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Capitolo III

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Academic year: 2021

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Capitolo III

La sicurezza e la tutela della salute in ambito portuale 3. 1 Introduzione alla materia

“Non cercare la sicurezza: è la cosa più pericolosa del mondo” (Huge Walpole), questo per dire quanto sia delicata e complessa la materia della sicurezza per le ripercussioni che essa ha sul nostro quieto vivere, ma soprattutto perché si tratta di un concetto

strettamente collegato a quello di libertà in quanto molto spesso al riconoscimento dell’una corrisponde una limitazione dell’altra e viceversa. Il bilanciamento tra i due diritti contrapposti appare l’unica soluzione, in quanto come affermato dalla Corte costituzionale (sent. 264 del 2012) “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in un rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto

individuare uno di essi che abbia prevalenza assoluta sugli altri”. Se ciò non fosse vero si assisterebbe ad un diritto che sarebbe illimitato nei confronti di un altro diritto

contrapposto, il quale verrebbe fortemente ristretto. Da queste considerazioni prende avvio la nostra materia.

La sicurezza sul lavoro in generale è da sempre una delle più grandi sfide degli stati moderni perché da essa dipende la vita delle persone, dato che gran parte della nostra quotidianità è dedicata al lavoro, inteso anche come momento di crescita e formazione personale. È una battaglia sempre in corso tra alti e bassi, dove quest’ultimi purtroppo ed inevitabilmente sono rappresentati dalle vite spezzate o seriamente compromesse

(infortuni o malattie professionali) dei lavoratori. Inoltre, è tragico da pensare, ma come è avvenuto a seguito di disastri aerei o in altri settori, che a furia di morti hanno sviluppato tecnologie per scongiurare sempre di più tali catastrofi, anche nel nostro settore portuale è a seguito di questi accadimenti a danno dei lavoratori, che ci si può orientare in vista della ricerca dei responsabili, evitando che episodi simili possano verificarsi ancora, ma soprattutto che ciò possa essere l’ “occasione” per l’adozione di soluzioni normative, da porre in essere per scongiurare il rischio per le vite di tutti i prestatori di attività.

Alla luce di questo, uno spunto per affrontare l’intricato problema sul bisogno di sicurezza nei luoghi di lavoro e della relativa salute di chi vi fa parte, deve provenire da una considerazione storico-sociale che prende le mosse dal fenomeno

dell’industrializzazione che nel nostro ha portato all’impiego di molti lavoratori, che spostandosi dalle campagne verso le città per cercare buone occasioni lavorative, finivano catapultati in ambienti lavorativi totalmente inadeguati, in cui le condizioni igieniche precarie, la mancanza di una normativa di sicurezza (in particolare non esisteva una assicurazione obbligatoria per gli infortuni e malattie professionali) e l’impiego massiccio di bambini e donne, rendevano la giornata lavorativa altamente pericolosa, come testimoniano i copiosi infortuni, malattie da lavoro e morti.

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Di contro, si sono susseguiti nel tempo diversi interventi normativi e non, che hanno sempre più cercato di limitare l’inadeguatezza di tutto il sistema lavorativo, ma nonostante tutti gli sforzi, i risultati ottenuti sono ancora lungi dall’essere realizzati completamente; lo dimostrano le continue statistiche negative sul numero di morti sul lavoro (nel settore portuale ricordiamo gli incidenti al Porto di Marghera nel 2008 avvenuto per mancanza di ossigeno in una stiva di nave ferma in banchina o gli incidenti avvenuti in altri porti che hanno suscitato proteste e scioperi da parte dei lavoratori o addirittura alla creazione di commissioni di inchiesta ad hoc).

Pertanto, nonostante la strada sia ancora lunga e tortuosa, si può in un certo senso essere soddisfatti di quanto fatto finora, basti pensare all’introduzione a fine 800’ di una forma embrionale di assicurazione obbligatoria per i danni derivanti dalla prestazione

lavorativa, nel tempo poi aggiornata (nel 1965 e nel 2000); alla preziosissima normativa in materia di sicurezza sul lavoro, di recente aggiornata nel 2008 (con il d.lgs. 81/2008 che vedremo in seguito), l’attività di supporto e sostegno da parte delle rappresentanze sindacali; la legge del 1981 n. 689 che ha aumentato le pene, ribadendo la rigidità del legislatore nel reprimere il fenomeno, per alcuni reati sugli infortuni sul lavoro che erano fortemente depenalizzati; a tale scopo era stato introdotto il reato di lesioni personali colpose, eventualmente aggravato dal mancato rispetto della disciplina prevenzionistica (art. 590, comma 3 c.p.).

Ancora, importante è stato l’apporto europeo con alcune direttive e regolamenti degli anni 90’ che hanno dato slancio all’esigenza pressante del miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori; obiettivo che si intendeva realizzare attraverso una valutazione complessiva dell’organizzazione lavorativa, con particolare riferimento alla sussistenza di rischi per la sicurezza e salute dei prestatori di lavoro. O meglio, ciò che il contesto europeo voleva e che vuole favorire, è la cultura della prevenzione intesa come predisposizione, pianificazione delle regole e delle misure securitarie-salutistiche; ovvero l’idea di un sistema di organizzazione del lavoro incentrato il più possibile su rapporti di collaborazione reciproca tra i soggetti che vi operano, cercando di ridurre al minimo le forme di controllo capillare che spesso appesantiscono il sistema o che addirittura finiscono per sortire effetti contrari a quelli sperati.

Questa idea comunitaria trova sponda anche a livello internazionale perché è soprattutto nel settore del diritto della navigazione che per la tecnicità delle attività e per la

demanialità del porto, che hanno avuto un ruolo rilevante tali fonti transnazionali (tra cui usi e consuetudini). Queste hanno introdotto una tutela multilivello autonoma ed

indipendente, che fa sì che il concetto di sicurezza in ambito portuale abbia una sua peculiarità rappresentata dal fatto che questa debba garantire il rispetto di tre concetti (i primi due li esamineremo in questo capitolo, mentre il terzo nel successivo capitolo) di safety (prevenzione del pericolo), security (difesa dell’ordine pubblico) e sviluppo sostenibile. Queste tre, sono le linee guida che hanno permesso in ambito portuale di realizzare una trasformazione del concetto di sicurezza: “si è passato, infatti, dalla difesa dell’ordine pubblico, che certamente è un’imprescindibile esigenza statale, alla

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prevenzione del pericolo di danni conseguenti a comportamenti a rischio da contenere nei limiti dell’accettabile, per concludersi oggi nella più ampia accezione di sviluppo sostenibile”.1

Questo è il punto di arrivo di una evoluzione che ha come capolinea la sicurezza nei porti, la quale trae origine dal concetto di tutela del pericolo che proviene dal mare nei confronti delle città marittime, comprensivo anche del pericolo nei porti, del concetto di sicurezza nella navigazione e infine della sicurezza dal pericolo di inquinamento o sfruttamento dell’ambiente marino. Adesso come non mai, che la sicurezza delle infrastrutture portuali appare fondamentale, visto considerato che per fenomeni naturali (ad esempio desertificazioni) o fenomeni economico sociali (maggiori scambi e perciò maggior possibilità di commercio e guadagni) la maggior parte degli insediamenti si avvicina sempre di più alla costa, andando ad aumentare le attività all’interno dei porti e aggravando di conseguenza il bisogno securitario all’interno degli stessi.

3.2. La normativa in materia di salute e sicurezza in ambito portuale

Prima che si proceda con la disamina della normativa di dettaglio, occorre considerare che prima della entrata in vigore dalla legge del 94, n. 84, la materia era regolata da un grande quantitativo di norme di diversa specie e natura, dando così vita ad un quadro di riferimento molto variegato e talvolta disordinato. Da ciò è derivato l’intento di

“riordinare inevitabilmente la legislazione in materia portuale con la sopracitata legge, la quale ha permesso di superare l’applicazione al lavoratore delle disposizioni del codice della navigazione dell’art. 116 e altre disposizioni del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione, comportando così l’applicazione della disciplina sul lavoro subordinato”2.

