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UNIVERSITA’ DI PISA

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE

Tesi di laurea

DAL FEDERALISMO FISCALE MUNICIPALE

ALLA NUOVA FINANZA LOCALE: PROFILI

NORMATIVI E ASPETTI ATTUATIVI

Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa Giulia Boletto

Candidato:

Salvatore Cavallo

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i

Desidero dedicare il presente lavoro a tutti coloro che hanno reso possibile il raggiungimento di questo importante traguardo. Innanzitutto desidero ringraziare la Prof.ssa Giulia Boletto, relatrice di questa tesi, per la grande disponibilità e cortesia dimostratemi, per tutto l’aiuto fornito e per le numerose ore dedicate a questo scritto. Senza il suo supporto e la sua guida questa tesi non esisterebbe. Inoltre, ringrazio sentitamente il Professor Roberto Verona e la Prof.ssa Brunella Bellè per la loro competenza e per i preziosi insegnamenti ricevuti durante i due anni di laurea magistrale. Un particolare ringraziamento ai miei genitori, che, con il loro incrollabile sostegno morale ed economico, mi hanno permesso di raggiungere questo traguardo. Spero di aver dato delle conferme e di essere stato capace di remunerare il loro investimento, di certo l’impegno e la passione da parte mia non sono mancati. Infine, ho desiderio di ringraziare colleghi e amici, in particolare Alberto e Francesco, per i numerosi consigli e suggerimenti durante la ricerca e per avermi fornito testi e dati indispensabili per la realizzazione della tesi. Per ultimo, ma non per importanza, vorrei ringraziare le persone a me più care: i miei amici, la mia famiglia, i miei zii ed infine la mia dolce metà, a cui questo lavoro è dedicato.

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ii

“Non dobbiamo sorprenderci che l'Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti. I passi avanti dell'Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario.“

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iv

Indice

Introduzione

1

CAPITOLO 1

L’imposta patrimoniale

1.1 – L’imposta patrimoniale: un analisi politico-economica 4 1.2 – L’imposta patrimoniale e la capacità contributiva: profilo giuridico 9

1.2.1 – La soglia massima all’imposizione e il diritto di proprietà come diritto inviolabile della persona 13 1.3 – L’imposizione patrimoniale in Italia: la fiscalità immobiliare 21 1.3.1 – Excursus storico 27 1.3.2 – La normativa di riferimento dell’Imposta Municipale Unica 34 1.3.3 – Un confronto internazionale 37

CAPITOLO 2

Tassazione immobiliare, tra federalismo fiscale e tributi ambientali

2.1 – Una premessa necessaria: il federalismo fiscale 43 2.1.1 – Evoluzione e attuazione del federalismo fiscale in Italia 45 2.1.2 – Dalla riforma del titolo V all’emanazione della legge delega 42/2009:

i principi 48

2.1.3 – La potestà regolamentare tributaria e la fiscalità degli enti locali dopo l’emanazione della legge delega 42/2009 58 2.2 – La fiscalità ambientale alla luce del federalismo fiscale 67 2.2.1 – Evoluzione normativa dei tributi relativi alla raccolta e gestione dei rifiuti: dalla TARSU alla TARI 79 2.2.2 – (segue) Il riconoscimento della natura tributaria della TIA1 90 2.3 – La tassazione immobiliare come strumento di finanziamento dei servizi pubblici indivisibili: la TASI 99

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v

CAPITOLO 3

La disciplina sostanziale dell’IMU

3.1 – L’oggetto dell’imposta 107 3.2 – Il presupposto dell’imposta: il possesso di immobili 110 3.2.1 – (segue) I fabbricati 119 3.2.2 – (segue) Le aree fabbricabili 130 3.2.3 – (segue) I terreni agricoli 139 3.3.1 – I soggetti passivi dell’imposta 143 3.3.2 – I soggetti attivi dell’IMU 149 3.4 – La base imponibile e la determinazione dell’imposta 156 3.4.1 – (segue) La base imponibile dei fabbricati 158 3.4.2 – (segue) La base imponibile delle aree fabbricabili 171 3.4.3 – (segue) La base imponibile dei terreni agricoli 175 3.4.4 – Le aliquote, le variabili di calcolo dell’imposta e i poteri regolamentari dei comuni 177 3.5 – Agevolazioni, riduzioni ed esenzioni 184 3.5.1 – (segue) Le agevolazioni dell’IMU 185 3.5.2 – (segue) Le esenzioni dell’imposta 191

Considerazioni conclusive

199

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1

Introduzione

Il sistema tributario degli enti locali e l’imposta locale sugli immobili sono sempre stati al centro di una tempestosa normativa.

Negli ultima anni tale sistema ha subito diversi interventi normativi che ne hanno rivoluzionato l’impianto iniziale.

Se da un lato, il percorso imboccato verso il c.d. federalismo fiscale, in linea con la tendenza ad avviare e attuare l’autonomia degli enti territoriali, è stato di notevole portata innovativa, dall’altro, lo scenario di rigore e gli stringenti vincoli imposti al bilancio dello Stato, e degli enti territoriali, dalla crisi finanziaria internazionale hanno costretto il Governo a considerare come prioritarie le esigenze di contenimento della spesa pubblica e di manovra da parte dell’erario delle entrate, investendo tributi che nella legge delega sul federalismo fiscale avevano un ruolo centrale a tal fine, in primis l’Imposta Municipale Unica, registrando una forte incertezza, se non confusione, sugli strumenti e sulle modalità con cui realizzare l’assetto impositivo della finanza locale.

È pertanto per l’attualità di questo argomento, nonché per la sua rilevanza pratica nella vita quotidiana di tutti, cittadini e imprese, che si è scelto di approfondirne il tema nello svolgimento della presente trattazione. L’obiettivo sarà, di conseguenza, quello di fornire una visione d’insieme dei nuovi tributi locali, al fine di mettere chiarezza in una disciplina resa complicata dalla necessità di coordinare fra loro diversi testi normativi, per poi, proporre possibili sviluppi futuri della stessa.

Al fine di conseguire un’efficiente comprensione delle Imposte oggetto di discussione sarà intrapreso il percorso logico di seguito esposto.

In questa trattazione, procedo illustrando in primis cos’è un’imposta patrimoniale e su cosa incide, sia sotto il profilo economico che su quello giuridico, alla luce del principio di capacità contributiva, e delle sue diverse ricostruzioni dottrinali, quale limite massimo all’imposizione.

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2

Analizzerò, in breve, quali sono le imposte che colpiscono il patrimonio oggi in Italia, focalizzando maggiormente l’attenzione sulla tassazione immobiliare, delineandone la normativa e facendo una sintetica comparazione con i principali Paesi europei.

Dopo un essenziale esame dell’evoluzione storica dell’autonomia degli enti locali, si analizzerà la riforma del Titolo V e gli interventi più recenti in tema di federalismo fiscale municipale, che hanno condotto all’istituzione dell’Imposta Municipale Propria.

Viene poi analizzata la nuova Imposta Unica Comunale, fornendo, sinteticamente, sia il quadro normativo che la disciplina e presentando le sue caratteristiche sostanziali, in particolare evidenziando la sua composizione e il ruolo centrale assunto dal principio del beneficio come pilastro fondante del nuovo sistema tributario locale.

