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LLLAAA LLLIIIRRRIIICCCAAA::: UUUNNN AAATTTTTTOOORRREEE NNNUUUOOOVVVOOO SSSUUULLLLLLAAA SSSCCCEEENNNAAA

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«L’arte non consiste nel fare cose nuove, ma nel rappresentarle con novità.»

(U. Foscolo)

2.1 La riforma delle istituzioni musicali: uno spartito con parecchie stonatu-re

Il dibattito sul riordino organizzativo-istituzionale del sistema spettacolo in generale e sulla riorganizzazione degli enti lirici in particolare era cominciato già negli anni Ottan-ta, ma i puntelli messi con i continui regolamenti, decreti e postille alle varie leggi fi-nanziarie emanati “in attesa di una specifica legge” avevano ancora una buona tenuta e così i toni erano poco più che accademici.

Con gli anni Novanta però la situazione della finanza pubblica peggiora gravemente e così anche tutta la normativa tampone sullo spettacolo, per la gran parte di matrice fi-nanziaria, ha evidenziato la sua totale inadeguatezza non consentendo più di tenere in stanby un approccio serio e concreto alla materia e la stesura di un nuovo assetto orga-nizzativo e finanziario.

A spingere in questa direzione inoltre concorre anche il cambiamento presente nella domanda che ora, venuti meno i soliti paraventi legislativi, aveva acquistato la forza per denunciare lo stato di un’offerta soffocata dalle sproporzionate e disarticolate attenzioni del legislatore. Dalla legge 800/65, cosiddetta legge Corona, infatti non c’era più stato

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54 un intervento organico e mirato per questo settore. Quando negli anni Settanta la do-manda di teatro e di musica aveva registrato rilevanti tassi di crescita, per fare in modo che le istanze di innovazione e questa “richiesta sociale” di sperimentazione e parteci-pazione culturale non fossero deluse, piuttosto che puntare su un adeguamento istituzio-nale ed organizzativo, il legislatore si limitò a fornire un mero supporto finanziario, cre-ando norme che andavano a rimorchio dell’offerta senza creare alcuna sinergia né so-stenere o tracciare un sentiero di sviluppo per il futuro.

Ora che i rigidi parametri europei limitano fortemente l’uso di questo strumento e lo Stato è costretto a ridimensionare il ruolo avuto finora e a riposizionare la sua presenza nel settore, facendola diventare plurivalente, il dibattito ha assunto toni più decisi e so-prattutto è accompagnato ad una azione legislativa completa e non attendista.

La riforma, contenuta nel D.Lgs. 367 del 29 Giugno 1996, fu emanata su delega del Par-lamento1 dopo un lungo periodo di discussioni e confronti sulle modalità di attuare quel-li che ormai, sulla scia dei cambiamenti in corso, erano emersi come obiettivi prioritari ed obbligatori: l’adozione di un assetto istituzionale che prevedesse procedure decisio-nali ed amministrative più snelle, l’introduzione della normativa sul lavoro subordinato dell’impresa per regolare i rapporti di lavoro dipendente per alleggerire gli ormai ingo-vernabili oneri retributivi, l’ingresso di soggetti privati negli organi di governo ed il conseguente apporto di capitale privato al finanziamento dell’istituzione2

.

Ma su tutte le decisioni incombono alcuni importanti vincoli: le prescrizioni della Costi-tuzione sulla cultura ed il grave deficit della finanza pubblica, che naturalmente debbo-no essere confrontati con una realtà gestionale segnata da inefficienze e plasmata da lo-giche e procedure burocratizzate.

La concomitanza di questi fattori contrastanti ha allontanato ogni ipotesi di trasforma-zione nel senso più marcatamente commerciale dato da una “società non lucrativa”, ma ha anche reso impraticabili le soluzioni giuridiche preconfezionate. Infatti se seguendo la prima ipotesi si sarebbero attirati prima e meglio i capitali privati rendendo il

1

Il Parlamento con l’art. 2, c. 57, della lg. 549 del 28/12/1995, conferiva al Governo la delega ad emana-re entro il 30 Giugno del 1996 uno o più decemana-reti legislativi per attuaemana-re una riforma degli enti che operava-no nel settore musicale.

2 Precisamente i principî che alla fine la legge delega aveva indicato come ispiratori della riforma sono:

 eliminare le rigidità organizzative che discendono dalla natura pubblica dei soggetti che operano nel settore;

 assicurare agli enti di prioritario interesse nazionale che operano nel settore musicale risorse finanziarie aggiuntive rispetto al contributo statale;

 evitare che l’incremento dei contributi finanziari di origine privata possa condizionare la gestione delle attività pregiudicandone l’autonomia culturale.

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55 ziamento pubblico una loro integrazione, trascurando però inevitabilmente anche il det-tato costituzionale, applicando il modello fondazionale civilistico, sebbene con la fisio-nomia assunta in seguito ai nuovi usi3, la riforma sarebbe rimasta un puro esercizio di virtuosismo giuridico. Dato questo stato di cose, al legislatore non rimaneva che appli-care le istanze di innovazione e le esigenze di riorganizzazione al “canovaccio” delle so-luzioni esistenti.

Il primo problema era rappresentato dall’obbligatorietà di questa trasformazione: a lun-go si era dibattuto se fosse opportuno imporre la trasformazione a tutti in modo indistin-to, viste le diverse condizioni di partenza, oppure lasciare libertà di comportamento4. Alla fine si opta per l’obbligo della trasformazione definendo per questo processo una soluzione unica: la fondazione.

Destinatari di tale obbligo e della conseguente riforma sono due tipi di soggetti:

gli enti autonomi lirici e le istituzioni concertistiche assimilate, già interessate dalla normativa del titolo II della lg. 800/67;

gli altri enti operanti nel settore che, in base a criterî definiti dall’Autorità di Gover-no competente in materia di Spettacolo, possaGover-no essere ricompresi nelle categorie previ-ste dal titolo III della lg. 800/67; rientrano in questa categoria gli enti pubblici non eco-nomici, le società cooperative, i soggetti già operanti come fondazioni di diritto privato, le associazioni non riconosciute e quelle con personalità giuridica.

A questi soggetti è fatto obbligo di attuare, secondo la procedura indicata (artt. dal n. 5 al n. 9), la trasformazione in fondazioni che abbiano come finalità principale quella di perseguire, senza scopo di lucro, la diffusione dell’arte musicale e la formazione profes-sionale dei quadri artistici.

Il cambiamento della veste giuridica, espressamente indicato già nella legge delega come elemento qualificante la riforma, rappresenta il perno attorno al quale ruotano e da cui prendono forza (o aspirano a farlo) tutte le altre importanti innovazioni funzionali al raggiungimento di obiettivi considerati. E’ forse per questo che il modello di fondazione previsto per le istituzioni liriche e musicali è un po’ “sui generis” poiché lo statuto

3 «Il settore delle fondazioni (e, più in generale, quello delle strutture non profit) si è tuttavia evoluto al punto che detti enti vengono ormai considerati non tanto come patrimoni finalizzati al perseguimento di uno scopo, quanto come organizzazioni finalizzate alla destinazione di un patrimonio.» Si veda A. MOZ-ZATI (1999): p. 491.

4 Una libertà che, secondo alcuni, sarebbe pericolosa perché potenzialmente foriera di inevitabili ghettiz-zazioni e conseguenti ricadute negative non solo sulla crescita ma persino sulla capacità di adempiere i compiti istituzionali; mentre, secondo altri, « la libertà di scelta avrebbe valorizzato la capacità e la re-sponsabilità dei dirigenti.» Si veda L. DINI (1996).

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56 ridico, simile a quello dettato per le fondazioni di diritto comune, se ne discosta per al-cuni tratti5. Ne scaturisce un modello atipico che alla fine, essendo nato soprattutto dal tentativo di incorporare più spunti innovativi possibile continuando a mantenere le mol-teplici e spesso contrastanti esigenze del settore, più che essere un elemento del genera-le processo di privatizzazione, si presenta come una tappa del percorso di de-statalizzazione e de-pubblicizzazione, per far affrancare il settore dalle norme e dalle procedure che regolano gli enti statali. Per questo è stata disegnata un’architettura orga-nizzativa gestionale più flessibile, con pochi centri di potere dai compiti chiaramente definiti e con strutture relazionali mutuate dal settore privato, il cui funzionamento e le cui dinamiche fossero soprattutto implementate dall’azione dei soggetti-finanziatori pri-vati e da un rapporto di lavoro ad essa più conformante. La riforma infatti traccia solo lo scheletro dell’organizzazione prevedendo la presenza obbligatoria solo di quattro orga-ni6:

 il Presidente (art. 11)7;

 il Consiglio di Amministrazione (art.12)8;

 il Sovrintendente (art.13)9;

5

Innanzitutto la modifica avviene con un intervento eteronomo poi lo scopo della fondazione è sottratto alla libera determinazione del fondatore ed è imposto dalla legge.