In particolare la legge del 94’ ha rappresentato l’attuazione di alcune direttive

comunitarie adottate tra il 1989/90 inerenti il miglioramento della sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Nello specifico, conteneva una regolamentazione vasta e allo stesso tempo dettagliata sulle misure per la tutela di questi ultimi due interessi, in tutti i settori di attività privati o pubblici (art. 1 legge 84/1994). La conseguenza che ne deriva è l’attribuzione a tutti i livelli e ambiti di lavoro della medesima disciplina; nonostante gli esiti positivi che ne sono derivati, ci sono aspetti soprattutto in tema di tutela della salute e dei relativi rischi, che per le caratteristiche del porto (in esso operano diversi soggetti come gli operatori portuali, i marittimi imbarcati, lavoratori esterni, organi di controllo e persino visitatori; il tutto aggravato da possibili sorgenti di rischio come la circolazione di merci e movimentazione delle stesse.) devono essere trattati con specifico riguardo.

Ecco che sorge l’esigenza del legislatore di predisporre una disciplina speciale al riguardo che è rappresentata dal d.lgs. n. 272/1999 che non è altro che una normativa

1 G. VERMIGLIO, “Sicurezza, navigazione e trasporto”, www. Unime.it, 2008.

2 O.LA TEGOLA,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale Impresa e lavoro nei servizi portuali a cura A.

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sulla sicurezza nell’espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale (art. 1 e 2). La funzione principale della normativa speciale è assicurare nel minor tempo possibile la tutela della salute e la prevenzione degli infortuni e malattie professionali dei lavoratori portuali. (art.1) Da ciò deriva la possibilità di stabilire gli obblighi e responsabilità dei datori di lavoro e lavoratori in relazione alla valutazione degli specifici rischi derivanti da agenti chimici, fisici e biologici. L’articolo uno prosegue con l’elencazione di altri

obiettivi, quali la definizione dei criteri relativi all’organizzazione del sistema di

prevenzione, igiene e sicurezza del lavoro e l’adozione di misure di sicurezza in presenza di condizioni particolari di rischio.

Pertanto, tali obiettivi rappresentano sono alcune delle ragioni che hanno indotto il legislatore, sebbene ad un primo momento, a non abbandonare la strada della normativa speciale nell’ambito della sicurezza portuale in favore dell’attrazione nella disciplina generale. Il legislatore è stato ben presto smentito nel 2011, dove si è assistito

all’abrogazione della disciplina speciale; questa è stata la conseguenza della mancata emissione del decreto previsto dall’articolo 3 comma 3 del d.lgs. 81/2008, che doveva dettare le disposizioni strumentali a consentire il coordinamento tra disciplina speciale e generale. Il termine per l’emanazione del decreto è scaduto il 15 maggio 2011, senza che sia stato emesso e di conseguenza è stato abrogato il d.lgs. 272/1999. La materia è ora regolata dal d.lgs. n. 81/2008, che costituisce il Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che spiegheremo più avanti.

Proseguendo nella normativa speciale, è bene ricordare il d. m. 293/2001 adottato dal Ministro dell’ambiente di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione e il Ministro della sanità, prevede come finalità, ribadita dall’art. 1, quella di consentire l’applicazione della normativa ai porti industriali e petroliferi ai fini della prevenzione degli incendi rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose e alla limitazione delle loro conseguenze per l’uomo. Di recente è intervenuto il d.lgs. 71/2015 che attua una direttiva europea del 2008 circa i requisiti minimi di formazione della gente di mare prevedendo programmi e procedure soggette al controllo di commissioni di esame per l’addestramento dei lavoratori marittimi3.

Infine nella disciplina speciale rientrano anche normative internazionali in materia di salute e sicurezza, che riguardano più prettamente la vita sulle navi che quella nei porti, la Convenzione ILO sul lavoro marittimo o Carta dei diritti della gente di mare,

approvata nel corso della Conferenza internazionale del lavoro nel 2006, la quale stabilisce i diritti dei marittimi introducendo condizioni di vita e di lavoro dignitose. Viene così riconosciuto ad ogni marittimo il diritto ad avere un posto di lavoro sicuro, tutelato e conforme alle norme di sicurezza e alla tutela alla salute. Per facilitare le

3 Si ricorda anche il d.lgs. 32/2016 che attua una direttiva del Consiglio europeo sulla responsabilità dello

stato di bandiera ai fini della conformità alla Convenzione sul lavoro marittimo del 2006, disciplinando anche l’attività di ispezione svolta da ispettori direttamente sulle navi

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attività di controllo e ispettiva a bordo delle navi, l’ILO ha sviluppato linee guida e direttive cui sono soggetti gli organi ispettivi.

Sulla stessa scia, ricordiamo anche la Convenzione SOLAS del 74’ che consiste un accordo internazionale elaborato dall’Organizzazione marittima internazionale che specifica le norme minime per la costruzione, equipaggiamento e funzionamento delle navi affinché queste si adeguino alle norme di sicurezza. A ciò si aggiunge l’obbligo per gli stati di bandiera di garantire che le navi rispettino i requisiti richiesti. A livello

europeo ricordiamo, invece, abbiamo la direttiva del Consiglio delle comunità europee n. 391/89, riguardante l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro4.

La disamina della disciplina speciale termina con il riferimento al CNNL dei porti (1 gennaio 2009-31 dicembre 2012) che contiene una disciplina specifica sulla sicurezza ed igiene del lavoro e in aggiunta i Protocolli d’intesa per la pianificazione degli interventi sulla sicurezza del lavoro, firmati dalle associazioni datoriali o organizzazioni sindacali di concerto con le Autorità portuali, Capitaneria di porto, Prefetto, Enti territoriali ed infine con gli organi di vigilanza ( ASL, INPS e DPL.)

Ottenuti tutti gli elementi sulla disciplina speciale, si deve ritornare a quella generale del 94’ che nel frattempo è stata modificata con il d.lgs. 81/2008 che costituisce il Testo unico sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, garantendo l’uniformità della tutela di lavoratori e lavoratrici sul territorio nazionale, attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni circa i diritti civili e sociali. I motivi che hanno portato ad introdurre questo Testo sono rappresentati dal fatto che la disciplina precedente era caratterizzata da una molteplicità di regole diverse e disordinate che avevano indotto centinaia di imprese a non rispettare le disposizioni, specialmente quelle preventive. Come se non bastasse, il tutto era accompagnato da uno scarso ed inefficiente sistema di controlli dovuto alla scarsa collaborazione tra ASL e soggetti dipendenti dal Ministero del lavoro.

Nonostante le problematicità di fondo che attanagliavano il nuovo decreto, emergono elementi a testimonianza della portata innovativa di tale Testo: realizzare la parità di trattamento e l’universalità tra tutti i lavoratori a prescindere dal sesso, età o condizione sociale, mettendo così in risalto il fatto che tutti i lavoratori sono accomunati dal essere tutti parte di un’organizzazione con a capo un datore di lavoro al fine di apprendere una professione o mansione.

