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II. Il dialogo con la storia nel Carmide Il seguente capitolo ha lo scopo di mettere in evidenza il peso della storia nel

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II. Il dialogo con la storia nel Carmide

Il seguente capitolo ha lo scopo di mettere in evidenza il peso della storia nel

Carmide. Se nel precedente capitolo abbiamo sottolineato il carattere drammatico del

dialogo e il ruolo di Crizia e Carmide all’interno del dramma, adesso ci focalizzeremo sul dettaglio storico, visto come componente essenziale della struttura drammatica, elemento che, insieme alla caratterizzazioni dei personaggi e alla scelta degli stessi, fornisce plausibilità e verosimiglianza al testo78 . Nel dialogo in esame, in particolare, riferimenti puntuali a fatti storici si trovano già a partire dall’incipit79

(il ritorno di Socrate dalla battaglia di Potidea) per poi ripresentarsi alla fine del dialogo80 . La stessa sophrosyne, oggetto dell’elenchos, è, come già precedentemente sottolineato, parola chiave che ben si colloca in un contesto avente precise coordinate spazio-temporali: l’Atene del V secolo a.C., l’Atene in cui vivono ed operano il vero Crizia e il vero Carmide, esponenti di una cerchia, quella aristocratica, avente un suo codice di valori ben codificato. All’interno di questo codice Platone elabora e sviluppa il suo pensiero. Crizia per Platone è un punto di partenza e un termine di confronto importante, come alcuni passi della VII Lettera mettono in evidenza.

Ma parlare di storia nel Carmide, così come in qualsiasi altro dialogo del corpus, non è solo questo. Non si tratta soltanto di vedere la storia del dialogo, ovvero quella che crea, insieme ai personaggi, il dramma. Si tratta anche di vedere la storia in cui il dialogo prende

78

Per l’importanza del realismo nei dialoghi di Platone v. ad es. Wolfsdorf 2004.

79

Ch. 153 a-b.

80

cf. Ch. 154 b 2-4 (constatazione della crescita del giovane Carmide); 176 c-d (sezione finale, allusioni alla direzione violenta che prenderà la rivoluzione del 404 a.). La precizione dell’historical setting nel dialogo è sottolineata da Planeaux 1999, 72-77. L’ipotesi di Planeaux si discosta da quella comunemente accettata dalla critica, ovvero che il riferimento di Socrate sia alla battaglia di Potidea avvenuta nel 432 a.C., la stessa battaglia descritta da Alcibiade nel Simposio (Symp. 219 e -222 d) in cui Socrate avrebbe salvato la vita a quest’ultimo. Dimostando alcune incongruenze tra il racconto di Alcibiade, quello di Socrate e la descrizione dell’assedio di Potidea in Th. I 63-64, Planeaux arriva alla conclusione che si tratta di battaglie differenti, anche se avvenute in località limitrofe. La battaglia di cui parlerebbe Alcibiade sarebbe quella del 432, mentre quella di cui parla Socrate sarebbe avvenuta nel 429 a.C. (Th. II 79 1-8). L’ipotesi resta isolata.

(2)

28 forma, il periodo di composizione, la cronologia. A Dušanić81

va il merito di aver messo in stretta relazione queste due componenti, cronologia reale e fittizia, e di aver dimostrato come tra le due cronologie ci sia un forte legame.

Per finire dobbiamo ricordare un’altra dimensione storica strettamente legata al

Carmide: il futuro della cronologia fittizia, ovvero la rivoluzione oligarchica del 404 a.C.

che vedrà Crizia e Carmide protagonisti e che segnerà una svolta decisiva all’interno della fazione aristocratica. Questa terza dimensione storica si pone a metà tra cronologia fittizia e cronologia reale. Ad essa allude, come vedremo, il testo in alcuni punti e con essa si confronta Platone nel tentativo di dare una risposta all’insuccesso dell’impresa del Trenta82 .

