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La particolarità principale, trattandosi di un sito claustrale, è la presenza sia di reperti nu- mismatici

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CAPITOLO V

LA CITTÀ E L’ORGANIZZAZIONE DELLE AREE CIMITERIALI, RITUALITÀ FUNERARIE E DATI DEMOGRAFICI.

Alla fine del XIII-inizi XIV sec., l’area produttiva ubicata nella zona di San Francesco fu obliterata con un livellamento di terra per poterla adibire a ci- mitero: molte sepolture sono semplici fosse terragne mentre alcune tombe, pur non essendo ubicate in un’area specifica e/o riservata, sono chiuse con grezze lastre di grosse dimensioni, delimitate da blocchi calcarei e caratteriz- zate dalla pietra cefalica (fig. 87/a; Grafico 7).

Fig. 87. Gerace. Esempi di sepolture: a) San Francesco; b) San Francesco, riduzione; c) Annunziatel- la-San Teodoro; d-e) Annunziatella-San Teodoro, sepolture scavate nella roccia e relative coperture;

f) Annunziatella-San Teodoro; g) S.ta Maria del Mastro, ossari

(2)

La particolarità principale, trattandosi di un sito claustrale, è la presenza sia di reperti nu- mismatici

482

con il valore minimo del circo- lante oppure inutilizzabili a causa dell’ecces- siva usura, sia di piccole pietre verdi, piatte, non locali, perfettamente rotonde poste in corrispondenza del cranio di alcuni individui come se si trattasse di monete.

Persiste, dunque, l’uso di deporre accanto al de- funto una moneta non solo come eredità dalle tradizioni classiche, ma come ritualità oscillan- te tra il magico e il superstizioso per garantire protezione ed 'intercessione attiva'

483

.

A Gerace le sepolture, scavate nella roccia e ri- empite semplicemente con terra, occupavano gran parte degli spazi urbani: piazze, strade, vicoli oppure erano concentrate attorno agli edifici religiosi

484

.

Il luogo dei vivi si intersecava con quello dei morti obbligando ad un conti- nuo riutilizzo delle fosse, come si può evincere dalle innumerevoli riduzio- ni (fig. 87/b), dalle sepolture bisome (fig. 87/c) o multiple, trovate anche all’interno degli edifici chiesastici nonostante i divieti sanciti in occasione del concilio di Macon e del sinodo di Auxerre, secondo i quali “…non licet mortuum super mortuum mitti”

485

, disposizioni che però non sempre trova- no riscontro con i dati archeologici.

Le ragioni di questa inadempienza possono essere molteplici

486

: motivi ri- tuali, legati all’esigenza di avvicinarsi ad una sepoltura privilegiata; motivi famigliari, per cui la stessa fossa veniva usata per più individui appartenenti allo stesso nucleo

487

; motivi economici, poiché riutilizzare una sepoltura già esistente era certamente meno dispendioso rispetto a scavarne una ex novo, soprattutto se nella roccia; oppure per motivi oggettivi legati all’indisponi-

482 É interessante la longevità dell’usanza rituale di inserire monete nelle sepoltu- re, qui testimoniata ancora nel corso del pieno medioevo: DI GANGI-LEBOLE-SABBIONE 1991, p. 601, nota 33. Il vescovo di Bova, ancora a metà del XV sec., cercava di eliminare i riti magici ben radicati e mescolati con il culto cristiano, vd. PERTUSI 1983, pp. 17-45. In ogni caso nel XIII secolo si assiste ad una monetazione massiccia, specchio di un mondo produttivo e commerciale completamente mutato: Arslan riporta l’esempio emblematico di Sta. Severina e di Crotone “…dove la diffusione del denaro svevo indica come esso, imposto da Enrico VI con l’abolizione della moneta di rame, sia stato fatto giungere, soprattutto con Federico II, in quantitativi sin dall’inizio considerevoli, tali da saturare il mercato, sul quale i ritrovamenti non sembrano, per la Calabria, confermare quella presenza alternativa di denari stranieri provata invece altrove” ARSALN 1998, pp. 377-378.

483 GILCHRIST 2008, pp. 148-149.

484 DI GANGI-LEBOLE 2004/a, pp. 156-162.

485 Importante ricordare Canone XV del concilio di Auxerre, a proposito dell’u- bicazione topografica delle sepolture, sia il Concilio di Coyac del 1050, sia quello voluto da Niccolò II nel 1059: in queste occasioni vennero dettate delle regole precise per posizionare le tombe presso gli edifici chiesastici CURATELLA 2017, p. 221; GIUNTELLA 1998, p. 72.

