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Fin dall’antichità gli ordinamenti, l’economia e i mercati sono regolati dai pubblici poteri, che assumono nel tempo degli andamenti diversi, raggiungendo in alcuni casi soglie di regolazione assai elevate

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CAPITOLO II

POTERI PUBBLICI E MERCATI GLOBALIZZATI

1. Poteri pubblici e regolazione dei mercati: profili storici

Fin dall’antichità gli ordinamenti, l’economia e i mercati sono regolati dai pubblici poteri, che assumono nel tempo degli andamenti diversi, raggiungendo in alcuni casi soglie di regolazione assai elevate

1

.

L’intervento statale nei rapporti economici è presente in tutte le organizzazioni più o meno moderne, con variazioni di intensità e quantità

2

.

Nelle società antiche il diritto adotta carattere repressivo dei comportamenti considerati pericolosi e solo in un secondo momento si viene a instaurare una funzione di controllo delle attività sociali, che ha  quale oggetto  modalità di assegnazione delle ricchezze e dei ruoli economici tra i diversi soggetti della collettività. In quelle moderne, invece, si perfeziona l’azione organizzativa dei pubblici poteri, i quali intervengono in sistemi in cui si percepisce la necessità di un diritto razionale, che si realizza mediante l’adozione di un sistema certo, sia dal punto di vista delle strutture fondamentali dell’economia che dei rapporti economici.

Nello specifico, in questa fase, lo Stato appare quale centro sovrano di un potere organizzato in una molteplicità di istituzioni, cui si attribuisce la funzione di regolazione, il monopolio dell’uso della forza e il potere di conformazione di tutte le attività che si svolgono all’interno dei suoi confini territoriali

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.

Il proliferare dell’intervento dei poteri pubblici si rafforza nel periodo del mercantilismo e protezionismo, in concomitanza alla formazione degli Stati nazionali, con il passaggio da quello borghese a quello democratico, nel

1 M. D’Alberti, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 2017, p. 18.

2 M. Giusti, Fondamenti di diritto pubblico dell’economia, Milano, Cedam, 2013, p. 1 ss.

3 G. di Plinio, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 13-14.

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periodo contrassegnato dall’espansione dell’amministrazione e legislazione pubblica

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.

Il pubblico potere per eccellenza è lo Stato che, nell’Europa continentale “ha sottomesso” tutti gli enti territoriali locali e i pochi enti pubblici fino a quel momento esistenti. In Inghilterra e nei Paesi che la presero a modello, esiste un’importante amministrazione locale autonoma, la quale non è costituita da enti a sé, ma da tanti organi dello Stato stesso dotati di potere decisionale per quanto riguarda le materie che non sono di sua competenza

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. In questo secolo lo Stato viene a prospettarsi come uno dei pubblici poteri cui si aggiungono le forze locali, i sindacati, i partiti politici e le associazioni indipendenti che rappresentano l’intera collettività. Inoltre, all’azione dello Stato, si affianca quella di organismi comunitari e internazionali.

Nello specifico, l’età dei mercati è contraddistinta, fin dal XV secolo, da fitte interconnessioni tra i pubblici poteri e le attività economiche, come la concessione di monopoli, patenti, privilegi e sovvenzioni da esponenti del ceto mercantile. Tale propensione viene a essere in misura parziale attenuata nella seconda parte del Settecento/inizi Ottocento, dalle tesi volte a garantire la libertà di commercio, che trovano nella common law e nel droit naturel i soli strumenti di tutela

6

.

Il periodo compreso tra l’inizio del secolo scorso e gli anni Settanta si contraddistingue per un’estensione graduale dell’intervento dei pubblici poteri sia nella regolazione dei mercati e delle imprese, sia nell’amministrazione delle attività produttive. La statutorification statunitense, le collettivizzazioni dell’Europa continentale, la normativa britannica in materia di welfare ne sono

4 M. D’Alberti, Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 7.

5 F. Gaspari, Libertà di circolazione dei capitali, privatizzazioni e controlli pubblici. La nuova golden share tra diritto interno comunitario e comparato, Torino, Giappichelli, 2015, pp. 67-70.

6 M. S. Giannini, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 12 ss.

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efficaci testimonianze. Tali interventi pubblici rispondono, essenzialmente, a finalità neomercantilistiche e di protezione sociale

7.

Nel complesso, quindi, il periodo storico che ha inizio negli anni Ottanta del ′900 ha mostrato una continuità d’intervento pubblico nell’economia e allo stesso tempo variazioni rilevanti rispetto al passato .

Si registra progressivamente, nell’ultima metà del Novecento, una riduzione dell’ingerenza dei poteri pubblici nella gestione diretta delle imprese:

questa favorisce la realizzazione di obiettivi strategici quali l’apertura dei mercati, la loro promozione, la tutela della concorrenza e la semplificazione delle norme e delle procedure.

A ciò si aggiungono processi di privatizzazione, di deregolamentazione e di liberalizzazione di settori contrassegnati dalla presenza rilevante di imprese pubbliche, oltre che la riduzione di discipline speciali a favore del diritto comune

8

. In controtendenza, in altri Paesi, si riaffermano invece politiche di stampo protezionistico

9

.

Oggi, per effetto dell’eliminazione dei vincoli territoriali nei processi di produzione e distribuzione dei beni e dei servizi, si assiste al mutamento oltre che della vita quotidiana dei privati, anche dell’organizzazione e dell’azione dei pubblici poteri stessi. Alcuni economisti non esitano a giudicare ormai superata la visione centralizzata dello Stato, anche se dubbi sorgono con riferimento a tale ricostruzione, giacché il ripudio sarebbe rimesso a una visione prettamente keynesiana dello stesso, che per più di un aspetto corrisponde ormai al cosiddetto Stato pluriclasse

10

.

Al fine di muovere nella direzione indicata, è opportuno tracciare il concetto di regolazione, termine sulla cui portata vi è un notevole disaccordo.

Tale accezione è, infatti, considerata nel suo significato più ampio per indicare

7 M. D’Alberti. Poteri pubblici e autonomie private nel diritto dei mercati, in Riv. trimestrale di diritto pubblico, II, 2000, p. 396.

8 Id., Poteri pubblici e autonomie private nel diritto dei mercati, cit., pp. 397-401.

9 G. Napolitano, Pubblica amministrazione in Italia, in Enc. Treccani, XXIII, Roma, Ist. Enc. It., 2009, pp.

4-5.

10G. Della Cananea, I pubblici poteri nello spazio giuridico globale, in Riv. trimestrale di diritto pubblico, I, 2003, p. 5 ss.

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qualsiasi ingerenza di un pubblico potere nella sfera dell’economia, che assume un mero valore informativo, utile unicamente per comprendere quanto i pubblici poteri debbano fare in ambito economico

11

.

L’attività di regolazione costituisce, dunque, uno dei modi d’intervento dei cosiddetti pubblici poteri nei rapporti economici e si materializza in attività di predisposizione di regole volte al controllo e al funzionamento dei mercati.

L’approccio seguito da parte della dottrina giuridica ed economica tende quindi a tracciarne una nozione molto vasta, che finisce per identificare larga parte del diritto dell’economia, del lavoro, dei consumatori, dell’ambiente, della sanità, della previdenza e dell’assistenza sociale. In tale direzione si muove anche l’Ocse che considera la regolazione come “the diverse set of instruments by wich governments set requirements in enterprises and citizens”

12

, riconducendovi leggi, provvedimenti formali e informali, norme delegate emesse da tutti i livelli governativi e da organismi non governativi o di autoregolazione, ai quali i governi delegano tali poteri. Tale definizione, che assomma al suo interno la molteplicità degli interventi pubblici, rende però la nozione inutilizzabile

13

.