Per ultimo, mi focalizzerò sulla disciplina sostanziale dell’IMU, nucleo centrale dei nuovi tributi locali, per la quale sarà trattato nel dettaglio il presupposto, concentrando l’attenzione, in particolare, sui concetti di “bene immobile” e di “possesso”, i quali rappresentano il fondamento dell’impianto impositivo IMU, e sarà esaminata la tematica dei soggetti passivi ed attivi per comprendere chi è tenuto al pagamento dell’imposta e chi, invece, ne è il beneficiario. A seguire, si approfondiranno le regole di calcolo della base imponibile, le quali, come si avrà modo di vedere, si differenziano in base alle categorie di beni oggetto dell’imposta mentre, più oltre, si esamineranno le variabili di calcolo che influenzano il quantum finale dell’imposta; ci si riferisce alle aliquote, alla durata e alla quota di possesso nonché alle agevolazioni e alle esenzioni previste dalla legge.

A concludere, dopo aver inquadrato il ruolo della fiscalità ecologica come strumento di finanziamento degli enti locali, cercherò di proporre future prospettive sull’assetto della nuova finanza locale a connotazione ecologica, attraverso l’istituzione di cc.dd. tributi ambientali in senso stretto, cioè quei tributi il cui presupposto è costituito da una unità fisica o da un’attività umana che ha un provato e specifico impatto negativo sull’ambiente, adottando una

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3

posizione intermedia rispetto agli orientamenti dottrinali venutisi a creare al riguardo.

(10)

4

CAPITOLO 1

L’imposta patrimoniale

1.1 – L’imposta patrimoniale: un analisi politico-economica

Molto semplicemente e in prima battuta possiamo definire l’imposta patrimoniale come un’imposta commisurata a uno stock di ricchezza (il patrimonio, o meglio, riserva di averi, cioè quelladisponibilità di ricchezza accumulata dal contribuente anche nell’arco di intere generazioni) a differenza di quella sul reddito, che è un’imposta commisurata a un flusso di ricchezza (il reddito)prodotto in un certo periodo di tempo (come avviene per l’IRPEF che tassa il reddito percepito ogni anno).

Detto ciò, occorre sin da subito precisare che, l’imposta in oggetto può essere vista: o come imposta che incide, in astratto, sul patrimonio, comunque commisurata, o come imposta commisurata alla base patrimoniale, ancorché, in astratto, incida solamente sul reddito prodotto, lasciando immune il patrimonio. Da ciò si desume che non è possibile distinguere in concreto un’imposta patrimoniale che incide solo sul reddito da quella che incide anche sul patrimonio1.

Il patrimonio, di solito, viene inciso solamente quando la pressione fiscale, e non la singola imposta, oltrepassa un certo limite. Limite che non è determinabile a priori e, in generale, essendo suscettibile di variare da momento a momento, da individuo a individuo, l’istante in cui l’imposta si trasforma da tassazione del reddito a tassazione del patrimonio, non dipende dalle modalità del prelievo di un’imposta, ma dal quantum del prelievo stesso, globalmente inteso. Per intenderci, la stessa imposta, senza che in essa intervenga alcuna variazione (né

1 Fatto, questo, messo in rilievo dal Ricardo, in Principles of political economy and taxation, George Bell,

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5

d’aliquota, né d’altro genere), può trasformarsi da tassazione del reddito in tassazione del patrimonio, per variazioni intervenute in altri fattori, dipendenti dalla situazione soggettiva del singolo individuo.

Così, in realtà, si può passare da un’imposta che pur essendo commisurata al patrimonio, incide sul reddito, a quella che, nonostante sia commisurata al reddito, incide sul patrimonio dell’individuo2

.

Da ciò si evince che tale distinzione è puramente astratta e, da un punto di vista concreto, la stessa imposta può appartenere al primo o al secondo tipo, e quindi, incidere o sul reddito o sul patrimonio.

In linea generale, l’imposta sul patrimonio, può essere commisurata alle singole componenti della ricchezza di un soggetto, e avere quindi carattere reale o speciale, come ad esempio la nostra imposta municipale unica – IMU (prima imposta comunale sugli immobili - ICI), che è commisurata al valore dei beni immobili, o alla sua ricchezza complessiva, avendo quindi carattere personale. Al riguardo, nel nostro sistema, non c’è un’imposta soggettiva, e quindi generale, sul patrimonio. Non esiste un’imposta che colpisca la ricchezza complessiva di un soggetto, e quindi, il suo patrimonio mobiliare e immobiliare nella sua interezza. Sono, però, in vigore alcune imposte reali che colpiscono una singola componente della ricchezza di un soggetto, ognuna con una ratio differente. Normalmente, tanto nella prassi quanto nella teoria economica, si distinguono, a tal proposito, un’imposta ordinaria sul patrimonio, oggetto di quest’analisi, e una di tipo straordinario.

La prima, ovvero l’imposta patrimoniale ordinaria, è un’imposta annuale, che nel caso abbia carattere reale, è commisurata al valore di censimento (o al valore catastale) del bene oggetto dell’imposta stessa, invece, nel caso abbia carattere personale, è commisurata al valore del patrimonio netto (attività meno passività) dell’individuo, con un’aliquota proporzionale, a volte lievemente progressiva, che varia tra lo 0,1% e l’1%, tale che il prelievo possa essere pagato, sempre in astratto, con il reddito prodotto dal patrimonio o dal bene oggetto

2 Così Cesare Cosciani, inc di Scienze delle finanze e diritto finanziario nelle R. Università di Roma e

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6

dell’imposizione, senza incidere sulla consistenza dello stock3

, ovvero del patrimonio.

L’imposta patrimoniale straordinaria, storicamente utilizzata in situazioni di emergenza, tipo i dopoguerra, caratterizzati da un debito pubblico molto elevato, è invece un prelievo occasionale, una tantum, con un tasso elevato, tale da incidere, sempre astrattamente, non solo sul reddito, ma sul patrimonio stesso del contribuente.

Tornando all’analisi dell’imposta patrimoniale ordinaria, alcune argomentazioni che in passato, ma tuttora valevoli, sono state avanzate per l’introduzione, in un sistema tributario, di un’imposta sul patrimonio, derivano dai principi della

controprestazione e della capacità contributiva, altre da obiettivi di redistribuzione della ricchezza e di realizzazione di una maggiore progressività

del sistema, altre ancora dalla visione di quest’imposta come strumento fondamentale di equità sociale e risanamento della finanza pubblica.

Per quanto concerne il principio della controprestazione, l’argomentazione a riguardo è che, da un lato, i servizi pubblici accrescono il valore dei beni patrimoniali di proprietà di un individuo, e quindi è legittimo, se non necessario, da parte dell’autorità impositiva, introdurre l’imposta in questione4. Questa

concezione può essere ricondotta alla funzione dello stato di proteggere la proprietà5, per cui i proprietari dovrebbero ripagare il costo di questo servizio. In quest’ottica, il gettito dovrebbe essere limitato a coprire i costi della tutela della legge e dell’ordine pubblico, nonché, dei servizi erogati.

Dall’altro, se i governi locali sono responsabili della tassazione immobiliare, essi sono, in qualche modo, incentivati a erogare servizi pubblici in modo più efficace ed efficiente, perché questo tende ad accrescere le loro entrate e il loro consenso da parte dell’elettorato.

Un’applicazione più specifica del principio della controprestazione, riferibile in particolare al livello della finanza locale, riguarda i servizi che aumentano il valore delle proprietà immobiliari.

3 Campa G., Lezioni di scienze delle finanze, seconda edizione, Utet, 2013, pagg. 314-315; 4 Campa G., Lezioni di scienze delle finanze, seconda edizione, Utet, 2013, pag. 315; 5

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7

Ad esempio, se l’autorità locale fa costruire un marciapiede o un impianto d’illuminazione in una strada, il valore delle case adiacenti, naturalmente, aumenta.