486 DI GANGI-LEBOLE 2004/a e relativa bibliografia.

487 È il caso di due sepolture (TT.19-20) rinvenute nella chiesa dell’Annunziatel- la-San Teodoro vd. DORO GARETTO 1992.

Grafico 7. Gerace

(3)

bilità di spazi adeguati

488

.

Se le tombe degli adulti occupavano la città, quelle privilegiate ed infantili erano spesso collocate all’esterno delle chiese sub stillicidio, come documenta- to dagli scavi lungo le strade adiacenti a S.ta Caterina d’Alessandria e all’An- nunziatella-San Teodoro, oppure al loro interno dove la navata era riservata agli adulti maschili e femminili (fig. 87/

d-e) - come si evince dalle analisi antro- pologiche e dal ritrovamento di un pic- colo anello in oro con una pietra verde incastonata à cabochon e una coppia di orecchini in argento (fig. 88) - mentre nella parte occidentale si concentrava- no gli individui infantili, tutti protetti da due coppi sovrapposti

489

, con l’unica eccezione di un neonato ubicato nella zona absidale.

Le sepolture erano chiuse da lastre in pietra o semplicemente riempite di ter- ra: tra queste un individuo femminile aveva la zona facciale del cranio coperta da un coppo, forse un gesto di pietas nei confronti della defunta al fine di evitare che il volto venisse sporcato durante la fase di interramento

490

(fig. 87/f ).

Dagli strati relativi al ciborio provengono alcuni elementi in bronzo con trac- ce di doratura, verosimilmente utilizzati per rendere più raffinata la rilegatura dei libri sacri, arte che sembra attestarsi, con maggiore frequenza e con conti- nuità, dal XIV fino al XVIII secolo

491

.

Le loro forme sono semplici, ma eleganti: una circolare leggermente bomba- ta; una a farfalla con linee parallele incise; una romboidale con un fiore a cin- que petali inserito in un cerchio; una trapezoidale con linee graffite ed una con la superficie liscia. Tutte venivano applicate al libro tramite un piccolo peduncolo oppure con dei rivetti inseriti in piccoli fori (fig. 89).

488 Le sepolture e i legami familiari oltre la morte sono trattati in maniera piuttosto approfondita in CHAVARRÍA ARNAU 2018, pp. 204-213 e bibliografia.

489 L’uso di utilizzare coppi per le deposizioni infantili è assai diffuso nell’Italia meridionale, probabilmente in sostituzione delle sepolture ad enchytrismòs, vd. BRUNO-TU- LUMELLO 2018, p. 116; ANDERSON-ARTHUR 1999, p. 63. Sepolture simili le abbiamo evidenziate anche a Sant’Andrea Apostolo dello Jonio e databili al XIII-XIV sec. vd. DI GAN- GI-LEBOLE 2018, p. 20.

490 Per un confronto vd. CORRENTE-ROMANO-MANGIALARDI et alii. 2012, p.

554 e bibliografia anch’esse datate alla metà del XIII sec.

491 DI GANGI-LEBOLE 1993, p. 474, fig. 6 e bibliografia. Vedi anche, a proposito della produzione libraria a Gerace fino al XVI secolo, LUCÀ 1998.

Fig. 88. Gerace. Annunziatella-San Teodoro.

T. 23, anello; T. 22, orecchino

(4)

La morfologia rocciosa della rocca e le precarie condizioni igieniche, legate alla presenza di sepoltura in città, indussero a costruire nella chiesa di S.ta Maria del Mastro (fig. 20/7), ubicata in ambito urbano ma ai piedi della rocca, degli ossari da intendersi come sepolture primarie stratificate

492

(fig.

87/g).

Se per il periodo normanno i manufatti trovati non hanno permesso di trac- ciare un quadro esaustivo sulla vita quotidiana i dati a nostra disposizione, per il bassomedioevo, sono più generosi anche in virtù di questa soluzione funeraria

493

.

Gli individui adulti identificati, circa quaranta per ossario, appartengono ad entrambi i sessi, ma non manca una percentuale di soggetti infantili avva- lorando l’ipotesi che queste sepolture comuni non fossero riservate ai soli religiosi.

492 Nel caso di Gerace gli ossari non sono intesi come “…raccolta delle ossa prove- nienti da tombe di epoche precedenti” CURATELLA 2017, p. 225, ma come sepolture prima- rie in un contesto stratificato.

493 Risulta evidente che dalle tombe ubicate nelle strade non è stato possibile recu- perare né le tracce dell’individuo né eventuali manufatti come, invece, nel caso degli ossari la cui profondità è di circa 2.50 m.

