono dallo 0 al 6% del peso dell’acino. Essi contengono glucidi (35% in media), sostanze azotate (circa 6%) e sostanze minerali (4%). L’olio che si può estrarre dai vinaccioli (15-20% in peso) è costituito soprattutto da acido oleico e linoleico. I vinaccioli sono una fonte importante di composti fenolici nella vinificazione del rosso, infatti, essi contengono dal 20 al 55% dei polifenoli totali dell’acino, in funzione della varietà. Raggiungono la dimensione definitiva e la maturità fisiologica prima dell’invaiatura, riducendo progressivamente il tenore dei tannini. Le sostanze azotate sono in parte idrolizzate ed i vinaccioli possono cedere alla polpa sino ad un quinto del loro contenuto in azoto.

La buccia rappresenta dall’ 8 al 20% del peso dell’acino. In essa sono presenti acidi in quantità simile alla polpa mentre il contenuto di zuccheri è molto basso. L’acido maggiormente presente è il citrico mentre quando il frutto è ancora acerbo, il più presente è l’acido malico che viene in seguito attivamente metabolizzato nel corso della maturazione. L’acido tartarico presente solitamente risulta esterificato da acidi fenolici come il caffeico e il cumarico, che successivamente vengono salificati da cationi rendendo il pH della buccia sempre più elevato di quella della polpa. La buccia è soprattutto caratterizzata dalla presenza di composti fenolici e sostanze aromatiche che si accumulano durante la maturazione.

Nell’epidermide sono presenti acidi benzoici e cinnamici, flavonoli e tannini. Nell’ipoderma delle

uve rosse sono presenti invece i caratteristici antociani. Nelle bucce dell’uva si trova la più alta

concentrazione di monoterpeni liberi e glicosilati rispetto alla polpa o al succo, mentre la

proporzione tra le due forme, dipende dalla varietà dell’uva. I terpeni sono molecole ampiamente

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diffuse nel regno vegetale; i composti odorosi appartenenti a questa famiglia sono i monoterpeni (composti con 10 atomi di carbonio) e i sesquiterpeni (15 atomi) formati da 2 e 3 isopreni, rispettivamente. I monoterpeni , possono presentarsi sotto forma di semplice catena carboniosa (limonene), come aldeidi (linalale, geraniale), alcoli (linalolo, geraniolo), acidi (acidi linalico e geranico) ed esteri (linalil e geranil acetato). Nelle uve sono stati identificati circa 40 monoterpeni di cui le forme alcoliche come il linalolo, il geraniolo e il citronellolo, responsabili della nota floreale, sono tra le più odorose. Anche se la soglia di percezione di queste molecole risulta piuttosto bassa, l’impatto olfattivo dei composti terpenici è sinergico. Accanto ai terpeni odorosi esistono le forme non volatili presenti in forma glicosilata in cui l’aglicone è legato a zuccheri quali il glucosio, l’arabinosio, il ramnosio e l’apiosio. I glicosidi sono molto più solubili in acqua rispetto ai relativi agliconi e svolgono la funzione di trasporto ed accumulo di monoterpeni nelle varie parti della pianta come foglie e germogli dove furono identificate la prima volta.

La cera esterna è composta da un estere dell’acido palmitico (C

15

H

31

COOH), con alcol triossilico [C

26

H

39

(OH)

3

]; per saponificazione fornisce altri composti quali alcoli, esteri, acidi grassi, aldeidi.

La pruina rende la buccia non bagnabile, ma soprattutto serve a trattenere i lieviti (o microrganismi in genere), apportati dal vento, dalla polvere e dagli insetti, necessari ad assicurare la fermentazione del mosto. La polpa rappresenta dal 70 all’ 80% in peso dell’acino. Il contenuto vacuolare delle sue cellule fornirà il mosto, mentre le parti solide (citoplasma, pareti pecto-cellulosiche) costituiscono in peso, meno dell’ 1% del tessuto.

1.1.3 Il mosto

Il mosto è un liquido torbido a densità elevata (da 1,065 a 1,100) che ha come costituente principale lo zucchero sotto forma di glucosio e fruttosio (rapporto 0,9). Precisamente il mosto è composto al 70 - 80% in acqua, al 15 – 30% in zucchero, uno 0,5 – 1,5% in acidi. Sono presenti in piccole quantità ma non per questo meno importanti, altre sostanze quali minerali, vitamine, polifenoli, componenti aromatiche, pectine, sostanze azotate, enzimi e microrganismi (lieviti, batteri e muffe).

In totale nell’uva il tenore degli zuccheri varia da 150 a 240 g/l. Generalmente gli zuccheri sono

contenuti maggiormente nella zona centrale della polpa e in quelle vicine ai vinaccioli, mentre è

maggiore la concentrazione degli stessi nella metà dell’acino opposta al pedicello rispetto alla metà

prossimale. Ogni grammo di zucchero contenuto nel mosto produce, per effetto della

fermentazione, circa 0,67 grammi di alcol e pertanto misurando la quantità di zuccheri nel mosto è

possibile prevedere il grado alcolico del vino al termine della fermentazione. L’acidità del mosto è

data essenzialmente dalla presenza di tre acidi: tartarico, malico e citrico. Il pH del mosto,

nonostante l’elevata presenza di cationi potassio, varia da 2,8 a 3,5. Gli acidi aumentano la loro

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presenza passando dalla periferia della polpa all’interno. La polpa contiene dal 20 al 25% dell’azoto totale dell’acino, sotto forma ammoniacale e organica e gli amminoacidi maggiormente presenti sono la prolina, l’arginina, la treonina e l’acido glutammico. L’uva matura è caratterizzata da un debole tenore di pectine in rapporto agli altri frutti, che costituiscono dallo 0,02 allo 0,6% del peso fresco. Anche la frazione pectica libera, associata a diversi monosaccaridi solubili, la si può ritrovare nel mosto. Riassumendo la distribuzione dei vari componenti della polpa in base alla loro posizione, si distinguano tre zone (Fig.2):

• Una zona interna, attorno ai vinaccioli, ricca di zuccheri e con il più alto contenuto in acidi;

• Una zona mediana con il più elevato contenuto in zuccheri e con bassi contenuti in sostanze polifenoliche;

• Una zona esterna, a contatto con la buccia, ricca di sostanze polifenoli che e povera di acidi e di zuccheri;

Figura 2: Struttura interna dell’acino d’uva e distribuzione dei componenti.

1.1.4 Maturazione

Abbiamo precedentemente accennato che dopo la fecondazione l’ovario si trasforma in un piccolo

acino (allegagione) che aumenta progressivamente di peso e di volume; a questo punto andiamo a

distinguere due stati di maturazione che raggiungerà l’acino: la maturazione fisiologica in cui i

vinaccioli risultano germinabili e poi lo stato di maturazione industriale durante la quale viene

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effettuata la vendemmia. Nel ciclo evolutivo dell’acino si possono distinguere i seguenti quattro stadi di sviluppo (Fig.3):

1) periodo erbaceo 2) invaiatura

3) maturazione

4) la sovra maturazione (quando l’uva non viene raccolta)

Nella prima fase, quella erbacea, l’acino accumula clorofilla al di sotto dell’epidermide, e nella polpa gran parte degli acidi e piccole quantità di zucchero. Durante questo periodo, circa 45 – 65 giorni, l’acino raggiunge anche la sua dimensione e peso finale. Nella fase dell’invaiatura (8 – 15 giorni), che prevede invece il raggiungimento del colore finale del nostro acino, progressivamente alcuni acini inizieranno a cambiare colore per poi essere seguiti dal resto del grappolo.