Allo stesso modo, il termine “mercato” ha un doppio significato, da intendersi sia come luogo di delocalizzazione delle transazioni, che quale insieme delle stesse, le quali influenzano i livelli di produzione, i prezzi, gli scambi, i capitali e le risorse

14

.

Nell’epoca contemporanea, sembra, dunque, in atto una convergenza verso forme di carattere intermedio per la gestione dell’economia che partono da concezioni estreme, per cui si parla di “socialismo dei mercati regolati”.

Nella pluralità degli interessi degli operatori economici, lo Stato aggiunge regole giuridiche di carattere fondamentale, le quali assumono obiettivi politici distinti. Il potere pubblico si adopera, oltre che nella regolazione dei rapporti tra i diversi operatori  al fine di garantirne la

11 A. Zito, Mercati (regolazione dei), in Annali, III, 2010, p. 1 ss.

12 Ocse, Report on Regulatory Reform, Parigi, 1997.

13 S. Cassese, Regolazione e concorrenza, in G. Tesauro e M. D’Alberti (a cura di), Regolazione e concorrenza, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 12 ss.

14 S. Valentini, Diritto e istituzioni della regolazione, Milano, Giuffrè, 2005, p. 5.

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correttezza  anche nella veste di garante per lo svolgimento pacifico dei rapporti tra privati, con lo scopo di non ledere l’interesse economico sia della collettività, che dei singoli amministrati, dato che l’esercizio delle funzioni economiche incontra dei limiti di compatibilità con gli interessi generali e i fini sociali stessi

15

.

2. Dalla Lex Mercatoria alle misure protezionistiche

Nel periodo di passaggio dall’economia feudale a quella aperta di libero scambio, si sviluppa l’ascesa politica della classe mercantile e la nascita dello ius mercatorum, quale diritto creato dai mercanti senza l’intervento della società politica. Sorge originariamente quale insieme di regole universali direttamente formulate dal ceto mercantile attraverso le consuetudini e gli statuti delle relative corporazioni, in deroga  per le transazioni commerciali  al diritto romano, ritenuto non più inidoneo

16

.

L’organizzazione politica medievale, si contraddistingue per l’incompiutezza del potere politico, alla quale si aggiunge la rarefazione dei suoi compiti e il venir meno dell’interesse per la sfera sociale

17

.

Per secoli tali regole sono applicate dai tribunali ai rapporti di affari delle principali comunità mercantili nell’Europa occidentale, fino a che, con lo sviluppo degli Stati nazione e delle moderne codificazioni, si afferma il principio della supremazia della legge statale. La lex mercatoria viene così assorbita — negli ordinamenti di civil law — all’interno dei codici di commercio, perdendo l’uniformità che fino a quel momento l’aveva caratterizzata.

Si tratta, dunque, di un sistema di autoregolamentazione dei privati, che estende i suoi effetti sia all’interno del ceto mercantile che al di fuori dello stesso. Si parla, a tal proposito, di un diritto imposto nel nome di una classe, il

15 M. Giusti, Fondamenti di diritto pubblico dell’economia, 2013, Milano, Cedam, p. 3 ss.

16 P. F. Soleti, I contratti del commercio internazionale tra ordinamenti statali e lex mercatoria, in Diritto del commercio internazionale, I, 2017, p. 51 ss.

17 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 46.

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cui presupposto di applicazione è, per chiunque, il solo fatto di essere entrato in rapporto con un mercante.

Fonti di tal diritto sono le consuetudini mercantili, che nascono dalla costante pratica contrattuale dei mercanti, la giurisprudenza della curia e gli statuti delle corporazioni mercantili. Tale sistema si colloca, rispetto agli altri, in un rapporto di concorrenza. Il solo presupposto di applicazione è che sia mercante una delle parti del rapporto da regolare; e quando ciò ricorre, gli altri diritti  particolari o universali  soccombono. In caso di mancanza di tale criterio, il rapporto non è più di concorrenza quanto di coesistenza.

Nello specifico, la lex mercatoria, nel XI-XII secolo, apre alle stesse imprese uno spazio di autoregolamentazione che comunque non conduce a una battuta di arresto delle misure pubbliche che si sviluppano soprattutto nel periodo caratterizzato da politiche protezionistiche e mercantilistiche. L’azione dei pubblici poteri nell’economia non è limitata, diramando i propri effetti in settori quali il commercio, le professioni intellettuali, l’agricoltura e i servizi di pubblica utilità

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. Tra diritto ed economia si instaura un nesso di stretta continuità dato che le forme giuridiche aderiscono alla realtà economica. Per l’economia, inizia l’epoca del capitalismo commerciale, in cui il soggetto attivo è il mercator, sul quale si impernia anche il sistema giuridico, dominato dal privilegium mercaturae.

La scarsa propensione a integrarsi totalmente nelle realtà politiche, nonchè il mostrarsi come una classe cosmopolita, dominatrice dei mercati europei, sono i fattori sui quali la borghesia medievale ha innalzato la propria fortuna iniziale e, in seguito, ha visto le cause della propria decadenza. Non sviluppa la propria direzione politica nei Comuni e non riesce a uscire vittoriosa dalla fase del cosiddetto primitismo economico–corporativo, tanto che alla fine del Medioevo la scena politica è dominata dagli Stati monarchici e

18 C.M. Cipolla, Storia economica dell'Europa pre- industriale, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 265 ss.

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la borghesia perde  con il venir meno delle realtà comunali  ogni forza di direzione politica

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.

Nel XVII secolo la lex mercatoria si statalizza attraverso un processo che si completa nel primo Ottocento con l’emanazione dei codici di commercio.

In questo modo si esaurisce e migliora il principio di supremazia della legge e quello di libertà dallo Stato, da intendersi in senso negativo, il cui paradigma è composto dalla proprietà e, nel diritto vivente, dalla libertà contrattuale e d’iniziativa economica

20

.

Il diritto è posto dallo Stato e non più creato dai mercanti. Le consuetudini commerciali regrediscono all’ultimo livello della gerarchia delle fonti e nessuno Stato riconosce altro diritto se non quello da esso stesso dettato

21

. Si accentua la contrapposizione tra il commercio, che si estende sempre più in ambiti internazionali, e il diritto, che si frammenta e contrae all’interno delle unità statali, dando origine a un nuovo particolarismo di stampo giuridico

22

.

Tra il XVI-XVIII secolo, in concomitanza con la formazione degli Stati nazionali, le classi mercantili rafforzano nuovamente la loro posizione, mentre le autorità pubbliche assumono un ruolo centrale per lo sviluppo economico.

In tale frangente la concentrazione delle potestà ha una precisa corrispondenza nell’affermazione della pretesa di unicità, da parte dei poteri statali, riguardo alla produzione delle norme giuridiche e alla realizzazione di determinate attività economiche.

L’epoca dello jus commune è, invece, contrassegnata dalla pluralità degli ordinamenti giuridici, (generali e particolari) e dal loro reciproco riconoscimento

23

. Si permette così sia alla lex alius loci di produrre effetti al di fuori della propria circoscrizione territoriale di operatività; sia l’esistenza di

19 A.M. Hespanha, Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 96.

20 G. Della Cananea, I poteri pubblici nello spazio giuridico globale, cit., p. 4.

21 F. Galgano, Lex mercatoria, Bologna, Il Mulino, 2010, p. 73 ss.

22 G. di Plinio, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Giuffrè, 1998, p. 40.

23 P. Prodi, Una storia nella giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 109.

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norme e tribunali propri di altri ordinamenti giuridici originari, corrispondenti ad altrettanti corpi sociali, quali il clero o le corporazioni professionali

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.