II.1 La tesi di Dušanić, esegesi storica e apologia di Crizia

Dušanić in un articolo dal titolo Critias in the Charmides83 valuta la caratterizzazione

di Crizia nel Carmide in maniera originale. Il dialogo, infatti, si verrebbe a configurare come un’apologia di Crizia84

visto come figura emblematica all’interno dell’Accademia85 . Platone attraverso Crizia cercherebbe di mettere in guardia i cittadini dal lasciarsi trascinare in un altro potenziale conflitto contro Sparta, facendosi sostenitori di una Tebe indipendente (siamo negli anni intorno 382 a.C.). In altre parole, Platone intenderebbe, attraverso una tale caratterizzazione del personaggio, esortare gli Ateniesi alla sophrosyne come autocontrollo e dunque come hesychia. Da un punto di vista politico ciò comporterebbe una politica non interventista. Se da un lato la convinzione di un’ apologia di Crizia nel Carmide ci lascia titubanti, dall’altro si deve riconoscere al contributo una serie di meriti: 1. l’aver messo in relazione la caratterizzazione di Crizia nei dialoghi del corpus riconoscendone l’affinità; 2. l’aver riconosciuto una coerenza tra il ritratto di Crizia in Platone e la carriera politica di Crizia, che Platone intenderebbe riabilitare, così come l’anonimo autore dell’Erissia86 ; 3.

l’aver posto l’accento sul contesto storico in cui il Carmide prende forma. Riteniamo, infatti, che la cronologia reale del dialogo ne aiuti a decifrare alcuni aspetti. In particolare alcune valutazioni sul contesto in cui il dialogo fu composto renderebbero ragione di quella

81

Dušanić 2000, 53-63.

82

Si legga a proposito Notomi 2004, 301-314.

83

supra, n. 81.

84

Dušanić 2000, 53.

85

Crizia personificherebbe, in quanto allievo di Socrate e parente di Platone, l’aspetto politico-paideutico delle attività dell’Accademia (the political-educational aspects of the Academy’s activities, 59). Egli sarebbe un personaggio emblematico, portatore di un political heritage al tempo in cui il Carmide venne scritto. Cf. Aeschi. I 173, che in un contesto antiplatonico continuerebbe a difendere Crizia e i valori che incarna.

86

In particolare la definizione nell’Erissia che soltanto il saggio è ricco servirebbe a discolpare Crizia dalle accuse di rapacità. sull’Erissia, infra, 142 n.466.

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29 pluralità di riferimenti puntuali nel dialogo e dell’impatto che tali riferimenti dovevano avere sul lettore. Nelle pagine seguenti intendiamo esaminare alcune delle tesi del contributo di Dušanić. Tali tesi serviranno come punto di pertenza e come spunto per ulteriori riflessioni, che possono essere inquadrate all’interno della tematica del dialogo con la storia nel Carmide. Di seguito alcune ipotesi di Dušanić su cui soffermeremo la nostra attenzione:

1. l’ipotesi di un legame tra il Carmide e l’Elena di Isocrate;

2. 382 a.C. come data di composizione del Carmide attraverso il confronto con l’orazione XXVI di Lisia, sulla dokimasia di Evandro;

3. parallelismi tra il ruolo di Potidea nel 432 e nel 382.

II.1.1 L’ Elena di Isocrate: un dialogo possibile

Secondo Dušanić l’Elena di Isocrate andrebbe letta come una risposta polemica alla visione politica di Platone nel Carmide87 . In particolare in X,1 e X,5 ci sarebbe una critica ai metodi dell’insegnamento socratico. In X,32; X,37, all’interno dell’elogio di Teseo, eroe democratico per eccellenza, si dovrebbe scorgere una critica allisiva a Crizia e alla tirannide dei Trenta.

Nel riportare questa ipotesi siamo consapevoli di entrare all’interno di un territorio tuttora fortemente dibattuto. Si tratta del dibattito inerente il rapporto che intercorre tra Platone e Isocrate. Com’è noto la critica si divide tra coloro che sostengono un’assenza di conflittualità e coloro che invece sostengono che la rete di allusioni rintracciabile negli scritti di Platone ed Isocrate sia da interpretare nel segno di un’accesa polemica88

. In particolare la critica si divide sulla valutazione dell’elogio di Isocrate alla fine del platonico

Fedro89 . La questione è complessa e coinvolge tutta la produzione di Platone e di Isocrate90. Come è comprensibile, in questa sede non s’ intende scendere all’interno di tali, seppur stimolanti, questioni. Restringeremo il campo al nostro Carmide e all’Elena, opera discussa e di cui non manca un’abbondante letteratura secondaria, la cui conflittualità è segno e