Precisamente, questo cambiamento di colore è determinato dalla scomparsa della clorofilla cosi che si passa dal verde al giallo nelle uve bianche e al rosso, al rosso violaceo nelle uve a bacca scura.

Chimicamente si ha una perdita dell’acidità libera (salificazione e distruzione degli stessi acidi) e un aumento del contenuto in zuccheri, il tutto accompagnato da perdita di consistenza.

Figura 3: Fasi di sviluppo dell’uva (Ribereau – Gayon et al., 2006)

La fase di maturazione industriale (35 – 55 giorni) prevede l’arricchimento sostanzioso in zuccheri, fenomeno che interessa maggiormente l’enologo, e l’aumento di sostanze azotate e minerali.

L’ultima fase è quella della sovra maturazione, periodo in cui il raspo lignificandosi, riduce l’apporto di sostanze nutritive agli acini. All’interno dell’acino, la respirazione consumerà parte degli zuccheri e degli acidi presenti mentre l’acqua presente diminuirà in seguiti al fenomeni di evaporazione

.

Gli aspetti più importanti della maturazione dell’uva, che interessano l’enologo sono:

1) accumulo degli zuccheri

(7)

2) diminuzione degli acidi

3) evoluzione delle sostanze azotate 4) evoluzione delle sostanze minerali 5) sintesi dei composti fenolici

6) evoluzione delle sostanze aromatiche 1.1.4.1 L’accumulo degli zuccheri

Se nella fase erbacea il tenore zuccherino è circa dell’ 1-2%, durante la fase dell’invaiatura in pochi giorni passa al 18 – 20%. Infatti prima dell’invaiatura gli zuccheri, sono metabolizzati con forte intensità per lo sviluppo del frutto, ma soprattutto per la crescita e la maturazione dei vinaccioli.

Alla fine del periodo erbaceo, scompaiano alcuni ormoni della crescita, in particolare le auxine, ed

aumenta il tenore in acido abscissico. Si ha quindi l'attivazione delle principali attività enzimatiche

coinvolte nell'accumulo degli zuccheri nei vacuoli delle cellule della polpa. È il caso della

saccarosio-fosfatosintetasi, della saccarosio-sintetasi e dell'esochinasi (Fig.4). Inoltre un complesso

enzimatico associato al tonoplasto delle cellule del pericarpo assicura il trasporto che avviene

contro gradiente di diffusione: la pressione osmotica cresce con l'aumentare del tenore in zuccheri,

raggiungendo anche i 30 bar

.

Gli zuccheri che si accumulano durante il periodo dell’invaiatura,

provengano dalle riserve glucidiche presenti nelle radici, nei tralci e nel tronco mentre durante la

fase della maturazione provengono dalle foglie, molto ricche in glucosio, fruttosio, saccarosio e

amido a causa della fotosintesi clorofilliana e vengono trasportati nel floema sottoforma di

saccarosio.

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Figura 4: Meccanismo biochimico della penetrazione e dell'accumulo degli zuccheri nei vacuoli delle cellule della polpa dell'uva (Ribereau – Gayon et al., 2006)

Oltre la varietà e al tipo di allevamento della vite, è l’insolazione che influenza maggiormente l’accumulo degli zuccheri: uve proveniente da zone a clima più caldo hanno un tenore in zuccheri maggiore, viceversa le uve provenienti da zona a clima meno temperato. La respirazione cellulare influenza il tenore in acidi e zuccheri, visto che questi ne sono il substrato; l’intensità di tale fenomeno sarà maggiore durante la moltiplicazione cellulare per poi stabilizzarsi fino alla maturazione. Durante la crescita erbacea, la polpa e i vinaccioli sono i responsabili della respirazione, mentre nel corso della maturazione è soprattutto a livello della buccia che l’attività respiratoria è rilevante. Il quoziente respiratorio (rapporto tra anidride carbonica liberata e ossigeno consumato) resta vicino a 1 prima dell’invaiatura, e sono gli acidi grassi dei vinaccioli e gli zuccheri del pericarpo ad essere utilizzati come substrati; con il cambiamento di colore della bacca, il quoziente aumenta progressivamente fino ad arrivare a valori di 1,5 alla maturazione ( in questa fase sembrano essere gli acidi organici il maggior substrato).

Un altro parametro utile per avere maggiori informazioni sui cambiamenti metabolici durante la maturazione è il rapporto glucosio/fruttosio, che teoricamente dovrebbe essere 1 visto che il saccarosio (glucosio:fruttosio, 1:1) è la forma principale di trasporto dei prodotti della fotosintesi. Il saccarosio subisce immediatamente il fenomeno dell’inversione, liberando i due zuccheri e solo il 2

% rimane nella sua forma iniziale. Il glucosio è più sensibile alla respirazione cellulare rispetto al

fruttosio: infatti nell'uva acerba, il glucosio predomina e rappresenta circa l'85% degli zuccheri

riduttori dell'acino con un rapporto con il fruttosio pari a 5. Progressivamente il glucosio sarà

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consumato e si arriverà ad un rapporto con il fruttosio pari ad 1 alla fase della maturazione.

Nell’uva e nel mosto sono stati identificati altri zuccheri semplici (pentosi) e polisaccaridi complessi; tra i primi, i più rappresentati sono l’arabinosio e lo xilosio, tra i secondi, il più comune è il ramnosio.

1.1.4.2 L’evoluzione degli acidi organici

I tre acidi che caratterizzano l’uva (tartarico, malico e citrico) hanno ognuno un suo comportamento nel corso della maturazione e vengono bio sintetizzati dagli zuccheri. Il succo raggiunge la massima acidità titolabile (30 g/l espressa come acido tartarico) al momento dell’invaiatura dell’acino per diminuire fino a valori di 10 g/l nel corso della maturazione. Le cause della diminuzione di questa acidità sono la migrazione delle basi che vanno a neutralizzare gli acidi e la combustione degli acidi per attività respiratoria delle cellule vegetali. L’acido principale dell’uva, il tartarico, è sintetizzato esclusivamente negli organi verdi in via di accrescimento, in particolare nelle foglie a partire dal glucosio. All’inizio dell’invaiatura si trova nello stato libero ma al momento della vendemmia viene in parte salificato in tartrato acido di potassio COOH – (CHOH)

2

– COOH. La sua diminuzione è anche relazionata al tipo di stagione: siccità e caldo favoriscono tale trend mentre la pioggia ha l’effetto contrario. L’acido malico è sintetizzato nelle foglie giovani e adulte, attraverso il meccanismo della β-carbossilazione dell’acido fosfoenolpiruvico (Fig.5). Il suo decremento è dovuto all’attività respiratoria particolarmente intensa in caso di alte temperature e anche al suo impiego nella sintesi glucidica.

Figura 5: β-carbossilazione dell’acido fosfoenolpiruvico (Sciancalepore, 1998)

Dal saccarosio delle radici viene sintetizzato invece l’acido citrico il quale si dimostra resistente alla

salificazione e all’ossidazione respiratoria non subendo cosi sensibili variazioni. Anche il notevole

contenuto di acido malico allo stato libero (70% circa) all’inizio dell’invaiatura si riduce

enormemente alla vendemmia a favore della forma salificata (65% circa). Il pH del mosto passa da

un valore di 2,8 durante l’invaiatura a uno di 3,5 all’epoca della vendemmia: tutto ciò dipende delle

frazioni libere e salificate degli acidi e quindi in maniera diretta dalla costante di dissociazione di

ciascuna funzione acida.