Fig. 89. Gerace. Annunziatella-San Teodoro. Elementi per la rilegatura

(5)

Le analisi di laboratorio ci hanno fornito indica- zioni interessanti sulle condizioni di vita e sulla popolazione geracese.

L’età biologica del campione

494

mette in evidenza una singolare ed inusuale longevità (Grafico 8).

Tuttavia, non si possono trascurare altri fattori che avrebbero potuto incidere su questi dati: uno di questi potrebbe riguardare una sorta di gerar- chizzazione che avrebbe favorito l’inumazione di individui maturi e senili di un buon livello sociale, oppure un’emigrazione temporanea della popo- lazione in età produttiva da collegare a possibili attività lavorative al di fuori del contesto urbano e territoriale qui preso in esame.

Le analisi si sono focalizzate principalmente su al- cuni aspetti: sull’antropologia dentaria, per rica- vare informazioni indirette sulla nutrizione; sugli indicatori di stress in età giovanile; sulle patolo- gie attraverso le stigmate ossee e sulla valutazione delle inserzioni muscolari come indicatori dell’at- tività di lavoro.

La percentuale di carie è bassa (4.18%)

495

, così come i depositi di tartaro sono relativamente mo- desti indicando un chimismo acido dovuto ad un’alimentazione a basso contenuto proteico op- pure a una possibile igiene orale, mentre la limi- tata usura dentaria suggerisce il consumo di cibi teneri e con pochi contaminanti abrasivi, spesso collegabili ad una macinazione grossolana delle farine o a macine ottenute con litotipi relativa- mente teneri; risulta, invece, elevata la perdita dei denti intra vitam (26,28%).

Lo studio delle più frequenti alterazioni ossee, causate da gravi patologie, sottolinea la sporadici- tà di traumi, di alterazioni articolari e di periosti-

te, laddove la presenza di frammenti cranici molto spessi potrebbe indicare patologie genetiche come, ad esempio, la talassemia.

Infine, gli sviluppi delle impronte muscolari sugli arti superiori ed inferio- ri sono medio/bassi facendo ipotizzare che gli individui deposti negli ossari non svolgessero lavori particolarmente faticosi.

Dunque, un gruppo sociale benestante, longevo, ben nutrito, con lievi pa- tologie e rari traumi da lavoro: un quadro biologico che trova conferma nei

494 Le condizioni di giacitura, caratterizzate dalla collocazione in ossari, hanno reso particolarmente difficile l’attribuzione di resti ai singoli individui: per le analisi antropologi- che complete vd. DORO GARETTO 1992, pp. 582-583; DORO GARETTO 1993, pp. 486- 490. Tale ricerca è stata realizzata con finanziamento CNR, progetto Archivio Biologico. Vd.

anche DI GANGI-LEBOLE 1999/b, pp. 41-46. Biologicamente i giovani hanno un’età com- presa tra i 18 ed i 25 anni, mentre gli adulti tra i 26 ed i 44 anni: nel caso degli ossari sono stati inseriti in un unico gruppo per le oggettive difficoltà del riconoscimento puntuale.

495 Questo dato è significativo considerando l’età elevata degli indivi dui.

Grafico 8. Gerace. S.ta Maria del Mastro. Dati biologici

(6)

manufatti recuperati sugli inumati - come cinture, scarpe e semplici anelli - che non hanno subito la consueta spoliazione di beni potenzialmente riu- tilizzabili.

Oggetti essenziali della vita quotidiana, da mettere in relazione alle sepolture vestite

496

, alla ritualità funeraria ed alla cronologia degli ossari: i reperti più antichi provengono dagli ossari A-C e D, fissandone il terminus ante quem alla metà del XIII sec., mentre gli ossari E e F sono attribuibili al periodo finale (tra il XV ed il XVIII secolo) grazie anche ai reperti numismatici.

496 Per i manufatti metallici di S.ta Maria del Mastro: DI GANGI-LEBOLE-SAB- BIONE 1991, pp. 616-618; DI GANGI-LEBOLE-SABBIONE 1993, pp. 468-475.

Fig. 90. Gerace. S.ta Maria del Mastro. Ossari A-C-D. Fibbie circolari

(7)

I denari piccoli siciliani sono della zecca aragonese di Messina “…ma la man- canza delle legende ha reso impossibile un’attribuzione precisa. Sicuramente ve ne sono di Giovanni II, contraddistinti dalle iniziali del Maestro di zecca Matteo Campagna, attivo a partire dal 1466, ma che continuò a battere de- nari anche per Ferdinando II prima della conquista di Napoli (1503)”

497

. Alcuni oggetti sono indicatori degli accessori dell’abbigliamento

498

.