6 Nel disegno di legge preparato dal governo Dini la struttura istituzionale era basata su una costruzione duale degli organi, ovvero una chiara distinzione tra l’organo che gestisce e quello che elabora gli indiriz-zi generali dell’attività e controlla le scelte, penalizzando così sia l’impostaindiriz-zione più privatistica sia l’efficacia della vigilanza sulla gestione economica e finanziaria e dell’autonomia di coloro che perseguo-no solo obiettivi di immagine. Cfr. ibidem (1996).

7La presidenza viene attribuita al Sindaco del Comune dove la fondazione ha sede. Il presidente convoca e presiede il C.d.A. e resta in carica per tutta la durata del ruolo istituzionale elettivo.

8 Il Consiglio di Amministrazione ha il ruolo fondamentale nell’assetto organizzativo dell’istituzione. La normativa fissa chiaramente ed in modo non rimovibile dalla libertà statutaria i connotati necessarî della sua struttura e l’insieme dei suoi poteri. All’organo amministrativo viene assegnato ex-lege un nutrito e-lenco di competenze: l’approvazione del bilancio, la nomina e la revoca del Sovrintendente e del vice Presidente, la definizione degli indirizzi della gestione economico-finanziaria e, diversamente da quanto previsto nell’ordinamento degli Enti, anche lo svolgimento dell’amministrazione ordinaria e straordinaria che la legge o lo statuto non assegnano a nessun altro organo. Il Consiglio resta in carica quattro anni, con possibile riconferma, ed è composto da sette membri compreso il Presidente, dei quali due di emanazione pubblica e quattro lasciati all’autonomia statutaria. All’autonomia statutaria è lasciata anche la determina-zione delle procedure per la designadetermina-zione, che comunque dovranno essere conformi a principî di traspa-renza e correttezza, così come l’estrazione dei possibili candidati, fatto salvo il possesso dei requisiti di onorabilità e professionalità. La normativa invece non dice niente circa il numero di convocazioni, né le persone che possono dare loro impulso, limitandosi a stabilire per le deliberazioni il principio di maggio-ranza.

9 Il Sovrintendente fa parte del Consiglio di Amministrazione con poteri pari agli altri componenti e, co-me organo autonomo ed in collaborazione con il Direttore Artistico, assuco-me anche altri compiti. Al So-vrintendente, oltre ai compiti amministrativi che restano fuori dalle competenze del Consiglio, ovvero la tenuta dei libri contabili e la stesura del bilancio di esercizio, vengono attribuiti tutti i compiti di maggior rilevanza a carattere artistico; di questi sono esercitabili in esclusiva autonomia la direzione ed il coordi-namento di tutto il sistema di attività per la produzione artistica e di tutte le attività tecnico-strumentali

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 il Collegio dei Revisori (art.14).

Inoltre per accrescere il peso della componente innovativa il legislatore affida alle nuo-ve istituzioni il compito di gestire i teatri loro affidati e di valorizzare il patrimonio sto-rico culturale ad essi collegato, operando secondo criterî di imprenditorialità ed effi-cienza e rispettando il vincolo di bilancio. Per fare questo il decreto consente di operare oltre che con le attività tipiche già esercitate dagli Enti, come spettacoli lirici, rappresen-tazioni di danza e concerti, anche la possibilità di esercitare attività commerciali ed ac-cessorie10, purché abbiano carattere strumentale ed accessorio rispetto alle attività prin-cipali e non contrastino con il carattere non lucrativo dell’istituzione. L’introduzione di questa attività nel novero di quelle esercitabili dall’istituzione, unitamente alle disposi-zioni dell’art. 16 sulle scritture contabili e il bilancio, definisce ulteriormente il modello particolare delineato dal legislatore assimilando implicitamente il nuovo soggetto alla “fondazione d’impresa”. Le norme sull’ordinamento e l’amministrazione, lasciando ampî spazî di completamento ed integrazione da parte dello statuto (art.10), presentano una maggiore similitudine con il modello fondazionale di diritto comune.

Ma questi slanci di cambiamento non riescono ad annullare l’incapacità del settore di sganciarsi in modo sostanziale dal finanziamento pubblico, così in ogni organo della neo-costituita istituzione artistica si registra una massiccia presenza di figure istituzio-nali provenienti dai diversi livelli dell’amministrazione pubblica11.

Ma il collegamento fra le istituzioni statali e la Fondazione va al di là delle assegnazioni di compiti e poteri rappresentativi poiché, come recita l’art.19, la posizione del Governo continua ad essere la stessa avuta negli Enti originari, quindi permane sia la facoltà di ingerenza per decretare la decadenza dagli incarichi istituzionali o dal godimento dei di-ritti previsti, sia il diritto di richiedere informative supplementari.

Da uno sguardo d’insieme il nuovo soggetto risulta quindi essere una fondazione «di di-ritto privato ma di prevalente partecipazione e controllo pubblico»12, dove tutti i tentati-vi di affrancare l’istituzione culturale dalle stantie logiche della burocrazia vengono

che sono a supporto e a corredo della stessa, mentre vengono svolti di concerto con il Direttore Artistico, nominato dal Sovrintendente stesso sentito il Consiglio, la programmazione del cartellone.

10 Con questa dizione vengono indicate «le attività poste in essere in diretta connessione con le attività istituzionali o quale loro strumento di finanziamento» (art. 25).

11 Si parte dal livello locale, con il sindaco, per poi coinvolgere l’amministrazione regionale e centrale, entrambe rappresentate da due membri che, come rappresentanti della regione di appartenenza e dell’Autorità di Governo competente per lo Spettacolo, siedono ex-lege nel Consiglio di Amministrazio-ne. Infine di competenza pubblica è la nomina di tutti i componenti il Collegio dei Revisori e la vigilanza sulla gestione finanziaria che è affidata alla Corte dei Conti.

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58 focate dalle resistenze che si accompagnano alla massiccia presenza pubblica. L’influenza degli Enti Locali è ancora preponderante e la loro cronica incapacità di ge-stire una realtà con elevato grado di differenziazione degli skill incide molto sull’andamento della gestione. Il C.d.A. non ha il ruolo propulsivo che dovrebbe avere, ma si limita ad essere quello del controllore che fa rimanere inerti le potenzialità per una gestione manageriale. Del resto l’operatività manageriale non è riuscita ad avere quei congrui margini di manovra necessarî per liberare nuove risorse visto che con la gestio-ne del personale ancorata agli schemi precedenti non c’è stato l’adeguato contrappeso alla drastica diminuzione dei finanziamenti13. Così anche l’investitura manageriale che il sovrintendente riceve dal decreto risulta essere una “trasformazione tutta nominalisti-ca” stretto com’è tra l’impossibilità di incidere sulla produttività e l’impellente esigenza di riorganizzare le risorse nel modo più congeniale alla mission dell’istituzione, sembra un protagonista sul libretto senza poter cantare una nota sulla scena. Questo stato di co-se non è certo il terreno più fertile su cui far sviluppare uno dei principali nodi della ri-forma: l’ingresso ed il conseguente apporto finanziario dei soggetti privati. Essendo quello del finanziamento da parte dei privati un punto cardine della riforma ma poten-zialmente confliggente con il carattere non lucrativo della fondazione e soprattutto con la sua particolare vocazione, la normativa se ne occupa in modo dettagliato. In proposito il decreto stabilisce che i soci privati si impegnino nella fondazione per un periodo di almeno tre anni e che nel corso di questo periodo assicurino alla stessa un apporto an-nuo pari almeno al 12% del totale dei finanziamenti, senza superarne però la soglia del 40% per i primi quattro anni di attività.

Ma le aspettative sugli scenari futuri che hanno guidato la stesura di questa normativa così piena di limiti non si sono realizzate, così la riforma si è rivelata dannosamente sproporzionata rispetto a ciò che nella realtà si è verificato.

Incuranti dell’obbligo (la trasformazione in fondazione) e della scadenza (tre anni dall’entrata in vigore del decreto), tutti gli enti, ad eccezione del Teatro alla Scala di Mi-lano, hanno continuato ad operare seguendo la normativa precedente, affatto disturbati dalle istanze di una comunità locale, ancora collocata ai margini, o dalle previste novità gestionali e strategiche introdotte dai soggetti privati che, data la schizofrenia della legi-slazione, non facevano certo ressa per partecipare alla fondazione.