Generalizzando il concetto, quest’argomentazione, a favore di un’imposta locale sugli immobili, fa riferimento al differenziale esistente tra livelli dei servizi pubblici nelle diverse comunità locali. Cioè, se il livello dei servizi pubblici è più elevato nella località A piuttosto che nella B, tale differenza si rifletterà, ad esempio, in un maggiore valore degli immobili in A rispetto a B.

Da quest’argomentazione si evince il favore, degli economisti, all’introduzione, nel sistema, di un’imposta locale sugli immobili.

Riguardo al principio della capacità contributiva, in passato, l’utilizzo di questo tipo d’imposizione, era giustificato dal fatto che era più facile misurare il patrimonio, posseduto da un individuo, che il suo reddito, per la maggior parte percepito in natura (l’esempio più classico è il grano prodotto dal contadino ma che ancora non ha avuto una trasformazione monetaria).

Oggi la situazione si è capovolta, e le argomentazioni usate per giustificare un’imposta sul patrimonio, ovviamente, si riducono. Tuttavia, non tutto il reddito da capitale, in particolare il reddito non monetario prodotto da particolari categorie di beni, è tassato e quindi c’è spazio per un’imposta sul patrimonio di natura complementare a quella sul reddito6. Si considerino quei beni di consumo durevoli (automobili, autotreni, yacht, etc.) che rientrano nel patrimonio di un soggetto, ma non producono un reddito monetario: per l’imposta sul reddito rimangono immuni, mentre un’imposta generale sul patrimonio ne colpirebbe il loro valore.

Per finire, l’imposta patrimoniale è stata qualificata come strumento di progressività, utile a raggiungere obiettivi di maggiore redistribuzione della ricchezza all’interno del sistema.

Al riguardo, Benini7 formulò una legge empirica, secondo cui, in teoria, se i redditi crescono in progressione geometrica per due, i patrimoni relativi agli

6 Campa G., Lezioni di scienze delle finanze, seconda edizione, Utet, 2013, pag. 316;

7 Benini R., Principi di statistica metodologica, Biblioteca degli economisti, Serie V, vol. 18, UTET,

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8

stessi individui crescono in progressione geometrica per tre. Ipotizzando di analizzare tre classi di individui diverse, la prima con reddito medio di 1.000€, l’altra con reddito medio di 2.000€ e infine l’ultima con reddito medio di 4.000€, si nota che il livello patrimoniale degli stessi individui passa da un valore medio di 10.000€, attribuibile alla prima classe, ad un valore medio di 30.000€, attribuibile alla seconda classe, ad un valore medio di 90.000€, attribuibile alla terza classe.

Quindi, per il Benini, un’imposta proporzionale commisurata al patrimonio ha gli stessi effetti di un’imposta progressiva sul reddito. Così, un’imposta sul patrimonio permette di accentuare la progressività del sistema tributario, senza dovere alzare troppo le aliquote dell’imposta sul reddito, e, di conseguenza, ottenere una maggiore redistribuzione della ricchezza.

Sul punto, tali affermazioni non hanno trovato particolare consenso. Da un lato, i risultati di questa tesi non sono certi, ed essa può valere solo empiricamente per classi di individui e no nei confronti di soggetti appartenenti alla singola classe; dall’altro, l’attribuzione al governo locale della tassazione della proprietà immobiliare limita il grado di progressività del sistema tributario e di redistribuzione della ricchezza realizzabile con questa forma di imposizione. Infatti, la teoria economica ci suggerisce di assegnare la funzione redistributiva8 al governo centrale e non alle autorità locali.

In ogni caso, tralasciando gli effetti che un imposizione patrimoniale, di qualsiasi genere, produce in capo al comportamento degli individui, per quanto riguarda sia la composizione ottimale del proprio patrimonio, sia la dinamica di mercato, attinente a domanda e offerta di determinati beni e dei loro relativi prezzi, la teoria economica della tassazione non definisce nei dettagli un assetto fiscale ottimale per la ricchezza immobiliare, né permette di tener conto complessivamente di tutte le caratteristiche del mondo reale, tra le quali vanno ricordate la presenza di fenomeni diffusi di evasione fiscale e l’esistenza di costi

8 Musgrave, R. A. (1959), The theory of public finance, McGraw-Hill, New York. Oates, W.E. (1972),

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9

amministrativi non trascurabili, fenomeni, purtroppo, particolarmente diffusi nella nostra patria.

La teoria economica ci indica solamente alcuni principi di carattere generale che possono risultare utili per orientare la discussione sulle politiche fiscali più appropriate che un governo possa adottare.

1.2 – L’imposta patrimoniale e la capacità contributiva: profilo giuridico

Da un punto di vista strettamente giuridico lo studio dell’imposta, in generale, e dell’imposizione patrimoniale, nello specifico, dovrebbe comportare un’analisi sul grado di adeguamento della normativa tributaria al principio di capacità contributiva, il quale stabilisce – “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese

pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”9.

La natura doverosa del concorso, che si ritrova nell’espressione “sono tenuti”, si manifesta nella necessaria sussistenza di una molteplicità di prestazioni tributarie da parte di “tutti” i consociati, in virtù di un dovere generale di contribuire all’interesse comune10. Inoltre, riferendosi alla generalità del concorso, di

conseguenza, viene valorizzato il ruolo del principio di uguaglianza quale criterio guida del dovere di solidarietà tributaria in base al quale a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi ed a situazioni diverse un trattamento tributario diseguale11.

Nonostante tale visione dell’art. 53 Cost. sia comunemente accettata, tuttavia si distinguono due opposti orientamenti che differiscono principalmente nel diverso valore dato al principio di capacità contributiva quale limite “assoluto”, o all’opposto “relativo”, alla legittimità costituzionale della normativa tributaria, e quindi al relativo potere concesso al legislatore nella scelta dei criteri di riparto12.

9 Art. 53 della Costituzione.

10 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

Padova, 1993, pag. 4.

11 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

Padova, 1993, pag. 6.

12 Si ritiene tuttavia opportuno sottolineare come, anche tale punto di partenza, non sia privo di visioni

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10

La stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale tende a concretizzare il principio di capacità contributiva nel tempo: mentre inizialmente aveva considerato questo principio come mera specificazione di quello di uguaglianza, dalla seconda metà degli anni sessanta agli anni settanta lo interpreta come un principio assolutamente autonomo.

Si legge nella sentenza n. 97 del 196813 che l’art. 53 Cost.: “mentre, da un lato,

impone che a maggior capacità contributiva corrisponda un maggior concorso alle spese pubbliche esclude, dall’altro, che l’obbligo tributario possa sorgere ove tale capacità manchi del tutto. In altri termini, la capacità contributiva, costituisce presupposto di legittima imposizione e, solo ove sia presente, diventa metro di determinazione della quantità dell’imposta dovuta”.

Dopo il 1980, però, la Corte è tornata a ricondurre, pressoché costantemente la portata della capacità contributiva all’interno del principio di uguaglianza. Non a caso diverse dottrine c.d. neo-svalutative anche molti anni dopo hanno abbandonato la tesi secondo cu l’art. 53 Cost. imporrebbe che il tributo debba sempre esprimere una forza economica e ad ammettere anche diversi criteri di collegamento tra il concorso alle spese pubbliche ed il presupposto del tributo. L’origine per cogliere tale diversità di vedute è rappresentata dal rapporto esistente tra l’art. 53 e l’art. 2 Cost., identificato da ambedue gli orientamenti dottrinali, ma valorizzato diversamente. L’art. 2 Cost. infatti, oltre a prescrivere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, associa tali doveri alla tutela dei diritti, statuendo che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti

inviolabili dell’uomo […]”. Di conseguenza, da una lettura, in tal senso orientata,

dell’art. 53 Cost. si dovrebbe dedurre, da un lato, l’esistenza di un dovere di concorrere alle spese pubbliche quale espressione di un dovere inderogabile di solidarietà per il conseguimento dei comuni interessi, dall’altro, la necessità di tutelare la ricchezza del singolo (della sua capacità contributiva) in quanto

contributiva. Da un lato i sostenitori dell’approccio “relativo”, considerando il principio di capacità contributiva privo di una valenza autonoma, di fatto lo assorbono e annullano all’interno del principio di uguaglianza; dall’altro la dottrina appartenente all’indirizzo “assoluto”, rifiutandosi di ridurre il principio di capacità contributiva a mera espressione di un principio di razionalità e coerenza ed attribuendo ad esso un proprio significato, si limita a considerare il principio di uguaglianza come presupposto dello stesso principio di capacità contributiva.

