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1.1 Il rischio sismico

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8 CAPITOLO 1 - Analisi della sismicità

1.1 Il rischio sismico

Per rischio sismico si intende la probabilità che, in un certo sito, un livello prefissato di perdite, in ordine di vittime e danni diretti e indiretti, causate da terremoti sia superato entro un dato periodo di tempo. Il rischio sismico è legato, quindi, anche agli effetti oltre che alla pericolosità.

Si possono fare alcune osservazioni:

- Per effetto di questa definizione, il rischio è una grandezza cumulativa, cioè mette in conto le perdite complessive generate dai terremoti che si verificano in un certo periodo di tempo, eventualmente riportate su base annua;

- Il rischio sismico è legato sia al fenomeno fisico naturale che alla presenza antropica sul territorio.

In conseguenza, la determinazione del rischio è legata a tre fattori:

1. Pericolosità: esprime la probabilità che, in un certo intervallo di tempo, un’area sia interessata da terremoti che possono produrre danni. Dipende dal tipo di sisma, dalla distanza tra l’epicentro e la località interessata nonché dalle condizioni geomorfologiche. La pericolosità è indipendente e prescinde da ciò che l’uomo ha costruito;

2. Esposizione: è una misura dell’importanza dell’oggetto esposto al rischio in relazione alle principali caratteristiche dell’ambiente costruito. Consiste nell’individuazione, sia come numero che come valore, degli elementi componenti il territorio o la città, il cui stato, comportamento e sviluppo può venire alterato dall’evento sismico (il sistema insediativo, la popolazione, le attività economiche, i monumenti, i servizi sociali);

3. Vulnerabilità: consiste nella valutazione della possibilità che persone, edifici o attività subiscano danni o modificazioni al verificarsi dell’evento sismico.

Misura da una parte la perdita o la riduzione di efficienza del fabbricato,

dall’altra la capacità residua a svolgere ed assicurare le funzioni che il

sistema territoriale nel suo complesso esprime come condizioni normali. Ad

esempio nel caso degli edifici la vulnerabilità dipende dai materiali, dalle

caratteristiche costruttive e dallo stato di manutenzione ed esprime la loro

resistenza al sisma.

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9 1.2 Rischio sismico in Italia

L’Italia è caratterizzata da un’intensa attività vulcano – tettonica (endogena) che si esplica attraverso eruzioni vulcaniche e terremoti. In termini geodinamici questi fenomeni si spiegano per la presenza di una grande linea di subduzione lungo la quale la zona africana scorre al di sotto di quella europea. Nel mediterraneo tale linea passa per Cipro, compie un arco nel Mar Egeo, raggiunge le isole Ioniche, continua lungo il bordo occidentale dell’Adriatico, passa lungo la linea Insubrica, per ridiscendere lungo il bordo occidentale dell’Adriatico e, attraverso la fossa del Bradano, raggiunge lo Ionio, dove continua verso sud – ovest lungo il margine meridionale della Sicilia e lungo il fronte della Catena Kabilo – Maghrebide in Nord Africa, fino ad arrivare al Rif marocchino.

Tale processo di sovrascorrimento di Europa su Africa ha anche determinato, nelle zone di retro catena, l’apertura di bacini estensionali, di cui il Tirreno rappresenta l’esempio più importante.

Secondo la normativa attuale, il territorio italiano è interamente soggetto a rischio sismico; infatti la penisola è geologicamente “giovane” e presenta una tettonica molto attiva. I due orogeni principali, le Alpi e gli Appennini, sono in continuo movimento.

Gli Appennini si spostano verso est – nordest di alcuni centimetri l’anno, mentre le Alpi si sollevano di alcuni millimetri l’anno.

Figura 1.1: Zone sismogenetiche nel bacino mediterraneo (fonte: INGV)

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Le zone maggiormente critiche si concentrano lungo la dorsale appenninica (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano, Irpinia), al Meridione in Calabria e Sicilia e in alcune zone settentrionali tra cui il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Solo la Sardegna e la Puglia hanno una sismicità piuttosto bassa e quindi non rilevante come mostrato dalla mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale.

Figura 1.2: Zone sismogenetiche in Italia (fonte: INGV)

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Ogni giorno la penisola italiana è interessata da numerosi terremoti, sebbene la maggior parte di essi non sia percepibile dall'uomo. In 2500 anni, si sono verificati più di 30000 terremoti di media e forte intensità superiore al IV-V grado della scala (MCS) e da circa 560 eventi sismici di intensità uguale o superiore all’VIII grado.