87

Dušanić 2000, . Nell’Elena lo studioso scorge anche un riferimento alla visione politica che Platone esprime nell’Eutidemo, per cui si veda Dušanić 1999, 1-16

88

Nella direzione di una continuità Platone-Isocrate, riscontrabile nell’elogio di Isocrate alla fine del Fedro, si pone Tulli 1990 e similmente Erler 1993. Nel segno di una conflittualità si pone oggi la ricostruzione di Eucken (si veda in particalare Eucken 1983). Sulla stessa scia di Eucken, nel valutare il rapporto di reciproche allusioni tra Platone ed Isocrate e le rispettive strategie letterarie, Roscalla 1998. Che questa corrente abbia le proprie radici nella nella corrente accademica tedesca del XIX sec. lo sostiene Tulli 2007, 92.

89

supra n. 88. Eucken (1983, 115-120) considera il Fedro come una risposta polemica all’Elena.

90

Un contributo recente a titolo di esempio: Eucken 2010, 131-145, mette in rapporto in particolare il Menesseno di Platone e il Panegirico di Isocrate.

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30 riflesso del dibattito che coinvolge queste due grandi figure nel panorama del IV sec. a.C.91 . In questa sede cercheremo di verificare se sia possibile trovare qualche punto di contatto tra l’Encomio e il Carmide.

Partiamo dal proemio (X, 1-6). Tulli92 riconosce nel proemio isocrateo e in particolare nella prima parte (X, 1-2), lo schema della Priamel93 . La struttura polare consentirebbe ad Isocrate di confrontare gli altri (οἱ μὲν… οἱ δὲ…ἄλλοι δέ) con se stesso (ἐγὼ δέ)94 . Leggiamo la sezione iniziale dell’orazione di Isocrate:

X, [1] εἰσί τινες οἳ μέγα φρονοῦσιν, ἢν ὑπόθεσιν ἄτοπον καὶ παράδοξον ποιησάμενοι περὶ ταύτης ἀνεκτῶς εἰπεῖν δυνηθῶσι: καὶ καταγεγηράκασιν οἱ μὲν οὐ φάσκοντες οἷόν τ᾽ εἶναι ψευδῆ λέγειν οὐδ᾽ ἀντιλέγειν οὐδὲ δύω λόγω περὶ τῶν αὐτῶν πραγμάτων ἀντειπεῖν, οἱ δὲ διεξιόντες ὡς ἀνδρία καὶ σοφία καὶ δικαιοσύνη ταὐτόν ἐστι, καὶ φύσει μὲν οὐδὲν αὐτῶν ἔχομεν, μία δ᾽ ἐπιστήμη καθ᾽ ἁπάντων ἐστίν: ἄλλοι δὲ περὶ τὰς ἔριδας διατρίβουσι τὰς οὐδὲν μὲν ὠφελούσας, πράγματα δὲ παρέχειν τοῖς πλησιάζουσι δυναμένας. [2] ἐγὼ δ᾽ εἰ μὲν ἑώρων νεωστὶ τὴν περιεργίαν ταύτην ἐν τοῖς λόγοις ἐγγεγενημένην καὶ τούτους ἐπὶ τῇ καινότητι τῶν εὑρημένων φιλοτιμουμένους, οὐκ ἂν ὁμοίως ἐθαύμαζον αὐτῶν: νῦν δὲ τίς ἐστιν οὕτως ὀψιμαθής, ὅστις οὐκ οἶδε Πρωταγόραν καὶ τοὺς κατ᾽ ἐκεῖνον τὸν χρόνον γενομένους σοφιστάς, ὅτι καὶ τοιαῦτα καὶ πολὺ τούτων πραγματωδέστερα συγγράμματα κατέλιπον ἡμῖν;

Dietro i tre Foils bisognerebbe scorgere: 1. Antistene; 2. Platone; 3. gli eristi. Come nota Tulli, Isocrate qui anticipa Aristotele, Metafisica (1024b26 – 34; V A 152 Giannantoni) nell’identificare le tre tesi principali di Antistene95