13 Insomma è rimasto imperante un “sindacalismo corporativo” che impedisce la soluzione dei problemi di produttività ed organizzazione. Cfr. L. ZAN (2003).

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59 I motivi dell’assenza dei soggetti privati, infatti, sono innanzitutto da ascrivere alle mo-dalità con cui il decreto regola questa partecipazione. Il primo errore è stato l’aver uni-formato tutte le realtà istituzionali dirette referenti della normativa, senza lasciare loro degli spazî liberi per poter incontrare nel modo più idoneo le realtà economico sociali in cui questa erano collocate. Alla luce di questa prima evidenza emerge ancora di più l’inadeguatezza della norma che impone un impegno finanziario costante e così prolun-gato nel tempo14. Inoltre questa mancata rispondenza fra normativa e realtà da normare ha come conseguenza più rilevante quella di vanificare due dei fini principali della ri-forma: ampliare pluralismo e democrazia culturale e, soprattutto, attivare quella conta-minazione di procedure gestionali e logiche strategiche tipiche del mondo aziendale pri-vato15. Ma sicuramente la pecca più grande su questo fronte è la mancanza di contropar-tite valide per le aziende, ovvero la assoluta scarsità delle agevolazioni fiscali conces-se16.

Visto l’immobilismo in cui erano i principali referenti della riforma e preso atto dell’accoglienza tiepida riservata dai privati alle nuove opportunità di investimento pro-spettate, il legislatore con un nuovo decreto, il D. Lgs. 134 del 23 Aprile 1998, ha tra-sformato “ope legis” gli enti lirici in fondazioni, che così acquisiscono personalità giu-ridica di diritto privato, stabilendo termini temporali molto stretti per l’esecuzione degli atti formali che, in caso di ulteriore inerzia, verrebbero adempiuti da uno o più commis-sarî nominati dall’Autorità di Governo competente per lo Spettacolo.

Le modifiche più importanti apportate da questo decreto riguardano principalmente tutti i punti in cui erano coinvolti i (non presenti) fondatori privati. Con questa nuova norma-tiva il privato che vuole partecipare deve versare una quota pari al 12% non più del ca-pitale di gestione ma dell’ammontare del finanziamento statale. Pur restando l’obbligo

14 «L’errore di fondo commesso dal legislatore è stato dettare una disciplina che implicava un allineamen-to ed una uniformazione di modi di essere e di funzionare assolutamente diversi fra loro…..Inutile, dun-que, tentare di plasmarli su di un unico modello: troppo diversi l’interesse e la possibilità di impegno da parte dei soggetti economici circostanti,…» Si veda A. SERRA (1998).

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Così accade che gli unici riferimenti esterni rimasti siano solo le istituzioni che per statuto sono “obbli-gate” a finanziare il non profit, ma che molto spesso adottano modalità di finanziamento che non realiz-zano in modo compiuto quella cogestione pubblico-privato tanto importante nell’economia della riforma. I rappresentanti principali di questa categoria di soggetti sono le fondazioni bancarie, il cui sostegno fi-nanziario prende più spesso la forma di sponsorizzazione di attività isolate, essendo assai meno orientato a finanziare spese in conto capitale rispetto alle spese correnti. Ne è un esempio il rapporto fra la Fonda-zione San Paolo e la FondaFonda-zione della Scala: la fondaFonda-zione bancaria partecipa solo ad eventi particolari, quelli che possono portarle un maggiore ritorno di immagine, senza essere veramente partecipe alla ge-stione. Cfr. ibidem.

16 I finanziamenti concessi vengono classificati come liberalità, quindi in generale all’art. 25, c. 1°, si ri-manda al regime fiscale previsto dal T.U. delle imposte sui redditi, mentre la disciplina più favorevole del 2° c., dove la deduzione dalla base imponibile è innalzata dal 2% al 30%, è di carattere transitorio e limi-tata alla fase di avvio.

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60 di mantenere il finanziamento costante per tre anni consecutivi, il termine da cui decorre tale periodo non è più il momento in cui la fondazione si costituisce ma il momento, qualsiasi esso sia, in cui il soggetto privato decide di entrare e conseguentemente decide di avere accesso alle connesse agevolazioni fiscali.

Contemporaneamente per segnalare agli enti-fondazioni la necessità che questa collabo-razione si realizzi e per incentivare la loro collabocollabo-razione a che ciò avvenga quanto pri-ma, stabilisce una norma capestro che, in mancanza del fondatore privato, renda l’esistenza delle istituzioni meno tranquilla. Il secondo comma dell’art. 4 si stabilisce che, qualora la percentuale della partecipazione privata non verrà raggiunta, non solo lo Stato non subentrerà come finanziatore, ma congelerà il suo contributo, almeno fino all’esercizio successivo a quello in cui l’ingresso dei soggetti privati non si configurerà nei modi previsti (art.4, c.2). Anche tutte le altre modifiche contenute nel decreto ruota-no intorruota-no a questo aspetto: il numero dei membri dal C.d.A. senza soggetti privati è ri-dotto a cinque, la stesura e l’approvazione dello Statuto sono posticipati all’ingresso dei fondatori privati che, se vorranno, potranno anche rinominare il sovrintendente (art.8, c.3), possibilità che nel precedente decreto era stata esclusa.

La manovra fatta dal governo per sciogliere il nodo gordiano creato da un’aspettativa vincolante ma completamente delusa (la partecipazione delle aziende private) certo met-te in campo diverse contromisure che, sebbene utili, risultano tuttavia ancora insuffi-cienti. E’ vero che il decreto 134/1998 ha il merito di aver predisposto una procedura di transizione graduale e ben calibrata, ma il problema più grave di tutto l’impianto norma-tivo non è tanto nella traversata quanto piuttosto nell’approdo.

I compromessi e gli aggiustamenti, richiesti dalla particolare situazione in cui la riforma è nata, hanno prodotto una situazione che poggia su un equilibrio giuridico fragile che alla prova della realtà viene presto compromesso. La totale inerzia delle istituzioni ac-compagnata all’urgenza di attuazione di un nuovo corso gestionale ed istituzionale ave-vano costretto il legislatore a stringere i tempi e ad eliminare qualche passaggio come quello della intesa con le regioni, così nel 1998 il 6 e l’8 Giugno la regione Piemonte e la regione Lombardia adicono alla Consulta sollevando questione di legittimità costitu-zionale del D.Lgs. 134/199817. Quando la Consulta, con la sentenza n.203 del 2000, non

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La Regione Piemonte ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale relativamente agli artt. 76, 97, 117 e 118 della Costituzione, per eccesso di delega e per violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. La Regione Lombardia, invece, ha sollevato in via prin-cipale questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 2,3,5,18,23,76,97,117,118 della Costi-tuzione, oltre che agli artt. 13,14 e 49 del D.P.R. 616/1977.

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61 solo ammette la fondatezza della questione ma dichiara l’incostituzionalità del decreto in oggetto, il governo è comunque pronto a dar vita al nuovo corso in virtù del Decreto “Omnibus” del 21/12/1998, n.492, in cui viene ripristinata la necessità dell’intesa con le Regioni e le amministrazioni locali. Tutto risolto quindi, almeno da un punto di vista giuridico formale. I problemi che non hanno una valenza strettamente giuridica tuttavia debbono ancora emergere ed essere risolti: primo fra tutti quello del finanziamento. La spinta innovativa dei due decreti è molto frenata proprio dal comportamento del sogget-to pubblico che ha continuasogget-to ad interpretare il suo ruolo di finanziasogget-tore nel modo più burocratico possibile. Lo Stato non solo non ha mutato il suo comportamento di finan-ziatore, lasciando inalterate le regole per la determinazione del F.U.S. e logiche per la sua ripartizione, ma ha anche introdotto un ulteriore elemento di incertezza nell’assetto finanziario della neo-costituita fondazione detraendo la sua quota di partecipazione dal contributo ordinario18.

2.2 L’opera lirica non è da due soldi

Quella sullo spettacolo italiano è una legislazione nella quale possono essere identificate due fasi. La prima, che va dal ventennio fascista alla legge Corona, è caratterizzata dalla focalizzazione sulla organizzazione e sulla definizione del ruolo dello spettacolo e quin-di della natura e delle modalità dell’intervento dello Stato in questo settore. La seconda fase invece che, successiva alla legge Corona, arriva fino al periodo delle riforme nella seconda metà degli anni Novanta, ed è fortemente orientata alla definizione delle moda-lità e della quantità del finanziamento, sempre vincolati ai principî espressi nella legge Corona. Il forte legame ideale che unisce le due fasi appena delineate fa in modo che i difetti e l’impostazione presenti nella legge Corona si ripercuotano anche in tutti i prov-vedimenti successivi inficiandone profondamente la capacità di proporre soluzioni va-lide.