Solo nel XX secolo, ben 7 terremoti hanno avuto una magnitudo uguale o superiore a 6,53 , tra cui quelli a Messina e Reggio Calabria (1908), a Avezzano e Marsica

(1915), in Lunigiana e Garfagnana (1920), in Irpinia (1980) e nelle Marche (1997).

In ultimo si ricordano i terremoti in Abruzzo nel 2009, che ha raggiunto magnitudo superiore a 6, ed in Emilia Romagna nel 2012 in cui si è registrata una magnitudo massima pari a 5.9.

Figura 1.3: Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale espressa in termini di accelerazione massima del suolo con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni (fonte:INGV)

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12 1.2.1 Misura strumentale del moto sismico

La misura dell’attività sismica è effettuata tramite accelerometri (analogici o digitali) che misurano e registrano l’accelerazione del terreno; l’accelerogramma è il risultato della registrazione durante un evento sismico.

Elaborando i dati accelerometrici, si possono ottenere le serie temporali e di spostamento (per integrazione e coppia di integrazione).

Il controllo dell’attività sismica su tutto il territorio nazionale e nelle regioni limitrofe è svolto dall’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) attraverso una rete di sensori collegati in tempo reale al Centro di acquisizione dati di Roma. Lo scopo di tale controllo è duplice:

- Comunicazione tempestiva agli organi di Protezione Civile della localizzazione e dell’entità di ogni evento sismico;

- Produzione di informazioni scientifiche di base (localizzazione ipocentrale, meccanismo focale, magnitudo) per una migliore conoscenza dei fenomeni sismici, con particolare riguardo alla comprensione dei processi sismogenetici della penisola italiana.

La RAN (Rete Accelerometrica Nazionale) è una rete di monitoraggio che registra la risposta del territorio italiano al terremoto, in termini di accelerazioni del suolo.

I dati prodotti permettono di descrivere nel dettaglio lo scuotimento sismico nell’area dell’epicentro, consentono di stimare gli effetti attesi sulle costruzioni e sulle infrastrutture, sono utili per studi di sismologia e di ingegneria sismica e possono contribuire a definire l’azione da applicare nei calcoli strutturali per la ricostruzione.

La RAN è distribuita sull’intero territorio nazionale, con maggiore densità nelle zone ad alta sismicità. La rete è gestita da personale specializzato del Servizio di Monitoraggio Sismico del Territorio – Ufficio Rischio Sismico e Vulcanico del Dipartimento della Protezione Civile.

La RAN attualmente è costituita da 503 postazioni digitali provviste di un accelerometro, un digitalizzatore, un modem/router con un’antenna per trasmettere i dati digitalizzati via GPRS ed un ricevitore GPS per associare il tempo universale UTC e per misurare la latitudine e longitudine della postazione.

Di queste 503 postazioni, 194 sono inserite all’interno di cabine di trasformazione

elettrica di Enel Distribuzione e 309 sono posizionate su terreni di proprietà pubblica

(dati aggiornati a febbraio 2012). I dati affluiscono al server centrale della RAN nella

sede del Dipartimento della Protezione Civile, dove vengono acquisiti ed elaborati in

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maniera automatica per ottenere una stima dei principali parametri descrittivi della scossa sismica.

Figura 1.4: Mappa delle distribuzione delle stazioni accelerometriche sul territorio nazionale (fonte: Protezione Civile)

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14 1.2.2 La classificazione sismica italiana

Il territorio italiano viene classificato dal punto di vista sismico per verificare la pericolosità dei siti e per definire le azioni sismiche di progetto.

Se si prende in esame ciò che è successo nel secolo scorso, ci si rende conto come fino agli anni ottanta i provvedimenti di classificazione abbiano inseguito gli eventi, piuttosto che prevenirli. E’ risaputo infatti che il terremoto è un evento raro, che si manifesta in maniera periodica, con intervalli di ritorno degli eventi più significativi di qualche secolo.

Nel 1908 si verificò il terremoto di XI grado (MCS) a Reggio Calabria e Messina e si avviò una prima classificazione sismica del territorio con l’introduzione della Normativa tecnica edilizia sismica; successivamente nel 1915 si verificarono altri terremoti in area dell’Etna (X MCS) e nella Marsica (XI MCS) e da qui nacque l’esigenza di inserire nuovi comuni nelle classificazioni sismiche e ci fu l’aggiornamento della Normativa.

Il Decreto Regio del 1927 introdusse due categorie sismiche la I° e la II° con differenti pericolosità.