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1.1.4.3 L’evoluzione delle sostanze azotate

L’azoto presente nell’acino è in gran parte rappresentato da aminoacidi, polipeptidi e proteine, mentre un 10 – 15% è contenuto sotto forma di ammoniaca, nitriti e nitrati; l’azoto ammoniacale e quello amminico sono i principali substrati dei lieviti e dei batteri, per questo motivo tendono a ridurre notevolmente il proprio contenuto nei primi giorni della fermentazione. Il succo d’uva a maturità contiene appena il 20 % dell’azoto totale dell’acino, il resto è contenuto nella buccia e nei vinaccioli. Il trend dell’azoto durante la maturazione prevede un aumento fino a raggiungere valori nelle uve mature di ben 5 volte superiori a quelle delle uve acerbe. Questo perché un processo di proteosintesi garantirà la formazione di azoto polipeptidico e proteico. Gli aminoacidi sono sintetizzati nelle foglie da dove migrano poi nell’acino: in qualunque momento della maturazione troviamo acido aspartico, arginina, glutammina, fenilalanina, prolina e istidina mentre tirosina e triptofano sono state trovate solo nei primi stadi di maturazione. Gli enzimi rappresentano gran parte dell’azoto proteico: nel gruppo delle ossido reduttasi troviamo le polifenolossidasi e le perossidasi, nel gruppo delle idrolasi troviamo le proteasi; infine troviamo il gruppo degli enzimi pectolitici.

1.1.4.4 La sintesi dei composti fenolici

L’aroma e il colore delle uve prendono forma nel corso della maturazione: tutto ciò è dovuto a un

rapido accumulo di composti fenolici. I composti fenolici delle uve, provenienti dal catabolismo

secondario delle uve, includono acidi idrossicinnamici, acidi idrossibenzoici, flavoni, flavonoli,

flavononi, flavan–3–oli, antocianidine, proantocianidine (tannini) e stilbeni. I polifenoli, derivanti

da un’unità semplice ad un solo anello benzenico, sono ottenuti dalla condensazione del 4-

eritrosofosfato con l’acido fosfoenolpiruvico: da qui la via dell’acido scichimico conduce agli acidi

benzoici e cinnamici e anche agli aminoacidi aromatici. Anche la condensazione di tre molecole di

acetil-coenzima A (dal ciclo di Krebs) conducono alla formazione di un anello benzenico. La

condensazione di un anello benzenico con un acido cinnamico da vita alla classe dei flavonoidi, che

in seguito a idrossilazioni, metossilazioni, esterificazioni e glucosilazioni si diversificherà in

numerose sostanze. Un enzima che riveste particolare importanza durante questa fase, è la

fenialaninaammonoliasi (PAL) che eliminando una molecola di ammoniaca, sposta la fenilalanina

dalla sintesi proteica verso la produzione di acido trans cinnamico e altri composti fenolici. La PAL

è localizzata nelle cellule epidermiche dell’uva e nei vinaccioli ed ha un’attività massima durante la

fase erbacea per poi diminuire sensibilmente nel corso della maturazione. Nella buccia di uve a

bacca colorata la sua attività aumenta anche con l’invaiatura, in relazione alla variazione di colore. I

tannini subiscono un rapido aumento all’inizio dello sviluppo per poi con il corso della maturazione

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subire un rallentamento: precisamente nei vinaccioli raggiunge il picco massimo prima dell'invaiatura mentre nella buccia al momento dell’invaiatura il tenore è pari alla metà di quello che si raggiunge a piena maturità.

Figura 6: Evoluzione dei composti fenolici, espressi in mg/g di sostanza secca (Ribereau – Gayon et al., 2006)

Nelle uve bianche la quantità in acidi fenolici esterificati dall'acido tartarico, in flavan-3-oli e in proantocianidine oligomere è elevata all'inizio dello sviluppo e diminuisce in seguito sino ad arrivare a concentrazioni minime a maturità. Nelle uve a bacca colorata, gli antociani cominciano ad accumularsi nella buccia all'incirca due settimane prima che il colore diventi visibile (Fig.6). Il loro tenore aumenta in seguito nel corso della maturazione ma, come per i tannini, passa da un massimo e poi diminuisce generalmente a maturità. La comparsa degli antociani è legata all'accumulo degli zuccheri nell'uva, tuttavia non è stato possibile stabilire nessuna relazione diretta tra i due fenomeni;

inoltre, diversi fattori, come la luce, permettono di aumentare la velocità di accumulo degli antociani, senza modificare il tenore in zuccheri della buccia.

1.1.4.5 L’accumulo delle sostanze minerali

L’unico minerale trasportato dal floema, dove avviene anche il trasloco degli zuccheri sintetizzati, è

il potassio. Questo minerale si accumulerà nella nostra uva seguendo una cinetica simile a quella

dell’accumulo di zuccheri (Schaller et al., 1992). Il potassio è localizzato nei vacuoli delle cellule

della polpa e in minor parte in quelle della buccia. Il resto dei minerali viene trasportato dalla linfa

grezza (via xilematica) in relazione con la quantità di acqua traspirata dall’uva, il cui valore dopo

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aver raggiunto un massimo durante l’invaiatura tende a diminuire durante la fase della maturazione.

Cosi elementi come calcio e magnesio diminuiscono la loro presenza durante la maturazione. Il sodio si accumula in piccola quantità nell’uva cosi come oligoelementi metallici ( Zn, Cu, Mn).

Anche i relativi anioni minerali (solfati, fosfati) aumentano durante l’invaiatura per poi stabilizzarsi durante la maturazione.

1.1.4.6 L’evoluzione delle sostanze aromatiche

L’aroma dell’uva come per molti altri frutti è determinato da un insieme di sostanze chimiche tra cui idrocarburi, alcoli, esteri, aldeidi e altri composti carbonilici. Spesso però a determinare il caratteristico odore non sono sostanze presenti nell’ordine di mg/l come gli alcoli terpenici ma sostanze presenti nell’ordine dei ng o µg/l come gli esteri etilici e metilici dell’acido antranilico (Vitis labrusca) oppure della 2-metossi-3-isobutil-pirazina (Cabernet). Nell’uva troviamo numerosi composti terpenici sia in forma libera che legata, il cui contenuto aumenta in genere durante la maturazione. Più precisamente gli eterosidi terpenici sono già abbondanti quando l’acino è verde (250-500 µg/kg) mentre alcoli terpenici sono ancora poco presenti (30-90 µg/kg) o addirittura assenti come citronellolo e α-terpineolo che compariranno solo all’invaiatura. In generale la frazione di terpeni legati aumenta sempre durante la maturazione mentre la frazione libera si stabilizza e può anche diminuire a fine sovra maturazione (α-terpineolo e linalolo). I terpeni legati sono quindi la frazione più spesso accumulata rispetto alle relative forme libere. I carotenoidi più importanti presenti nell’uva (nell’ordine dai 15 ai 2500 µg/kg) sono la luteina, il β-carotene, la neoxantina e la 5,6-epossi-luteina. Sono principalmente contenute nei plastidi cellulari, nelle parti più solide dell’acino: la buccia infatti è più ricca di carotenoidi che della polpa. Durante la maturazione il tenore in tali molecole diminuisce mentre aumentano alcuni derivati dei carotenoidi come i norisoprenoidi. Per il resto delle altre sostanze aromatiche non si hanno grosse notizie se non per alcune specifici aromi varietali come per il Cabernet Sauvignon, in cui le metossipirazine sono presenti maggiormente nelle uve immature per poi diminuire durante la maturazione.