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11

espressione di un diritto inviolabile14. Da ciò consegue una prospettiva bilanciata, fatta propria dalla dottrina di maggioranza, secondo la quale “il tributo, la cui

necessità ed inevitabilità è frutto della natura umana, è inteso come “dovere inderogabile”, ma si prospetta anche come diritto inviolabile dell’uomo a vivere nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità nel rispetto dei principi di giustizia”15

.

Per cui, l’art. 53 Cost. dovrà tutelare un doppio interesse: il generale dovere di concorrere alle pubbliche spese e la tutela della capacità contributiva di ognuno, individuando sia il fondamento solidaristico, sia il limite garantistico del principio di capacità contributiva16.

Di conseguenza, gli dovrà essere conferita una duplice funzione:

 una solidaristica, nel momento in cui ad ogni soggetto viene riconosciuto il dovere di concorrere alla spesa pubblica necessaria per l’esistenza e lo sviluppo della comunità;

 una garantistica, imponendo tale dovere di concorso soltanto in capo a chi abbia una effettiva capacità di contribuzione, nella misura e nei limiti della stessa17.

Non esiste, secondo tali autori, una prevalenza dell’“interesse fiscale” che possa, in virtù di ragioni di finanziamento del “welfare”, porre in essere una fiscalità sperequata, sacrificando il diritto di ciascuno ad essere tassato in ragione della propria capacità contributiva18. Quindi, è asserita, con lo scopo di realizzare una “giustizia fiscale”, la necessità che il legislatore ricerchi un equilibrio tra i due interessi, avanzando soluzioni che non sacrifichino l’uno (la capacità contributiva del singolo) per tutelare l’altro (l’interesse fiscale)19.

14 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

Padova, 1993, pag. 4. Falsitta G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, 2008, Giuffrè Editore., pag. 75.

15 Falsitta G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, 2008, Giuffrè Editore., pag. 83.

16 Gaffuri G., Il senso della capacità contributiva, in Perrone L. (a cura di) e Berlini C. (a cura di), Diritto

tributario e Corte costituzionale, 2006, Edizioni Scientifiche Italiane, pag. 34.

17 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

Padova, 1993, pag. 3; Falsitta G., Manuale di diritto tributario (parte generale, quinta edizione), Padova, Cedam, 2005, pag. 149.

18 Falsitta G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, 2008, Giuffrè Editore., pag. XX.

19 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

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Al contrario, i sostenitori dell’indirizzo “svalutativo” propendono per una lettura “stato centrica”, sbilanciata verso i doveri20, in nome di un preminente interesse

della comunità alla “trasformazione sociale”, il c.d. “interesse fiscale”21, che

consentirebbe una limitazione degli interessi privati tutelati a livello costituzionale.

Affermando l’esigenza di perseguire una “giustizia sociale” anche a scapito della “giustizia fiscale”22

, viene pertanto negata la qualificazione, quale diritto fondamentale, del principio di giustizia nella ripartizione delle spese pubbliche23. Ed è proprio lo squilibrio tra la tutela dell’interesse collettivo e dell’interesse individuale che comporta l’ammissibilità, secondo tali autori, di una tassazione che prescinda dal giusto riparto, svuotando di ogni significato il principio di capacità contributiva, ridotto a mero giudizio sulla razionalità e non arbitrarietà di discrezionali scelte legislative. In quest’ottica, tale principio, privato di qualsiasi effetto garantista, si risolve esclusivamente nell’espressione, in materia fiscale, del più generale principio di solidarietà sociale. A parere dei sostenitori di tale orientamento, nel confronto tra ragioni di efficienza e di massimizzazione degli obiettivi generali della collettività, e ragioni di equità e tutela dei valori individuali, le prime devono essere considerate prevalenti e giustificanti l’individuazione di presupposti slegati rispetto alla forza economica in quanto funzionali rispetto all’acquisizione delle risorse erariali24.

Tale visione dell’imposta al servizio della giustizia sociale è stata criticata osservando come lo stesso concetto di solidarietà sia “sintesi di socialità e libertà”25: l’espressione “giustizia sociale” altro non significherebbe se non

riconoscimento e, contemporaneamente, garanzia, da parte dello Stato, dei “diritti sociali”, il finanziamento dei quali può avvenire attraverso un prelievo conforme

20 Bobbio N., L’età dei diritti, Torino, 1990, pag. 57. 21

Boria P., L’interesse fiscale, Torino, 2002.

22 Gallo F., Il ruolo dell’imposizione dal Trattato dell’Unione alla Costituzione europea, in Rass. trib.,

2003, V, pag. 1473; Gallo F., Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, 2011, Il Mulino, pag. 12.

23 Gallo F., Ordinamento comunitario e principi costituzionali tributari, in Rass. trib., 2006, II, pag. 407. 24

Boria P., Il bilanciamento di interesse fiscale e capacità contributiva nell’apprezzamento della Corte

costituzionale, in Perrone L. (a cura di) e Berlini C. (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale,

2006, Edizioni Scientifiche Italiane, pag. 58 - 59.

25 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

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alla giustizia distributiva26. Da un lato, quindi, i singoli hanno una specifica responsabilità in termini di utilità sociale, dall’altro, tuttavia, anche lo Stato deve rispettare e tutelare le capacità dei singoli proprio in virtù del fatto che tale capacità ha non solo valenza individuale, ma anche collettiva27. L’asserita preminenza dell’interesse fiscale, invece, fa sì, a parere di tali autori, che venga dimenticato il punto di partenza, ossia la garanzia della persona, “la cui specifica

attitudine a contribuire è il presupposto invalicabile del dovere”28.

1.2.1 – La soglia massima all’imposizione e il diritto di proprietà come diritto inviolabile della persona

La differente posizione, nei diversi orientamenti dottrinali, del rapporto tra interesse fiscale e capacità contributiva implica, come si è accennato, differenti visioni riguardo al legame tra diritti proprietari e diritti sociali, nella prospettiva dell’esistenza, o meno, di una soglia massima in ordine al prelievo fiscale.

La tesi minoritaria, se da un lato conviene l’esistenza di una soglia minima di reddito da tutelare con l’esenzione del minimo vitale, dall’altro nega decisamente l’esistenza di una soglia massima al potere impositivo derivante da principi costituzionali attinenti ai rapporti economici (artt. 41 e 42 Cost.). Tali autori reputano che i redditi minimi siano sprovvisti di quei presupposti per cui possa compiersi il dovere tributario, quale dovere inderogabile di solidarietà, non apparendo “logicamente possibile addossare i costi della solidarietà a quei

soggetti che ne devono essere beneficiati”29.

Con riguardo all’importo globale del prelievo, è invece asserita l’inesistenza di limiti costituzionali alla pressione fiscale in relazione al singolo contribuente e ai

26 Falsitta G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, 2008, Giuffrè Editore., pag. 80.

27 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

Padova, 1993, pag. 20.

28 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

Padova, 1993, pag. 55.