Figura 1.5: In sequenza, la classificazione sismica del 1909 e la classificazione sismica del 1915 (fonte:DPC – SSN)

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A seguito del terremoto del Friuli del 1976 si è dato grande impulso a studi specifici attivati dal CNR e si è arrivati a stabilire mappe di pericolosità basate su dati scientifici validi. Tali mappe sono servite, tra il 1981 e il 1984, a classificare come sismico buona parte del territorio italiano precedentemente ritenuto non sismico; si è passati così dal 35% al 45% della parte di territorio classificato in una delle tre categorie previste.

Dopo il catastrofico terremoto Irpino – Lucano del 23/1/80, alcuni territori sono stati classificati in prima categoria, in attesa di studi specifici atti a conoscere in modo più approfondito la storia sismica dell’intero territorio italiano e del miglioramento degli strumenti di elaborazione. Proprio in questo anno venne introdotta la zona sismica di terza categoria a minor sismicità rispetto alle altre e per essa vengono fissati i corrispondenti limiti e coefficienti in accordo con la legge del 1975.

Nelle figure è possibile vedere una prima mappa di classificazione sismica, risalente a metà degli anni ’80, precisamente al 1984 in concomitanza con l’emanazione del Decreto MLP del 14/07/1984.

Da questa si evince che le zone ad alto rischio sismico sono limitate, mentre la parte centrale e meridionale della penisola è soggetta a un rischio sismico medio.

Il Ministero dei LL. PP. Tra il 1979 e il 1984 ha emanato una serie di decreti con i quali sono stati ridisegnati i limiti della classificazione sismica.

Figura 1.6: In sequenza, le classificazioni sismiche dal 1927 al 1975 (fonte: INGV)

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Negli anni successivi è stato portato a termine da parte del gruppo di lavoro costituito dalla Commissione Nazionale di Previsione e Prevenzione di Grandi Rischi un progetto di riclassificazione sismica del territorio italiano, per circa il 67%, che ha portato alla creazione di una nuova mappa di pericolosità sismica, nella quale si notano:

- Un’estensione maggiore delle zone soggette a un alto rischio sismico;

- Una definizione migliore e più circoscritta delle zone soggette a un rischio sismico medio;

- Trasformazione delle restanti zone che nella mappa precedente figuravano in 2° categoria, in zone a rischio sismico più basso.

Figura 1.8: Classificazione sismica - mappa del 1998 (fonte: INGV)

Figura 1.7: In sequenza, classificazione sismica - mappa del 1980 e del 1984 (fonte: INGV)

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La mappa sismica del 1998 segue lo stesso schema di quello precedente, ma sono state estese le zone sismiche un po’ su tutto il territorio, in particolare nel Nord – Est della penisola.

L’Introduzione dell’Ordinanza PCM 3274 del 20/03/2003, riguardante i “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”, contenente criteri per la riclassificazione sismica del territorio nazionale e norme tecniche per le costruzioni con caratteristiche notevolmente innovative rispetto a tutto il corpo normativo pre – vigente, ha portato alla realizzazione di un’ulteriore mappatura, nella quale si rileva l’istituzione di una nuova zona, la quarta, che comprende tutte quelle aree non soggette a rischio sismico nelle normative precedenti.

La normativa riguardante le costruzioni in zona sismica in vigore fino al 2003 era decisamente arretrata, sia rispetto al livello di conoscenze scientifiche raggiunto, sia rispetto alle altre normative, in particolare l'EC8, una normativa europea che dovrà essere recepita in tempi brevi anche in Italia.

Secondo l’OPCM 3274 20/2003, i comuni italiani sono stati classificati in 4 categorie principali, in base al loro rischio sismico, calcolato in base al PGA (Peak Ground Acceleration, ovvero picco di accelerazione al suolo) e per frequenza ed intensità degli eventi. La classificazione dei comuni è in continuo aggiornamento man mano che vengono effettuati nuovi studi in un determinato territorio, venendo aggiornata per ogni comune dalla regione di appartenenza.

Figura 1.9: Classificazione sismica - mappa del 2003 (fonte: INGV)

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- Zona 1: sismicità alta, PGA oltre 0,25g. Comprende 708 comuni;

- Zona 2: sismicità media, PGA tra 0,15 e 0,25g. Comprende 2345 comuni (in Toscana alcuni comuni ricadono nella zona 3S che ha lo stesso obbligo di azione sismica della zona 2);

- Zona 3: sismicità bassa, PGA tra 0,05 e 0,15g. Comprende 1560 comuni;

- Zona 4: sismicità molto bassa, inferiore a 0,05g. Comprende 3488 comuni.