La legge del 14 Agosto 1967, n. 800, “Nuovo ordinamento degli Enti Lirici e delle Atti-vità Musicali”, detta “Legge Corona”, viene approvata per rispondere all’esigenza di adeguare la legislazione del settore, ancora impostata secondo gli schemi del Ventennio, sia al diverso panorama istituzionale sia alla mutata realtà socio-culturale del Paese. La legge, che si propone come base normativa per dare vitalità al settore e sollecitarne l’evoluzione in chiave di servizio pubblico e sociale, ruota principalmente attorno ai neo

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62 costituiti Enti Lirici, della cui attività decanta l’alto valore culturale e di cui descrive con il dettaglio quasi pedissequo della burocrazia l’assetto organizzativo e le modalità di finanziamento, relegando solo agli ultimi due articoli un esplicito riferimento alla co-pertura della spesa per i finanziamenti ed al ripianamento dei disavanzi. Insomma, nella foga di non trascurare l’aspetto culturale e di definire l’intervento dello Stato, poco spa-zio e poca attenspa-zione vengono dedicati all’aspetto finanziario ed alla definispa-zione delle responsabilità gestionali, né viene fatto alcuno sforzo per incentivare le deboli iniziative commerciali già presenti. Le trascuratezze e gli errori contenuti nella legge non tarde-ranno a manifestarsi: il disavanzo sale dai 7,7 mld. del 1968 ai 27,7 mld. del 1972, in parte per gli interessi passivi sulle anticipazioni richieste per fronteggiare i frequenti ri-tardi nell’erogazione dei fondi, ed in (massima) parte per il vertiginoso aumento dei co-sti del personale19.

Ma lo Stato, piuttosto che procedere alle dovute correzioni di rotta, ha cominciato a rin-correre il sistema e grazie al “provvidenziale” comma 5 dell’art. 53 ed al dettato dei due articoli di emergenza (artt. 52-53), ha cominciato a sfornare con cadenza annuale (e tal-volta anche infrannuale) decreti, leggi e provvedimenti che, assecondando taltal-volta le e-sigenze di bilancio talaltra le necessità di situazioni sull’orlo del collasso, ripianavano, rifinanziavano, limitavano, escludevano, autorizzavano, o proibivano20, senza mai di-menticare il costante e fiducioso rimando ad un futuro di regolarità, efficienza e coordi-namento21.

Ma anche quando il ministro Lagorio prese in mano la situazione con l’intenzione di trasformare lo spettacolo da una voce di spesa ad una voce di investimento, l’obiettivo

19 Il costo del personale, che nel 1967 incideva sulle uscite totali per il 56%, nel 1970 passa al 61%. L. TREZZINI, M. RUGGIERI, A. CURTOLO (1998): p. 103.

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La prima integrazione alla legge 800/1967 si ha nel 1970, quando con la legge 291 si integra il fondo ordinario. Nel 1973 il settore è materia di due leggine finanziarie: la n.308 che dà ai provvedimenti legi-slativi sulla musica una corsia preferenziale e destina al comparto uno stanziamento fisso di 6mld., la n.811 che dà agli enti lirici la possibilità di predisporre bilanci preventivi in passivo. Ma la legge è fin troppo sfruttata, così nel 1975 con la legge n.70 si escludono gli Enti future contribuzioni, ordinarie e straordinarie, a carico dello Stato, salvo poi correggere il tiro nel momento (1978) in cui praticamente la legge deve essere attuata riammettendo tali Enti al finanziamento. Si susseguono le “leggine” di sostegno: il fondo ordinario per gli Enti aumenta fino a 30 mld. e quello per le attività musicali fino a 11mld. e si autorizza la stipulare mutui per ripianare i bilanci (lg. 115/76), mentre nel 1977 la legge n.426 porta il fondo per gli Enti a75 mld., all’inizi limitatamente agli esercizi 1977/1978, poi confermato ad interim con la lg.589/79;il fondo è ritoccato di nuovo nel 1980 (lg.54) e portato a 116 mld. Con la legge 182/83 il fondo raggiunge i 170 mld e vengono modificati i criterî di ripartizione. Nel 1984 la legge n.312 esclude gli Enti dal parastato delegando la regolamentazione del contratto di lavoro a contratti collettivi nazionali stipulati fra ANELS e sindacati di categoria. A queste norme bisogna poi aggiungere tutte la regolamen-tazione sulla regionalizzazione che a vario titolo e in vari modi coinvolge anche il settore dello spettacolo. 21 «L’incipit delle diverse “leggine tampone” sarà sempre costituito dalla frase “in attesa della entrata in vigore della nuova disciplina delle attività musicali” o da altra equivalente.» Cfr. Ibidem, p. 114.

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63 ancora una volta non fu raggiunto. La legge 30 Aprile 1985, n.163, “Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello Spettacolo”, istitutiva del Fondo Unico per lo Spettacolo (F.U.S.), come si legge nella relazione dello stesso ministro22, doveva essere solo la prima pietra di una costruzione di riforme finalizzate «a risolvere in termini mo-derni il rapporto tra il pubblico e il privato, tra assistenzialismo ed investimenti ed in ul-tima analisi, fra economicità e cultura», ma riuscì ad avvicinarsi all’obiettivo solo in minima parte, quella parte di sua competenza e solo all’inizio. La legge 163/85 nell’ambito dell’appartato di riforme progettato23

si occupava di risolvere il problema più pressante, il finanziamento, e lo faceva attraverso l’istituzione di un fondo (art.1) cui avrebbero attinto tutte le arti dello spettacolo dal vivo secondo una ripartizione stabilita dalla legge (art.2)24, la gestione ed il funzionamento del quale erano affidate ad un Con-siglio Nazionale dello Spettacolo appositamente costituito25 (art.3). Per completare il nuovo sistema vengono introdotte nuove modalità di finanziamento indiretto26 ed viene creato un organo, l’Osservatorio dello Spettacolo (art.5), per monitorare l’andamento del settore sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta27

. Sicuramente però l’innovazione più interessante, soprattutto per gli addetti ai lavori, cui almeno arriva un po’ di ossigeno, è senz’altro l’incremento degli stanziamenti, che passano dai 403 mld di lire del 1984 ai circa 703,5 mld28, e che continuano a crescere nei due anni successivi. Ben presto però le esigenze di bilancio statale, che erano state incombenti nei vent’anni

22

La legge fu presentata dal ministro Lagorio che la presentò rilevando che nell’azione dello Stato sul set-tore culturale «all’insufficienza degli stanziamenti si accompagna una qualità di disegno organizzativo che non è idoneo alla finalità cui sono destinati […] Questa complessa sintomatologia è addirittura ecla-tante per lo spettacolo […] Gli interventi attuali, così come delineati normativamente e realizzati dall’amministrazione, si rivelano non solo inadeguati, ma anche inutili e a volte dannosi.» (AP, Camera, IX Legislatura, Disegno di legge n.2222 presentato il 30 Ottobre 1984, Nuova disciplina degli interventi

dello Stato a favore dello Spettacolo, Relazione, p.2).

23 Tutto l’apparato di riforma muove dalla volontà di trovare una soluzione alle fragilità dell’assetto vi-gente: «la frammentazione dello spettacolo in settori nettamente separati, la mancanza di una fonte di fi-nanziamento stabile ed automatica, i ritardi endemici nell’erogazione dei fondi, l’assenza di incisive for-me di incentivazione indiretta degli investifor-menti.». Si veda ibidem: p. 132.

24 In attesa delle altre leggi di riforma le quote di ripartizione sono: il 42% agli Enti Lirici, il 13% alle at-tività musicali, il 25% al cinema, il 15% alle atat-tività musicali, l’1,5% alle atat-tività circensi e allo spettacolo viaggiante, mentre il residuo 3,5% è destinato agli interventi integrativi e al funzionamento dei nuovi or-ganismi, il Consiglio nazionale dello spettacolo e l’osservatorio dello spettacolo.

25

La quantificazione del fondo e le logiche di ripartizione dovranno basarsi su una programmazione tri-ennale delle proposte e delle richieste formulate dalle diverse istituzioni entro l’ultimo semestre di cia-scun triennio.