29 Gallo F., Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, 2011, Il Mulino, pag. 106. L’autore

riconosce che la tutela del minimo vitale ”ha il suo fondamento, oltre che nel principio di uguaglianza

sostanziale, nel diritto inviolabile alla libera e dignitosa sussistenza, e a disporre dei bisogni elementari della vita”.

(20)

14

relativi tributi, in un’ottica “svalutativa” del valore garantistico dei diritti di proprietà e di libertà di iniziativa economica. È il pubblico che, perlomeno in ambito fiscale, deve imporsi sul privato: nel caso in cui, invece, venisse contemplata, dalla stessa carta costituzionale, una soglia superiore alla pressione fiscale del singolo individuo, in tale prospettiva si riconoscerebbe un valore superiore della sfera privata rispetto alla funzione tributaria, stabilendo un freno alla volontà del legislatore rispetto alla scelta delle risorse da tassare e dei diritti sociali da tutelare.

La legittimità costituzionale della normativa tributaria sarà esaminata invocando gli artt. 3, 23 e 53 Cost., non esistendo alcun principio generale di garanzia, rispetto al prelievo, delle attività economiche private ricavabile dalle norme costituzionali in merito ai rapporti economici30. Tra i principi costituzionali attinenti al concorso alla pubbliche spese e alla garanzie dell’iniziativa economica c’è, infatti, piena autonomia31. A supporto di tale tesi viene

menzionata, anche, la differente collocazione, nella carta costituzionale, della normativa in tema di rapporti economici rispetto a quella relativa ai diritti fondamentali inviolabili, da cui deriverebbe un diverso riconoscimento del valore attribuitogli32. Se quest’ultimi possono rappresentare un limite in quanto realizzano “la struttura sociale e solidaristica dello stato”, la prima non influenza, invece, la valutazione nell’an e nel quantum del tributo, la cui legittimità deve essere valutata esclusivamente con riguardo al rispetto di equi e ragionevoli criteri distributivi.

In relazione ai diritti proprietari, questi non sono considerati come provvisti di una tutela assoluta, né come un “attributo necessario e indissolubile della

30

Bizioli G., Imposizione e Costituzione europea, in Riv. dir. trib., 2005, I, pag. 233 e ss.; Fedele A.,

Concorso alle pubbliche spese e diritti individuali, in Riv. dir. trib., 2002, I, pag. 31 e ss.; Fedele A., Dovere tributario e garanzie dell’iniziativa economica e della proprietà nella costituzione italiana, in Riv. dir. trib., 1999, I, pag. 971 e ss.

31 Fedele A., Dovere tributario e garanzie dell’iniziativa economica e della proprietà nella costituzione

italiana, in Riv. dir. trib., 1999, I, pag. 971 e ss.

32 Fedele A., Dovere tributario e garanzie dell’iniziativa economica e della proprietà nella costituzione

italiana, in Riv. dir. trib., 1999, I, 971 e ss.; e dallo stesso citato: Bizioli G., Il processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazionale,

(21)

15

persona”33. L’art. 42 della Costituzione, pur riconoscendo l’esistenza di una

garanzia costituzionale rispetto al diritto di proprietà, inteso come manifestazione dell’autonomia privata, non delinea in modo predefinito il contenuto, che potrà pertanto essere compresso nel quantum “sia dal limite interno della funzione

sociale, che da quello esterno dell’interesse generale”34, tale da legittimare una

loro possibile attenuazione in presenza di contrapposti valori sociali meritevoli di tutela. La garanzia costituzionale della proprietà di cui all’art. 42 Cost. non viene pertanto considerata idonea a condizionare, nel riparto delle spese pubbliche, le scelte legislative. Sarà il legislatore, nell’esercizio della sua potestà impositiva e nel limite della non arbitrarietà, a regolare il conflitto tra i diritti proprietari e i diritti sociali attraverso lo strumento fiscale35.

A parere di tale dottrina, la chiara distinzione tra garanzie proprietarie e tributi permette, inoltre, di confutare l’errore dell’opposto orientamento, connaturato nell’asserzione per cui il tributo non deve sfociare in espropriazione senza indennizzo. L’art 42, terzo comma, della Costituzione, disciplina, infatti, un istituto diverso e autonomo, per cui la separazione fra tributo ed espropriazione si presenta chiara e ben definita sia dal punto di vista funzionale che strutturale. Nel caso di espropriazione, infatti, la limitazione del diritto di proprietà è disciplinata dallo stesso art. 42 Cost., comma terzo, ed è finalizzata all’appropriazione di determinati “beni privati di interesse pubblico” con qualità tali da risultare necessari a soddisfare l’interesse generale. L’intento non è quello di conseguire il valore di scambio del bene, ma l’utilità associata allo specifico bene espropriato. Al contrario, nel caso dell’imposizione fiscale, l’oppressione che deriva dal tributo realizza un diverso scopo, ossia l’effettuazione del riparto solidaristico delle spese pubbliche. Anche qualora esistessero tributi aventi una pressione fiscale tale da causare una liquidazione, in tutto o in parte, del patrimonio del contribuente, questi non potrebbero essere dichiarati incostituzionali ai sensi dell’art. 42 Cost. Infatti, in tal caso, dalla sottrazione di patrimonio si ritrarrà il

33

Gallo F., Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, 2011, Il Mulino, pag. 11; Bizioli G., Il

processo di integrazione dei principi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazionale, Padova, 2008, pag. 98.

34 Gallo F., Etica, fisco e diritti di proprietà, in Rass. trib., 2008, I, pag. 11 e ss. 35

(22)

16

valore di scambio del bene e non l’utilità collegata allo specifico bene, come nel caso dell’espropriazione 36.

La dottrina di maggioranza, invece, si pone su una posizione radicalmente opposta. Per chi sostiene tale orientamento, il prelievo tributario non può che essere illegittimo allorquando superi una soglia massima, tale da pregiudicare la presenza di un’economia privata. L’asserita non sussistenza di un contrasto tra funzione garantistica e solidaristica dell’art. 53 Cost. e la conseguente considerazione della dimensione privata quale presupposto per la realizzazione di quella sociale37, implicano la necessità del mantenimento e della garanzia dell’autonomia privata. Affermare che l’economia privata deve essere tutelata da eccessi di imposizione tributaria, non significa attribuire un peso maggiore alla funzione garantista, piuttosto riconoscere l’esistenza di una correlazione fra due opposte necessità, da una lato, un dovere di concorrere alle spese pubbliche e, dall’altro la tutela dell’economia privata38. Quindi, la finalità solidaristica del

tributo non potrà inficiare, in via generale, gli altri principi degni di tutela e, nello specifico, non potrà sminuire le “libertà economiche”, di iniziativa economica e proprietà privata costituzionalmente garantiti 39.

Da ciò consegue che il prelievo fiscale dovrà essere articolato in modo tale da rispettare anche l’iniziativa privata. Affermare una supremazia dei diritti sociali provocherebbe, infatti, l’eliminazione del diritto di giustizia tributaria conseguendo fenomeni di “tirannia fiscale” o “imposizione espropriatrice”40. Secondo tale dottrina la valorizzazione dell’art. 53 Cost., quale strumento atto a precludere prelievi sostanzialmente espropriativi, dipenderebbe dal perseguimento, nella stessa Carta costituzionale, di un costante bilanciamento tra la creazione di uno Stato sociale e la difesa del privato e della sua indipendenza economica, proprio in quanto funzionale alla realizzazione del concorso alle

36 Fedele A., Dovere tributario e garanzie dell’iniziativa economica e della proprietà nella costituzione

italiana, in Riv. dir. trib., 1999, I, pag. 971 e ss.