Certamente questa innovazione è importante, ma i meriti del d.lgs. in esame vanno oltre, basti pensare al fatto che introduce molti elementi di freschezza e novità nel sistema prevenzionistico: a tal fine prevede una maggior organizzazione e programmazione dello stesso, unitamente alla previsione del metodo della valutazione dei rischi, a sua volta basato su procedure, ricerche, codici di condotta ed analisi. In aggiunta, ai fini di un efficiente sistema antinfortunistico, un ruolo attivo deve essere attribuito ai lavoratori che

4 Sullo stesso tema, si ricorda la direttiva del Consiglio europeo del 93’ la quale fissa prescrizioni minime di

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autonomamente o per mezzo delle loro rappresentanze per la sicurezza possono far valere i propri diritti, senza mai dimenticare il rispetto dei doveri che gli sono imposti, come previsto dall’art. 20 del Testo unico che impone ai lavoratori di “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro”. Interessante è qui precisare ancora una volta il fatto che il Testo unico, di riferimento, ha una portata talmente ampia da ricomprendere qualsiasi attività lavorativa a prescindere dai soggetti che la svolgono e a prescindere dalla tipologia di rischio; perciò al settore portuale si applica la stessa disciplina universale del d.lgs. 2008, con i limiti rappresentati dal fatto che la disciplina generale opera solo in caso residuale per quanto non

diversamente disposto dalla normativa speciale (ma come vedremo la disciplina generale risulta poco residuale in quanto la disciplina speciale è molto ridotta) e prendendo in considerazione i rischi specifici di tale settore; anche qui si cerca di realizzare il

coordinamento con la normativa ambientale che permette di contemperare le esigenze di salute e sicurezza dei lavoratori stessi (come ribadito dal comma 2, art. 1 Testo unico). Il testo unico ha ripreso il vecchio art. 24 comma 3 della legge 84/1994 in cui si prevedeva, anche, “che il governo adottasse (anche se in realtà non fu mai adottato) entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge di un regolamento contenente le disposizioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro applicabili alle operazioni portuali e altre operazioni di riparazione, trasformazione e manutenzione navale svolte negli ambiti portuali”. In più si attribuiva alle “autorità portuali i poteri di vigilanza e controllo in ordine

all’osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro”, mentre alle autorità marittime l’art. 14 della legge in esame attribuisce “funzioni di polizia e di sicurezza previste dal codice della navigazione e dalle leggi speciali e le rimanenti funzioni amministrative”.

Detto ciò, rimane il problema della mancata adozione da parte del governo del

regolamento sopracitato, problema risolto con l’emanazione della legge n. 485/1988 che ha obbligato il governo ad adottare più decreti legislativi per adeguare la vigente

disciplina securitaria alla peculiarità del sistema portuale; il più importante è stato il d.lgs. 272/1999, che vedremo a breve e che realizza effettivamente tale adeguamento. Si arriva poi alla disciplina contenuta nel Testo unico che è anche essa valida per il settore portuale in cui, alla stregua di ogni altro ambito lavorativo, vede impiegati diversi lavoratori con mansioni differenti e che possono operare per conto dell’infrastruttura portuale stessa (ad esempio l’attività svolta dai Supervisor Control Room, cioè coloro che coordinano attraverso l’uso di sistemi informatici le operazioni di carico e scarico dei container) o per conto di imprese o ditte esterne che operano in modo permanente o temporaneo nel porto (ad esempio operai impiegati nel rifacimento di banchine danneggiate o coloro addetti alla manutenzione ordinaria del porto); di conseguenza anche ciò che diremo sugli obblighi delle parti del rapporto di lavoro, sugli infortuni e malattie professionali varranno anche per il nostro settore di riferimento.

Un elemento interessante da notare, è rappresentato dal fatto che il capo I del Testo unico imponga un termine modificato, nel 2012, a 55 mesi, affinché esso dall’entrata in vigore (avvenuta il 15 maggio 2008) si adeguasse alla disciplina speciale rappresentata

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dai d.lgs. 271 e 272 del 1999. Il termine di adeguamento è scaduto nel dicembre del 2012, ma tale decreto legislativo, continua tuttora a modificarsi ed adeguarsi alle nuove esigenze che via via emergono e che il legislatore intende tutelare soprattutto nell’ottica della prevenzione e individuazione dei rischi. Ancora oggi però si assiste ad una

incompleta attuazione del Testo unico, si assiste a varie proposte da parte delle parti sociali. A titolo esemplificativo, nel 2018 Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno siglato un patto per la fabbrica in materia di salute e sicurezza, il quale “fa emergere tutte le

incertezze di alcune disposizioni di tale decreto legislativo che risultano carenti sotto il profilo della determinatezza e tassatività5

Alla luce di ciò, si spiegano i continui aggiornamenti dello stesso che, dal 2010 all’ultimo nel gennaio 2020, hanno aggiunto nuove normative e ne hanno altresì abrogate di altre, sempre per l’esigenza di rimanere saldamente attaccato a quella che è la realtà lavorativa, alla luce dell’evoluzione tecnologica e di conseguenza sociale che ne deriva.

La realizzazione di questa spinta evolutiva emerge a chiare lettere dalla struttura stessa del Testo unico nella quale in primis, vengono elencati i principi generali che guidano gli organi istituzionali nella loro attività ispettiva e di vigilanza di cui a titolo esemplificativo ricordiamo l’attività svolta dalla Azienda Sanitaria Locale competente per territorio o del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco per specifiche competenze. In aggiunta, operano anche organi istituzionali che svolgono attività di consulenza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro come l’INAIL o l’IPSEMA o quelli che svolgono attività di informazione come il Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP).

Il legislatore poi prosegue introducendo altre forme di tutela a livello generale, ma l’aspetto più importante in cui si basano gli sforzi, più volte ribaditi, è quello della valutazione dei rischi (di cui si parlerà più avanti), accompagnato dal sevizio di

prevenzione e protezione ed infine dalla sorveglianza sanitaria e da ultimo, ma non meno importante, la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori di cui si tratterà nel

prosieguo. Da ultimo l’adeguamento del Testo unico è ulteriormente suggellato dalla miriade di allegati aggiuntivi che dettano una disciplina dettagliatissima dando ulteriore completezza alla materia.

Le considerazioni sul d.lgs. 81/2008 terminano facendo riferimento alle disposizioni del titolo II dedicato alla tutela nei luoghi di lavoro che è accompagnata dalla previsione di sanzioni, le quali rappresentano una costante dei successivi titoli dedicati alla protezione dei lavoratori e che altresì si possono trasformare in penali come previsto dal penultimo titolo che precede le disposizioni finali.

3.3 L’attività di vigilanza sulla sicurezza nei porti

5 T.MENDUTO, “Un nuovo accordo per l’attuazione e la modifica del d.lgs. 81/2008, in “www.

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Completato l’esame sulla normativa di riferimento, è tempo di comprendere come si procede a garantirne l’effettiva osservanza.

Innanzitutto, si deve partire dal considerare come prima del 2008 l’attività di controllo fosse caratterizzata dalla precarietà, si registravano infatti verifiche saltuarie che avvenivano solamente dietro denunce o segnalazioni; il quadro che ne usciva era tutto tranne che confortante per la sicurezza e salute dei prestatori. Su tali problematicità, emerge a gran voce la portata innovativa del Testo unico, il quale punta a favorire la continua sinergia tra i vari soggetti deputati alla vigilanza sulla base di una

programmazione costantemente aggiornata ed in linea con gli indirizzi governativi. Per rendere più incisiva l’azione di vigilanza si sono attribuiti poteri sanzionatori e

prescrittivi a tali soggetti; ancora una volta il decreto nonostante riduca le sanzioni previste, poi aumentate con il Jobs act, innova in quanto tende a favorire il superamento delle tradizionali forme sanzionatorie (quali le ammende) verso strumenti che invitino i trasgressori a porre in essere le misure di sicurezza che dovevano essere predisposte e che sono state violate. In questa direzione interessanti sono gli spunti offerti dagli artt. 27 e 30 del decreto; partendo dal sistema di qualificazione delle imprese e lavoratori automi con riferimento alla tutela della salute e della sicurezza, l’art. 27 prevede che esso sia basato sulla specifica esperienza, competenza e conoscenza acquisite anche con percorsi formativi mirati.