In seguito, il rafforzamento del primato dello Stato in campo giuridico, fondato sul principio della territorialità, conduce alla riduzione delle fonti autorizzate a produrre le norme giuridiche. Ne discende il primato del gubernaculum sulla jurisdictio, con la corrispondente svalutazione della parità delle armi che si instaura all’interno delle sequenze processuali, che mette gradualmente in secondo piano la consuetudine. Al cambiamento dell’ordine giuridico è corrisposto quello concernente l’ordine economico.

Nel diritto comune, l’azione dei poteri pubblici in campo economico è limitata nell’ambito e nelle potestà, poiché la protezione accordata alle libertà economiche non consente i monopoli, anzi li sanziona penalmente.

All’opposto, gli Stati hanno disposto vere e proprie riserve nel porre in essere specifiche attività economiche quali quelle connesse alla difesa militare, o alla disciplina delle professioni di avvocato, medico, notaio

25

.

Si assiste, in tal intervallo, alla sistematizzazione delle misure protezionistiche attraverso l’imposizione dei dazi doganali. Si sviluppa un atteggiamento negativo nei confronti della concorrenza, si rafforzano le intese e gli accordi tra i venditori e si moltiplicano le concessioni, le patenti di monopolio, l’attribuzione di privilegi  oltre che obblighi  ai gestori dei servizi a tutela degli utenti

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.

Con il sopraggiungere del periodo illuminista e della rivoluzione industriale, diritto ed economia si scindono: il soggetto attivo del sistema economico è il produttore industriale e il diritto rimane ciò che disciplina la circolazione della ricchezza.

24 P. Grossi, Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, Giuffrè, 1998, p. 129 ss.

25 A. Giuliani, Giustizia e ordine economico, Milano, Giuffrè, 1997, p. 231 ss.

26 M. D’Alberti, Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 18.

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3. Il riconoscimento della libertà economica. Teorie a confronto

L’espansione del ruolo del potere pubblico nella sfera di regolazione dei mercati trae le proprie origini all’interno di un contesto nel quale la libertà economica individuale non ha ricevuto le necessarie garanzie. Nel periodo Settecentesco, anche in campo economico, viene riconosciuto e rafforzato l’individualismo e il riconoscimento della libertà personale.

Diverse sono le teorie che si intersecano nel corso dei secoli. Le politiche economiche liberiste tendono verso l’eliminazione di ogni vincolo al libero dispiegarsi delle forze di mercato. Tracciano un ruolo il più possibile ristretto per lo Stato, la cui funzione deve essere quella di non intervenire o di agire il meno possibile nell’economia, dove devono spiccare gli “spiriti animali”

27

.

Tale posizione costituisce il fondamento delle teorie formulate da Adam Smith, il quale ritiene che nel mercato operi una “mano invisibile”, in virtù della quale l’interesse privato si trasforma in coinvolgimento collettivo.

Nessuno può portare a risultati migliori se non il mercato, che è capace di stabilire in modo continuo equilibri tra le forze in gioco

28

.

Secondo Smith da ciò si ravvisa come gli stessi economisti abbiano la tendenza a dimostrare la non indispensabilità del sovrano, per cui le forze spontanee del mercato possono garantire il buon funzionamento della vita associata.

Tale orientamento è stato da molti criticato, soprattutto quando si prende consapevolezza che esso richieda condizioni di concorrenza perfetta.

Smith, secondo parte della dottrina, era considerato l’iniziatore dell’economia politica e dello studio del mercato quale strumento di libertà economica

29

.

27 G. Rossi, Pubblico e privato nell’economia semiglobalizzata. L’impresa pubblica nei sistemi permeabili in competizione, in Riv. italiana di diritto pubblico comunitario, I, 2014, p. 39.

28 N. Stefano, Tragedie e commedie nel nuovo mondo dei beni comuni, in Riv. giuridica dell’ambiente, VI, 2013, p.

665.

29 G. Dioguradi, Antonio Genovesi e Adam Smith: alle origini dell’economia come scienza, in Economia e finanza, 1999, p. 28.

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Secondo altri egli avrebbe semplicemente compiuto un’esemplare sintesi di quanto era già stato elaborato in precedenza, senza introdurre alcuna innovazione in quella disciplina

30

.

Visse e operò nella stessa epoca di Adam Smith anche Antonio Genovesi, i cui dettami sono molto influenti in Italia tanto da essere tradotti in Europa e oltre-oceano. Entrambi sono fautori dell’idea per cui il mercato ha contribuito concretamente alla realizzazione di un mondo più egualitario e libero

31

.

Genovesi traccia una linea di equilibrio tra le regole poste dalle pubbliche autorità e la libertà privata di intraprendere, sostenendo come il commercio sia espressione di una legittima libertà che, comunque, non significa assenza di regolazione delle autorità “statali”, ma armonia con l’interesse pubblico

32

.

Una delle parole chiave dell’economia civile genovesiana è la “fede pubblica”, vista da Genovesi  oltre che dalla tradizione dell’economia civile

 come una vera e propria precondizione dello sviluppo economico, senza la quale le parti che costituiscono il suo edificio crollano

33

. Per questo, il mercato è per Genovesi una questione di fides.

Genovesi sostiene, inoltre, come il mercato debba essere concepito quale parte della realtà sociale, individuando la differenza tra la fiducia privata, ossia la reputazione, e quindi un bene privato che può essere speso sul mercato, e quella pubblica, che non consiste nella mera sommatoria delle reputazioni private, poiché contiene l’amore genuino per il bene comune. Si tratta di un concetto riconducibile a quello che i moderni teorici sociali chiamano social

30 J. A. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, Torino, Einaudi, 1972, p. 106.

31 L. Bruni, Alle origini della crisi. Genovesi. La rivincita dell’abate contro Adam Smith, in Avvenire.it, 2013, p. 1.

32 A. Genovesi, Lezioni di commercio o sia di economia civile, Bassano, Tipografia Remondiniana, 1803, pp.

244-245.

33 G. Filangeri, La scienza della legislazione, 1780, ed. critica a cura di V. Ferrone, Roma, Laterza, 2003, p.

93.

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capital, ossia il tessuto di fiducia e di virtù civili fa sì che lo sviluppo umano ed economico possa partire e conservarsi nel tempo

34

.

Genovesi sostiene inoltre che le uniche misure capaci di ledere la libertà di commercio siano l’istituzione di monopoli legali e la fissazione dei prezzi

35

.

Sul finire dell’Ottocento, all’antica rivendicazione del costituzionalismo liberale, si affianca una diversa nozione di tutela dell’impresa privata, quella della libertà del mercato come presupposto di liceità dell’iniziativa economica.

La realtà successiva al dirigismo fascista, invece, è concepita secondo l’ottica per cui lo Stato legittima l’intervento diretto in economia mediante la realizzazione di strutture quali l’IRI e attraverso l’accoglimento di una concezione protezionistica favorevole soltanto ad alcune grandi aziende

36

.

Friedrich von Hayek, illustre economista, si allinea al pensiero in auge nel Novecento, per cui, il liberismo lotta contro l’invadenza dell’iniziativa statale nel libero mercato, contro la forza e la coercizione dello Stato nei confronti della libera impresa. Anche Sartori conferma tale teoria, legittimando l’intervento dello Stato soltanto laddove si riveli necessario per ripristinare le condizioni di esistenza dello stesso

37

.