37 Moschetti F., Il principio di capacità contributiva, in Perrone L. (a cura di) e Berlini C. (a cura di),

Diritto tributario e Corte costituzionale, 2006, Edizioni Scientifiche Italiane, pag. 51.

38

Gaffuri G., Il senso della capacità contributiva, in Perrone L. (a cura di) e Berlini C. (a cura di), Diritto

tributario e Corte costituzionale, 2006, Edizioni Scientifiche Italiane, pag. 34.

39 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

Padova, 1993, pag. 46.

40

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17

spese pubbliche41. Sarebbe in contrasto con il principio di capacità contributiva, interpretato come capacità di contribuire alle spese pubbliche, un prelievo tale da comportare una progressiva decurtazione del patrimonio del contribuente, pregiudicando l’esistenza stessa dell’economia privata.

I sostenitori della tesi minoritaria vengono, in particolar modo, criticati nel momento in cui ammettono l’esistenza di una soglia minima, non intaccabile dal prelievo, negando, invece, l’esistenza di una soglia massima, cadendo, quindi, in contraddizione42. Infatti, convenendo che il “minimo vitale” non sia espressivo di capacità contributiva, non si può non condividere che non manifesti capacità contributiva neanche “quella ricchezza, parimenti minima in senso sostanziale,

la cui tassazione costituirebbe ostacolo al pieno sviluppo della persona

umana”43

, e quindi, l’esistenza di una soglia massima oltre la quale si aggredirebbe quel reddito minimo che anche la dottrina minoritaria reputa costituzionalmente tutelato44. Inoltre, nel sostenere l’esistenza di un doppio vincolo, sottolinea come ciò non significhi che le due soglie coincidano, ma che sono, invece, autonome e fondate su parametri costituzionali distinti45.

Nella determinazione quantitativa del tributo, infatti, non si dovrà solo far attenzione a non pregiudicare la sopravvivenza dell’economia privata, ma anche consentirne un ragionevole progresso46. Un prelievo esorbitante non sarà solo quello che pregiudica la tutela della proprietà, ma dovrà essere ritenuto oltre la soglia massima anche un prelievo che infici l’altro fondamentale diritto all’iniziativa economica privata47.

41 Gaffuri G., Il senso della capacità contributiva, in Perrone L. (a cura di) e Berlini C. (a cura di), Diritto

tributario e Corte costituzionale, 2006, Edizioni Scientifiche Italiane, pag. 34.

42 Falsitta G., L’imposta confiscatoria, in Riv. dir. trib., 2008, II, pag. 89 e ss..

43 Moschetti F., Profili generali, in Moschetti F., Lorenzon G., Schiavoni L., La capacità contributiva,

Padova, 1993, pag. 44.

44 Falsitta G., L’imposta confiscatoria, in Riv. dir. trib., 2008, II, pag. 89 e ss..

45 La stessa dottrina minoritaria, per non cadere nella contraddizione sopra esposta, sostiene che

l’ammissibilità del solo limite minimo derivi dal fatto che questo non debba essere dedotto dal principio di capacità contributiva, ma piuttosto trovi “giustificazione in altri principi costituzionali invalicabili”. Falsitta G., L’imposta confiscatoria, in Riv. dir. trib., 2008, II, pag. 89 e ss..; dallo stesso richiamato: Gallo F., Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, 2011, Il Mulino, pag. 106, nota 3.

46 Gaffuri G., Il senso della capacità contributiva, in Perrone L. (a cura di) e Berlini C. (a cura di), Diritto

tributario e Corte costituzionale, 2006, Edizioni Scientifiche Italiane, pag. 34.

47

(24)

18

Di conseguenza, viene respinta la tesi dell’opposto orientamento secondo cui l’insindacabilità del prelievo fiscale discenderebbe dall’impossibilità di classificare il diritto alle “libertà economiche”, pur costituzionalmente previsto e tutelato, tra quelli fondamentali e inviolabili48. A sostegno di ciò, superando i confini nazionali, tale dottrina evidenzia come la proprietà sia dichiarata diritto inviolabile dell’uomo dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; infatti, l’art. 1 del Primo Protocollo49, unica disposizione della Convenzione avente ad oggetto la tutela di un diritto patrimoniale, prevede espressamente che: “ogni

persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.

I giudici di Strasburgo50 hanno poi evidenziato che la disposizione in commento si compone, in realtà, di tre norme distinte. La prima, di carattere generale, contenuta nel primo periodo del primo comma, stabilisce un generale diritto al rispetto della proprietà; la seconda, espressa dal secondo periodo del primo comma, contempla la facoltà di privare legittimamente un soggetto della proprietà su determinati beni, ma solo a determinate condizioni; infine l'ultima, racchiusa nel secondo comma, riconosce agli Stati il potere di regolare e controllare l'uso dei beni in conformità dell'interesse generale e per “assicurare il

pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende”.

Per quanto concerne la seconda norma, i due presupposti che permettono di incidere, in via definitiva, sul diritto di proprietà, tramite la rinuncia della stessa ad esito di un esproprio o di una nazionalizzazione, sono individuate nel

48

Falsitta G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, 2008, Giuffrè Editore, pag. 81.

49 Reperibile in: http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf.

50 La natura tripartita dell’art. 1 del Primo Protocollo è stata chiarita per la prima volta nella decisione

della Corte europea dei diritti dell’uomo del 23 settembre 1982, nn. 7151/75 e 7152/75, caso Sporrong

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19

perseguimento di una “causa di pubblica utilità” e nell’osservanza di quanto previsto “dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.

La terza norma, invece, definisce le condizioni di liceità di quelle misure adottate dagli Stati finalizzate a comprimere/limitare lo stesso diritto di proprietà.

Qualsiasi ingerenza al diritto di godere e disporre del proprio patrimonio deve, in primo luogo, essere esaminata alla luce delle disposizioni specifiche in materia di esproprio o di disciplina dell’uso dei beni e solo qualora si abbia una compressione del diritto di proprietà che non rientri in tali casi peculiari, si deve esaminare tale compressione con riferimento alla norma generale espressa nel primo periodo del primo comma. In tal senso l’incipit dell’art. 1 opera non solo come criterio generale di interpretazione dello stesso articolo51, ma anche come norma autonoma “di chiusura” e residuale rispetto alle diverse ipotesi espresse nelle successive parti dell’art. 152.

Relativamente alla prima e più radicale misura di ingerenza nel godimento del proprio patrimonio, è giustificata solamente nei casi in cui sia necessario realizzare un interesse pubblico superiore rispetto all’interesse individuale;

Passando alla regolamentazione dell’uso dei beni, seconda limitazione al diritto di proprietà prevista dal secondo comma dell’art. 1 Primo Protocollo, tale ipotesi di ingerenza è più circoscritta rispetto alle misure di privazione di cui al primo comma dello stesso articolo, legittimando tutte quelle misure che, pur comprimendo l’esercizio del diritto di proprietà, non sono finalizzate ad una privazione della stessa; condizioni di liceità di tali misure vengono individuate nel perseguimento di uno scopo di interesse generale, ovvero nella finalità di assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o ammende. È stato riconosciuto allo Stato un ampio margine di discrezionalità, sia nell’operare una scelta circa le modalità di attuazione delle restrizioni, sia nel valutare se le loro

51

In tal senso si è espressa la Corte EDU nella sentenza del 23 febbraio 1995, n. 15375/89, caso Gasus

Dosier und Fördertechnik Gmbh c. Olanda, e nella successiva sentenza del 5 gennaio 2000, n. 33202/96,

caso Beyeler c. Italia,;

52 Padelletti M.L., La tutela della proprietà nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Milano,

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20

conseguenze sono giustificate, nell’interesse generale, dallo scopo di perseguire l’obiettivo fissato dalla legge53.