Questo sistema, in particolare nell’edilizia, ma che può certamente essere esteso ad altri settori, si realizza anche attraverso l’adozione e diffusione di uno strumento che consenta la continua verifica circa l’idoneità delle imprese e dei lavoratori autonomi, in assenza di violazioni delle disposizioni di legge e con riferimento ai requisiti previsti, tra cui la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e i provvedimenti impartiti dagli organi di vigilanza. Rivolgendo l’attenzione all’art. 30, esso consiglia fortemente l’adozione e attuazione di un modello di organizzazione e gestione che permetta

l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici circa le attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori, rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici. Inoltre, tale modello deve prevedere

un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Con

riferimento all’art. 27 e 30 un ruolo rilevante è attribuito ad una Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (art. 6), la quale “elabora i criteri per la definizione del sistema di qualificazione delle imprese in materia di salute e sicurezza e di indicare modelli di organizzazione e gestione aziendale adottabili dalle aziende”. Una volta che siamo venuti a conoscenza del fatto che tali modelli delineati siano

essenziali per la messa in pratica della normativa sulla sicurezza e degli obblighi che essa comporta e consapevoli dell’esistenza di un sistema efficiente di vigilanza accompagnato da un regime sanzionatorio innovativo, come abbiamo visto, ci dà l’opportunità di

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A tal fine, il decreto in esame, all’art. 5 predispone un sistema istituzionale in cui operano simultaneamente diversi soggetti, tra cui il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale dell’attività di

vigilanza il cui compito principe è dato dall’elaborazione di programmi e linee guida che devono indirizzare la politica nazionale nella ricerca di soluzioni per implementare la sicurezza e salute dei lavoratori; a ciò si aggiunge l’impulso alla promozione e

coordinamento dell’attività di vigilanza. L’art. 8 prevede un ruolo importante in capo al Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) il quale deve individuare gli elementi che possono essere utilizzati per orientare, programmare e valutare l’efficacia delle attività di prevenzione e per indirizzare l’attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili nell’attuale sistema

informativo INAIL. Ancora, l’art. 7 si riferisce ai Comitati regionali di coordinamento, i quali programmano gli interventi di vigilanza sul territorio, garantiscono l’uniformità degli stessi e si raccorda con gli organismi previsti a livello nazionale, cioè il Comitato di cui all’art. 5 e la commissione di cui all’art. 6.

Altre funzioni sono descritte nel D.P.C.M del 21/12/07 all’art. 1, tra le quali ricordiamo funzioni di indirizzo e programmazione di attività, prevenzione e vigilanza e promuove l’attività di comunicazione, informazione e assistenza. In aggiunta, il Comitato è presieduto dal presidente della giunta regionale o da un assessore da lui delegato e deve comprendere rappresentanti territorialmente competenti come i servizi di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro delle aziende sanitarie locali, dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) e i rappresentanti degli uffici di sanità aerea e marittima del Ministero della salute, nonché delle autorità marittime portuali e aeroportuali. In ogni Comitato istituito presso ciascuna regione o provincia autonoma, è creato un ufficio operativo, composto da rappresentanti degli organi di vigilanza, che pianifica il

coordinamento delle rispettive attività, individuando le priorità a livello territoriale. Da ultimo, l’art. 9 del Testo unico fa riferimento agli enti pubblici aventi compiti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, quali l’ISPESL, INAIL o IPSEMA che

svolgono in simbiosi le attività di progettazione ed erogazione di percorsi formativi in materia di sicurezza e salute sul lavoro, anche ai fini di un addestramento dei responsabili e degli addetti ai servizi di prevenzione e protezione; promozione e divulgazione della cultura della salute e sicurezza nei percorsi formativi scolastici, universitari o istituzioni dell’alta formazione.

In aggiunta a tali soggetti sopraelencati, l’attività di vigilanza è svolta dalla Azienda Sanitaria Locale (nel nostro settore, tali attività è svolta in collaborazione con gli uffici periferici di Sanità marittima) dal Corpo dei Vigili del fuoco, dal Ministro dello sviluppo economico per il settore minerario e per le industrie estrattive di seconda categoria e le acque minerali e termali dalle regioni e province autonome di Trento e Bolzano. (art. 13 d.lgs. 81/2008).

A ciò si può aggiungere la circostanza che intervenga il personale ispettivo del Ministero del Lavoro e Politiche sociali che svolge funzioni di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza in alcuni settori, quali costruzioni edili o di

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genio civile, manutenzione, riparazione, lavori tramite cassoni in aria compressa e lavori subacquei ed infine ulteriori attività comportanti rischi particolarmente elevati. (comma 2 art 13.). Il terzo comma prevede poi che restino ferme le competenze in materia attribuite alle autorità marittime a bordo delle navi e in ambito portuale, agli uffici di sanità aerea e marittima, alle autorità portuali e aereoportuali, circa la sicurezza dei lavoratori a bordo di navi e di aeromobili ed in ambito portuale e aereoportuale.

Una volta inquadrata la vigilanza sotto il profilo della disciplina generale, è necessario volgere il nostro sguardo alla disciplina speciale, che come già detto risulta prevalere su quella generale ed è rappresentata dal d.lgs. 272/1999. Il primo fascio di attività di vigilanza si riferisce al cosiddetto “documento di sicurezza” che deve essere redatto obbligatoriamente dal datore di lavoro portuale. L’autorità deve verificare l’adempimento del datore di lavoro all’obbligo di formare tale documento, si verifica il suo contenuto secondo quanto previsto dall’articolo 4 d.lgs. 272/1999. Infine l’autorità vigila sul corretto e tempestivo esercizio da parte del datore dell’obbligo di sospensione delle operazioni e dei servizi portuali al verificarsi degli eventi previsti dal comma 3 dell’art. 4. Tra questi ricordiamo l’utilizzo da parte del datore di lavoro di apparecchi di

sollevamento e degli accessori e, limitatamente alla nave, a quei mezzi non fissi in dotazione alla nave. (art. 14). In apposito registro tenuto dal datore di lavoro devono essere inseriti tali strumenti di cui l’autorità può chiederne l’esibizione in qualunque momento. “Inoltre l’autorità ha accesso ai certificati e ai verbali, rilasciati in occasione delle verifiche degli apparecchi di sollevamento e degli accessori da parte dei

competenti organi, che sono contenuti nel registro stesso6”.

La seconda fattispecie di attività di vigilanza riguarda le ipotesi previste dall’art. 25 dello stesso decreto 272/1999, ovvero le operazioni relative a merci alla rinfusa solide e merci pericolose. Il primo comma a tal fine prevede che il datore di lavoro, qualora il carico alla rinfusa sia suscettibile di emettere gas tossico o infiammabile o impoverimento di ossigeno nei luoghi di lavoro, deve provvedere tramite consulente chimico di porto alla rilevazione della concentrazione di gas e ossigeno nell’aria. Sulla base dei risultati dell’analisi, il datore di lavoro deve provvedere alle opportune misure di sicurezza, comunicandolo all’autorità che può disporre dei controlli.

Terza ed ultima fattispecie è quella cui si riferiscono gli articoli 22 e 23 dello stesso decreto in esame: sosta di merci pericolose nelle aree portuali e movimentazione e manipolazione di sostanze radioattive. In questi due casi organo di vigilanza è l’ASL competente, che stabilisce i tempi, i limiti e modalità di deposito temporaneo delle merci pericolose e di movimentazione e manipolazioni ed il deposito di colli contenenti

sostanze radioattive.

Dall’elencazione di queste casistiche pericolose, si ricava che “l’Autorità interviene in un momento antecedente, riferendosi maggiormente all’ottica della prevenzione della

6A.GIURINI,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale “Impresa e lavoro nei servizi portuali”, a cura di

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salute e sicurezza nei porti rispetto alla vigilanza vera e propria”.7 In altre ipotesi la vigilanza avviene contemporaneamente alla prevenzione come nel caso di cui all’art. 46 d.lgs. 272/1999 relativo alle misure di prevenzione in caso di uso di miscele

ossiacetileniche della fiamma ossidrica, della saldatura elettrica e sicurezza nelle operazioni di ossitaglio. Di fronte a queste attività, il datore di lavoro deve presentare un’apposita domanda (il cui contenuto è specificato nel dettaglio al comma 2)

all’Autorità, corredata dal “certificato di non pericolosità” rilasciato dal consulente chimico del porto, all’Autorità marittima affinché la stessa ottenga il nulla-osta all’uso della fiamma a seguito del parere conforme del comandante provinciale dei Vigili del fuoco e sentita l’ASL competente. Nel rilasciare il nulla-osta, l’Autorità indica, secondo il comma 3, le misure che devono essere adottate ai fini della sicurezza e mantiene la possibilità di avvalersi, a spese del richiedente, dell’opera di un organo tecnico per accertamenti e controlli.