Tale concezione contrasta con quella fatta propria dalla Carta del lavoro fascista

38

, secondo la quale, lo Stato è legittimato a intervenire nella sfera economica nel momento in cui l’iniziativa privata si riveli non sufficiente, o laddove sopraggiunga la necessità di realizzare gli interessi politici dello Stato.

Pertanto, solo in linea di principio rimette alla libertà di iniziativa dei privati la produzione economica

39

.

34 L. Bruni, R. Sugden, Moral canals. Trust and social capital in the work of Hume, Smith and Genovesi, in Economics and philosophy, XVI , 2000, pp. 21-45.

35 A. Genovesi, Lezioni di commercio o sia di economia civile, cit., 1803, p. 248.

36 B. Ferri, Divagazioni di un civilista intorno alla Costituzione europea, in Europa e diritto privato, 2005, I, p. 19 ss.

37 G. Sartori, Democrazia. Cosa è, Milano, Rizzoli, 1993, p. 220 ss.

38 Gran Consiglio, Carta del Lavoro, 27 aprile 1927.

39 F. Galgano, Art. 41, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, Zanichelli, 1982, p. 13 ss.

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47

La libertà economica è, oggi, tutelata dall’articolo 16 della Carta di Nizza

40

, in cui è riconosciuta la libertà di impresa, in linea con quanto previsto dalle legislazioni nazionali e dal diritto comunitario, traendo le proprie basi, dalla proprietà e dall’iniziativa privata.

Nel Trattato di Maastricht, invece, l’azione degli Stati e della Comunità europea è ispirata ad una politica tesa alla realizzazione di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza

41

.

Il Trattato sul funzionamento dell’Ue, fin dall’origine stabilisce l’esistenza di quattro libertà fondamentali di tipo economico: di stabilimento, di circolazione delle merci, di capitali e di prestazione dei servizi

42

. La prima politica di liberalizzazione intrapresa dalla Comunità Europea consiste nell’azione pianificata diretta all’abolizione dei limiti delle libertà fondamentali, alla realizzazione di un mercato interno europeo quale spazio economico privo di frontiere

43

.

Nonostante tale orientamento, la libertà economica incontra delle restrizioni sia a livello comunitario, che nazionale, in particolar modo laddove l’agire contrasti con i principi fondamentali della Costituzione, la dignità umana e l’utilità sociale. Vincoli incombono anche laddove l’ostacolo sia contro disposizioni indispensabili per la salute umana, il patrimonio culturale e il paesaggio

44

.

Tali interventi richiedono di essere bilanciati quali garanzie di ulteriori valori enunciati dal legislatore in attuazione delle prescrizioni costituzionali, pertanto non possono essere considerate delle disposizioni di principio. Spetta, infatti, ai giudici e alle amministrazioni mediare

45

.

Nello specifico, la libertà economica di stabilimento delle imprese  e dei cittadini  incorre in una misura restrittiva laddove possa recare pregiudizio ad esigenze di carattere ambientale: ciò si giustifica sulla base di un

40 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 18 dicembre 2000, C- 364/01.

41 Trattato sull’Unione Europea, 29 luglio 1992, n. 191.

42 Rif. art. 28 ss. TFUE.

43 G. Amato, Il mercato nella Costituzione, in La Costituzione economica, Padova, 1997, p. 5 ss.

44 Rif. art 3, D.L. 138/2011.

45 Corte costituzionale, sentenza 20 luglio 2012, n. 200.

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motivo imperativo di carattere generale, incorrendo, comunque, in una sua negazione laddove il fine sia puramente economico

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. Si legittima l’apertura di un procedimento autorizzatorio per la delimitazione territoriale tesa alla realizzazione di un insediamento commerciale, considerando l’incompatibilità che si instaura con il principio della libertà di stabilimento.

La normativa nazionale sostiene la libertà di aprire esercizi commerciali senza limiti territoriali, contingentamenti o ulteriori vincoli, ad eccezione di quelli strettamente collegati alla tutela dei lavoratori, all’ambiente e alla salute.

Si riconosce, inoltre, il principio di organizzazione, di svolgimento delle attività economiche e della libertà di accesso, ad eccezione delle esigenze nelle quali si ammetta un interesse avente portata generale, rilevante dal punto di vista costituzionale e conforme all’ordinamento extra-nazionale

47

.

Altre restrizioni vigono in sfere della sicurezza e dell’ordine pubblico e vengono previste laddove si violino interessi generali individuati, quali la dignità umana, la sicurezza, l’utilità sociale e la salute, che non possono essere lesi aprioristicamente

48

. Stesso risultato contraddistingue le restrizioni che incorrono laddove si violi l’interesse collettivo alla tutela della salute

49

.

Da ciò, si evince come si profili la difficoltà  propria di ogni ordinamento democratico  , di determinare un confine al di là del quale il potere dei privati assuma una forza tale da divenire illecito e oltre il quale anche il potere pubblico sconfina e non è più legittimo.

L’intervento normativo si attiva verso la razionalizzazione della regolazione che rimuove, da un lato, gli impedimenti al libero esercizio delle attività economiche che si dimostrano sproporzionati e inutili, mantenendo, dall’altro, ciò che risulta conforme e posto a garanzia dell’utilità sociale

50

.

46 Corte Giustizia, Sez. Seconda, 24 marzo 2011, C-400/08.

47 Rif. artt. 31, comma 2 e 34, comma 2 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in L. 22 dicembre 2011, n. 214.

48 Consiglio di Stato, Sez. quinta, 30 giugno 2014, n. 3271.

49 M. C. Claudi, La tutela della salute umana e la tutela dell’ambiente centocinquant’anni dall’Unità d’Italia: una lunga storia non ancora conclusa, in Tendenze nuove, VI, 2011, pp. 499-452.

50 Corte costituzionale, sentenza 20 luglio 2012, n. 200.

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49

Altra questione si innesca tra i poli rappresentati dalla libertà di concorrenza e gli interessi sociali costituzionalmente rilevanti. I diritti sociali possono prevalere sulle libertà economiche, costituendone un legittimo ostacolo, solo nella misura in cui il loro esercizio, nella concreta fattispecie, rispetti il canone della proporzionalità, ovvero nella misura in cui le azioni collettive  così come ogni altra restrizione opposta ad ogni altra libertà economica  perseguano un interesse generale, siano adeguati a garantirne la realizzazione e non eccedano nel raggiungerlo

51

.

Spetta alla mediazione giudiziale assumere un ruolo decisivo, in mancanza di istanze politiche sufficientemente forti, nell’opera di bilanciamento tra le contrapposte esigenze economiche e solidaristiche

52

.

Le stesse istituzioni comunitarie hanno, dunque, esplicitamente dichiarato di volere promuovere la realizzazione di un ambiente interno- concorrenziale, riducendo la presenza pubblica ai soli casi nei quali si ravvisi la necessità di perseguire obiettivi sociali, circoscrivendo gli interventi che possano pregiudicare l’accesso ai mercati e le stesse libertà economiche.

Applicazioni pratiche di questi tentativi di bilanciamento sono riscontrabili del caso Viking, nel quale la Corte considera gli Stati quali soggetti competenti a disciplinare i diritti sociali e lo sciopero, previo rispetto del diritto comunitario, riconoscendo l’azione collettiva come diritto fondamentale

53

.