26 Per ampliare le fonti di finanziamento e dare anche un margine di manovra ad una (sempre eventuale) gestione indipendente, magari a carattere imprenditoriale, è stata prevista una serie di agevolazioni fiscali per i reinvestimenti degli utili, il cui regime di applicazione è però limitato ai 5 anni successivi all’entrata in vigore della legge, ed anche la deducibilità a fini fiscali delle erogazioni di possibili mecenati.

27 L’attività svolta dall’Osservatorio dovrà essere esposta in una relazione annuale da presentare al Parla-mento.

28

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64 precedenti, riemergono in modo forse ancora più prepotente di prima, riverberandosi anche negli stanziamenti del F.U.S. che in valore reale iniziano inesorabilmente a dimi-nuire.

Così annullati anche i benefici più immediati e contingenti, dopo i primi dieci anni la legge 163/85 presenta tutti i sintomi di una cattedrale nel deserto29 del sistema delle ri-forme ed evidenzia l’incapacità di incidere sul settore nella direzione voluta per risolve-re in modo soddisfacente i problemi rilevati nel sistema prisolve-recedente. Certo, grazie all’unificazione di tutti i finanziamenti allo spettacolo in un solo fondo, nessuna forma di spettacolo era dimenticata e lo sguardo dell’organo finanziatore era onnicomprensivo ma non lo erano altrettanto le risorse finanziarie, che continuavano a rimanere attaccate ai soliti noti, gli enti lirici, ed anche in questo caso in modo sempre più affannoso. E l’affanno non era mitigato neanche dalla programmazione triennale. Questa procedura, che avrebbe dovuto canalizzare i finanziamenti nel modo culturalmente più opportuno, creando l’auspicato coordinamento, invece, a causa dei forti ritardi registrati nell’erogazione dei finanziamenti, non era riuscita a decollare nel modo auspicato e non aveva portato nessun beneficio al funzionamento economico del settore. La situazione inizia inesorabilmente a precipitare e tutto il sistema si trova schiacciato fra la tensione agli alti ideali dei preamboli legislativi e la fragilità di strutture che, sempre più prive di risorse, di fatto ne mortificano l’attività. Ma queste contraddizioni faticano ad essere ri-conosciute soprattutto nel momento in cui il rosso del bilancio statale diventa più acce-cante e impone interventi rapidi sul livello delle spese. Alla prima modifica del F.U.S. arrivata con la legge 555/198830 ne segue un’altra, ben più incisiva, con il D.P.C.M. del 26 Marzo 1988. Se la legge precedente non aveva danneggiato il comparto della lirica31, che almeno momentaneamente era riuscita a difendere la sua quota dall’erosione dell’inflazione, il nuovo decreto aveva ad oggetto proprio il finanziamento pubblico agli Enti Lirici per la cui erogazione viene introdotto un regolamento piuttosto severo e pie-no di importanti pie-novità. Dal momento che di denari pubblici ce ne sopie-no pochi, vengopie-no riscoperte le entrate proprie che per la prima volta diventano un importante parametro di riferimento; poi, relativizzando un po’ gli scopi redistributivi, viene fissato un prezzo medio per i biglietti ed è messo sotto osservazione anche il tasso di partecipazione

29 La legge era stata concepita come «una “legge madre”, presupposto di “leggi figlie” che non sono state emanate, e che vengono “riprese” nel decreto 29.» Si veda A. MAZZAROLLI (1995): p. 208.

30 La legge 555/88 aboliva le aliquote di riparto fissate dalla legge 163/85 ed affidava al Ministro per il Turismo e lo Spettacolo il compito di fissare annualmente i criteri di riparto fra i diversi comparti. 31 Con la nuova regolamentazione la quota delle attività musicali sale dal 45% al 61,8%, il 47,8% solo agli Enti Lirici.

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65 spetto alla capienza. Inoltre, novità assoluta, fanno il loro ingresso i contributi integrati-vi la cui erogazione è integrati-vincolata soprattutto alla presenza di innovazione nei programmi e nelle esecuzioni.

Le novità appena evidenziate sono certo un buon indizio di importanti cambiamenti di rotta, ma non sono opportunamente contestualizzate: la logica guida è ancora quella fi-nanziaria e manca l’indispensabile sostegno di un disegno più organico che tocchi la struttura del settore e le logiche procedurali. Questo ha influito nell’efficacia della nor-mativa sia nell’indirizzare i comportamenti delle istituzioni percepenti sia nel conforma-re le proceduconforma-re degli organi di indirizzo e di controllo.

Finalmente nel 1996 con la legge n.650 viene introdotta un’innovazione procedurale: si costituisce il Comitato per i Problemi dello Spettacolo e viene varata la riforma delle già esistenti commissioni consultive che andranno a comporlo32. Perciò dal 1997 il Consi-glio Nazionale per lo spettacolo devolve tutte le sue funzioni al nuovo Comitato33 e, al posto delle precedenti nove, ci sono cinque nuove commissioni34 composte da nove membri in carica per due anni, che in base ad un regolamento governativo35, predisposto ad hoc dall’Autorità di governo di concerto con il Comitato, sono chiamate a svolgere attività consultiva sui regolamenti, sulle materie del Comitato (art.8) e sulle questioni di carattere settoriale, quindi anche a decidere l’assegnazione dei finanziamenti.

Tre sono i criterî guida delle decisioni:

 criterî quantitativi, che tengono conto della dimensione produttiva;

 criterî qualitativi, che tengono conto del prestigio artistico e culturale e della tradi-zione organizzativa e finanziaria dell’istitutradi-zione richiedente ed anche del contenuto educativo e sociale della singola proposta;

 criterio della gradualità, che cerca di preservare la gestione dalle difficoltà che po-trebbero derivare da variazioni troppo grandi nei finanziamenti.

32 Importante è a questo proposito il cambiamento dei requisiti professionali richiesti per farne parte e l’introduzione di nuove logiche per la loro valutazione.

33

«Il comitato per i problemi dello spettacolo e' organo consultivo dell'Autorita' di Governo competente in materia di spettacolo e svolge i seguenti compiti: a)consulenza e verifica in ordine alla elaborazione ed attuazione delle politiche di settore; b)consulenza in ordine alla predisposizione di indirizzi e di cri-teri generali relativi alla destinazione delle risorse pubbliche per il sostegno alle attivita' dello spettaco-lo.» Art. 8, c. I, del D.M. 10 Giugno 1998, n. 273.

34 Ciascuna Commissione è competente per un diverso settore dello spettacolo: una per la musica (art.2), una per la danza (art.3), una per il teatro (art.4), una per il cinema (art.5), una per le attività circensi e lo spettacolo viaggiante (art.6).

35

Il funzionamento ed l’assetto di questi nuovi organismi è dettato dal D.M. 10 Giugno 1998, n. 273: “ Regolamento recante disposizioni per la costituzione ed il funzionamento del comitato per i problemi

dello spettacolo e delle commissioni, di cui all'articolo 1, commi 59, 60 e 67 del D.L. 23 ottobre 1996, n. 545 , convertito, con modificazioni, dalla L. 23 dicembre 1996, n. 650, operanti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento dello spettacolo”.

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66 A questi criterî generali se ne aggiungono altri adottati ogni triennio con decreto del mi-nistro per i per suddividere i finanziamenti tra le istituzioni appartenenti allo stesso comparto.

Dopo questo primo passo lo Stato inizia finalmente a percorrere il cammino delle rifor-me che attuate all’inizio su assetti, procedure e condotte si riverbereranno anche nelle logiche di finanziamento. Inizia quindi l’emanazione di tutta una serie di norme che, in precario equilibrio fra coerenza con i cambiamenti strutturali e le (molto più che pres-santi) esigenze di bilancio, cambieranno velocemente tutto il sistema di finanziamento Nel 1999 i criterî di massima presentati nella Lg. 650/1996 vengono ulteriormente defi-niti con il D.M. del 10 giugno 1999, n. 239, che introduce un nuovo regolamento per la ripartizione della quota del F.U.S delineando con precise indicazioni quali-quantitative:  criterî generali e relative percentuali di ripartizione (artt.1-2), che stabiliscono i

pa-rametri di ripartizione della quota:

a) parametro storico: il 60% della quota viene assegnato in base ai finanziamenti ricevuti nell’ultimo triennio,

b) parametro della produzione: il 10% della quota viene assegnato in base alle ca-ratteristiche del progetto ed un altro 10% viene invece assegnato in base agli indica-tori di rilevazione della produzione,

c) parametro dei costi: il 20% della quota viene erogato in considerazione dei costi degli organici funzionali, come risultano dal contratto collettivo nazionale.

 indicatori di rilevazione della produzione36

(art.3);  riparto delle quote;

 partecipazione dei privati (art.5);  erogazione delle quote37

;  gli ingressi gratuiti.