Ora, il quadro che ne esce dall’attività di vigilanza risulta essere, se non complesso, certamente difficile da decifrare in quanto sono le Autorità portuali a dover svolgere diverse attività ed essere inevitabilmente sovraccaricate di competenze in tale ambito. Sui loro sforzi e sulla loro capacità di verifica e controllo si gioca la partita della sicurezza nei porti, in quanto non sarebbe pensabile una attività preventiva senza che segua una fase di controllo e vigilanza volta a mettere in atto quanto è stato fissato ed individuato in precedenza.

3.4 L’attività di prevenzione del rischio

Vista l’attività di vigilanza, si deve fare però un passo indietro, rivolgendo la nostra attenzione dapprima al concetto di prevenzione e in seguito al modo in cui la stessa si realizza nella pratica.

L’esigenza della prevenzione sul lavoro sorge in quanto i rischi sulle attività lavorative restano tuttora nonostante che il diritto alla sicurezza del lavoro utilizzi con maggior frequenza le risorse della formazione professionale, degli obblighi di informazione datoriale e dell’intervento sindacale in azienda (che tratteremo più avanti) per eliminare il “pericolo insito nella prestazione”8. La grande attenzione del legislatore per la sicurezza non ha coinciso con immediati risultati operativi, come “dimostrato da sconfortanti statistiche, che ogni anno parlano di quasi mille morti e quasi un milione di

infortunati”9.

7 A.GIURINI,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale “Impresa e lavoro nei servizi portuali” a cura di

A.XERRI, Milano per Giuffré, 2012, pag. 362.

8 E.GRAGNOLI,” La sicurezza del lavoro a bordo delle navi”, Milano per Giuffré, 2001, pag. 39 in manuale

“La sicurezza del lavoro sulle navi e nei porti”.

9 E.GRAGNOLI,” La sicurezza del lavoro a bordo delle navi”, Milano per Giuffré, 2001, pag. 40 in manuale

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Una volta che ciò è stato appurato, non ci resta che esaminare la nozione di prevenzione. Una prima traccia della definizione la si rinviene nell’art. 2087 del codice civile, che attua una direttiva comunitaria dell’89’, in base alla quale l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Tutto ciò in combinato disposto con l’art. 2 comma 1, (lett. n.) del d.lgs. 81/2008, il quale prevede che la prevenzione sia: “il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”.

“Elemento comune alle due fattispecie è rappresentato dal preciso riferimento alla particolarità del lavoro, all’esperienza e alla tecnica che è alla base di un approccio alla tutela della salute e sicurezza dell’ambiente capace di adattarsi alle nuove e diverse possibili fonti di rischio. Inoltre un simile concetto di prevenzione ben si sposa con la generale applicazione della normativa a tutte le imprese e a tutte le tipologie di rischio, nonché agli obblighi generali di rischio.”10

L’articolo 2 del Testo unico del 2008 alla lettera “o” dà anche una rilevante nozione di salute intesa come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o infermità”. Si realizza così quello che parte della dottrina definisce come una nozione integrale di salute comprensiva del benessere fisico che psichico, con connessa lotta allo stress, alla monotonia e ripetitività del

lavoro.11Importante è anche il concetto previsto dalla lettera “p”, che è quello del Sistema di promozione della salute e sicurezza che individua un nucleo di soggetti che

concorrono, con la partecipazione di altre parti sociali, alla realizzazione dei programmi di intervento volti a migliorare le condizioni di sicurezza e salute dei lavoratori.

Grazie a questi concetti europei e nazionali che si sviluppa sempre di più “l’idea di contenere i poteri unilaterali dell’impresa a favore di una maggiore sicurezza

(nell’ottica della riduzione degli infortuni o malattie professionali) unita alla tutela della dignità, insieme alla garanzia delle libertà sul luogo di lavoro e al miglioramento anche delle condizioni economiche del personale.”12

Giunti a questo punto, è inevitabile riferirsi ai concetti correlati di rischio e pericolo di cui ne abbiamo traccia sempre nel d.lgs. 81/2008. Al riguardo, la lettera “s” dello stesso afferma che il rischio consiste nella probabilità del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente o alla loro

10 O.LA TEGOLA,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale “Impresa e lavoro nei servizi portuali” a cura

A.XERRI, Milano per Giuffré, 2012, pag. 339.

11 O.LA TEGOLA,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale “Impresa e lavoro nei servizi portuali” a cura

A.XERRI, Milano per Giuffré, 2012, pag. 340.

12 E.GRAGNOLI,” La sicurezza del lavoro a bordo delle navi”, Milano per Giuffré, 2001, pag. 40 in manuale

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combinazione. Mentre il pericolo è definito dalla lettera “r” come la proprietà o qualità intrinseca di un certo fattore avente il potenziale di causare danni. Ora, il problema intricato da risolvere è come distinguere due elementi la cui diversità è molto sottile e sfumata; analizzando i due termini con un occhio più attento si può ricercare la soluzione nelle lettere della disposizione. Il pericolo si riferisce a qualcosa che è intrinseco ad un certo fattore che potenzialmente, anzi certamente, può causare danni. Il rischio, al contrario, riguarda profili estrinseci e più in particolare riguarda fattori il cui verificarsi non è certo, ma è solo possibile. Proprio questa distinzione appare di fondamentale importanza proprio in un ambito vasto e complesso come quello dei porti in cui esistono e in cui ogni giorno circolano un gran quantitativo di merci e persone amplificando inevitabilmente i rischi e pericoli che, come in ogni altro ambito, lo caratterizzano. Espressione di questa caratteristica aleatoria dei luoghi di lavoro nei porti, è il concetto di “rischio interferenziale”.

“Esso si basa sulla presunzione che ogni prestatore d’opera apporti dei rischi sul luogo di lavoro, connessi con la propria attività specifica, e che questi rischi, sommati a quelli eventualmente apportati dagli altri attori, possano in qualche modo generare delle sovrapposizioni con un aumento del livello di rischio ed una diversa tipologia di pericolo presente sul sito.”13. Più nel dettaglio consiste nella concorrenza dei rischi propri di un ambiente lavorativo in cui un lavoratore presta la propria attività, derivanti dall’azione di lavoratori dipendenti da più imprese o lavoratori autonomi operanti nello stesso ambiente di lavoro e che siano interagenti tra di loro. Sul tema vi è una sentenza della Cassazione 14che ha precisato che se nello stesso ambito lavorativo operano lavoratori dipendenti di imprese diverse, i cui rischi lavorativi interferiscono con l’opera o il risultato dell’opera di altri soggetti, tali rischi concorrono a configurare l’ambiente di lavoro. “Ciò comporta che il datore di lavoro sia obbligato ad informarsi dei rischi derivanti dall’opera o dal risultato dell’opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo e dare le

conseguenti informazioni e istruzioni ai propri dipendenti.”15

Sostanzialmente la Corte ha ribadito che l’obbligo di sicurezza si riferisca a tutto

l’ambiente lavorativo nel quale è chiamato ad operare il lavoratore; inoltre considerando tutti i dipendenti di imprese che svolgono attività lavorativa nello stesso ambito

lavorativo, come operanti nel medesimo ambiente di lavoro, sorge in capo al datore di lavoro l’obbligo di informarsi dalle altre imprese dei rischi derivanti dalle lavorazioni che si svolgono nello stesso ambiente di lavoro e conseguentemente informare di ciò i

lavoratori.