La Corte, aggiunge che per considerare giustificata tale azione occorre che essa sia effettivamente connessa all’obiettivo di tutela che si intende perseguire, e che sia necessario verificare la conformità dell’azione intrapresa e che questa non ecceda ciò che è necessario per conseguirla. In particolare, il giudice deve verificare che il sindacato si avvalga, anche concretamente e

51 A. Lo Faro, Diritti sociali e libertà economiche del mercato interno: considerazioni minime in margine ai casi Laval e Viking, in Lavoro e diritto, I, 2008, p. 66 ss.

52 U.Carabelli, A crucial challenge for the future of Social Rights in Europe: the protection of workers in front of the freedom to provide services, in EC. WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 2006, p. 15 ss.

53 Corte di Giustizia, Sez. Grande, sentenza 11 dicembre 2007, C- 438/05.

(15)

50

prima di innescare una certa azione collettiva, dei mezzi meno restrittivi della libertà di circolazione

54

.

Nella sentenza Laval, la Corte, affronta le stesse questioni teoriche della sentenza Viking

55

, ma stavolta sotto la lente della libera circolazione dei servizi, entrando nel merito della valutazione degli obiettivi e della proporzionalità dell’azione collettiva sulla scorta di una certa interpretazione della direttiva 96/71.

Tutto ciò, comunque, non dà origine ad un orientamento uniforme sulla questione: gli stessi esiti giurisprudenziali sottolineano le divisioni fra chi crede in una maggiore integrazione e chi ritiene che l’abolizione delle barriere nazionali e la tutela delle libertà economiche, sia solo un modo per aggirare o diminuire i diritti sociali tutelati a livello nazionale

56

.

4. La grande espansione della regolamentazione pubblica nell’economia e il ruolo rivestito dalle pubbliche amministrazioni

Sul finire dell’Ottocento si assiste ad un allargamento progressivo dell’estensione della base sociale dello Stato che da espressione della sola borghesia  cosiddetto Stato monoclasse  diviene “pluriclasse”.

Se l’aspetto positivo dello Stato monoclasse è quello di essere dotato di una struttura coesa per cui gli organi amministrativi e pubblici sono fortemente collegati, tale assetto cambia totalmente con l’avvento dello Stato pluriclasse, in quanto si assiste alla formazione di un ente esponenziale di una collettività, formata da un popolo che lo costituisce.

Nello Stato borghese questa coesione è rafforzata dall’assenza totale di altri pubblici poteri di rango proprio: vi sono, le unioni amministrative internazionali che sono appena apparse, le quali  anche se scarsamente incidenti  quando deliberano richiedono la volontà attuativa da parte degli

54 M. V. Ballestrero, Le sentenze Viking e Laval: la Corte di Giustizia “bilancia” il diritto di sciopero, in Lavoro e diritto, XXII, 2008, pp. 383-384.

55 Corte di Giustizia, Sez. Grande, sentenza 18 dicembre 2007, C-341/05.

56 M.Monti, Una nuova strategia per il mercato unico. Al servizio dell’economia e della società europea. Rapporto al Presidente della Commissione europe Josè Manuel Barroso, 2010, p. 75 ss.

(16)

51

Stati, e allo stesso tempo, la Comunità internazionale che non ha un’organizzazione propria.

I principi che fondano tale tipologia di Stato sono quelli dell’astensionismo da parte dei pubblici poteri, sia nella sfera sociale sia economica, mentre spettano all’autorità statale le mansioni riconducibili alla difesa, alla polizia e alla potestà esterna, alla giurisdizione e all’ordinamento giudiziario.

Il passaggio ad una visione pluralista fa sì che gli operatori economici siano quindi condizionati nelle loro condotte sul mercato dall’azione amministrativa esercitata dai soggetti pubblici. Questi sono espressione dei poteri statali e possono avvalersi sia di strumenti di natura negoziale sia di istituti tipici del diritto amministrativo, quale espressione del potere autoritario e unilaterale

57

.

Ruolo centrale viene a essere svolto dalle amministrazioni pubbliche, nei confronti delle quali gli stessi giudici esercitano una funzione di controllo, sia su iniziativa delle parti, sia di regolazione diretta

58

.

È necessario muovere, inoltre, dal presupposto che non vi sia una definizione unitaria di amministrazione pubblica, considerando che sono diversi i criteri in base ai quali questo può essere definito o enumerato, per cui non si può parlare di un elenco chiuso

59

.

A livello nazionale, si intende per amministrazione pubblica la generalità dei “comparti” statali, ovvero le aziende ed amministrazioni ad ordinamento autonomo, compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le Regioni, le Province, i Comuni, le comunità montane e i loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale. A questo elenco si

57 G. F. Ferrari, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Egea, 2010, pp. 176-177.

58 M. D’Alberti, Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, cit., p. 28.

59 S. Romano, Corso di diritto amministrativo. Principi generali, Padova, Cedam, 1937, p. 90 ss.

(17)

52

aggiungono  a seguito della L. 15 luglio 2002 n. 145  l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300

60

.

La Corte di giustizia elabora, da parte sua e in via interpretativa, la nozione europea di pubblica amministrazione

61

. Una nozione cosiddetta a

“geometria variabile”

62

, il cui contenuto muta a seconda delle finalità dell’ordinamento europeo e dell’ambito di riferimento . Non può essere diversamente, se si tiene conto del fatto che il continuo processo di cambiamento, cui sono sottoposti i poteri pubblici nazionali, quale causa della perdita dell’ancoraggio statale e delle intersezioni sempre più frequenti con i poteri privati, rende molto difficile una definizione puntuale del loro assetto e dello spazio entro il quale questi si muovono

63

.

La definizione di pubblica amministrazione elaborata dalla giurisprudenza comunitaria si inserisce nella materia della libera circolazione dei lavoratori. A tal proposito, il Trattato dispone che tale libertà non vige per gli impieghi nell’amministrazione pubblica

64

. Al fine di definire in modo restrittivo tale esclusione e, quindi, di facilitare la circolazione delle persone, la giurisprudenza asserisce come essa presenti due aspetti, ossia la tutela di interessi generali dello Stato o, di altre collettività pubbliche, e l’esercizio di poteri pubblici.

60 Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

61 E. Malaret-J. Ferret, El desenvolupament del dret administratiu europeu, Barcellona, 1993, p. 55 ss.; J. A.

Moreno Molina, Le distinte nozioni comunitarie di amministrazione pubblica, in Riv. diritto pubblico comunitario, 1998, p. 651 ss. e M.P. Chiti, The Ec notion of Public Administration: The Case of the Bodies Governed by Public Law, in European Public Law, 2002, p. 473 ss.

62 S. Cassese, Diritto amministrativo comunitario e diritti amministrativi nazionali, M.P. Chiti e G. Greco, (a cura di), in Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, Cedam, 1997, p. 9; G. della Cananea, C.

Franchini, I principi dell’amministrazione europea, Torino, Einaudi, 2010, p. 36.

63M. S. Giannini, I pubblici poteri negli Stati pluriclasse, in Riv. trimestrale diritto pubblico, I, 1979, p. 404;

S. Cassese, Quattro paradossi sui rapporti tra poteri pubblici e autonomie private, in Riv. trimestrale diritto pubblico, II, 2000, p. 389; L. Torchia, Diritto amministrativo, potere pubblico e societa` nel terzo millennio o della legittimazione inversa, S. Battini, G. D’Auria, G. della Cananea, C. Franchini, A. Massera, B.G. Mattarella, G. Napolitano, A. Sandulli, L. Torchia, G. Vesperini (a cura di), in Il diritto amministrativo oltre i confini, Milano, 2008, pp. 45-62; G. Della Cananea, I pubblici poteri nello spazio giuridico globale, in Riv. trimestrale diritto pubblico, 2003, I, p. 1.