Per calare i criteri della lg.650/96 sul finanziamento di tutte le altre attività musicali viene emanato il D.M. del 19 Marzo 2001, n. 19138, poi abrogato dalle disposizioni del

36 Tali parametri tengono conto principalmente del tipo di manifestazione e del numero di elementi orche-strali e costituiscono la base per l’attribuzione del punteggio di conferimento del finanziamento.

37 Le richieste debbono pervenire entro il 15 Ottobre dell’ultimo anno di ogni triennio, corredate della presentazione di programmi e progetti e dei relativi elementi di costo degli organici. La quantificazione del contributo avviene nei 30 gg. successivi al 10 Novembre, dopo il parere delle relative commissioni, e viene erogato in due rate: la prima entro il 28 Febbraio per l’80% dell’importo, la seconda entro il 31 Ot-tobre per il residuo. Le istituzioni debbono presentare entro il 30 Giugno di ogni anno un bilancio consun-tivo e una relazione sull’attività svolta.

38 “Regolamento recante criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività musicali, in corrispondenza agli stanziamenti del Fondo Unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”.

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67 D.M. dell’8 Febbraio 2002. In entrambi, con dettagli e ponderazioni differenti, vengono fissati nuovi criteri ed altri riferimenti per l’erogazione dei finanziamenti pubblici. In-nanzitutto entrambi i decreti, accanto all’elenco delle alte finalità che motivano il finan-ziamento pubblico, evidenziano la possibilità per il ministro di ridurre proporzionalmen-te le risorse ripartiproporzionalmen-te, qualora dalle leggi finanziarie derivi una riduzione delle assegna-zioni al F.U.S.39. Per l’erogazione del contributo permane la valutazione basata sul dop-pio binario aspetto qualitativo-aspetto quantitativo, il primo riferito prevalentemente ai costi (la cui incidenza ed i cui massimali sono descritti dal decreto ministeriale trienna-le) il secondo che invece rimanda a tutta una serie di caratteristiche, in prevalenza colle-gate all’innovazione presente nella programmazione e nella realizzazione degli spetta-coli40. Però mentre nel D.M. 191/2001 viene ben definito il peso dato ai due aspetti, con l’aspetto quantitativo che può arrivare incidere sulla valutazione per un massimo del 75%41, nel D.M. 47/2002 si sancisce una inequivocabile superiorità della valutazione qualitativa. Quest’ultimo aspetto, descritto attraverso un maggior numero di dimensio-ni42 può condizionare la stessa erogazione del contributo, tanto è vero che il giudizio sulla qualità dei progetti può farlo raddoppiare o azzerare43. Non solo. Anche la conno-tazione quantitativa dei costi44, presente nel primo decreto, nel 2002 sparisce; rimane, invece, quella qualitativa in cui l’elemento quantitativo “costo” deve essere motivato dalla presenza di innovazione.

39 Precisamente l’art. 1 al comma 3°, recita: «Qualora le leggi finanziarie e di bilancio successive all’emanazione del decreto di cui al comma 2, determinino una consistenza del Fondo inferiore rispetto a quella definita all’atto dell’emanazione del citato decreto, il ministro provvede alla proporzionale riduzio-ne delle risorse ripartite.»

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«Criteri della valutazione qualitativa: 1. Il parere sulla valutazione qualitativa delle iniziative e' adot-tato dalla Commissione, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 21 dicembre 1998, n. 492, sulla base dei seguenti elementi: a) validita' del progetto artistico; b) direzione artistica; c) continuita' del nucleo artistico e della stabilita' pluriennale dell'impresa; d) committenza di nuove opere; e) spa-zio riservato al repertorio contemporaneo, con particolare riferimento a quello italiano e di Paesi dell'U-nione europea; f) esecuzione di opere non rappresentate localmente da oltre trenta anni; g) innovazione del linguaggio, delle tecniche di composizione ed esecuzione, e delle infrastrutture; h) coproduzione di progetti interdisciplinari realizzati anche con organismi operanti in altri settori dello spettacolo; i) ade-guatezza del numero di prove programmate.» (Art. 6, D.M. 191/2001).

41 Vedi art. 7. c. 3°, D.M. 191/2001.

42 A quelli previsti nel D.M. 191/2001 sono aggiunti: «l) promozione della musica italiana contemporane-a, anche con riferimento alla sperimentazione di nuovi linguaggi musicali; m) creazione di rapporti con le scuole e le università, attuando momenti di informazione e preparazione all’evento idonei a favorire l’accrescimento della cultura musicale.»

43 «Per lo svolgimento di attivita' liriche, i costi sono presi in considerazione fino ad un massimale de-terminato con il provvedimento di cui all'articolo 3, comma 1, lettera a), che definisce: a) un incremento dei costi presi in considerazione, non inferiore al trenta per cento, per i soggetti di cui all'articolo 12; b) un incremento percentuale per i progetti che, con preventivi corsi di formazione, e con la presenza di un regista e di un direttore di orchestra di comprovata professionalita', sono finalizzati alla pro-mozione dell'attività di giovani cantanti lirici italiani.» (D.M. 191/2001, art.5,c.4°)

44

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68 I cambiamenti riguardanti questi aspetti, in un certo qual modo, rafforzano le innova-zioni legislative che, già presenti nel primo decreto, nel 2002 vengono riconfermate. Così nel decreto n. 47 si ritrovano, in concomitanza con la presenza di un cartellone i-nedito o di produzioni particolarmente innovative, incentivi45 e contributi extra, restano anche i nuovi ed importanti riferimenti ai maggiori costi dovuti all’ospitalità di soggetti esterni, alla promozione e, nel caso di rassegne e festival, anche alla pubblicità. Insom-ma, fra la prima e la seconda normativa sono introdotte correzioni che aggiustino il tiro nell’incentivare l’impegno manageriale, nell’incoraggiare il collegamento con il pubbli-co e soprattutto nell’ostapubbli-colare il più possibile la rinpubbli-corsa alla lievitazione dei pubbli-costi “sic et simpliciter”. 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Finanziaria 2002 (Lg. 448/2001) 1000000 1000010 Finanziaria 2003 (Lg. 289/2002) 506629 500000 500000 Finanziaria 2004 (Lg. 350/2003) 500000 500000 500000 Finanziaria 2005 (Lg. 311/2004) 464590 453675 454995 Finanziaria 2006 (Lg. 266/2005) 377301 294000 294000

Tab. 2.1: Andamento degli stanziamenti del F.U.S., programmati ed effettivi.

Anzi, anche alla luce del decreto-legge n. 24 del 18 Febbraio 200346 che ha definitiva-mente e chiaradefinitiva-mente sancito la cadenza annuale per la ripartizione del F.U.S., si potreb-be dire che questi continui aggiustamenti siano funzionali ad adeguare il comportamen-to di Stacomportamen-to ed istituzioni culturali alla nuova situazione finanziaria. Le assegnazioni al F.U.S. diminuiscono di Finanziaria in Finanziaria in modo inarrestabile ed inevitabile, rendendo impossibile non solo il recupero dell’inflazione ma anche il mantenimento od il contenimento del valore nominale (si veda tabella 2.1).

45 Gli incentivi sono molto ancorati all’innovazione contenuta sia nel cartellone (la frequenza di rappre-sentazione delle opere, la notorietà e l’età degli autori o la presenza di prime assolute) sia nella realizza-zione delle produzioni (presenza di coproduzioni, numero di maestranze impiegate, ammontare degli one-ri previdenziali ed assistenziali).

46 Questo decreto, convertito dalla legge del 17 Aprile 2003, n.82, abrogando il D.M. del 4 Novembre 1999, stabilisce che le modalità ed i criteri per la ripartizione del F.U.S. siano definiti annualmente dal ministro per i Beni e le Attività Culturali.

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69 E’ sicuramente questa l’innovazione-madre di tutte le altre ed proprio il fatto che queste altre abbiano forte matrice finanziaria, siano cioè conseguenze delle pressanti esigenze di bilancio, ad ostacolare un funzionamento fluido ed un’introduzione graduale delle nuove logiche operativo-finanziarie.

Lo Stato ora è costretto a giocare al ribasso, e le istituzioni?! le istituzioni debbono per forza seguirlo oppure possono cercare di sfruttare i margini di libertà gestionale che queste riforme strutturali, ancorché confuse, hanno fornito?