Tutto ciò trova conferma nella disciplina delineata dall’art. 26 del sopracitato d.lgs. che si riferisce agli obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o somministrazione. In particolare nelle ipotesi di affidamento dei lavori di impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda o singola unità produttiva della stessa, il

13 Sito web Anfos servizi (associazione nazionale formatori sicurezza sul lavoro) 14 Cfr. Cass. 7 gennaio 2009, n. 45.

15 O.LA TEGOLA,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale “Impresa e lavoro nei servizi portuali” a cura

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datore di lavoro committente ha l’obbligo di promuovere la cooperazione e il

coordinamento delle misure di prevenzione oggetto dell’appalto, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o ridurre al minimo i rischi da interferenze, che va allegato al contratto d’appalto o di opera. (comma 3). In altri termini, la responsabilità nel redigere il DUVRI è del committente dell’appalto cui spetta raccogliere le informazioni da tutti i contraenti e di elaborare un documento organico che va condiviso e reso conoscibile ai destinatari. Tale documento unico di valutazione dei rischi chiamato DUVRI, è innanzitutto allegato al contratto d’opera e deve essere adeguato in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture, è proprio questa caratteristica che lo rende un atto dinamico Nelle ipotesi di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, il documento è redatto, ai fini

dell’affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto. In particolare, “l’obbligo sussiste in capo all’ impresa capo commessa che deve consegnare alle imprese che lavorano nello stesso porto, prima di iniziare l’attività, il documento di sicurezza in cui potranno prendere visione dei rischi derivanti da interferenze in uno con il documento di sicurezza previsto dalla normativa speciale.”16

Il Documento di valutazione dei rischi interferenziali non è obbligatorio quando ci si trova di fronte a servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o

attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non superi i 5 uomini-giorno, cioè l’insieme delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione dei lavori e servizi considerata con riferimento all’arco temporale di un anno all’inizio dei lavori. Questa ipotesi di

esclusione legata al rispetto del termine di durata massima di 5 uomini-giorno, non opera nemmeno se i servizi o i lavori comportano il rischio di incendio di livello alto o dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici, di amianto o atmosfere esplosive (comma 3 bis). Ancora, con il decreto n. 69/2013 è stata escluso l’obbligo di redigere il DUVRI per le attività considerate a basso rischio infortunistico.

Infine un aspetto da rimarcare, è il fatto che il committente debba rispondere in solido con l’appaltatore o subappaltatori per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o subappaltatore, non risulti indennizzato dall’INAIL o IPSEMA

(Istituto di previdenza per il settore marittimo). Ovviamente la responsabilità in solido tra committente e appaltatore sorge anche in caso di mancato pagamento delle retribuzioni e contributi previdenziali e assicurativi.

3.5 Diritti e obblighi delle parti nel rapporto di lavoro

Terminata così la digressione sul rischio inferenziale, è giunta l’ora di stabilire i

principali obblighi dei soggetti che operano nel sistema di sicurezza e salute dei porti, ma prima occorre fare una distinzione preliminare tra questi soggetti; nello specifico ci si deve riferire alle definizioni date dal Testo unico del 2008. Il lavoratore è definito come persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa

16 O.LA TEGOLA,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale “Impresa e lavoro nei servizi portuali” a cura

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nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere un’arte o una professione, esclusi gli addetti a servizi domestici e familiari (art. 2, comma 1 lett. a). A tali lavoratori sono equiparati il socio lavoratore di cooperativa e società che presta la propria attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione che partecipa agli utili dell’impresa dell’associante, verso il corrispettivo di un certo apporto (art. 2549 c.c.), il soggetto beneficiario dei tirocini formativi e l’allievo di istituti di istruzione ed universitari e infine il partecipante a corsi di formazione professionale.

Per datore di lavoro si intende, invece, il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o con il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva, in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Dall’altro lato, nelle pubbliche amministrazioni, gli obblighi datoriali relativi alla sicurezza

dell’ambiente di lavoro sono posti in capo al dirigente cui spettano i poteri di gestione oppure al funzionario non dirigente che sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’ organo di vertice delle singole amministrazioni. Questo è ciò che viene ribadito dall’art. 2, lett. b dello stesso d.lgs. 2008. Quest’ultimo ha avuto anche il merito di mettere in risalto un principio già individuato e sviluppato con il precedente d.lgs. 626/1994, cioè il principio di effettività, il quale caratterizza e regola la

responsabilità sia penale che civile nella materia sicurezza e salute dei lavoratori. Tracce di tale evoluzione concettualistica, le troviamo nella stessa definizione di datore di lavoro all’art. 2 lett. b che innova rispetto alla versione del 94’, sostituendo l’espressione

“titolarità” dei poteri decisionali in capo al datore di lavoro, con “esercizio” degli stessi. Spiegandoci meglio, la titolarità rappresenta solamente un aspetto statico e teorico, se vogliamo, in quanto non è sufficiente essere in possesso di una data facoltà, in quanto ciò che conta veramente è la messa in pratica, l’esercizio effettivo della stessa; in modo tale che si possa garantire una tutela piena dei diritti fondamentali che la materia securitaria e salutistica comporta.

Pertanto ciò che il nuovo Testo unico si prefissa è la creazione di un’organizzazione prevenzionistica in cui rileva il contributo attivo di tutti i protagonisti dell’ambiente lavorativo, realizzando uno stacco netto anche dallo stesso art. 2087 c.c., norma cardine sulla sicurezza, che impone un mero obbligo in capo al datore di lavoro di rispettare l’integrità psico-fisica dei prestatori di lavoro. A fornire un chiarimento sulla nozione generale di datore di lavoro è intervenuta la sentenza della Cassazione (sez. penale n. 36878/2009) che ha affermato che nei luoghi di lavoro, il datore non va considerato come titolare di un contratto di lavoro con il lavoratore, bensì il titolare del rapporto di lavoro con lo stesso, potendo rientrare in tale categoria anche colui che riveste la figura di datore di lavoro di “fatto” in base al diritto dei rapporti “effettivi”. Quest’ultima affermazione trova conferma nell’art. 299 d.lgs. 2008 in base al quale le posizioni di garanzia relative al datore di lavoro, dirigente e preposto gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti e “quindi con riferimento al datore di lavoro, la posizione di costui

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nell’organizzazione della sicurezza nel luogo di lavoro è a carico di chi ne eserciti in concreto i poteri gerarchici che si riferiscono a questa figura”.17

Questo stesso principio è stato di recente ribadito, ancora una volta, dalla Cassazione (sent. n. 229, 8 gennaio 2020) secondo la quale “la qualifica di datore di lavoro consiste nella effettiva titolarità del rapporto di lavoro con il lavoratore e ciò per evitare che il datore stesso possa sottrarsi agli obblighi di sicurezza”. La Corte prosegue specificando che in materia di infortuni sul lavoro “assume la posizione di garante, in virtù sempre del principio di effettività, colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, dirigente o del preposto”.18Ancora, su questo stesso tema, sempre di recente è il

principio di diritto riaffermato dalla Cassazione nel 2019 con la sentenza numero 41367: “in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale

responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure

antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte di eventuali preposti e dei lavoratori, questo perché egli è costituito garante

dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro”

Le responsabilità del datore aumentano nel caso in cui i lavori vengono affidati ad un’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi o in somministrazione all’interno della propria azienda, “in questi casi al committente spetta predisporre le misure volte a garantire la sicurezza dei lavoratori non direttamente da lui dipendenti che operano nella sua azienda, quando le stesse sono generiche e non legate alla specifica attività del lavoratore.” (Cass. n. 12348/2008). Il committente in tale ambito va, pertanto,

“individuato in una persona fisica titolare di obblighi penalmente sanzionabili che per le persone giuridiche, pubbliche o private, coincide con il soggetto legittimato alla firma dei contratti di appalto per l’esecuzione dei lavori.19

Passando al nostro settore di riferimento, la definizione generale di datore di lavoro va letta in combinato disposto con la definizione contenuta nella disciplina speciale prevista dal d.lgs. 272/1999 nell’art. 3, che identifica il datore di lavoro come il titolare

dell’impresa portuale, il comandante della nave che si avvale dei membri dell’equipaggio per i servizi e le operazioni portuali in regime di autoproduzione o per operazioni di riparazione e manutenzione navale; oppure il titolare dell’impresa di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi.