64 Art. 39, IV Trattato CE.

(18)

53

Se, quindi, l’impiego riguarda le amministrazioni volte all’esercizio dei pubblici poteri e la tutela degli interessi generali dello Stato o degli enti pubblici  si pensi ai compiti di difesa, di ordine pubblico, di imposizione fiscale  questo può essere riservato ai cittadini. L’eccezione alla libera circolazione, invece, non opera se il rapporto di lavoro riguarda i servizi svolti da soggetti pubblici, che sono «distanti dalle attività specifiche della pubblica amministrazione», come ad esempio nei campi dell’istruzione, della ricerca, della sanità, dei trasporti, delle comunicazioni, delle fonti di energia, della cultura

65

.

Dal punto di vista storico, la pubblica amministrazione sorge nel momento in cui l’assetto amministrativo di un ordinamento generale ad appartenenza necessaria assume rilevanza giuridica separata. Vi si assiste nel momento in cui, negli Stati moderni, si diffonde il principio della separazione dei poteri, che dà origine a una divisione di complessi organizzativi

66

. Per effetto di tale separazione, inizia a qualificarsi come pubblica amministrazione

«il complesso costituito dalla Corona, dall’organo dal governo e, infine, dagli uffici esecutivi e ausiliari

67

».

In Italia, a metà del XIX secolo, l’amministrazione pubblica viene a coincidere con il Governo, considerando che la sua funzione resta ambigua all’interno delle prerogative sovrane. Soltanto alla fine dell’Ottocento si afferma quello spazio istituzionale specifico dell’amministrazione che caratterizza lo Stato amministrativo

68

, nel quale la pubblica amministrazione si interpone tra il governo e la società e acquista in tal modo un proprio Statuto normativo che ne garantisce l’autonomia dall’uno e dall’altra

69

.

La pubblica amministrazione si propone quale organizzazione ordinata intorno al governo di uno Stato accentrato, in cui esistono pochi ministeri di delimitate dimensioni e un sistema di enti pubblici territoriali, quali i comuni e le province, privi di sostanziale autonomia . Questo assetto entra in crisi già

65 Corte di giustizia CE, 2 luglio 1996, cause n. 173/94, 473/93, 290/94.

66 G. Napolitano, Pubblica amministrazione in Italia, cit., p. 1.

67 M.S. Giannini, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, cit., pp. 35-60.

68 S. Cassese, La formazione dello Stato amministrativo, Milano, Giuffrè, p. 53 ss.

69 L. Mannori, B. Sordi, La formazione dello Stato amministrativo, Milano, Laterza, p. 15 ss.

(19)

54

all’inizio del Novecento, per cui l’amministrazione verrà ad occuparsi, non solo di difesa, ordine pubblico e politica estera, ma di previdenza sociale, di tutela sanitaria, di garanzie nel rapporto di lavoro, di sussidi in caso di calamità, di interventi economici per le zone depresse

70

.

Con il costituirsi dei poteri sovranazionali si abbandona definitivamente l’originario ancoraggio allo Stato. Questi, da un lato, si muniscono di propri apparati amministrativi che acquisiscono gradualmente autonoma rilevanza giuridica e operano, anche nei confronti dei terzi, secondo un proprio corpo di regole; dall’altro, stabiliscono un vincolo funzionale nei confronti delle amministrazioni degli Stati, che sono in questo modo subordinate a un duplice dovere di lealtà . Le autorità di tali amministrazioni internazionali, possono gestire tanto in misura totale o parziale, quanto sostanziale e strumentale, le diverse questioni corrispondendo le decisioni agli Stati che si limitano a darne applicazione nel loro ambito

71

.

Si determina, a livello nazionale, un aumento della dimensione dei pubblici poteri, che si concretizza attraverso l’accrescimento degli organi centrali e locali, diretti e indiretti, dello Stato. Sorgono, inoltre, nuove e sempre più elaborate specie di enti pubblici, che sono preposti anche a funzioni imprenditoriali

72

.

A ciò si aggiungono, inoltre, l’incremento dei poteri propriamente amministrativi della Commissione europea e la realizzazione di un articolato sistema di agenzie

73

. Si crea, dunque, un sistema di diritto amministrativo europeo che governa l’azione e, in misura crescente, l’organizzazione sia delle istituzioni comunitarie sia di quelle nazionali chiamate ad applicare le norme e gli indirizzi emanati dalle prime

74

.

70 M. Nigro, Scritti giuridici, Milano, Giuffrè, 1996, p. 1843 ss.

71 G. Napolitano, Pubblica amministrazione in Italia, cit., 2009, pp. 1-2.

72 Id., Pubblica amministrazione in Italia, cit., 2009, p. 4.

73 G. Della Cananea, L’Unione Europea. Un ordinamento composito, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 117 ss.

74 M. P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, Giuffrè, 2013, p. 125 ss.

(20)

55

L’evoluzione dei modelli organizzativi e funzionali delle istituzioni mondiali, ha portato alla graduale creazione di vere e proprie amministrazioni senza Stato

75

.

Si tenta, quindi, di predisporre un ordine proprio della società internazionale così come globalmente intesa, in cui gli enti che ne rappresentano l’articolazione organizzativa entrano in relazione non soltanto con gli Stati ma anche con i soggetti privati. Tali rapporti sono regolati da un

 seppur embrionale , “diritto amministrativo globale” in cui si ritrovano la dimensione fondamentale della discrezionalità, il contemperamento fra diversi interessi, il controllo sulla ragionevolezza di tali ponderazioni e la partecipazione dei soggetti pubblici e privati

76

.

Altri soggetti che influenzano i comportamenti degli agenti economici sono le imprese a partecipazione statale o comunale,  quelle cioè che erogano servizi pubblici, ma anche le finanziarie regionali  e (non per ultime) le autorità amministrative indipendenti

77

.

Se nello Stato monoclasse le attribuzioni costituzionali sono indistinte rispetto a quelle, amministrative, di delibazione e coordinamento che le stesse leggi affidano loro e che vedono quale organo centrale il Consiglio dei ministri, nello Stato pluriclasse la necessità è stata quella di realizzare organi, locali o centrali, di raccordo e coordinamento

78

.

Sorgono man a mano i comitati interministeriali, i quali svolgono funzioni consultive e possono predisporre deliberazioni con valore decisionale, tra cui si annovera il Comitato per la programmazione economica (CIPE)

79

,

75 S. Battini, Amministrazioni senza Stato. Profili di diritto amministrativo internazionale, Milano, 2003, p. 48.

76 S. Cassese, Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003, p. 46 ss.

77 F. Ferrari, diritto pubblico dell’economia, Milano, Egea, 2010, p. 177.

78 F. Ricco, A. Caruso, S. Vaccaro, Il capitalismo regolato statualmente. Antologia regionata del dibattito internazionale sullo Stato, Milano, F. Angeli, 1984, p. 53 ss.

79 Il CIPE fu istituito nel 1967 ed è dotato di rilavante importanza decisionale in ambito economico e finanziario, si riunisce periodicamente per coordinare le decisioni in materia di politica economica a livello nazionale, comunitario e internazionale, determinando quali siano i provvedimenti da adottare per il pervenire al raggiungimento dei principali obiettivi di politica economica. Tra le decisioni più importanti di competenza del CIPE si annoverano quelle inerenti l’allocazione delle risorse finanziarie ai programmi e ai progetti di sviluppo e l’approvazione delle principali iniziative di investimento pubblico del Paese.