Molte le fibbie da cintura estremamente semplici, in ferro o in bronzo, la- vorate a stampo e rifinite a bulino, di forma circolare con ardiglione mobile assai diffuse, senza sostanziali variazioni, sia nel nord Italia e nei paesi d’ol- tralpe sia nel meridione e nell’area mediterranea a partire dal XIII secolo

499

(fig. 90).

497 Inoltre, il grosso di queste monete arrivò in Calabria Ultra, attraverso lo Stretto, dopo l’acquisizione degli Aragona (1442) del regno di Napoli. In questo periodo giunse in Italia anche il doppio denaro aragonese battuto a Maiorca vd. BARELLO 1993, pp. 480-483.

Per quanto concerne le foto dei reperti monetali idem, Tavv. 8-9, pp. 481-482.

498 Per la Calabria farò riferimento alla prima classificazione di questo tipo di mate- riale DI GANGI-LEBOLE 1993.

499 Per i confronti puntuali per l’arco cronologico preso in esame vd. DEMIANS D’ARCHIMBAUD 1980, p. 492, fig. 465/ 1-16; LAPADULA 2006, p. 438, fig.2/5-6; BRUNO 2015, p. 41, fig. 4/4-5; SOGLIANI 1995, pp. 114-120 confronti non solo relativi alla fibbia circolare con ardiglione mobile.

Fig. 91. Gerace. S.ta Maria del Mastro. Ossario C. Fibbie

(8)

Dal tipo 'base' derivano le varianti a 'doppio ovale'

500

, in bronzo e ferro, ca- ratterizzate da una maggiore accuratez- za decorativa o da un’esecuzione tecnica più articolata

501

(fig. 91): queste ultime provengono solamente dall’ossario C.

Gli indumenti erano chiusi con lacci in tela le cui estremità erano fissate con fermalacci in bronzo per evitare che il tessuto si sfilacciasse, ma non mancano i bottoni già dalla fine del XIII sec.

502

an- che se la percentuale più significativa è stata recuperata dagli ossari E ed F.

I bottoni più semplici erano in legno con un foro centrale

503

attraverso il qua- le passava il cordoncino bloccato me- diante un nodo, mentre quelli in bronzo erano più elaborati ottenuti con due parti emisferiche unite tra loro da un peduncolo necessario per cucirli al tessuto

504

(fig. 92).

Le calzature in cuoio

505

, datate per confronti tipologici e tecniche di lavo- razione, sono state recuperate in uno stato fragile, rigido e quasi calcificato:

ad un esame macroscopico, le fibre del derma risultano disposte disordinata- mente con il tessuto connettivo dilatato.

Alcuni frammenti hanno conservato una percentuale del fiore, cioè quella parte della pelle rivolta verso il pelo che, variando per ogni specie animale, ha permesso di stabilire che la maggior parte delle scarpe era realizzata con cuo- io di bovino adulto trattato con conciante vegetale

506

in virtù del suo colore

500 vd. SOGLIANI-PATRIZIANO 2018, p. 105, fig. 2b datate tra fine XIII-XIV seco- lo. Queste fibbie hanno i bordi festonati, leggermente modanati o lavorati a ventaglio. In am- bito fran cese, sono datate a partire dalla metà del XIV sec. vd. DEMIANS D’ARCHIMBAUD 1980, p. 495, fig. 466/30.

501 Più complesse sono le fibbiette a doppio ovale unite tra loro da una barretta a cui si aggancia l’ardiglione fisso montato su una placca in ferro, unitamente a quelle rettango lari di medie e piccole dimensioni con superficie decorata a linee incise; ad una barretta, imper- niata su un inspessimento del lato lungo della fib bia, si unisce l’ardiglione fisso bilanciato da una contro placca in ferro. Tipologica mente inseribile in questo gruppo è una serie di fib- bie rettangolari in ferro, tutte con ardiglione fisso e con controplacca agganciati alla barretta imper niata sul lato lungo della fibbia stessa. Da ultimo VONA 2015, pp. 354-358, p. 355, tav.

1 e bibliografia.

502 DEMIANS D’ARCHIMBAUD 1980, p. 515.

503 Un confronto puntuale, anche a livello cronologico, da scavi calabresi in SUDA- NO-D’ANDREA-LA SERRA 2018, pp. 144-146, fig. 3

504 REDI-FORGIONI-AMORETTI et alii. 2012, p. 509 tav. I, nn. 31-32 e bibliogra- fia. Inoltre, DEMIANS D’ARCHIMBAUD 1980, p. 515, fig. 478/16-20 che trovano interessanti confronti in ambito francese nel corso della metà del XIII sec. e in contesti italiani, a partire dal XIV-XV sec.; per confronti con fibbie e bottoni vd. REDI-MELONI et alii. 2012, p. 684, tav. 2, pp. 685-686.