3.6 I principali adempimenti dei soggetti che garantiscono sicurezza e salute nei porti Una volta distinto i soggetti con funzioni di supervisione e vigilanza in base alla

normativa, abbiamo tutti gli elementi per procedere ad analizzare gli specifici obblighi in

17 G.PORRECA,www. Porreca.it, 17/05/2010 18 G.PORRECA, www. Porreca.it, 17/02/2020

19 O.LA TEGOLA,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale “Impresa e lavoro nei servizi portuali”, a cura

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capo al datore di lavoro, al lavoratore e altri soggetti che intervengono nel rapporto lavorativo.

Partendo dal primo, il suo principale obbligo è di prevedere, nel corso delle operazioni portuali nave-nave, un mezzo nautico o idoneo mezzo collettivo di salvataggio allo scopo di garantire sia l’evacuazione dei lavoratori sia l’eventuale trasporto di infortunati; in più deve avvalersi del “servizio integrativo antincendio portuale”. Proseguendo, al datore di lavoro spetta svolgere la valutazione dei rischi nel luogo di lavoro, in particolare

elaborando il documento di sicurezza che deve contenere, secondo l’art. del d.lgs. del 99’, la descrizione delle operazioni e servizi portuali che sono svolte per conto proprio o di terzi dall’impresa portuale, il numero medio dei dipendenti ed il loro impiego per ogni ciclo ed ambiente di lavoro e l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione e dei dispositivi di protezione individuale da adottare in relazione ai rischi derivanti dalle operazioni e dai servizi portuali. Ciò è frutto di due innovazioni fondamentali introdotte come obbligo legislativo nel 94’ derivante dalla spinta innovativa del legislatore

comunitario: la valutazione dei rischi ed il ricorso a specifiche professionalità tecniche (Servizio di prevenzione e protezione- medico competente), le quali, in particolar modo il Servizio di prevenzione e protezione, “possono garantire un corretto adempimento dell’obbligo aziendale in capo al datore di lavoro ed assicurare che questo effettui una puntuale analisi dei processi di lavoro, al fine di valutare ed individuare i rischi e correlativamente definire efficaci misure di prevenzione volti ad eliminarli alla fonte o ridurli per quanto possibile”.20

Attualmente con la formulazione del Testo unico n. 81/2008, si realizza un ulteriore passo avanti rispetto al precedente d.lgs. 626/1994 si evidenzia “la rilevanza

dell’organizzazione prodromica al sistema di prevenzione di azienda”; ciò è testimoniato dall’articolo 30 di tale Testo unico dal quale si ricava che il legislatore ha adottato un modello culturale e scientifico per il quale dato organizzativo è imprescindibile, “la progettazione organizzativa è volta a realizzare il sistema organizzativo che sia affidabile e sicuro, parametri che conciliano efficienza, tutela e soddisfazione dei lavoratori”. 21

Ogni analisi sul ruolo fondamentale dell’organizzazione lavorativa, deve aver inizio a partire dalla lettera dell’art. 2087 del codice civile che esprime gran parte delle

potenzialità prevenzionistiche della materia securitaria e che qualifica il datore di lavoro come responsabile della sicurezza nei luoghi di lavoro, da ciò deriva l’obbligo per lo stesso ad adottare le misure preventive volte a tutelare l’integrità fisica, personalità e dignità del lavoratore stesso. “Alla posizione di vincolo del datore di lavoro corrisponde il “diritto di credito” del singolo lavoratore, ciò a garanzia di un ambiente di lavoro

20 G.NATULLO,” Continuità e innovazione nel nuovo codice della sicurezza sui luoghi di lavoro”, Torino per

Utet giuridica (CEDAM), 2009, pag. 330 e ss.

21 G.NATULLO,” Continuità e innovazione nel nuovo codice della sicurezza sui luoghi di lavoro”, Torino per

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sano ed esente da rischi, entro il quale l’obbligazione possa essere compiuta senza alcun pregiudizio per l’integrità fisica e morale del debitore di opere”22. Ne deriva che il datore di lavoro è così tenuto costantemente ad un dovere di aggiornamento sulla normativa di riferimento, rimanendo così in linea anche con quella che è l’evoluzione della tecnica e del progresso, non dimenticando mai la necessità imprescindibile della tutela del lavoratore. La portata rilevante dell’articolo in questione, lo si vede dal fatto che impone in capo al datore di lavoro una valutazione ponderata circa le misure di sicurezza da adottare, rispettando i canoni dello stesso art. 2087 quali, la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica.

Importante a questo punto è esaminarli più specificatamente partendo dal considerare che la particolarità del lavoro è un concetto ampio che comprende tutti i rischi che

caratterizzano per propria natura il lavoro. L’esperienza consiste, invece,

nell’acquisizione di una serie di conoscenze e misure per prevenire eventuali danni che possono verificarsi in capo ai lavoratori. Al tutto si aggiunge la nozione di tecnica che consiste nell’onere del datore di prendere in considerazione quello che in un certo periodo storico è messo a sua disposizione dallo sviluppo tecnologico e scientifico cui deve costantemente misurarsi l’ambiente lavorativo.

A favore del ruolo attivo della parte datoriale nella tutela dei lavoratori, è stata di recente la Cassazione con l’ordinanza n. 16026 del 2018. Quest’ultima decisione ha avuto anche il merito di fornire un certo orientamento in merito alla sussistenza della responsabilità datoriale che ci apprestiamo ora ad analizzare. La responsabilità presuppone la

verificazione di un evento lesivo dell’integrità psicofisica del lavoratore avvenuta in occasione o a causa del lavoro, in questi casi come vedremo, la parte lesa ha diritto a un’indennità prevista dall’ ente assicuratore INAIL cui si aggiunge anche la possibilità, qualora quest’ultima sia non satisfattiva, di procedere sulla base dei rimedi civilistici previsti dall’art. 1218 c.c., ovvero per ottenere il risarcimento del danno. Ai fini della determinazione dello stesso, rileva non solo l’eventuale responsabilità contrattuale della parte datoriale, ma anche l’effettivo rispetto del canone della diligenza del buon padre di famiglia, secondo l’art. 1176 del c.c., il quale deve necessariamente valutarsi con

riguardo alla natura dell’attività esercitata. Questo è tutto ciò che può gravare il datore di lavoro ai fini del garantire la prevenzione circa la salute e sicurezza dei lavoratori, unitamente a quanto affermato dalla Cassazione con l’ordinanza del 2018 sopracitata che impone alla componente datoriale di prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza e imperizia degli stessi lavoratori.

Ora, non è pensabile che il datore di lavoro possa sempre e comunque essere tenuto a rispondere per ogni fatto accaduto ai suoi sottoposti, specialmente se questi sono il frutto di una loro condotta del tutto “avulsa dalla prestazione lavorativa o da essa

riconducibile, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni

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del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa e prescindendo da essa” (Cassaz. sent. n. 18786 del 2014)23.

Ricapitolando, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente 24, la responsabilità datoriale è contrattuale, poiché non si può assoggettare il datore di lavoro ad una

responsabilità oggettiva per ogni infortunio occorso ai dipendenti in azienda, in quanto quest’ultima deve essere ricollegabile ad un comportamento colpevole, riconducibile alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza ben identificabile

Altra possibilità per il datore di lavoro di essere esentato dalla responsabilità, è data dallo stesso art. 1218 del c.c. che prevede l’esclusione della risarcibilità del danno, se si prova di non aver potuto adempiere per cause a lui non imputabili.

Ora che sappiamo quando può essere esclusa la responsabilità datoriale, è bene analizzare l’onere della prova in capo alle due componenti del rapporto lavorativo. Partendo dal lavoratore, a questi spetta dimostrare la sussistenza di un comportamento illecito, cercando di provare quali misure preventive non sono state applicate correttamente o quali sono state del tutto omesse e il nesso causale tra la condotta illecita del datore di lavoro e il danno stesso. Una volta che il lavoratore abbia esaurito l’onere probatorio, tranne nel caso in cui non l’ha fatto rinunciando alle pretese risarcitorie, al datore di lavoro spetta fornire la prova di aver efficacemente posto in essere, per evitare il danno all’integrità psico-fisica dei lavoratori, tutte le misure previste dalle regole sulla

diligenza, dalla tecnica e dall’esperienza (art. 2087 c.c.) In altri termini, su lui grava l’onere di dimostrare di aver rispettato completamente tutti gli adempimenti che

discendono dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, come delineata dal d.lgs. 81/2008.