2.3 Non solo loggione: il marketing all’opera

Il processo di cambiamento che ha investito l’istituzione scaturisce più che altro da una serie di discontinuità e restrizioni provocate, in modo più o meno prevedibile, dall’ordinamento legislativo e dall’ambiente socio-economico. L’osservazione e l’analisi di queste trasformazioni evidenziano tuttavia una situazione molto articolata e ricca di opportunità, proprio in riferimento agli aspetti più critici che la caratterizzano: l’ampliamento delle fonti di finanziamento e l’attenzione al pubblico. Entrambe queste componenti per l’istituzione culturale comporteranno sicuramente una maggiore e mi-gliore apertura verso l’ambiente esterno e, alla luce di questa azione, un cambiamento nella concezione del proprio ruolo.

Il mutamento delle condizioni socio-economiche che, soprattutto e con maggior peso nella loro componente sociale, consegna una realtà post-moderna ad elevato potere per-vasivo, non sembra tuttavia essere stato molto considerato dalle istituzioni culturali. Queste ultime, nella convinzione di vivere un “esistente” ontologicamente immutabile ed incondizionabile, restavano avviluppate (e barricate) in un circolo in cui l’identikit47 degli individui frequentatori supportava e giustificava l’atteggiamento attendistico delle istituzioni stesse ed il loro persistente comportamento dava solo a quel tipo di individui la possibilità di fruizione. La crisi sociale e di mission e la conseguente necessità di

47 Le ricerche finora si sono limitate ad evidenziare l'identikit dello spettatore basandolo soprattutto su dati socio-demografici: soggetti di età adulta, con un reddito alto e con un notevole background di cono-scenze basato prevalentemente su un’istruzione di livello universitario. Quindi è stata presentata una si-tuazione ineluttabile, profondamente segnata da aspetti che sarebbero fuori dal controllo/condizionamento di qualsiasi organizzazione e, a maggior ragione, di quelle artistiche. Finora gli studî si sono concentrati sul sistema dell’offerta, sulle strutture di produzione e sui problemi di finanziamento; la domanda è stata studiata solo dalla sociologia: l’economia si limita a prendere atto dei dati, senza analizzarli o studiarli in modo dinamico e nel loro rapporto con l’offerta. Cfr. X. DUPUIS (1991).

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70 cuperare consensi e spazio sociale48 alla fine hanno spinto studî e ricerche a verificare se l’ “essere”, cioè i caratteri socio-demografici, fosse la motivazione dell’ “agire” dello spettatore, o se fosse piuttosto una conseguenza del “proporre” delle istituzioni culturali. Ebbene, proprio con particolare riferimento al comparto musicale, è da rilevare che l’oggetto musica, col suo essere linguaggio connotativo e con la sua natura astratta e po-lisemica49, è stato un media ideale all’inizio ed ha costituito l’humus più fertile poi per plasmarlo ad una nuova immagine e ad una diversa somiglianza. E’ così emerso che la crisi, di partecipazione e di ruolo, era la conseguenza dell’immobilismo dell’istituzione culturale stessa e della mancata consapevolezza che l’arte non era più un “posto altro” dagli assetti socio-economici50, ma che la trasformazione che aveva investito questi a-veva profondamente interessato anche il settore culturale. Così, quando la parabola post-moderna si esplica nel far emergere aspetti esistenti ma finora trascurati o latenti, in modo del tutto speculare a ciò che era accaduto nel settore dei beni e servizî di con-sumo, anche riguardo al settore culturale emerge l’esistenza di un vero e proprio proces-so di fruizione caratterizzato non proces-solo da (classici) aspetti immateriali ed emotivi, ma anche (ed in modo egualmente rilevante) da aspetti socio-economici.

Da un soggetto, il settore, ed un oggetto, il prodotto, così definiti deriva un paradigma dove la decisione di consumare/fruire l’arte scaturisce prevalentemente da processi co-gnitivi che, a seconda delle circostanze, fanno riferimento in modo esclusivo o preva-lente51:

 all’individuo stesso,  al prodotto,

 alla situazione.

A parte l’ultimo, che in precedenza non aveva ricevuto grande attenzione, i fattori quali-ficanti il consumo di arte sono quelli già noti, ma in questo caso vengono configurati in modo più articolato.

Riguardo al primo fattore, i consueti caratteri socio-demografici che prima guidavano

48

Anche per questo settore può essere valida la riflessione di A. AMADUZZI ( L’azienda nel suo sistema

e nell’ordine delle sue rilevazioni,: p. 3): «Lo scambio integra la produzione in quanto le consente di

av-vicinarsi al consumo. …L’attività dallo scambista incrementa l’utilità stessa dei beni prodotti, rientra nel concetto stesso, slargato, della produzione.» Citazione in N. LATTANZI (2003): p. 18.

49 Cfr. A. PINTO (2004). 50

Questo atteggiamento era stato anche alimentato, se non incentivato, dalle logiche e dagli schemi del finanziamento pubblico che, concentrato su un’offerta mai considerata prodotto, aveva trascurato la do-manda

51 Si tratta della “triade fondamentale” postulata nella teoria di Nantel; cfr. G. BORTOLUZZI, F. CRI-SCU, D. COLLODI, A. MORETTI (2006).

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71 l’analisi, ora vengono considerati solo in seconda battuta. Nel contesto d’azione della post-modernità lo status quo ha perso di significatività a vantaggio del processo: ciò che c’è «prima» non è univocamente volto ad uno o ad un numero ben definito di «dopo». Qualsiasi siano il livello di reddito, la sua età ed il suo grado di istruzione, la decisione di avvicinare l’arte è il punto di arrivo di un vero e proprio processo decisionale nel quale entrano in gioco variabili finora pressoché inedite come la personalità, il sistema di valori, il coinvolgimento, l’esperienza ed i benefici attesi, tutti costituenti osservati e rilevanti soprattutto nella criticità delle loro interazioni. Il fruitore artistico è lo stesso individuo che è parte costituente e costruente il paradigma postmoderno, è perciò fatale che anche questo ruolo sia vissuto secondo logiche e valori di riferimento di tipo post-moderno. Dato questo stato di cose, tanti sono i modi in cui l’individuo può “aggancia-re” l’arte e trovare la spinta a conoscerla e a frequentarla ed il suo identikit diventa più articolato, con caratteri difficilmente incasellabili e standardizzabili proprio perché col-legati a processi mentali ed associazioni che trasformano e quasi manipolano l’oggetto artistico e la relazione con esso. Dal piano emotivo e psicologico in cui si manifesta, questo continuo divenire riceve la spinta e l’energia per realizzarsi in un nuovo ruolo di fruizione: quello del prosumer52. Il ruolo del prosumer è la risultante dell’azione di due processi: la manipolazione del significato del prodotto da un lato ed il cambiamento della relazione con esso dall’altro. Questi processi, connotando in modo del tutto tipico il coinvolgimento, spingono il soggetto ad integrare l’attività del consumo con quella della produzione, realizzando il cosiddetto consumo produttivo53.

L’arricchimento di significato e l’ampliamento di operatività dell’individuo-fruitore si riflettono inevitabilmente anche sul fattore “prodotto”, rispetto al quale non rileva sol-tanto l’aspetto artistico ma il modo in cui il suo valore artistico sa mettersi in relazione con l’individuo. Analizzando le motivazioni di azioni e scelte e quindi i bisogni di colo-ro che, da vicino o da lontano, dall’interno o dall’esterno, vogliono attendere al pcolo-rodotto culturale, emerge chiaramente come, anche in questo ambito, tali decisioni si ispirano ad un’inedita scala di valori, economici e non, profondamente fondata sull’informazione

52 Il termine, introdotto da Toffler (“La terza ondata”, Ed. Sperling & Kupfer, Milano, 1987), è una crasi fra producer e consumer: indica il soggetto che diventa elemento di integrazione fra la produzione ed il consumo e che attuando un uso creativo dell’oggetto, lo risemantizza diventando a sua volta produttore. Cfr. L. M. SICCA (1999): p. 79; C. VIVALDA (2001): p. 20. Comunque, anche quando l’attività inter-pretativa non si spinge a questo livello, la negoziazione comunicativa fra emittente e ricevente è tale da far pensare ad un vero e proprio lavoro dello spettatore: cfr. ibidem: p. 27.

53 La categoria è stata elaborata da Michel de Certeau (“L’invention du quotidien. 1. Arts de faire” Ed. Gallimard, Parigi, 1980) ed indica tutta la serie di pratiche messe in atto dal consumatore quando si rela-ziona con l’oggetto di consumo. Cfr. ibidem: p. 20.