. Il riferimento agli eristi è abbastanza esplicito: ἄλλοι δὲ περὶ τὰς ἔριδας διατρίβουσι τὰς οὐδὲν μὲν ὠφελούσας, πράγματα δὲ παρέχειν τοῖς πλησιάζουσι δυναμένας96

. Ma ciò che qui ci interessa è che parte della critica

91

Sull’Elena si veda ad esempio: Giuliani 1998 (confronto tra l’Elena di Gorgia, Isocrate, Euripide); Zajonz 2002 (commento all’orazione); Noël 2008, 183-196 (sull’uso dei termini semeion e tekmerion); Tulli 2007; Tulli 2012 (contributo che ricostruisce le trame che legano L’Elena e il Fedro di Platone relativamente all’aneddoto della cecità di Stesicoro e della palinodia); Andorlini 2003 (su un nuovo frammento papiraceo dell’Elena); Sylvie 2009, 69-79; Laplace 2011 (l’Elena è messa in rapporto da un lato col Fedro di Platone, dall’altro col Panegirico isocrateo).

92

Tulli 2007, 91-105.

93

Tulli 2007, 93. Già Bundy 1986, 1-33. Sulla Priamel si veda Race 1982, il quale però non ne riconosce l’utilizzo da parte di Isocrate.

94

Lo schema della Priamel è tipico della poesia greca. Qui Platone intende mostrare una dipendenza da Saffo (16 Voigt). Lo stesso schema lo si ritrova nell’encomio di Elena di Gorgia (Tulli 2007, 93). Lo stesso Platone si serve dello schema della Priamel nel paragonare il non sapere di Socrate con il sapere della tradizione (Tulli 2007, 101). Cf. ad esempio Ap. 19d-21a; Lys. 213d-216b; Prot. 316a-362a; Tim. 19b-20d.

95

Tulli 2007, 94.

96

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31 riconosca il riferimento a Platone97 . Nel testo Isocrate accenna ad un sapere stabile ed unico, μία ἐπιστήμη, trasmissibile, non presente dalla nascita, φύσει, a cui la virtù, nella sua unicità (ταὐτόν ἐστι), fa riferimento. Il tema dell’unità della virtù è centrale nel Protagora di Platone98 . Alcuni luoghi del dialogo, infatti, pongono la questione dell’unità dell’arete in termini sorprendentemente affini, tanto da non lasciare dubbi. Riportiamo di seguito alcuni esempi: a) Prot. 329 e 2 - 330 a 1 πότερον οὖν, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ μεταλαμβάνουσιν οἱ ἄνθρωποι τούτων τῶν τῆς ἀρετῆς μορίων οἱ μὲν ἄλλο, οἱ δὲ ἄλλο, ἢ ἀνάγκη, ἐάνπερ τις ἓν λάβῃ, ἅπαντα ἔχειν; οὐδαμῶς, ἔφη, ἐπεὶ πολλοὶ ἀνδρεῖοί εἰσιν, ἄδικοι δέ, καὶ δίκαιοι αὖ, σοφοὶ δὲ οὔ. ἔστιν γὰρ οὖν καὶ ταῦτα μόρια τῆς ἀρετῆς, ἔφην ἐγώ, σοφία τε καὶ ἀνδρεία; b) Prot. 330 b3 καὶ ἐγὼ εἶπον: οὐδὲν ἄρα ἐστὶν τῶν τῆς ἀρετῆς μορίων ἄλλο οἷον ἐπιστήμη, οὐδ᾽ οἷον δικαιοσύνη, οὐδ᾽ οἷον ἀνδρεία, οὐδ᾽ οἷον σωφροσύνη, οὐδ᾽ οἷον ὁσιότης (…)

Si noti come nel primo esempio (a) compaiano le stesse identiche virtù che Isocrate cita, anche se in riferimento ad individui concreti, pertanto nella forma aggettivale . In b) si può notare, invece, che le virtù espresse differiscono sia dalla virtù per eccellenza che dall’ἐπιστήμη. Questa valutazione è interessante: se si ritorna a X, 1, al secondo foil della