505 Per lo studio completo dei manufatti in cuoio vd. BORGARELLI 1993, pp. 475- 479. 506 GIANNICHEDDA 2006, pp. 189-192.

Fig. 92. Gerace. S.ta Maria del Mastro.

Ossari A-C-D. Bottoni in legno, ossario A-C-D

(9)

particolarmente scuro, mentre due esem- plari erano in pelle ovina conciata all’al- lume, tecnica particolarmente pregiata poiché, grazie allo schiarimento della su- perficie e all’uso di mordenti, ne permet- teva la colorazione

507

.

Una scarpa dalla forma affusolata, con punta sporgente, tacco leggermente ac- cennato, stretta al tallone e modellata sul piede, con una suola priva di segni d’u- sura - probabilmente perché calzata con soprascarpe a sandalo oppure indossata in ambiente domestico - apparteneva ad una donna vissuta tra XIII e XIV sec.;

mentre la suola a punta tronca, piuttosto stretta, modellata sulla forma del piede, priva di segni di tacco, con la scalfittura perimetrale e i fori di lesina - per cucire la tomaia senza che il filo fosse visibile all’e- sterno - trova confronti con materiale del XV sec.

508

Il modello a 'muso di bue', con la carat- teristica punta molto larga e squadrata, è maggiormente diffuso nel corso del XVI sec. momento in cui le punte “…tendono a restringersi e arrotondarsi fino ad avere, a fine secolo, una suola a sagoma rettan- golare con angoli smussati”

509

come si è potuto riscontrare dalle poulaines dalle estremità troppo lunghe e scomode che, per motivi pratici, furono tagliate inten- zionalmente per agevolare i movimen- ti

510

(fig. 93).

Tutte le suole, attribuibili a scarpe ma- schili, hanno una fodera interna in cuoio molto fine, così come le tomaie sono co- stituite da due sottili strati di cuoio cu- citi insieme come riscontrato anche negli

esemplari recuperati negli scavi di Londra datati tra il 1100 ed il 1450.

La rifinitura delle scarpe con la fodera aveva anche uno scopo decorativo considerando “…la serie di tagli longitudinali affiancati sul dorso del piede e talvolta intorno al tallone; l’effetto visivo di queste trinciature poteva essere amplificato da una fodera in colore contrastante con la tomaia”

511

.

507 In generale sull’utilizzo e la lavorazione del cuoio vd. DELLA LATTA 2006.

508 Per i confronti dei materiali in cuoio vd. BORGARELLI 1993.

509 Idem 1993, p. 475; WILSON E. 1970, pp. 118-119.

510 NEERGAARD-GREW 1988, p. 34: viene riportato l’esempio di una poulaine inglese della fine del XIV secolo la cui punta fu tagliata per poterle usare senza impedimenti.

511 BORGARELLI 1993, p. 478.

Fig. 93. Gerace. S.ta Maria del Mastro. Calzature poulaine XIII-XIV sec.

(10)

Nella maggior parte delle suole è visibile la 'scalfittura aperta a profilo qua- drangolare' necessaria per proteggere la cucitura suola/tomaia impedendo il contatto diretto con il suolo.

Inusuale il ritrovamento dei guardioni - cioè delle strisce di cuoio che veniva- no cucite tra la tomaia e la suola lungo il perimetro interno della calzatura o solo intorno al tallone in modo da rendere più serrata la cucitura - il cui uso è attestato in ambito inglese, dalla fine del XII secolo

512

.

Questi reperti permettono di proporre un quadro delle abitudini legate alla vita quotidiana della popolazione geracese poiché trovano puntuale riscon- tro con gli accessori comunemente utilizzati nell’abbigliamento bassome- dievale in Italia e in Europa.

Dagli ossari proviene anche una discreta quantità di manufatti vitrei

513

: l’e- strema frammentarietà e devetrificazione non hanno agevolato una loro pre- cisa collocazione cronologica.

I vetri geracesi hanno fondenti a base vegetale-sodica, poco stabilizzante e sono modellati a soffiatura libera, ma il loro inquadramento nel più vasto contesto produttivo del meridione italiano non risulta così semplice anche se è possibile riconoscere un fil rouge comune tra i vari settori dell’arte decora- tiva e del linguaggio multiculturale diffusi tra l’immediato entroterra jonico ed il Mediterraneo.