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72 e quindi sul contenuto informativo dei prodotti stessi. Perciò al di là ed oltre che essere segno distintivo di ritualità esclusiva, il fattore prodotto/servizio culturale sarà valutato soprattutto in base alla sua pertinenza a questo mutato paradigma economico ed alla sua potenzialità di incorporare ed esprimere questo sistema valoriale54. Con questi parame-tri, il prodotto culturale, per le sue caratteristiche di originalità e unicità ed il suo valore essenzialmente intangibile, fisiologicamente e per sua stessa natura, risulta essere sia cogente al paradigma economico emergente, sia, ancor di più, felice sintesi del suo si-gnificato più profondo.

Si evidenzia così che, per il suo carattere olistico, il prodotto culturale porta con sé una serie di corollarî molto specifici che rendono unici e assai particolari la relazione ed i processi in cui è coinvolto. A cominciare dalla relazione considerata più importante, il consumo/fruizione delle forme di espressione culturali, per continuare con le modalità in cui questo avviene, si riscontrano importanti discontinuità rispetto alla maggior parte dei beni che nel prodotto culturale trovano la sintesi più pura del loro significato. Con riferimento ai due aspetti in discorso il bene culturale può essere classificato come un “bene addicted”, poiché il suo consumo/fruizione, aumentando in quantità ed intensità, comporta per il soggetto un costo-opportunità via via decrescente. Quando l’esposizione viene reiterata (quantità) ed il prodotto culturale che ne è l’oggetto si presenta come un insieme di beni organizzati in un contesto di conoscenza (intensità), si generano due ef-fetti che sostengono ed alimentano una vera e propria “dipendenza culturale”55

:

 effetto orizzontale, dato dalla progressiva crescita di utilità dovuta all’ancoraggio ad una maggiore somma delle esperienze;

 effetto verticale, dato dall’acquisizione di una maggiore e più consapevole capacità di formulare giudizî critici dovuta alla crescente confidenza fra la tipologia di prodotto ed il proprio sistema di valori/desiderî.

Gli effetti che alimentano la dipendenza culturale da cui peraltro dipende l’importante ripetizione dell’acquisto, evidenziano che è importante non tanto lo status del prodotto quanto piuttosto il suo divenire, i suoi agganci a ciò che è stratificato, siano esse infor-mazioni, emozioni o sensazioni. L’esplosione delle sue potenzialità avviene nella misu-ra in cui viene maneggiato e sperimentato dall’individuo, cioè quando è oggetto di un

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Cfr. M. TRIMARCHI (2006) ed ancora si veda A. WIZEMANN (2003), p. 502: «Il consumo di cultura risulta paradigmatico della società postindustriale e dell’informazione: più che nel valore materiale e mo-netario, la rilevanza di beni e attività culturali consiste in fattori intangibili e non misurabili, quali l’informazione e la conoscenza.»

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73 vissuto, evidenziandosi così come sia sempre più preponderante la valenza esperienziale del prodotto culturale stesso.

L’accresciuta complessità di questi due primi fattori e la più articolata relazionalità esi-stente fra essi fa emergere la situazione come fattore importante nell’ambito del consu-mo culturale. Questa, intesa come insieme di incentivi e di condizioni temporali e spa-ziali, costituisce la cornice nell’ambito della quale avviene l’integrazione fra la molte-plicità definitoria del prodotto e la multidimensionalità della percezione artistica dell’individuo56. Alcune delle particolari aspettative che maturano in capo all’individuo o alcune delle spinte a trasformarsi da potenziale ad effettivo fruitore possono essere collegate ed attivate proprio dalla situazione che, ponendo ostacoli od offrendo oppor-tunità, gli fornisce le coordinate per muoversi nel momento del consumo. Così, riguardo al prodotto culturale, accade che tale fattore sia un importante catalizzatore in quel pro-cesso di creazione/trasformazione di significati che il prodotto culturale compie o può compiere nei vissuti emersi con l’analisi postmoderna, creando il contesto migliore per-ché le capacità informative ed emozionali del prodotto possano raggiungere il suo frui-tore. Nel contesto ideale e valoriale della postmodernità la forza di attivazione e la ca-pacità catalizzatrice della “situazione” assumono un ruolo centrale tanto che dai muta-menti di situazione sono gemmate numerose e nuove modalità di consumo57. Non solo. Il fattore situazione, allargando la dimensione spazio-temporale (il pellegrinaggio) o dando un più articolato significato all’aspetto materiale della fruizione stessa (il colle-zionismo), ha sovrapposto atti di quotidianità o pause di disimpegno alla solennità della fruizione realizzando quella “banalizzazione dinamica”58 che dilata la possibilità di ap-prezzare l’arte.

L’analisi dei fattori costitutivi il consumo di arte mostra una realtà complessa, dove il meccanicismo univoco delle relazioni (per quanto riguarda l’individuo) e la assoluta e monolite solennità dell’oggetto (il prodotto artistico) sbiadiscono e sono affiancati da

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La situazione si identifica come l’ambientazione migliore in cui ha luogo lo “svolgimento narrativo” capace di produrre espressione e significato così che con l’interazione venga influenzata l’esperienza. Cfr. E. GIACCARDI (2001).

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Con riguardo a questa pratica si evidenzia che i beni sostitutivi, copie o riproduzioni, non sono percepi-te dal fruitore come un’esperienza artistica, poiché «non consentono la certificazione di apparpercepi-tenenza ad un’elite che in molti casi appare determinante per il consumo di prodotti culturali.» Si veda: M. TRI-MARCHI (2002a).

58 Per banalizzazione dinamica si intende non una semplificazione riduttiva o riassuntiva «ma anzi un “gioco esplorativo” di scomposizione ricomposizione intelligente e di modularizzazione … utili ad accre-scere la trasferibilità di quelle embedded knowledge. Una trasferibilità utile e necessaria a favorire l’interazione con/fra gli utenti che ne stimoli la curiosità artistica ed in fondo ne elevi il gusto estetico, ponendoli a loro volta in grado di autoformarsi e ritrasferire segni, significati e simboli per l’evoluzione di global and local tastes…. » Si veda L. PILOTTI (1999): p.398.

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74 relazioni poliedriche e significati nuovi ed in continua definizione, che nel loro essere e nel loro divenire vengono pesantemente condizionati dal contesto in cui si collocano. In questo scenario a matrice spiccatamente postmoderna il marketing troverebbe ampî spazî di operatività, ma finora gli addetti ai lavori artistico-culturali hanno continuato ad essere piuttosto titubanti nell’applicazione del marketing, per il timore che l’adozione delle pratiche tipiche di questa funzione avrebbe finito per traghettare il settore verso una deriva “commercialistica” che ne avrebbe snaturato il prodotto. Nonostante questo, tuttavia, il mondo dell’arte che, anche al di là degli aspetti puramente finanziarî, soffre la mancanza di una platea che completi la sua opera, ha usato alcuni strumenti proprî del marketing per richiamare quella platea. Ma tali pratiche sono state importate in mo-do (volutamente) acritico ed il loro utilizzo è stato isolato ed occasionale, senza che al-cuna coerente politica di marketing li integrasse nel modus operandi dell’istituzione59

. Proprio per il timore di un’eccessiva contaminazione, si sono preferiti gli strumenti “si-curi”, il cui utilizzo non disturbasse il modus operandi esistente. Così si è andato conso-lidando un sistema di comunicazione/promozione costruito su binarî distinti e separati: quello classico, costituito dalle pubbliche relazioni, a metà fra la critica artistica e la ce-lebrazione, e quello di tipo semi-pubblicitario, che inserisce la diffusione del prodotto nell’ottica di scambio tipica del marketing transazionale. Questo sistema, tuttavia, non è riuscito né ad arricchire la percezione del prodotto né ad allargare la platea, mentre ha paradossalmente favorito l’adozione delle pratiche più commerciali escludendo, per la mancanza di un sistema operativo ben pianificato, quelle che sarebbero state più conge-niali alle specificità dell’oggetto culturale. Queste ultime scaturiscono dalle più recenti teorie che gli studî di marketing hanno elaborato osservando e studiando proprio quei fenomeni che tanto hanno condizionato e modellato la relazione fra soggetto e prodotto culturale.

Affinché l’istituzione possa introdurre quelle pratiche che sanno trattare l’accresciuta complessità del prodotto/servizio culturale è necessario che il marketing diventi una ve-ra e propria funzione, in gve-rado di opeve-rare in chiave stve-rategica e quindi capace di selezio-nare e di utilizzare tutti gli strumenti che meglio si attagliano alle specificità dell’oggetto trattato. Il primo compito di questo nuovo soggetto sarà quello di integrare le modalità di comunicazione/promozione già adottate (marketing e pubbliche relazioni) affinché costituiscano due declinazioni di una stessa strategia che, utilizzando

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