1.1.5 La parete cellulare

La parete cellulare ha come funzione principale quella strutturale fornendo resistenza meccanica ed

è composta in larga parte in acqua (70 - 80%). Il resto dei costituenti, espressi come percentuale sul

peso secco, sono: cellulosa (25 – 30%), emicellulosa (15 – 30%), pectine (35%), proteine strutturali

(10%). La cellulosa e l’emicellulosa interagiscono fra loro formando lo scheletro della parete

cellulare. Le pectine invece rappresentano la matrice della parete, dove è immerso il network

cellulosa - emicellulosa. La cellulosa è un polimero formato da un gran numero di molecole di

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glucosio (legame β 1-4). Le varie catene di glucosio sono legate l’una all’altra da legami a idrogeno, formando così micro-fibrille. Le emicellulose o glicani sono formate da catene di xiloglucani e di xilani; i primi sono costituiti da una catena centrale di glucosio (legame β 1-4) alla quale è legato xilosio (legame α 1-6) mentre i secondi da una catena centrale di xilosio (legame β 1- 4) a cui sono legati lateralmente arabinosio e acido glucoronico (legame α 1-2).

Le pectine infine sono costituite da diversi polimeri:

- Omogalatturonani: formati da circa 200 unità di acido galatturonico (legame α 1-4) e in cui circa il 50 % dei gruppi COOH sono metilati (il resto legano Ca)

- Xilogalatturonani: catena centrale di acido galatturonico a cui è attaccato lo xilosio

- Ramnogalutturonani di tipo 1: polimeri formati da due zuccheri che si alternano, il ramnosio e l’acido galatturonico. Al ramnosio si legano tre diverse catene di arabinani, galattani e arabinogalattani

- Ramnogalutturonani di tipo 2: sono presenti due catene di acido galatturonico tenute insieme da un atomo di boro; ad ogni catena sono legati quattro zuccheri rari.

1.1.5.1 Modificazione delle pareti cellulari

Il rammollimento dell’uva durante la maturazione è determinato dagli importanti cambiamenti che

si verificano nella composizione dei costituenti della parete cellulare, in particolare a livello delle

cellule della polpa. La moltiplicazione e l’ingrossamento delle cellule, che si verificano nel corso

dello sviluppo e della maturazione dell’uva, non si accompagnano ad un aumento proporzionale dei

polisaccaridi della parete cellulare. Le conseguenze, a seconda della cultivar, sono un

impoverimento delle pareti oppure un tenore in polisaccaridi parietali relativamente costante sino

quasi alla maturità. All’inizio dello sviluppo del frutto, le pareti cellulari sono principalmente

costituite da cellulosa. Il periodo dell’invaiatura è caratterizzato dalla sintesi di una elevata quantità

di pectine che assicurano la coesione delle fibre di cellulosa. La maturazione si accompagna ad una

solubilizzazione delle pectine sotto l’influenza di numerosi fattori. Dapprima intervengono le pectin

metil esterasi (PME) che de-esterificano i gruppi COOCH

3

con rilascio di gruppi metili. Le PME

sono presenti soprattutto nella buccia dell’uva. Questo fenomeno si accompagna ad un aumento

della frazione pectica solubile, che si ritroverà cosi nel mosto. Le poligalatturonasi

depolimerizzano le catene di acido galatturonico. Le pectato liasi idrolizzano i legami α 1-4 delle

pectine de-metilate. Le β-galattosidasi e le α-arabinosidasi sono eso-enzimi che favoriscono la

solubilizzazione delle pectine, idrolizzando i legami degli zuccheri delle catene laterali dei vari

(14)

ramnogalatturonani. Le acetil esterasi che acetilano l’acido galatturonico in posizione C2 e C3 rendendolo più solubile rispetto alla forma non acetilate.

1.1.6 Enzimi

1.1.6.1 Polifenolossidasi (PPO)

Le polifenolossidasi (PPO) sono una classe di enzimi che agisce su metaboliti secondari quali i polifenoli. I fenoli sono componenti secondari presenti in molti alimenti soprattutto in quelli di origine vegetale e rivestono un ruolo assai importante sia per le proprietà nutraceutiche che per quelle organolettiche, come il colore e il sapore. Le PPO sono responsabili del caratteristico processo a carico di matrici alimentari di natura vegetale che prende il nome di imbrunimento enzimatico. Infatti l’azione di questa classe di enzimi ossidante, provoca la formazione di polimeri con proprietà pigmentanti, generalmente di colore nero o bruno o anche violaceo-rosso.

Precisamente le PPO vanno ad ossidare i gruppi alcolici presenti nel fenolo formando dei chinoni, i quali poi condensandosi danno vita ai composti sopracitati con proprietà pigmentanti. Esempi di imbrunimento enzimatico sono il caratteristico colore scuro che assume la frutta ed alcuni ortaggi in seguito a tagli o traumi che provocano il contatto tra le PPO e i polifenoli. L’imbrunimento enzimatico non avviene nelle cellule integre: i polifenoli sono immagazzinati nei vacuoli mentre gli enzimi sono nel citoplasma; per far avvenire il contatto tra questi enzimi e il loro substrato è necessario che ci sia un danno al tessuto (taglio o trauma) che provochi la rottura dei vacuoli, il cui contenuto verrà cosi direttamente a contatto con il citoplasma. In genere l’azione di questo enzima influenza negativamente la qualità della matrice alimentare ma in alcuni casi può risultare un fenomeno positivo: nel tè l’ossidazione enzimatica delle sostanze polifenoliche è una caratteristica molto positiva (Coultate, et al.,2002). Nei semi di cacao, così come nel caffé l’attività della PPO è essenziale per il colore e la qualità finale del prodotto (Mayer & Harel et al.,1991). Inoltre i chinoni prodotti dall’ossidazione di polifenoli, sono composti altamente instabili in grado di polimerizzare e condurre alla formazione di melanine, sostanze dotate di attività antibatterica e antifungina. Sono gli o-chinoni che interagendo con i gruppi ossidrilici presenti negli enzimi fungini, provocano la riduzione della capacità dei funghi stessi di penetrare i tessuti eventualmente danneggiati. La relativa resistenza alle malattie fungine di diverse varietà di cipolla e mela è stata correlata con la loro attività fenolasica e con il loro elevato contenuto di chinoni (Coultate et al.,2002).

Le fenolossidasi comprendono essenzialmente due tipi di enzimi: o-difenolo ossidasi (catecolo

ossidasi, tirosinasi, fenolasi e polifenolossidasi,) e p-difenolo ossidasi o laccasi, presente soprattutto

nei funghi. Entrambe le sottoclassi di enzimi, appartengono al gruppo delle ossidoreduttasi, ma si

(15)

differenziano sulla base delle proprietà molecolari e dei substrati utilizzati. Il peso molecolare delle isoforme predominanti varia da 116000 a 128000 Da, con un minimo di 26 ÷ 32000 Da (Mayer &

Harel et al., 1978). Chimicamente gli enzimi delle polifenolossidasi sono caratterizzati dalla presenza nel sito attivo di uno ione Cu