Ma quali ipotesi si possono formulare sulla loro circolazione?

La prima tesi potrebbe suggerire un rapporto sia con le botteghe di Lucera e del suo territorio

514

sia con quelle campane

515

; la seconda ipotesi, che non esclude necessariamente la prima, deve considerare le incontestabili relazioni commerciali che la Calabria strinse con la Gre cia bizantina, con la Sici lia e con il Vicino Oriente

516

, che giustificherebbero l'attestazione di forme co- muni collegabili alla presenza at tiva di artigiani stranieri - come si evince da alcuni documenti del XIII sec. in cui vengono menzionate, per l’area campa- na, cop pette e scodelle in ve tro fab bricate dai 'saraceni' - ed alla trasmissio- ne, particolarmente vivace, di modelli e di tecniche durante il periodo delle crociate grazie alla rete commerciale che il sud Italia intrecciò con la Siria, la Pa le sti na e l’Egitto

517

.

A. Coscarella sottolinea come la storia economica bassomedievale dell’Italia

512 Idem.

513 Il vetro è stato oggetto di studio da parte di G. Di Gangi: al suo lavoro farò riferi- mento nelle singole note.Assai importanti gli atti di convegni curati da Adele Coscarella, poi- chè rappresentano un punto di riferimento per lo studio del vetro calabrese COSCARELLA 2003/a; COSCARELLA 2012/a. Nel mese di giugno 2019 si è tenuto un importante Convegno Internazionale sullo status quaestionis della produzione vitrea in ambito mediterraneo CO- SCARELLA c.s.

514 CIAPPI 1991, pp. 268-269 e bi bliografia.

515 Tra quelle campane si potrebbe segnalare Sessa Aurunca (Suessa) quest’ultima particolarmente interessante poiché permette di rimarcare il ruolo che svolsero gli artigiani itineranti non solo in ambito europeo, ma anche nel sud Italia considerando che un certo ma- gister peregri nus di Suessa esercitò la sua attività in vari centri della Puglia e della Campania vd.

STIAFFINI 1991; DI GANGI 2003. Da ultimo COSCARELLA 2009, p. 94 e bibliografia.

516 CIAPPI 1991, pp. 268-270.

517 MOLINARI 1997, pp. 159-165. Anche per i materiali in vetro si può parlare di artigiani specializzati provenienti da altre regioni come ampiamente dimostrato in questo lavoro.

(11)

meridionale suggerisca scambi assai intensi sia via mare, tra Catona a nord di Reggio e Messina e con il napoletano, sia attraverso “…l’antico Vallo di Diano o lungo la costiera ionica consentivano i contatti con il resto della Penisola”

518

.

Le ragioni di una certa raffinatezza di esecuzione dei manufatti vitrei è da ri- cercare negli importanti fattori economico-politici successivi al 1282 quan- do la “…Sicilia aragonese aveva fatto assumere in prevalenza il controllo dei commerci a Genovesi e Catalani mentre in Calabria e, più in generale, nel regno angioino di Napoli questi erano gestiti soprattutto da veneziani e dai mercanti-banchieri toscani”

519

che utilizzarono il porto di Crotone come scalo di collegamento per le rotte verso l’Oriente ed il Tirreno.

Intrecciando i dati di scavo con le fonti documentarie si può cercare di de- lineare, per Gerace, un’organizzazione sociale complessa, ma dai contorni ancora poco nitidi.

Il ceto rappresentato dagli artigiani e dai mercanti diede vita, seppur timida- mente, alla formazione di Ordinamenti “…nei quali l’Universitas civium va organizzando le sue possibilità di crescita urbana, là dove risorse produttive e crescente coscienza civica lo consentono”

520

instaurando un dialogo tra pote- re centrale e periferie. I dati ricavati dal Liber focorum regni Neapolis

521

, utiliz- zato per la gestione fiscale, oltre a denunciare una diminuzione demografica di alcuni centri, permette di conoscere la consistenza dei nuclei abitati.

Una prima fascia era costituita da un numero di abitanti compreso tra i 5.980 ed i 4.000; un’altra tra i 2.800 e i 2.320; una intermedia - tra i 3.890 e 3.130 - in cui rientra Gerace che rappresentò lo spazio urbano di riferimento per i territori produttivi circostanti grazie ad una discreta ripresa culturale nella quale i francescani, ben attestati in città, ricoprirono un ruolo importante anche per l’aspetto commerciale legato alle fiere, già volute da Federico II, che continuarono a garantire una equilibrata vitalità economico-culturale

522

. In questo periodo la politica calabrese si interfacciò con tre realtà ben de- finite: quella regia, la classe media emergente e la feudalità già fortemente radicata sul territorio al di sopra delle quali il regno di Napoli rappresentò il legame tra la Spagna e la penisola italiana.