Priamel, si legge che uno è l’ ἐπιστήμη. Il fatto che qui Isocrate metta in gioco non solo

l’ἀρετή, ma anche il sapere stabile, l’ἐπιστήμη, ci consente di avanzare un parallelo con il nostro Carmide. In particolare μία δ᾽ ἐπιστήμη καθ᾽ ἁπάντων ἐστίν, ricorda molto da vicino

Ch. 166 c 1-2:

(…) ἀλλ᾽ αἱ μὲν ἄλλαι πᾶσαι ἄλλου εἰσὶν ἐπιστῆμαι, ἑαυτῶν δ᾽ οὔ, ἡ δὲ μόνη τῶν τε ἄλλων ἐπιστημῶν ἐπιστήμη ἐστὶ καὶ αὐτὴ ἑαυτῆς.

Tutte le scienze sono scienze di qualcos’altro, non di se stesse, mentre essa sola è scienza delle altre scienze e di se stessa.

97

In questo modo l’ipotesi di Dušanić sarebbe non da respingere nella sua interezza. Oltre a Tulli 2007, 95, qui riconosce il volto di Platone anche Szlezák 1988, 467.

98

Sul tema dell’unità della virtù nel Protagora si veda Ferrari 2004, 292-300; Trabattoni 2004, 267-291. Cf. anche Plat. Lach. 198 a. Sull’unità della virtù in Platone v. Kahn 1976, 21-39.

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32 Come si ricorderà questa è una delle definizioni che vengono date da Crizia, in particolare la IV99 .

È necessaria una precisazione. Per Protagora tutti partecipano indistintamente della virtù politica (si ricordi a proposito il mito di Prometeo nella sezione iniziale del dialogo). Questo è il presupposto per l’esistenza stessa delle città (323 a 1 - 4). Ma sebbene tutti potenzialmente ne partecipino, essa non è presente in tutti allo stesso identico modo. Alcuni infatti sono più votati ad essa. Tra quelli più propensi ad esercitare la virtù l’insegnamento protagoreo può avere il massimo effetto100 . Egli è infatti, come egli stesso ammette, in pieno possesso di questa virtù. Anche qui il riferimento di Isocrate al Protagora risulta dunque puntuale, si legga in particolare Prot. 323 c 5 - 7:

(…) αὐτὴν οὐ φύσει ἡγοῦνται εἶναι οὐδ᾽ ἀπὸ τοῦ αὐτομάτου, ἀλλὰ διδακτόν τε καὶ ἐξ ἐπιμελείας101

παραγίγνεσθαι ᾧ ἂν παραγίγνηται (…)

Una volta provata l’allusione al Protagora di Platone bisogna chiedersi: 1. è possibile sulla base delle evidenze testuali avanzare l’ipotesi di una qualche relazione tra l’Elena e il

Carmide? ; 2. ci sono altri elementi in grado di verificare l’ipotesi? Per rispondere al

secondo quesito si potrebbe partire da un confronto delle rispettive cronologie, sia reali che fittizie. Per quanto riguarda la cronologia fittizia del Protagora si prende solitamente come riferimento l’età di Alcibiade, al quale fiorisce in pieno la barba (Prot. 309 a 4-5). Dunque Alcibiade avrebbe più di 18 anni. Se Alcibiade, come è noto, partecipò alla battaglia di Potidea nel 432 a.C., il suo efebato non deve essere stato posteriore al 433, come nota Adorno102 . Si sarebbe nell’anno che precede la battaglia di Potidea, tra il 433 e il 432 a.C. La cronologia del Carmide, come si ricorderà, non desterebbe problemi. Siamo subito dopo la battaglia di Potidea del 432 a.C., battaglia in cui Socrate salvò la vita ad Alcibiade103 .

Protagora e Carmide sono dunque vicini nella loro rappresentazione drammatica,

ambientati rispettivamente nel momento immediatamente precedente e immediatamente successivo della battaglia. Ci sono ragioni per sostenere che le cronologie reali abbiano anche un’ uguale vicinanza? Per il Carmide si parla dell’anno 382 a.C. come data di

99

supra, § I.I.

100

Sulla possibilità di acquisire una virtù che non si ha physei si veda Prot. 324 b 6; c 5.

101

Sull’importanza dell’epimeleia in relazione a Crizia v. infra, § III.1.4.

102

Adorno 1996, XXIV; Tulli 2012, 862.