2+

legato a sei o sette residui di istidina e un singolo residuo di cisteina oltre a gruppi –SH. All’interno dei tessuti vegetali le PPO sono localizzate intracellularmente ad eccezione di alcuni casi dove invece sono situate a livello della parete cellulare; precisamente, nelle piante si trovano in organelli connessi alla membrana oppure nella frazione solubile della cellula, nei funghi invece le PPO non sono legate alle membrane. Nelle cellule vegetali è stato localizzato a livello della membrana tilacoidale dei cloroplasti (Nicolas et al., 1994) oltre che nei mitocondri e raramente a livello dei perossisomi. Spesso gli enzimi sono fortemente legati alla membrana e per questo motivo si utilizzano per la solubilizzazione detergenti come il Triton X-100, in grado di generare modifiche a carico della struttura dell’enzima e andando cosi a modificare la specificità di substrato e il range di pH ottimale. L’enzima catalizza due distinte reazioni coinvolte nell’ossidazione dei composti fenolici, in entrambe l’ossigeno molecolare è utilizzato come co-substrato:

1. o-idrossilazione dei monofenoli a o-difenoli definita come ATTIVITÀ CRESOLASICA, nota anche con il nome di moofenolo monossigenasi:

Monofelolo o – Difenolo

2. ossidazione degli o-difenoli a o-chinoni definita come ATTIVITÀ CATECOLASICA (ossigeno ossido reduttasi)

o – Difenolo o-Benzochinone

Figura.7: Meccanismo d’azione delle polifenolossidasi

Nell’uva le PPO sono di natura endogena, con attività sia catecolasica che cresolasica; inoltre sono presenti sottoforma di diverse isoforme enzimatiche individuabili tramite tecniche elettroforetiche

O

2 

+ H

2

O

 

+ H

2

O

 

½ O

2 

(16)

(la massa molecolare oscilla tra 55 – 59 kDa). Si trova maggiormente nei cloroplasti, nei mitocondri e nella frazione solubile della cellula (da cui ne derivano le difficoltà di estrazione). Il range di pH ottimale per l’attività è 5 – 7 a seconda anche dello stadio fisiologico dell’uva. Come per le PPO presenti nelle altre piante dispone nel sito attivo di uno ione Cu

2+

e di una serie di amminoacidi tra cui i più presenti sono l’acido aspartico, l’acido glutammico, la prolina e l’alanina.

L’attività delle polifenossidasi, nell’uva è elevata prima dell’invaiatura e tende a diminuire nel corso della maturazione con un picco alla maturazione fisiologica. In caso di alterazione della bacca prima della fermentazione l’attività delle PPO aumenta considerevolmente a causa della maggiore disponibilità delle forme solubili dell’enzima stesso. Questo fenomeno causa l’imbrunimento intenso del mosto (Fig.8), per questo motivo prima della fermentazione si aggiungono sostanze antiossidanti tra cui la più comune e discussa è la SO

2

.

Figura 8: Imbrunimento enzimatico in mosto d’uva

La solfitazione induce una diminuzione dell’attività delle PPO conseguentemente all’inattivazione delle catecolasi cosi come l’utilizzo della bentonite soprattutto per quanto riguarda l’attività solubile. Durante la vinificazione, la formazione di alcol unita al calo di pH e alla precipitazione delle proteine induce un calo dell’attività delle PPO. In genere la sua attività viene misurata con determinati substrati quali i catecoli, la cui forma ossidata assorbe a 400 – 420 nm.

1.1.6.2 Perossidasi (POD)

Le perossidasi, sono enzimi che appartengono al gruppo delle ossidoriduttasi, naturalmente presenti

nelle uve, e catalizzano le reazioni ossidoriduttive in presenza di perossidi. In un mosto o in un vino

i perossidi (ad esempio l'acqua ossigenata) tendono a non esserci. I fenomeni di ossido-riduzione a

carico dei fenoli possono avvenire sia tramite la catalizzazione effettuata dagli enzimi, sia tramite

reazioni di tipo chimico. Molti polifenoli non sarebbero neppure ossidabili direttamente dalle POD

in presenza di ossigeno, ma lo diventano in presenza di ossidanti con attività ossidante maggiore di

(17)

quella dell'ossigeno. Enzimi come la superossido dismutasi portano alla formazione di H

2

O

2

in presenza di anioni superossidi. Successivamente le POD catalizzano l’ossidazione di un substrato per mezzo dell’acqua ossigenata, con formazione di due molecole di acqua e di un residuo carbonico con un elettrone spaiato (il che lo rende assai instabile e tendente a reagire nuovamente).

Le POD risultano chiaramente dipendenti dalla presenza di acqua ossigenata nelle piante che può essere prodotta a seguito di particolari stress. Trattamenti con luce UV hanno visto provocare un aumento di tale elicitore e un conseguente aumento dell’attività delle POD. In particolare un sistema ossidoriduttivo prevede che da una parte ci siano sostanze ossidanti e dall'altra parte sostanze ossidabili; quando si parla di sostanze ossidabili in genere si considerano i polifenoli, i quali risultano comunque meno ossidabili quanto sono più stabili. La stabilità dei polifenoli deriva da un elevata delocalizzazione degli elettroni a causa di un’alta polimerizzazione tra gli stessi fenoli. I polifenoli (senza la presenza di enzimi, ferro e rame), difficilmente si ossidano solo in presenza di ossigeno. Nel vino invece avvengono ossidazioni a carico di polifenoli, del tipo

“ossigeno + polifenolo = polifenolo ossidato”. Questo perché in realtà l'ossigeno non agisce direttamente sul polifenolo, ma su altre sostanze, per esempio sull'acido ascorbico, formando il deidroscorbico, che diventa ossidante perché in un sistema ossidoriduttivo torna a formare acido ascorbico liberando mezza mole di ossigeno, che legandosi all'acqua forma acqua ossigenata.

L'acido ascorbico è quindi un ossidante intermedio, cioè è una sostanza ad azione antiossidante che viene a sua volta ossidata. Queste POD che reagiscono con l’acido ascorbico appartengono ad una particolare sottoclasse presente soprattutto nei mitocondri, nei cloroplasti e nei perossisomi.

Esistono quindi, in un sistema ossidoriduttivo, non solo ossidanti primari e antiossidanti primari, ma

anche ossidanti e antiossidanti intermedi che fungono da ponte. I substrati delle perossidasi possono

essere polifenoli come l’acido benzoico, stilbeni, flavonoli, alcol cinnamici e antocianine oppure

anche proteine della parete cellulare come l’estensine. La maggior parte dei fenoli presenti nell’uva

(antocianidine, falvonoli e alcooli cinnamici) sono contenuti nei vacuoli. L’ossidazione di questi

fenoli porta alla formazione di chinoni, che hanno un effetto altamente tossico per le piante. Le

perossidasi presenti nei vacuoli utilizzano come substrato le varie antocianidine, flavonoli e alcol

cinnamici privati del loro residuo di zucchero. Sarà necessario dunque che le β-glucosidasi entrino

in azione, rompendo il legame tra glucosio e il residuo agliconico rendendo quest’ultimo un

substrato appetibile per le POD; il catabolismo delle perossidasi nei vacuoli ha come punto di

partenza la rottura di legame tra il residuo zuccherino e la corrispondente molecola agliconica (Ros

Barcelò et al., 2003). Un'altra sottoclasse delle POD presente nelle uve, sono delle glicopreteine

localizzate nei vacuoli e nelle pareti cellulari, in accordo con il loro ruolo determinante nella

formazione della parete cellulare, visto il coinvolgimento nei processi di lignificazione, nei processi

(18)

di in solubilizzazione delle estensine e anche nella loro influenza nel rilascio di fenoli dai vacuoli come risposta ad uno stress (Fig.9).