Il sistema difensivo sfruttò la rete di castra già presente sul territorio con una de- limitazione significativa delle direttrici viarie della regione, nella quale Gerace ricoprì un importante ruolo di controllo della costa jonica e del collegamento con l’area tirrenica

523

, mentre la crescita urbana fu assai limitata e, come afferma F. Troncarelli “…la nobiltà feudale venuta al seguito di Carlo d’Angiò spezzerà definitivamente le possibilità di sviluppo della borghesia meridionale”

524

oltre a sostenere una classe di intellettuali che, in cambio di privilegi, avrebbe aderito

518 COSCARELLA 2009, p. 94.

519 BRUNO-CAPELLI 2006, p. 510.

520 ZINZI 1999, p. 70.

521 GALASSO 1967, pp. 74-86.

522 COSCARELLA 2009, pp. 92-93.

523 MAZZOLENI 1944-1946, pp. 132-144. Dall’età normanna fino a quella aragone- se i vari sovrani vollero sempre avere chiari i confini, ordinando ispezioni regolari RAO 2016, p. 169.

524 TRONCARELLI 1999, p. 107.

(12)

in maniera acritica alle direttive regie

525

.

Sono persuasa che questi dati possano contribuire al dibattito che, da qual- che anno, rappresenta un importante filone di ricerca relativo alla così detta

“congiura del Trecento”

526

intesa come un momento di grandi cambiamenti avvenuti tra il XIII e l’inizio del XIV sec., periodo in cui gli equilibri econo- mici si rivelarono assai instabili: l’impennata dei prezzi della terra sbilanciò il rapporto con la resa produttiva

527

e la conseguente intensificazione delle aree coltivate, cui corrispose un incremento di guadagni da parte dei proprietari terrieri a discapito dei contadini.

Per la Calabria, come per molti altri contesti del meridione d’Italia, questa crisi ebbe inizio con la forte instabilità politica causata dagli scontri tra an- gioini ed aragonesi che gravò in maniera considerevole sul commercio e sulla popolazione costretta a subire pesanti prelievi fiscali

528

.

Inoltre, in conseguenza dell’epidemia di peste che flagellò l’Europa, si verificò un consistente calo demografico cui si affiancò una profonda crisi economica causata dal fatto che “…il prezzo delle merci sarebbe divenuto relativamente basso rispetto ai costi e questo avrebbe causato la caduta del valore della terra, la riduzione delle coltivazioni, così come delle rendite signorili”

529

.

Questo potrebbe certamente rappresentare una delle cause dell’abbandono di molti villaggi descritta nel sopra citato Liber focorum Regni Neapolis, feno- meno che colpì anche le zone del Salento modificando l’assetto rurale con la conseguente ridistribuzione della manodopera contadina

530

.

Non è, dunque, una coincidenza se Clemente VI descrisse la città di Gerace

“…miser status et conditio episcopi..”, ma fu il papa stesso che nel 1343, su richiesta del vescovo Barlaam, concesse l’indulgenza a “visitantibus ecclesiam cathedralem Geracem…in qua etiam cappella sub vocabulo et in honorem Sancti Bonifacii Martyris aedificata dicitur”

531

elargendo i finanziamenti suf- ficienti per poter affrontare i numerosi cantieri

532

collegati alle ristrutturazio- nei degli edifici chiesastici.

Ancora a metà del XV sec., dallo scambio epistolare avvenuto tra Atanasio Calceopulo e Costantino Lascaris, le descrizioni sulle condizioni di Gerace restituiscono la palpabile impressione di una certa povertà culturale e di una evidente ristrettezza economica

533

.

525 Idem, tra questi compare Giovanni Tirseo, vescovo di Gerace che, nel periodo compreso tra il 1312 ed il 1342, si dedicò alla traduzione di alcuni testi dal greco al latino.

526 A queste problematiche è stata dedicata una parte della rivista “Archeologia Medievale” curata da Alessandra Molinari, MOLINARI 2016, pp. 9-16, che ha messo a con- fronto storici ed archeologi per poter tracciare un quadro esaustivo di questo periodo.

527 Idem, p. 9.

528 CAROCCI 2016, p. 22; ARTHUR-BRUNO-FIORENTINO et alii. 2016, pp. 41- 55, fig. 1. Riporto di seguito la citazione sul Ciclo Adattativo tratta da HOLLING 2001, che il gruppo di ricerca di P. Arthur inserisce nel lavoro sulla 'congiuntura del trecento': “Holling ha descritto il Ciclo Adattativo come metafora euristica di cambiamento dinamico costituito da una sequenza di quattro fasi: crescita, conservazione, collasso e riorganizzazione”.