Tornando agli adempimenti del datore di lavoro, questi non riguardano solamente l’obbligo dello stesso di evitare i rischi con riferimento a specifiche attività che vengono compiute nel luogo di lavoro, bensì gli è richiesto qualcosa di più: tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori con riferimento a tutti i possibili rischi che ne possono derivare nei confronti degli stessi. Quello che conta è perciò la tutela di un interesse primario e generale come quello della salute e sicurezza a prescindere dai tipi di lavoratori coinvolti e dal tipo di mansione e attività svolta. A sostegno di questa protezione generalizzata, basta riferirsi all’oggetto della valutazione dei rischi, che, secondo l’art. 28 del d.lgs. 2008, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari come quelli collegati allo stress lavoro-correlato e quelli circa le lavoratrici in stato di gravidanza. Sempre con riferimento alla prevenzione, il datore di lavoro deve informare nel minor tempo

possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave ed immediato circa il rischio

23 Nello stesso senso, la sentenza n. 9304 del 2002, esclude la responsabilità datoriale nel caso di

“infortunio provocato da un comportamento del dipendente del tutto imprevedibile ed estraneo alla stessa prestazione lavorativa, non sussistendo un obbligo generale del datore di sorveglianza dei dipendenti affinché non compiano atti inconsulti potenzialmente lesivi della propria ed altrui incolumità

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stesso e le disposizioni prese o da prenderne in materia di protezione. (lett. “i” art. 18 d.lgs. 2008). Ovvero prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno, verificando periodicamente l’assenza di rischio. (lett. “q” art. 18). Ulteriore obbligo fondamentale in questo ambito preventivo cautelare, è rappresentato dal documento di sicurezza, già previsto dall’articolo 4 del d.lgs. 626/1994 e frutto della sua successiva evoluzione incarnata dal Testo unico del 2008 che all’articolo 28 parla di “documento di valutazione di tutti i rischi” che ha uno specifico contenuto, unitamente a quanto disposto dalla disciplina speciale del d.lgs. 272/1999. Giungendo al contenuto dello stesso l’art. 1 dell’art. 28, la valutazione dei rischi si deve effettuare sia nel rispetto delle attrezzature di lavoro e sistemazione luoghi di lavoro sia con riferimento a tutti i rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori, compresi quelli esposti a rischi particolari, quelli collegati a stress di lavoro-correlato e quelli di lavoratrici in gravidanza. In questa valutazione, è bene sempre garantire il rispetto di questi due profili oggettivi e soggettivi, al fine di una tutela a più ampio raggio che prenda in considerazione, sotto tutti i punti di vista, gli aspetti che possono pregiudicare l’attività lavorativa. L’art. 28 prosegue poi stabilendo che esso debba avere data certa o attestata dalla data, sottoscrizione dello stesso da parte del datore di lavoro, da parte del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (ai soli fini della prova della data), del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (RLST) e del medico competente, se nominato.

La disciplina speciale del d.lgs. 1999 prevede, invece, che vengano descritte le

operazioni e i servizi portuali oggetto dell’attività portuale, nonché l’individuazione di ogni fase o ciclo di lavoro in relazione alla tipologia della nave, della merce e materiali movimentati e dell’attrezzatura portuale (art. 4). L’art. 38 dello stesso decreto è dedicato ai casi in cui si devono compiere lavori di manutenzione, riparazione e trasformazione siano eseguiti da più imprese, l’armatore o il comandante devono designare l’impresa capo-commessa. In entrambi le ipotesi degli articoli 4 e 38 si prevede la localizzazione e l’indicazione del numero medio dei lavoratori e il loro impego per ogni ciclo o fase di lavoro e ambiente di lavoro. L’articolo 38 lett. “d” fa inoltre riferimento alle fasi nelle quali si può verificare la presenza contestuale di un numero consistente di lavoratori che svolgono lavorazioni diverse in uno stesso ambiente. La ratio sottesa alle due

disposizioni è sicuramente realizzare una parità di regime, circa la sicurezza dei prestatori di attività, tra il lavoro svolto nei porti e quello svolto nei cantieri mobili e non

permanenti.

Di conseguenza, dovrebbero essere inseriti nel documento tutte le imprese appaltanti che operano nei servizi e operazioni portuali, unitamente all’indicazione di eventuali ditte subappaltanti; questo è testimoniato dall’obbligo gravante sul titolare dell’impresa capo-commessa di consegnare il documento di sicurezza a tutte le imprese, anche in

subappalto, che operano nello stesso contesto, affinché tutte si uniformino al documento di sicurezza. Se questo adempimento non viene rispettato da tutte le imprese destinatarie dello stesso, spetta valutare le rispettive conseguenze alla luce dell’articolo 4 del d.lgs.

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1999 che impone obblighi di informazione preventivi all’inizio delle attività. Il punto rimane controverso perché la disciplina sul tema è pressoché assente.

È invece disciplinato dall’art. 29 d.lgs. 81/2008 il caso di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della

sorveglianza sanitaria ne evidenziano la necessità. In casi simili, il documento di sicurezza deve essere aggiornato è comunicato al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; questa possibilità rientra tra i motivi, previsti dall’art. 28, che obbligano il datore di lavoro a procedere ad una nuova valutazione dei rischi25. Un aspetto da non dimenticare è dato dall’applicazione della disciplina sull’obbligo di aggiornamento del documento di sicurezza anche ai porti, “perché è soprattutto in questi luoghi che sono ipotizzabili modifiche significative dell’organizzazione del lavoro come, ad esempio l’affidamento di particolari lavori ad altre imprese e/o a lavoratori autonomi, come accade nei cantieri temporanei o mobili”26. È soprattutto in questi due ultimi ambiti che vi sono forti analogie tra gli stessi ed i porti, come testimoniato dall’applicazione dello stesso Testo unico del 2008 ai cantieri temporanei e mobili, introducendo anche novità rispetto alla precedente ed intricata disciplina amministrativa.

Aspetto importante introdotto dal Testo unico è di riportare in un medesimo corpus normativo tutte le regole volte a disciplinare le obbligazioni di sicurezza, soprattutto con riferimento ai cantieri mobili, la cui disciplina era originariamente frastagliata. “Da ciò deriva che la legislazione individua nella programmazione e nella redazione di

documenti obbligatori, di cui ne vedremo un esempio tra poco, gli strumenti per un’efficace prevenzione.27

Il legislatore a tal fine, prevede tre documenti da redigere. Ai nostri fini, ne vedremo uno che consiste nel “piano di sicurezza e coordinamento” (PSC) che deve essere redatto dal committente. Esso è costituito da una relazione tecnica contenente le prescrizioni

correlate alla complessità dell’opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, volte a prevenire o ridurre i rischi particolari delle costruzioni in edilizia e la stima dei costi (art 100 d.lgs. 81/2008). Inoltre, l’art. 100 al comma 2

stabilisce che il piano sia parte integrante del contratto di appalto. “Quest’ultimo aspetto è rilevante, perché l’impresa affidataria e le imprese esecutrici sono tenute a redigere il piano di sicurezza (altresì detto POS), tenuto conto di quanto contenuto nel PSC. Ne consegue che questo piano oltre ad essere un documento autonomo che integra il

25 Questi motivi ricomprendono anche quelli previsti a suo tempo dal d.lgs. 626/1994 che faceva

riferimento alle sole modifiche del processo produttivo.

26 O.LA TEGOLA,” La sicurezza sul lavoro nei porti”, in manuale “Impresa e lavoro nei servizi portuali” a cura

A.XERRI, Milano per Giuffré, 2012, pag. 350.

27 O.LA TEGOLA, G.VERRACCHIA,” Le novità del testo unico in tema di sicurezza su cantieri temporanei e

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