Figura 9: Funzioni delle perossidasi

Questa sottoclasse è caratterizzata dalla presenza di ioni ferro allo stato di ossidazione +3 che coordinano le 4 pirroline del gruppo eme. Sono presenti anche due ioni calcio necessari per la stabilità dell’enzima. Le POD sono codificate da una grande famiglia multigenica con una gran numero di polimorfismi. Le molecole hanno un peso di circa 35 – 45 kDa. Il pH ottimale delle POD è attorno a 6.0. Tanto più il pH si abbassa, tanto minore sarà la temperatura di inattivazione, tanto più acido sarà dunque il vino, tanto più facilmente si arriverà con la temperatura a inattivare le perossidasi. Una temperatura di 60-70 °C inibisce le POD. Non è un sistema enzimatico facilmente inattivabile con l'anidride solforosa, quindi è inutile somministrarne grandi quantità. Conviene somministrare quantità di 80-100 mg/litro di SO

2

e dopo circa un mese, una quantità standard come questa, porta ad un abbattimento di circa l'80% delle perossidasi. In tempi brevi anche dosi elevate di questo gas non ne spostano l'attività. Le POD nell’uva sono coinvolte in reazioni di imbrunimento enzimatico, in quanto i difenoli presenti rappresentano un substrato invitante per questo enzima. Fry (1986) afferma come le POD possono anche essere coinvolte in reazioni di cross-linking tra i sostituenti dell’acido ferulico e delle pectine. A conferma di ciò, è stata vista una relazione tra l’attività delle POD e la sintesi di polimeri di parete quali la lignina e la suberina. La lignina è composta da una serie di eteropolimeri fenolici legati covalentemente con polisaccaridi e proteine. La lignina è prodotta partire dalle ossidazioni di tre alcoli (Fig.10):

1) alcol cumarilico trasformato dalle perossidasi in acido cumarilico e successivamente dalle

laccasi in p-idrossifenil lignina

(19)

2) alcol coniferilico trasformato dalle POD in acido coniferilico e successivamente dalle laccasi in guiacil lignina

3) alcol sinapilico trasformato dalle POD in acido sinapilico e successivamente dalle laccasi in siringil lignina

Figura 10: Meccanismo d’azione delle perossidasi nei processi di lignificazione

La polimerizzazione di questi tre lignoli da vita alla macromolecola della lignina. L’attività delle

POD nell’uva porta ad una generale perdita di colore e dei valori nutrizionali. In uva è stato visto

come il processo di lignificazione sia stimolato dalla presenza di acido gibberellico, un ormone

vegetale (Ros Barcelò et al., 2003). Le estensine sono delle glicoproteine riche di gruppi di

idrossiproline, presenti nella parte cellulare delle piante. Il processo di insolubilizzazione delle

estensine a seguito di una reazione di cross-linking ad opera delle perossidasi è considerata un

importante risposta della pianta ad attacchi esterni. Infatti l’insolubilizzazione di queste

(20)

glicoproteine rende la parete cellulare più rigida, aumentando cosi la difesa da attacchi patogeni. La reazione di cross-linking è catalizzata dalle POD e prevede la formazione di un legame idrofobico tra due residui di tirosina presenti in estensine adiacenti. Molti polifenoli dell’uva sono infatti anche i responsabili del colore del frutto e dunque un alta attività delle POD porta alla formazione di colori dorati-bruni. Studi sull’attività delle POD (Fortea e al., 2008) nell’uva (varietà Crimson Seedless) hanno visto come l’aumentare dell’attività di tale enzima andava di pari passo con il diminuire del pH. In generale il pH ottimale delle POD dipende dalla fonte di provenienza ma anche dalla rispettiva sostanza riducente. Studi su Borbon cultivar, hanno rivelato che in seguito a trattamento termico sono le POD della buccia ad essere inibite maggiormente rispetto a quelle presenti nella polpa. In generale le POD pur risultando un enzima discretamente stabile al calore, diminuisce la sua attività progressivamente a temperature di 60 gradi.

1.1.6.3 Pectin metil esterasi (PME)

La pectin metil esterasi è un enzima determinante durante il processo di softening di un frutto, in quanto ha come substrato le sostanze pectiche della parete cellulare. Le PME rivestono un ruolo fondamentale durante la crescita cellulare delle piante e possono essere prodotte anche da funghi patogeni, quali il B.cinerea. Chimicamente le PME catalizzano (Fig.11) la desterificazione dei polisaccaridi strutturali della parete cellulare vegetale liberando cosi metanolo e lasciando cosi la pectina altamente polimerizzata, suscettibile all’azione delle poligalatturonasi (azione ulteriore di depolimerizzazione). Questo processo combinato, provoca la depolimerizzazione della pectina delle parete cellulare, con susseguente perdita di consistenza dei frutti durante la maturazione.

Figura 11: meccanismo di idrolisi delle pectin metil esterasi

Studi sulle isoforme delle pectin metil esterasi nei frutti (Barnavon et al. 2001) sembrano affermare

la presenza di due o più tipi di forme che si distinguano per il punto isoelettrico (pl), la temperatura

e il pH ottimale. Preferibilmente le PME preferiscano un pH neutro o alcalino, eccetto alcune

isoforme che prediligano un pH acido (si ipotizza siano adsorbite sui componenti della parete in

maniera debole). Geneticamente (Micheli et al. 2001), le varie isoforme sono codificate da una

famiglia multigenica. Studi sul genoma di Arabidopsis hanno portato all’identificazione in tale

specie di 67 geni PME correlati. Questi geni codificano pre-pro proteine che contengano pepetidi

(21)

considerati marcatori di PME. La regione in cui viene prodotta la pro-PME, appartiene all’apoplasmo, precisamente in determinati serbatoi in varie posizioni (cis, trans, mediale) dell’apparato di Golgi; nella parete cellulare troveremo solo la PME matura, senza la sua pro- regione. Questo fatto porta supporre che la scissione della pro-regione dal relativo peptide di PME avvenga subito dopo la secrezione nell’apoplasmo o addirittura antecedentemente. Il ruolo delle pro-regioni ancora non è ben chiaro, ma sembrano rivestire un ruolo di inibizione delle PME quando si trovano ancora nell’apoplasmo (le PME contengono già la parte “matura”; questo evita il prematuro processo di demetilesterificazione delle pectine ancor prima di essere inserite nella parete). Una volta che le PME private della loro pro-regione e quindi pronte per idrolizzare sono inserite nella parete cellulare, dispongono di diversi meccanismi d’azione a seconda anche della loro provenienza (piante o microrganismi). Nelle piante, l’isoforme maggiormente attive sono alcaline e agiscano in maniera lineare sugli omogalatturonani, che cosi dopo l’azione delle PME, avranno una serie di gruppi carbossilici liberi in grado di interagire con i cationi presenti nel mezzo come il calcio. Il risultato sarà la formazione di legami crociati fra catene adiacenti di acido poligalatturonico de-esterificato: la pectina assume sempre più una consistenza gelificata con una struttura “egg-box”. Nei funghi e nei microrganismi sembrano essere le isoforme acide ad essere le più attive, agendo con un meccanismo non più lineare ma random. Gli omogalatturonani demetilestrificati dalle PME hanno liberato un gran numero di protoni che promuovano l’azione delle’endopoligalatturonasi (PG) che finiranno di degradare la parete. Due fattori che influenzano l’attività delle PME nelle pareti cellulari sembrano essere il pH della soluzione e il livello di metilesterificazione della pectina. Ci sono isoforme che sembrano agire casualmente a pH acido, mentre quelle alcaline agiscono quasi sempre lineamente; determinate isoforme invece sono particolarmente attive in presenza di pectine altamente esterificate. Nell’uva il pH ottimale è intorno a 7-7,5, in varietà come l’uva Concorde (Lee et al.,1979) l’attività aumenta rapidamente passando da valori di pH 5 a valori di 7,5 per poi decrescere a valori superiori. Anche altri frutti come il pomodoro e gli agrumi hanno confermato tale trend. Come detto precedentemente, i funghi e i microrganismi prediligono pH acidi, precisamente tra 4 e 4,5. Altra fattore che sembra interferire con l’azione delle PME sembra essere la natura dei cationi presenti nella soluzione, i quali interferiscano con le varie affinità per i substrati. Infatti variazioni delle concentrazioni dei vari cationi organici ed inorganici influenzano direttamente l’attività delle PME e conseguentemente la relativa stabilità e la propensione a indurre aggregazioni di pectina. I cationi trivalenti si sono rivelati più efficaci dei bivalenti a loro volta dei monovalenti.