(21)

56

quale organo collegiale del Governo presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composto dai 13 dicasteri. Al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR)

80

, si aggiungono i grandi corpi amministrativi come il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, l’Avvocatura generale dello Stato

81

.

Altro ente rappresentativo degli interessi pubblici è costituito dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL)

82

, organo prevalentemente consultivo del Governo, delle Camere e delle Regioni nei settori di lavoro ed economia, con funzioni anche di carattere legislativo

83

.

Nello specifico, un ruolo comunque centrale nel sistema economico nazionale è riconosciuto al Governo, il quale ottiene la fiducia del Parlamento, in relazione ad uno specifico programma economico-politico. Gli strumenti che il Governo adotta per predisporre tale politica economica a livello nazionale includono, in generale, molte tipologie di atti amministrativi e progetti di legge da presentare al Parlamento

84

. Importante è il documento di economia e finanza (D.E.F.), per cui le linee guida contenute all’interno del documento vincolano lo stesso Parlamento sulle questioni economico- finanziarie, in tema di indebitamento pubblico e in relazione all’approvazione del bilancio.

A livello nazionale, il centro della pubblica amministrazione è composto dagli apparati “serventi” il potere esecutivo, i Ministeri. Essi sono uffici complessi, dotati di personale e mezzi propri che operano in settori d’intervento omogenei.

80 Il CICR è un organo collegiale di Governo istituito nel 1947, presieduto dal Ministro dell’economia e delle finanze, dal Ministro delle attività produttive, dal Ministro per le politiche agricole e forestali, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio. Il CICR è l’autorità creditizia con compiti di alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio, di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria. Esso delibera, sulla base delle proposte dalla Banca d’Italia, sulle misure di politica monetaria e creditizia finalizzate alla realizzazione degli obiettivi di politica economica del Governo.

81 G. di Plinio, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Giuffrè, 1998, p. 303 ss.

82 Istituito con L. 33/1957 e ridisciplinato con L. 936/198.

83 Rif. art. 99 Costituzione.

84 P. Calandra, Il governo della Repubblica, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 15 ss.

(22)

57

Nell’ordinamento italiano, a capo dell’apparato amministrativo vi è il Presidente del Consiglio dei Ministri

85

, a cui si affianca il Consiglio di Gabinetto, collegio con funzioni di ausilio e che annovera tra i suoi membri i Ministri con competenze nella sfera economica

86

.

I Ministeri si distinguono in base al tipo di funzioni, alle soluzioni strutturali, interne e periferiche, alle dimensioni e alla disciplina

87

. In materia di governo dell’economia, importante è il ruolo rivestito dal Ministero dell’economia e delle finanze

88

e quello dello Sviluppo Economico

89

, ai quali si affianca l’attività della Ragioneria dello Stato che supervisiona le uscite delle amministrazioni e redige la bozza del bilancio statale che dovrà essere approvata dal Governo e quindi dal Parlamento

90

.

Notevole rilevanza deve essere riconosciuta anche agli enti locali non territoriali, come le camere di commercio, agricoltura, artigianato e industria (CCIAA)

91

oltre agli ordini e collegi professionali

92

. Altri soggetti nazionali non

85 Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha il compito di mantenere l’unità d’indirizzo amministrativo e politico, coordina l’attività dei ministri e dirige la politica generale governativa, assume la posizione di responsabile per la realizzazione del programma politico-economico presentato dal Parlamento con la fine di ottenerne la fiducia. In G. Pitruzzella, Il Presidente del Consiglio dei Ministri e l’organizzazione del Governo, Padova, Cedam,1989, p. 75 ss.

86 F. Bagnai, Il Consiglio di Gabinetto: problemi di compatibilità con la Costituzione, analogie e differenze con i comitati di ministri ed i comitati interministeriali, in Diritto e Società, II, p. 227 ss.

87 D. Serrani, L’organizzazione per ministeri. L’amministrazione centrale dello Stato nel periodo repubblicano, Roma, Officina edizioni, 1979, p. 160 ss.

88 Le competenze del Mistero si estendono alla materia tributaria, alle politiche fiscali, di bilancio, economica, finanziaria, oltre agli aspetti concernenti la programmazione e investimenti pubblici.

Questioni più settoriali sono quelle riguardanti il catasto e le dogane, oltre che la gestione della spesa pubblica. Rif. D.lgs 300/99 recante la riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

89Sono conferiti al Ministero dello Sviluppo economico compiti relativi alla vigilanza, indirizzo e programmazione nei settori commerciali, servizi e assicurazioni, la delocalizzazione e internazionalizzazione dei comparti produttivi nazionali. Altre funzioni sono quelle relative la gestione del Fondo per le aree sottoutilizzate, al netto delle funzioni di programmazione economica finanziaria

“non ricomprese nelle politiche di sviluppo e di coesione, fatto salvo quanto previsto dal comma 19- bis del presente articolo”89, e per le funzioni della segreteria del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), la quale è trasferita alla Presidenza del Consiglio dei Ministri,

“con le inerenti risorse finanziarie, strumentali e di personale.”

90 Rif. L. 233/2006, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri.

Delega al Governo per il coordinamento delle disposizioni in materia di funzioni e organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri.

91 Rif. alla L. 580/1993 modificata da D.lgs 23/2010 in esecuzione della delega concessa al Governo dall’Art. 53 L. 99/2009.

92 Le CCIAA garantiscono in prevalenza la valorizzazione del sistema dell’economia locale e dell’impresa, esercitano funzione di arbitrato e conciliazione, tengono il Registro delle imprese. In M.

Giusti, Fondamenti di diritto pubblico dell’economia, Milano, Cedam, 2013, p. 15.

(23)

58

economici, operanti attraverso atti di tipo amministrativo, possono adoperarsi, seppur indirettamente, in faccende economiche, tra di essi si contano: l’INPS, l’INAIL, l’Aeroclub d’Italia, i Consigli Nazionali degli Ordini professionali, la Lega Navale, l’ETI, l’ACI

93

.

Assumono, inoltre, la denominazione di Agenzie i cosiddetti Enti pubblici nazionali i quali si occupano dell’amministrazione dal punto di vista economico, tra di essi si annoverano: il CONI, la Croce Rossa Italiana, il SIAE, il Club Alpino Italiano.

Ciò che si viene a costituire è, quindi, un fenomeno reticolare, caratterizzato da un insieme di soggetti e da un’ingente varietà di centri decisionali, in cui tutti contribuiscono alla gestione del sistema, avendo realizzato un assetto di governo e potere definibile come policentrico.

Ciò, insieme all’evolvere delle amministrazioni non può però sfociare in un complesso infinto di microrganismi sovrani. Infatti, non tutti gli elementi costitutivi del pluralismo hanno la stessa “importanza”, razionalità e legittimazione innanzi alla sfera economica

94

.

5. Riconoscimenti costituzionali della libertà d’impresa privata

Benché l’emersione di un concetto autonomo di attività economica debba farsi risalire al periodo compreso tra il XVIII e il XIX secolo, in concomitanza con il consolidarsi di economie di scambio e lo sviluppo di traffici mercantili, sono comunque residuali le Costituzioni dell’Ottocento che accolgono un’esplicita tutela dell’iniziativa economica. Gli stessi padri costituenti del 1946 intendono quindi, sulla stessa linea degli altri testi costituzionali, affermare il riconoscimento autonomo della libertà di iniziativa economica privata che in Italia si realizza con la Carta del lavoro del 1927

95

.