Dall’interpretazione letterale della norma si deduce che essa si configuri quale limite alle garanzie previste dal primo comma, limitando la tutela ivi espressa; la Corte EDU ha tuttavia esteso il significato della norma, utilizzando i principi di legalità e di proporzionalità54; se la condizione di conformità dell’azione statale alla legge assume lo stesso valore dei casi di privazione della proprietà, al principio di proporzionalità vengono attribuite caratteristiche diverse nel caso di regolamentazione dell’uso dei beni. Non ponendosi il problema della valutazione di un indennizzo, il giudizio di proporzionalità si qualifica come momento principale dell’esame della Corte in tema di privazione e compressione dei diritti proprietari, assumendo “un rilievo straordinario come limite al potere degli Stati

di interferire, per esigenze collettive, sul godimento delle posizioni soggettive a carattere individuale determinate dagli strumenti internazionali di tutela dei diritti dell’uomo”55

. Deve dunque sussistere, a parere della Corte, un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e la finalità perseguita; requisito non soddisfatto se il singolo, valutando tutte le circostanze del caso concreto, subisce un sacrificio sproporzionato in ossequio al fine della stessa misura limitativa del suo diritto56. La valutazione di proporzionalità costituisce lo strumento che consente di coordinare il rispetto della Convenzione da parte degli Stati con l’esercizio dei poteri sovrani di cui essi rimangono titolari57

.

Una rilevanza autonoma è stata acquisita dall’ultima parte del secondo comma che si riferisce al diritto degli Stati contraenti di adottare le leggi necessarie per

assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.

53

De Silvia M., La convenzione europea dei diritti dell’uomo, Napoli, 2001, pag. 261.

54 Cannizzaro E., Il principio della proporzionalità nell’ordinamento internazionale, Milano, 2000 pag.

38.

55 Cannizzaro E., Il principio della proporzionalità nell’ordinamento internazionale, Milano, 2000 pag.

39.

56

Padelletti M.L., La tutela della proprietà nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Milano, 2003, pag. 145 e ss.; Manganaro F., La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto di proprietà, in Diritto amministrativo, 2008, pag. 379 e ss..

57 Cannizzaro E., Il principio della proporzionalità nell’ordinamento internazionale, Milano, 2000 pag.

(27)

21

Sul punto, il margine di discrezionalità attribuito agli Stati è particolarmente ampio, soprattutto, riconoscendo al fisco una situazione di vantaggio al fine di far valere i crediti maturati nei confronti dei contribuenti58. Tale atteggiamento di cautela da parte della Corte nel valutare le politiche fiscali di uno Stato si spiega nel fatto che quella tributaria si presenta come una materia particolarmente sensibile dal punto di vista politico59.

Dal dato letterale dell’art. 1, secondo comma, del Primo Protocollo addizionale emerge infatti la percezione che la deroga ivi prevista sia volta semplicemente a salvaguardare ed “assicurare (al fisco) il pagamento delle imposte o di altri

contributi o delle ammende”, nel senso che la tutela del diritto di proprietà non

può essere tale da pregiudicare i procedimenti di accertamento e riscossione60. Quindi, non concernerebbe la disciplina “sostanziale” dei tributi, estendendo la tutela della proprietà prevista dall’art. 1, anche alla funzione fiscale61. Come

emergerebbe dai lavori preparatori della Convenzione, la sostanza del diritto di proprietà deve essere preservata da un prelievo confiscatorio in quanto il livello della pressione impositiva non può essere tale da realizzare un'espropriazione del reddito, ai sensi del primo comma, seconda parte, dell'art. 1. Le uniche restrizioni all'uso della proprietà che possono essere imposte dallo Stato devono avere come finalità quella di assicurare che un predeterminato livello di tassazione, rispettoso del diritto di proprietà, sia effettivamente corrisposto62.

1.3 – L’imposizione patrimoniale in Italia: la fiscalità immobiliare

Come già detto, in Italia, non c’è, anche se proposta più volte, perfino recentemente, dai vari governi susseguitisi nella storia, un’imposta patrimoniale soggettiva che colpisca la ricchezza complessiva di un soggetto. Al momento,

58 De Silvia M., La convenzione europea dei diritti dell’uomo, Napoli, 2001, pag. 265.

59 Padelletti M.L., La tutela della proprietà nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, pag. 144. 60 Fedele A., Dovere tributario e garanzie dell’iniziativa economica e della proprietà nella costituzione

italiana, in Pezzini B. e Sacchetto C., Il dovere di solidarietà. Atti delle Giornate europee di Diritto Costituzionale Tributario, 2005, Milano, pag. 987.

61 Falsitta G., L’imposta confiscatoria, in Riv. dir. trib., 2008, II, pag. 89 e ss..

62 Del Federico L., I principi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in materia tributaria, in

(28)

22

sono in vigore alcune imposte reali, ognuna colpendo una singola componente della ricchezza di un soggetto, con ratio differenti, che è possibile distinguere in patrimonio finanziario e patrimonio immobiliare.

Quanto ai patrimoni finanziari, sono in vigore imposte sulle rendite finanziarie che vanno a colpire interessi, premi e ogni altro provento che costituisca reddito da capitale derivante da diversi strumenti finanziari quali depositi e conti correnti bancari e postali, titoli del debito pubblico, obbligazioni, dividendi e plusvalenze derivanti da azioni. Inoltre, dal Marzo 2013, è stata introdotta, anche in Italia, la Tobin Tax63 che prevede di colpire tutte le transazioni di titoli azionari e di derivati sui mercati valutari, regolamentari e non, con la finalità di stabilizzarli, penalizzando le speculazioni finanziarie a breve termine.

Questa tipologia d’imposta fu avanzata per la prima volta dall’economista John Mainard Keynes, ripresa da autorevoli studiosi come James Tobin, dal quale prese il nome, che, nel 1936, pur in un contesto assai diverso dall’attuale, spinto dalla crisi del 1929, ipotizzò la necessità d’introdurre un’imposta sulle transazioni finanziarie, al fine di ridurre (o contenere) la speculazione borsistica sui capitali.

Per quanto riguarda, invece, i tributi che gravano sui patrimoni immobiliari, essi si possono classificare in due gruppi.

Nel primo gruppo rientrano i tributi che gravano su determinati atti di trasferimento che seguono l’immobile: l’imposta di registro, ipotecaria e

catastale, l’IVA e l’imposta dovuta in caso di successione ereditaria o di donazione.

Del secondo gruppo fanno invece parte i tributi che pesano sulla proprietà o sul possesso dell’immobile: l’imposizione in sede di imposta personale e progressiva

sul reddito (IRPEF) o in sede di imposta sul reddito delle società (IRES) e d’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e l’imposta unica comunale (IUC)64 costituita dalla tassa rifiuti (TARI), dal tributo sui servizi indivisibili (TASI) e dall’imposta municipale sugli immobili (IMU).

63 Pubblicata nel testo della Legge di stabilità 2013, approvata con la Legge 24 Dicembre 2012, n. 228. 64

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23

Le imposte sugli immobili in Italia – valori espressi in milioni di €

Anni 2010 2011 2012

Imposte sul reddito

Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) 8.777 7.540 6.000 Imposte sul reddito delle società (IRES) 640 640 640

Cedolare secca sugli affitti 970 970

Totale 9.417 9.150 7.610

Imposte sui trasferimenti

Imposta sul valore aggiunto (IVA) 7.980 8.000 8.000

Imposta di registro e bollo (comprese quelle sulle locazioni)

4.088 3.790 3.320

Imposta ipotecaria e catastale 1.780 1.700 1.630

Imposte sulle successioni e donazioni 470 490 520

Totale 14.318 13.980 13.470

Imposte sul valore patrimoniale

Imu/Ici: 9.600 9.600 23.700

Imposte sui servizi

Tassa per l'occupazione degli spazi ed aree pubbliche (Tosap)

221

Tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu) + Tariffa di igiene ambientale (Tia)*

7.848*

* Questa stima, basata su dati Ispra, si riferisce all’anno 2009 e ad una copertura effettiva dei costi del servizio pari al 91,8%. Il gettito prevedibile per il 2013 sarà pertanto considerevolmente di maggiore entità.