Nell’uva la distribuzione dei polisaccaridi strutturali che costituiscano la parete cellulare, varia a

seconda della cultivar presa in considerazione. Per questo motivo la stessa attività delle PME risulta

(22)

concretamente influenzata dalla cultivar in considerazione. La demitilesterificazione degli omogalatturonani può variare dal 40 all’ 80% a seconda della cultivar (Lecas & Brillouet et al.

1994), dalla fase della maturazione e anche dal tessuto preso in esame. Vitis Vinifera hanno registrato una maggior attività delle PME rispetto a Vitis Labruscana, cosi per quanto riguarda le uve rosse rispetto a quelle bianche; vini bianchi infatti, presentano quantità di metanolo inferiori rispetto a quelli rossi.

1.1.6.4 Β-glucosidasi (βG)

Nelle piante, le β-glucosidasi sono coinvolte in una varietà di eventi chiave del metabolismo ed in

risposte relative alla crescita. Si passa dall’idrolisi di fitormoni coniugati e quindi all’attivazione

degli ormoni stessi (ad esempio, glucosidi di gibberelline, auxine, acido abscissico e citochinine) al

coinvolgimento nei processi di lignificazione fino alla difesa contro alcuni patogeni ed erbivori

attraverso il rilascio di sostanze tossiche (quali cumarine, tiocianati, terpeni e cianidi). Molte

molecole aromatiche (terpeni) si presentano spesso sottoforma di diglicosidi, nei quali l’aglicone

odoroso è legato ad un glucosio a sua volta legato ad un altro glicoside. Il secondo glicoside

attaccato al residuo di glucosio può essere: il ramonsio, l’arabinosio (sia nella forma piranosica che

furanosica), il glucosio e lo xilosio. In questa situazione la molecola odorosa, a causa dei diglicosidi

incorporati, non risulta volatile e dunque non può arrivare ai recettori nasali. Sarà necessario

liberarla del “peso” dei glicosidi perché possa diventare volatile ed essere percepibile. L’idrolisi di

questi gruppi glicosidici, sembra avvenga tramite un meccanismo costituito da due fasi (Palmieri et

al., 2007). La prima riguarda la rottura del disaccaride, la seconda la liberazione vera e propria della

molecola odorosa tramite l’idrolisi del residuo di glucosio attaccato ad essa. Gli enzimi responsabili

della rottura del diglicoside sono le α-L-ramnosidasi, le α-L-arabinosidasi o le β-D-apiosidasi a

seconda dello zucchero legato al residuo di glucosio. La definitiva idrolisi della molecola di

glucosio attaccata all’aglicone aromatico è svolta dalla β-glucosidasi (Fig.12).

(23)

Figura 12: Meccanismo combinato di azione delle glicosidasi.

Quasi tutte le β-glucosidasi hanno più o meno lo stesso peso molecolare compreso fra 55 a 65 kDa, un optimum di attività a pH acido (pH 5-6) ed una assoluta richiesta di β-glucosidi come substrato.

Il pH ottimale delle β-glucosidasi è intorno a 5, valore maggiore rispetto a quello delle vinaccie: per questo motivo l’influenza di questo enzima nella valorizzazione del potenziale odoroso è limitato.

Le β-glucosidasi sono selettive verso lo zucchero che compone il diglicoside: infatti entrano in azione solo in presenza di glucosio; inoltre anche in minima parte anche la natura dell’aglicone aromatico sembra influenzare la selettività di tale enzima, che preferisce alcol terziari come il linalolo e l’α-terpinolo ad alcol primari come geraniolo e nerolo. Infatti studi su vini conservati (Moscato) per 2 anni a 10°C hanno rivelato una maggior presenza di glicosidi di nerolo e invece una bassa presenza di glicosidi di linaolo, evidentemente idrolizzati (Park & Noble et al.1993).

Lecas (1991) hanno visto invece, che le β-glucosidasi le sono molto più attive verso gli alcoli

primari rispetto a quelli terziari grazie al minore ingombro sterico. Le molecole costituenti

l’aglicone possono appartenere al gruppo dei monoterpeni, al gruppo dei norisoprenoidi, ai derivati

del benzene, idrocarburi alifatici con gruppi alcolici. Molti di questi enzimi possono essere

molecole volatili ed odorose come il nerolo, il geraniolo e il linalolo. Tali molecole se legate al

residuo zuccherino sono solubili in acqua, e possono essere cosi accumulate nei vacuoli. Il rilascio

dell’aglicone può avvenire anche per idrolisi acida, anche se tale processo è molto lento. L’attività

delle glicosidasi endogene e di quelle provenienti dai lieviti è comunque bassa durante la

vinificazione, tanto da ritrovare nei vini giovani ancora le molecole odorose attaccate a un residuo

di glucosio. L’attività delle β-glucosidasi sembra indurre una perdita di colore nelle uve (Palmieri et

al.2007). Le antocianine, responsabili del colore rosso dell’uva, sono formate da un mono o

disaccaride attaccato a una molecola di antocianidina. In alcuni casi le β-glucodidasi possono

(24)

idrolizzare il legame tra la molecola di antocianidina e il residuo di zucchero, con spontanea degradazione della prima in composti incolori. Secondo studi, l’attività delle β-glucosidasi sembra comunque influenzata dalla presenza sia di glucosio che di gluconolattoni, e nei vini dolci, l’idrolisi è interrotta allo stadio di monoglucoside senza liberazione dei monomeri odorosi. Nei vini secchi invece l’idrolisi sembra procedere fino alla liberazione delle molecole odorose. Le β-glucosidasi più attive all’interno dell’uva sono quelle presenti nella buccia (Sarry et al., 2003). Precisamente sono localizzate nell’ipoderma della buccia e durante la maturazione la loro attività aumenta. L’attività delle glicosidasi dell’uva è bassa cosi come di quelle provenienti dai lieviti usati per la vinificazione: infatti nelle condizioni di fermentazione si registrano bassi livelli di attività di α- arabinosidasi, α-ramnosidasi e delle stesse β-glucosidasi. Sono state studiate le attività delle glicosidasi in altre varietà di lieviti, come Dekkera, Debarymices, Hansenula e Candida. Questi microrganismi dimostravano un interessante capacità nel sintetizzare le glicosidasi, quasi sempre prodotte nella membrana e nel citoplasma. Anche funghi filamentosi e contaminati come la Botrytis cinerea sono particolarmente ricchi di α-arabinosidasi, α-ramnosidasi e β-glucosidasi. In altri funghi filamentosi come Aspergillus spp. sono state trovate alte attività di β-glucosidasi e di α- arabinosidasi, mentre quelle delle α-ramnosidasi sono particolarmente basse (Gunata et al., 1993).