Gli interventi da parte dello Stato possono essere classificati come diretti, per quanto riguarda quelli attuati da parte dell’organo centrale, che

93 Id., Fondamenti di diritto pubblico dell’economia, cit., pp. 40-41.

94 G. Di Plinio, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Giuffrè, p. 201-204.

95 Gran Consiglio, Carta del Lavoro, 27 aprile 1927, in G. F. Ferrari, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Egea, 2010, p. 52 ss.

(24)

59

assume la veste di imprenditore, di proprietario, di erogatore dei servizi; e indiretti ove questo Stato assuma un ruolo di indirizzo e controllo dell’economia privata

96

.

Il rapporto tra Stato e mercato muta le proprie coordinate in base al bilanciamento cui si perviene, di volta in volta, tra i termini essenziali del diritto pubblico dell’economia, con riferimento alle distinte fasi che si sono alternate nel corso del tempo.

Per quanto riguarda l’Italia, la Costituzione repubblicana del 1948 si propone quale novità nella regolamentazione stessa. Se la determinazione di vincoli all’esercizio delle attività produttive è prerogativa antica dei pubblici poteri, quanto disposto a livello costituzionale pone precisi limiti alla possibilità degli stessi, di produrre i propri effetti sull’attività economica privata

97

.

Occorre riflettere su un altro aspetto, ossia se dal quadro costituzionale emerga, un modello coerente di economia sociale di mercato o a economia mista. Sono due le visioni concorrenti: una che accentua la presenza della parte pubblica e l’altra si mostra maggiormente prodiga al riconoscimento della libertà economica e alle forze di mercato. Un modello, quindi, nettamente distinto da quello fatto proprio dallo Stato liberale in cui l’iniziativa economica privata e la stessa proprietà sono considerate diritti inviolabili che non possono essere oggetto di limitazioni e restrizioni. È opinione oggi diffusa che l’art. 41 della Costituzione configuri un sistema di economia mista, nel quale convivono sia soggetti pubblici che privati, senza che si possano eliminare completamente gli uni o gli altri

98

.

Ulteriore questione interpretativa sulla quale parte della dottrina ha concentrato la propria attenzione è stata l’individuazione dell’iniziativa economica privata. Parte di essa afferma, infatti, che vi rientrano le sole attività

96 S. Cassese, La nuova costituzione economica, Roma- Bari, Laterza, 2000, p. 28.

97 G. F. Ferrari, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Egea, 2010, p. 41.

98 A. Baldassarre, Libertà di iniziativa economica privata, in Enc. Treccani, XXIII, Roma, Ist. Enc. It., 2009, p. 2 ss.

(25)

60

di impresa

99

mentre, secondo altri, vi sarebbero da includere tutti gli atti che perseguono un obiettivo economicamente rilevante

100

.

La libertà economica privata presuppone, inoltre, il riconoscimento  oltre che della proprietà privata e della libertà contrattuale  di altri diritti degli stessi privati e configura rispetto a essi un quid pluris, dato dall’utilizzazione congiunta di un insieme di diritti e di libertà per l’esercizio funzionale della produzione o dello scambio di beni o servizi.

Le norme costituzionali in materia economica sono gli artt. 41 e 43  per quanto riguarda l’impresa  e l’art. 42 relativo alla proprietà

101

.

L’art. 41 della Costituzione oltre a circoscrivere il rapporto fra l’iniziativa economica e l’intervento dei poteri pubblici, può essere considerata una delle norme sulle quali trova giustificazione l’intervento dello Stato nel settore economico

102

.

All’art. 41, I comma dispone che l’iniziativa economica privata è libera.

Tale libertà si sostanzia nella possibilità dei privati di utilizzare le risorse umane e materiali, oltre che nella libertà di decidere che cosa, come, quanto e dove produrre

103

.

Inoltre, in dottrina si è discusso se si debbano ritenere coincidenti l’iniziativa economica di cui all’art. 41, I comma, e lo svolgimento pratico della stessa attività privata. La Corte Costituzionale ha dunque sposato una lettura unitaria di tale disposizione, aggiungendo che la garanzia predisposta dal primo comma ha quale riferimento non solo la fase iniziale di scelta, ma anche i conseguenti momenti concernenti lo svolgimento

104

.

Più in generale, se nelle Costituzioni di età liberale, l’iniziativa economica  e la proprietà  sono concepite quali diritti inviolabili che trovano la propria concretizzazione mediante l’estensione del potere statale,

99 F. Galgano, Art 41, cit., p. 18 ss.

100 Corte Costituzionale, Sez. Unica, 26 gennaio 1957, n. 29.

101 Disposizioni contenute nel titolo III  rapporti economici , parte I della Costituzione.

102 M. Aragiusto, Dinamiche e regole della concorrenza, Padova, Cedam, 2006, pp. 20-21.

103L. Mezzetti, Costituzione economica e libertà di concorrenza, modelli a confronto, Torino, Giappichelli, p. 24 ss.

104 Corte Costituzionale, Sez. Unica, 8 aprile 1965, n. 30.

(26)

61

oggi, la nostra Carta fondamentale “de-assolutizza” questi diritti, sottoponendoli a determinati controlli

105

.

Da ciò emerge come l’autonomia economica privata non costituisca un diritto fondamentale. Infatti, all’art. 41, II comma viene prevista una riserva di legge esplicita, che costituisce una sorta di norma in bianco il cui completamento è appannaggio del legislatore.

Tale teoria ha trovato conferma nella giurisprudenza costituzionale che immediatamente individua una chiara ispirazione unitaria, per cui la riserva di legge stessa rappresenta una costante

106

, deducibile dai principi generali informatori dell’ordinamento democratico

107

. Altra parte dalla dottrina ha, invece, ravvisato l’immediata precettività delle disposizioni costituzionali rilevanti

108

. Da ciò risulta come la stessa Corte costituzionale non abbia delineato espressamente il significato da attribuire alla clausola in riferimento

109

. In ogni caso, tali principi sono manifestazione di valori costituzionalmente rilevanti, come il diritto alla sicurezza, comprensivo anche di quello alla salute (art. 32 Cost.), quello alla dignità sia dei consumatori che dei lavoratori (art 35 Cost.), e non per ultimo il diritto alla libertà (art. 13 Cost.).

La disposizione costituzionale prosegue, inoltre, enunciando la possibilità di elaborare norme che provvedano alla predisposizione dei programmi e dei controlli necessari affinché l’attività economica privata e pubblica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Tale disposizione vieta quindi modalità che possano collidere con i valori individuati, non inserendo però, né un sindacato sul merito dell’impresa, né un sindacato sugli scopi perseguiti

110

.

Approfondendo la questione, la giurisprudenza ha inoltre tracciato la sfera di operatività dell’utilità sociale.

105 L. Mezzetti, Costituzione economica e libertà di concorrenza, modelli a confronto, cit., p. 24 ss.

106 Corte Costituzionale, Sez. Unica, 23 maggio 1964, n. 40.

107 Corte Costituzionale, Sez. Unica, 14 febbraio 1962, n. 4.

108 C. Esposito, I tre commi dell’art. 41 della Costituzione, in Giurisprudenza costituzionale, 1962, p. 31 ss.

109 Corte Costituzionale, Sez. Unica, 7 marzo 1964, n. 14.

110 N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 54 ss.

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