(30)

24

All’interno del primo gruppo, i trasferimenti immobiliari sono soggetti a imposte d’atto (imposte di registro, ipotecarie e catastali)65 sul valore catastale o reale, o

all’IVA, nel caso in cui il cedente sia un impresa. Il prelievo delle suddette imposte varia in modo non trascurabile a seconda che si tratti di immobili destinati all’uso abitativo o immobili strumentali destinati a contribuire all’attività d’impresa e che lo scambio coinvolga privati o imprese.

Possiamo definire l’imposta di registro (disciplinata dal D.P.R. n. 131/1986) come l’imposta che si applica agli atti soggetti a registrazione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione: si tratta quindi di somme dovute dal contribuente a fronte di una particolare attività dell’Amministrazione finanziaria, consistente appunto nell’annotazione in appositi registri degli atti (atti elencati nella “Tariffa” allegata alla norma) presentati all’ufficio impositore. Essa si paga in misura proporzionale, applicando alla base imponibile (di regola rappresentata dal valore dei beni e dei diritti che formano oggetto dell’atto) la percentuale indicata nella citata Tariffa, o in misura fissa, pari ad una cifra predeterminata per legge, indipendentemente dal valore dei beni o diritti oggetto del contratto.

Per quanto concerne invece l’imposta ipotecaria e catastale, esse sono disciplinate dal T.U. del 31 Ottobre 1990, n. 347 il quale stabilisce che sono soggette all’imposta ipotecaria le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione e annotazione dell’ipoteca eseguite nei pubblici registri immobiliari, mentre sono soggette all’imposta catastale le volture catastali eseguite a seguito di atti di compravendita, donazione e successione.

Stando poi al Decreto Legislativo 31 Ottobre 1990, n. 346, possiamo definire l'imposta sulle successioni e donazioni come quella che si applica ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altre liberalità tra vivi.

Trattando del secondo gruppo di cui sopra, sappiamo che una delle categorie di reddito (contemplate nell’art. 6 del TUIR66) su cui grava l’imposta sul reddito

65 A queste si aggiunge l’imposta di bollo, dovuta, nella maggior parte dei casi, in misura fissa pari a €

230

66

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25

delle persone fisiche (IRPEF) è appunto quella dei redditi fondiari67. Determinati in funzione della rendita catastale, quest’ultimi mirano ad attribuire, e di conseguenza a tassare, un reddito medio “potenzialmente conseguibile” dalle unità immobiliari. Il presupposto di tale imposta, per questa particolare categoria di beni, è il possesso di terreni o fabbricati iscritti o iscrivibili nel catasto edilizio urbano. Il patrimonio immobiliare entra perciò a far parte del reddito disponibile del contribuente che viene annualmente tassato con un’aliquota progressiva per scaglioni.

Dal 2012 però è stata introdotta l’IMU, sostitutiva della vecchia ICI; ci si pone quindi il problema della doppia tassazione del patrimonio immobiliare, che andrebbe a scontare sia l’IRPEF che la nuova IMU.

Già in passato, la normativa fiscale aveva reso possibile, per i proprietari dell’abitazione principale, dedurre dal reddito complessivo IRPEF l’intero importo della rendita catastale rivalutata dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale. Di fatto, quindi, la rendita catastale rivalutata dell’abitazione di residenza non era soggetta ad imposizione e, non rientrando nella base imponibile IRPEF del contribuente, non influiva sul calcolo dell’imposta lorda. Ulteriore chiarimento è stato fatto dal 1° Gennaio 2012, in cui si è stabilito che l’IRPEF e le relative addizionali regionali e comunali non sono dovute sui fabbricati assoggettati all’Imposta Municipale Unica (IMU), ad eccezione degli immobili concessi in locazione, sempre che non sia stato scelto il regime di tassazione sostitutiva della cedolare secca. A tal riguardo infatti, il contribuente può decidere se dichiarare, in sede IRPEF, il 95% del canone annuo di locazione percepito (o se maggiore, l’intera rendita catastale rivalutata) oppure optare per il regime della cedolare secca che prevede di tassare separatamente il 100% del canone di locazione con un’aliquota pari al 19% o al 21%68. L’introduzione della cedolare secca sugli affitti intende, da un lato, combattere il fenomeno degli affitti in nero cioè quei contratti di locazione non registrati, dall’altro, con l’applicazione di un’aliquota contenuta, favorire i proprietari, e di

67 Titolo I, Capo II, D.P.R. n. 917/1986. 68

(32)

26

conseguenza, lo sviluppo e la crescita del mercato degli affitti, in quanto l’elevato prelievo IRPEF sugli affitti eventualmente pattuiti, avrebbe fatto venir meno l’interesse a concedere gli immobili in locazione69.

Eliminare in questo modo dalla dichiarazione le rendite degli immobili a disposizione e tassare separatamente i canoni di locazione riporta sempre più l’IRPEF ad essere un’imposta sui redditi da lavoro e pensione.

Circa gli immobili di proprietà delle società di capitali in sede di applicazione dell’IRES, essi possono appartenere a due classi: gli immobili strumentali all’attività d’impresa e gli immobili acquistati a titolo di investimento. Secondo il TUIR70, gli immobili della prima classe non sono considerati produttivi di reddito fondiario; essi comunque scontano l’IMU e il pagamento di tale imposta è deducibile solo parzialmente ai fini della determinazione del reddito d’impresa71. Gli immobili acquistati a titolo d’investimento, non utilizzati per

l’attività d’impresa, sono, invece, produttivi di reddito fondiario ed, il loro reddito, è pari alla rendita catastale rivalutata. Nel caso in cui l’immobile sia concesso in locazione, il reddito imponibile in capo all’impresa segue le stesse regole previste per le persone fisiche (rientra nel reddito imponibile per il 95% del canone oppure viene tassato con la cedolare secca).

Per quanto riguarda i terreni, dal periodo d’imposta 2012, non sono più dovute l’IRPEF e le relative addizionali regionali e comunali sul reddito dominicale dei terreni non affittati, poiché sostituite dall’IMU. Continua ad essere assoggettato alle citate imposte (IRPEF e IMU) il solo reddito agrario. Per i terreni affittati invece, sussiste ancora il problema della doppia tassazione poiché si continua a pagare sia l’IMU che l’IRPEF.

Con il Decreto Legge 6 Dicembre 2011 n. 214 è stata introdotta la TARES (Tributo Comunale sui Rifiuti e Servizi), in sostituzione della Tariffa di Igiene

69 Martinengo S., Il federalismo fiscale municipale e il difficile processo di autonomia degli enti locali, in

Studium iuris, 2013, fasc. 5 pag. 550 – 557.

70 Art. 65, D.P.R. 917/1986. 71

Dal 1° gennaio 2013, ai sensi del comma 715, art. 1, della Legge 27 dicembre 2013 n. 147, “l’imposta

municipale propria relativa agli immobili strumentali è deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni nella misura del 30% (20% dal periodo d’imposta 2014). Resta ferma l’indeducibilità della medesima imposta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP)”.

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