L’utilizzo di β-glucosidasi esogene durante la vinificazione porta ad un sensibile aumento delle sostanze odorose. Le glicosidasi esogene mostrano anche una maggior resistenza al calore rispetto a quelle dell’uva, con un range ottimale intorno ai 40-50 °C. Il pH nelle piante e nei microrganismi è tra valori di 4 e 6, mentre nel succo d’uva si registra un pH tra 2,8 e 3,8 dove infatti l’attività delle glicosidasi è solo del 5-10% rispetto a quella massima.

1.1.6.5 Poligalatturonasi (PG)

La maturazione dei frutti è associata con i cambiamenti nella tessitura della parete cellulare, che

prendono anche il nome di softening. Le poligalatturonasi (PG) sono enzimi coinvolti nella

degradazione della parete cellulare. Catalizzano l’idrolisi del legame α-(1,4) glicosidico tra

molecole di acido galatturonico non esterificato. Le catene di acido galatturonico che costituiscono

le pectine sono inizialmente esterificate, ed in tale situazione non hanno affinità con le

poligalatturonasi. In seguito alla diesterificazione con rilascio di una molecola di metanolo a carico

delle pectin metil esterasi, si hanno catene di acido galatturonico di-esterificate. A questo punto

l’acido poligalatturonico può essere idrolizzato, con formazione di singole unità di acido

galatturonico per mezzo delle PG. In frutti climaterici come la banana (Pathak & Sanwall et al,

1997) l’attività delle PG aumenta durante la maturazione per poi diminuire nel periodo di sovra

maturazione, e sembra che le PG seguano l’andamento della respirazione. Nei frutti immaturi risulta

(25)

addirittura assente l’attività di questo enzima. Il pH ottimale delle tre forme di PG presenti nella banane oscilla tra valori di 3,3 e 4,3, mentre le temperature ottimali sono intorno ai 60-70 °C. Nel pomodoro acerbo, il pH nell’apoplasto è intorno a valori di 6,0: in vitro è stato visto come le PG siano inattive a tale valore di pH. Nel pomodoro maturo il pH nell’apoplasto raggiunge valori di pH di 4,5. Il pH dell’apoplasto influenza notevolmente l’attività degli enzimi degradanti la parete cellulare. Un fattore che stimola l’attività delle PG è la presenza di tagli o di urti meccanici sulla superficie del frutto, dato che in questi casi la respirazione subisce un aumento. Sempre studi effettuati su banane trattate con etilene esogeno hanno confermato che questo ormone influisce aumentando l’attività degli enzimi che degradano la parete. Si è visto come l’attività delle PG aumenti durante il trattamento con etilene, parallelamente all’incremento di attività delle PME.

Infatti le PG risultano enzimi dipendenti dall’azione delle PME (Lohani et al., 2003). Da studi su mutanti transgenici di pomodoro in cui veniva soppresso l’accumulo di PG, è stato visto che il processo di softening era debolmente apprezzabile (Kramer et al.,1992). Nell’uva, le poligalatturonasi sono una famiglia multigenica; le varie isoforme sono espresse in tessuti differenti e in tempi differenti rispondono a precisi stimoli. L’uva è classificata come un frutto non climaterico in quanto la respirazione non è totalmente e pesantemente influenzata dall’etilene; altri ormoni come l’acido acetico e l’acido abscissico sembrano interferire molto di più sulla respirazione cellulare. Studi (Deng et al.,2004) su uve trattate con differenti concentrazione di ossigeno (40 e 80%) e biossido di carbonio (30%) hanno mostrato come questo gas abbia un effetto limitante nell’attività dell’enzimi di parete (PME e PG). Infatti le uve di controllo, conservate con aria non modificata, registravano un incremento dell’attività delle PME e delle PG maggiore rispetto alle uve trattate con ossigeno al 40% e ancor di più rispetto a quelle trattate con ossigeno al 80%. Le uve conservate con alte concentrazioni di ossigeno, mostravano bassi valori di solidi solubili (WSP) rispetto alle uve conservate in condizioni standard. Alte concentrazioni di ossigeno sembravano ritardare il processo di softening, non solo dell’uva ma anche di altri frutti come fragole, carote e ciliegie. La respirazione infatti e la comunque debole produzione di etilene erano influenzate negativamente dalla massiccia presenza di ossigeno, inoltre alte concentrazioni di CO

2

sembravano assumere un ruolo di inibitore verso la sintesi di etilene. L’azione inibitrice di questi

due gas verso le PG sembra essere ricollegabile alla soppressione della biosintesi di etilene, ormone

che invece aumenta l’attività delle PG. È stato visto che alcuni ioni come quelli di cadmio, rame,

mercurio sembrano non avere particolari influenze sull’attività delle PG, mentre ioni calcio

stimolano notevolmente l’attività delle PG nelle banane. Nell’uva, la presenza di ioni calcio Ca

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e

di omogalatturonani dimetilesterificati dà vita alla formazione di ponti ioni calcio tra le molecole di

zucchero; la struttura della pectina diventa in questo modo più rigida, assumendo una consistenza di

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gel denso (Jarvis et al.,1984). Questa situazione va a limitare la mobilità delle proteine e degli enzimi stessi. Le PG quando si formano questi complessi calcio-pectina sembrano avere un attività più bassa, molto probabilmente a causa della loro scarsa mobilità accentuata dalla densità della pectina.

1.1.7 L’appassimento delle uve

Le uve appassite hanno un buon mercato: sia per quanto riguarda la produzione di uvette sia per la più nobile produzione di vini particolarmente dolci (Passito, VinSanto, Amarone etc.) apostrofati con il termine “vini da dessert”. Tecnicamente l’appassimento non è altro che un processo che provoca l’aumento della concentrazione in zuccheri: precisamente avviene una disidratazione che diminuendo il tenore in acqua provoca indirettamente l’aumento dei soluti presenti. Quando un acino perde l’acqua presente nella sua polpa, va incontro a una serie di risposte a tale stress.

Durante l’appassimento è necessario diminuire il proliferare di alcuni organismi, tra cui la Botrytis cinerea responsabile del marciume, alcuni lieviti e batteri e altri miceti micotossinogeni.

Ci sono due tipi di disidratazioni (Bellincontro et al., 2004): una naturale che avviene in campo (“on plant”) e che subisce le condizioni climatiche, ed una “off plant” che avviene sull’uva già raccolta ad opera di particolari condizioni in cui questa viene tenuta per un determinato periodo.

L’appassimento naturale su pianta è causato da alte temperature accompagnate da scarse precipitazioni d’acqua. Tale gap idrico può essere in parte mitigato dall’apporto dell’irrigazione in campo. La pianta essendo comunque ancora ben ancorata al terreno, può sempre far conto su una certa quantità di sostanze nutritive fornite dalla terra che aiuteranno la vite ad affrontare lo stress idrico. In qualche modo la disidratazione naturale è in parte mitigata da vari fattori, il che la rendono meno drastica di quella invece artificiale. Infatti lo stress idrico in post raccolta colpisce grappoli che non possono più contare sull’apporto nutritivo del terreno ne di altre forme di acqua esterna: le cellule degli acini subiscono una disidratazione spinta che induce cosi profonde modificazioni. Le metodologie di appassimento post raccolta (“off plant”) sono principalmente due:

“naturale”, cioè semplicemente esponendo l’uva su dei graticci al sole (ove le condizioni climatiche lo permettano) oppure “controllata” all’interno di appositi locali con circolazione di aria a temperatura ed umidità stabilite.

Le possibili modificazioni fisiche a carico dell’acino sono tre:

- “Shrinkage”

- “Hardening”

- “Softening”

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