Tra esse la zona 1 è quella di pericolosità più elevata, potendosi verificare eventi molto forti, anche di tipo catastrofico. A rischio risulta anche la zona 2 (e zona 3S della Toscana), dove gli eventi sismici, seppur di intensità minore, possono creare gravissimi danni. La zona 3 è caratterizzata da una bassa sismicità, che però in particolari contesti geologici può vedere amplificati i propri effetti. Infine, la zona 4 è quella che nell’intero territorio nazionale presenta il minor rischio sismico, essendo possibili sporadiche scosse che possono creare danni con bassissima probabilità. La Figura 1.10 mostra l’attuale classificazione sismica del territorio nazionale aggiornata all’anno 2012.

Figura 1.10: Classificazione sismica aggiornata al 2012 (fonte: Protezione Civile)

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In seguito all’Ordinanza, per recepire le prescrizioni di carattere innovativo e per armonizzare i diversi documenti normativi esistenti, si è resa necessaria l’elaborazione di una normativa per le costruzioni, che ha portato all’emanazione, nel gennaio 2008, delle “Norme Tecniche per le Costruzioni” – NTC 2008, che attualmente costituiscono l’unica normativa di riferimento.

Il D.M. 14 gennaio 2008 (Norme Tecniche per le Costruzioni) ha introdotto una nuova metodologia per definire la pericolosità sismica di un sito e, conseguentemente, le azioni sismiche di progetto per le nuove costruzioni e per gli interventi sulle costruzioni esistenti. Il territorio nazionale è stato suddiviso mediante una maglia di punti notevoli, al passo di 10 km, per ognuno dei quali sono noti i parametri necessari alla costruzione degli spettri di risposta per i diversi stati limite di riferimento (tra i quali, la già citata PGA). Mediante un procedimento di interpolazione tra i dati relativi ai quattro punti del reticolo più vicini al sito in esame, è possibile risalire alle caratteristiche spettrali specifiche del sito stesso, necessarie come dati di input per la progettazione strutturale.

In seguito alla nuova classificazione, tutte le regioni italiane (compresa la Sardegna)

risultano a rischio sismico. In tutto il territorio nazionale vige quindi l'obbligo di

progettare le nuove costruzioni e intervenire sulle esistenti con il metodo di calcolo

semiprobabilistico agli stati limite e tenendo conto dell'azione sismica. Limitatamente

alle costruzioni ordinarie presenti nei siti ricadenti in zona 4, per le costruzioni di tipo

1 e 2 e di classe d'uso I e II, la norma consente l'utilizzo della "vecchia" metodologia

di calcolo alle tensione ammissibili di cui al D.M. 16 gennaio 1996.

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1.2.3 La classificazione sismica in Emilia Romagna

La recente riclassificazione sismica del territorio nazionale (OPCM n. 3274/2003), come detto, prevede che tutto il territorio nazionale sia classificato sismico, con diversi gradi di pericolosità.

In Emilia Romagna, in prima applicazione alla nuova mappatura, attualmente 105 comuni sono classificati in zona 2 praticamente tutta la Romagna, il settore orientale della Provincia di Bologna, il comprensorio delle ceramiche modenese – reggiano, alcuni comuni del crinale tosco – emiliano delle Province di Modena, Reggio Emilia e Parma), 214 comuni in zona 3 e i rimanenti 22 comuni in zona 4 (tutti in pianura:

l’estremità nord – occidentale delle Province di Piacenza, Reggio Emilia e Ferrara, e la zona del delta del Po). Di seguito si riporta la mappatura sismica della regione Emilia Romagna aggiornata al 2010.

In Emilia Romagna non esistono comuni classificati in zona 1 (alta sismicità). I terremoti storici che hanno colpito i comuni più “sismici” dell’ Emilia Romagna (zona 2) hanno prodotto danni dell’VII – IX grado della scala (MCS), con magnitudo compresa tra 5,5 e 6 della scala Richter; tali terremoti sono paragonabili alle scosse più forti della crisi dell’Umbria – Marche iniziata il 27 settembre 1997.

Figura 1.11: Classificazione sismica dell' Emilia Romagna aggiornata al 2010 (fonte: Protezione Civile)

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Provincia Intensità massime Provincia di Bologna VIII

Provincia di Ferrara IX Provincia di Forlì - Cesena > = X

Provincia di Modena IX

Provincia di Parma IX

Provincia di Piacenza VII Provincia di Ravenna > = X Provincia di Reggio Emilia IX

Provincia di Rimini VIII

Tabella 1.1: Intensità massime dei terremoti verificatesi in Emilia Romagna nel corso della storia (fonte: Protezione Civile)

Riferimenti

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239 - O.P.C.M., n. 3274, recante «Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche

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