529 MOLINARI 2016, p. 9.

530 ARTHUR-BRUNO-FIORENTINO et alii. 2016, pp. 45-46 e pp. 49-50.

531 BOZZONI 1999, p. 320.

532 Idem.

533 Per le fonti vd. LUCÀ 1998, p. 302; DI GANGI-LEBOLE 2006.

(13)

Non dobbiamo dimenticare, però, che sotto il vescovo Aymerico (1429- 1444) vi fu un momento di impulso edilizio caratterizzato da una “…nota coloristica dei capitelli a foglie mosse e sfrangiate […] rimandando alla pro- babile presenza di maestranze siciliane”

534

come si può evincere da alcuni

534 BOZZONI 1999, p. 321.

Fig. 94. Gerace. Particolare degli elementi architettonici di XV sec.: a) Palazzo Migliaccio;

b-c) Palazzo Macrì; d) Palazzo dell’abate Elia (foto di A. Spanò)

(14)

elementi architettonici rinvenuti negli scavi del se- minario maggiore e dalle bifore e portali, riferibili al XV sec., presenti in certi edifici geracesi: si segnalano quelle di Palazzo Migliaccio e di Palazzo Macrì presso piazza del Tocco, oltre la bifora di Palazzo dell’abate Elia, in via Politi con la bicromia ottenuta dall’alter- nanza di conci in calcare e pietra lavica

535

(fig. 94).

Quello che mi preme sottolineare è la continuità, nel tessuto urbano, degli spazi sociali: la parte signorile, databile tra l’inizio del XIII ed il XV sec., collocata nella zona dell’attuale giardino dell’episcopio (fig.

20/1) e il quartiere artigianale ubicato nella porzione settentrionale della città.

Tale suddivisione sembra persistere nel secolo succes- sivo ed oltre considerando che le costruzioni di mag- gior prestigio sono dislocate lungo l’attuale via Zaleu- co (fig. 20/16) che, ancora oggi, rappresenta l’arteria di collegamento est/ovest tra piazza della Cattedrale e piazza del Tocco

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(fig. 20/15).

Alle considerazioni sull’aspetto architettonico si af- fiancano quelle sui reperti di scavo che sembrano ri- marcare abitudini in contro tendenza rispetto al qua- dro di degrado descritto da Clemente VI: ceramiche relativamente pregiate, seppur prodotte in maniera più standardizzata, sono state recuperate anche in piazza delle Tre Chiese e non solo nei quartieri signo- rili.

A questo proposito desidero fare un breve rimando agli scavi in Largo Duomo a Tropea, dove è stato messo in luce un edificio datato tra XIII-XIV sec.: si tratta di un palazzo a due piani collegati tra loro da una scala a chioc- ciola (fig. 95); al piano terra vi è una raffinata pavimen- tazioni in cocciopesto ingentilita da motivi geometrici ottenuti con pietre bianche di piccole dimensioni e ma- nufatti da mensa, ceramica e vetri, di buona qualità

537

. Va ricordato che dopo il terremoto del 1376 in Calabria si registrò una ragguardevole ripresa edilizia, spesso di buon livello, per la ricostruzione di palazzi, chiese e monasteri.

535 Ringrazio di cuore lo storico dell’arte Attilio Spanò per il continuo confronto e per i suggerimenti stilistici e cronologici relativi a questi elementi architettonici che, esu- lando dalle mie specifiche competenze, non sarei stata in grado di valutare correttamente.

Infatti, sostiene che, a prescindere dalla pietra lavica, sarebbe propenso “a datare al primo

‘400 le finestre in questione perché riprendono forme catalane che nel San Francesco non si vedono, ma che si ritrovano in gran parte della Sicilia del XV secolo”. Alcune immagini sono molto angolate per via dei vicoli estremamente stretti.

536 Nei primi anni del 2000, in occasione del rifacimento delle strade, furono effet- tuati dei sondaggi conoscitivi in piazza del Tocco e lungo via Zaleuco: i risultati furono par- ticolarmente deludenti a causa dei numerosi e pesanti interventi urbanistici che, nel corso degli anni, interessarono questa porzione della città.

537 DI GANGI-LEBOLE 2018, p. 26, figg. 27-28 e bibliografia. L’edificio si è ben conservato poiché distrutto e livellato in occasione della messa in opera dell’attuale piazza.

Fig. 95. Tropea. Largo Duomo. Edificio di XIII-XIV sec.

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