103

v. Plat. Symp. 219 e-220 d. Anche se non manca chi mette in discussione che Alcibiade nel Simposio e Socrate nel Carmide stiano riferendosi alla stessa battaglia (v. Planeaux 1999, 72-76. v. supra, 27 n. 80).

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33 composizione. Tale ipotesi verrà a breve presa in esame104 . Per il Protagora, invece, non si hanno indizi cogenti per una valutazione esatta della data di composizione. A proposito Adorno:

Difficile – non abbiamo dati storicamente probabili - è dire quando Platone abbia scritto il Protagora. Riteniamo al tempo del Gorgia e del Menone: certo al tempo in cui Platone vedeva gran parte della decadenza ateniese dovuta all’atteggiamento neo-gorgiano e neo-protagoreo, che si delineava con l’insegnamento di Isocrate, fondatore di una scuola epidittico-retorica, nel 391 circa. Come il Gorgia, anche il Protagora dovrebbe risalire agli anni tra il 390 e il 380. Non è che un’ipotesi105 .

Considerazioni per noi interessanti quelle di Adorno. Da un lato viene evidenziato il legame tra il Protagora e la scuola di Isocrate, a sostegno della rete di allusioni che abbiamo precedentemente messo in rilievo. Dall’altro si accenna ad un decennio, 390-380, all’interno del quale cadrebbe la scrittura del Carmide. Uguale l’ipotesi di scrittura dell’Elena: lo stesso decennio 390-380106 . Le ipotesi consentirebbero allora, con le dovute cautele, di fare entrare il Carmide in questa rete di rapporti. Ovviamente tali ipotesi resterebbero mere congetture se non si provasse a rintracciare evidenze testuali, al di là di quelle, troppo poche, evidenziate da Dušanić. La sophrosyne la ritroviamo sia, più volte, nell’Elena, sia, come è già noto, nel Protagora, insieme alle altre virtù che formano la politike techne. Nell’Elena fa la sua comparsa in X,31 in riferimento a Teseo. Interessante notare che nell’elogio delle virtù di Teseo compare per prima l’andreia, poi l’eusebeia, e infine:

[…] τὴν δ᾽ ἄλλην ἀρετὴν καὶ τὴν σωφροσύνην ἔν τε τοῖς προειρημένοις καὶ μάλιστ᾽ ἐν οἷς τὴν πόλιν διῴκησεν.

Dietro τὴν δ᾽ ἄλλην ἀρετήν si potrebbe vedere l’unità della virtù di cui la sophrosyne fa parte, insieme al coraggio e all’eusebeia. Qui sembra essere sotteso il principio dell’unità della virtù del Protagora. Questo passo ha il merito inoltre di connettere la sofrosyne al governo della città, dimstrandone ancora una volta la valenza politica, la stessa valenza che ha nel Carmide. L’atteggiamento di sophrosyne, in altre parole, legittima il buon governo della città, come è chiaramente espresso nell’utopia del buon governo del Carmide (171 d-172 a 3). Notiamo pure un altro interessante dettaglio: il passo citato precede appena la

104

infra, § II.1.2.

105

Adorno op.cit. XXVII.

106

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34 descrizione dell’agire politico di Teseo. Tale descrizione è citata da Dušanić come riferimento polemico al Carmide. Per Dušanić ci sarebbe una polarizzazione tra la figura di Teseo, eroe democratico per eccellenza, e quella di Crizia. elogiato nel Carmide e indirettamente preso di mira in Elena X, 32-33. Dalla lettura dell’elogio di Teseo e da qualche dettaglio che segue sono venuti alla luce alcuni indizi che da un lato possono confermare come qui sia presente un riferimento ai Trenta e allo stesso Crizia107, dall’altro, però, smentiscono la polarità democrazia-tirannide evidenziata da Dušanić. In X, 32-33 si legge: [32] ὁρῶν γὰρ τοὺς βίᾳ τῶν πολιτῶν ἄρχειν ζητοῦντας ἑτέροις δουλεύοντας καὶ τοὺς ἐπικίνδυνον τὸν βίον τοῖς ἄλλοις καθιστάντας αὐτοὺς περιδεῶς ζῶντας, καὶ πολεμεῖν ἀναγκαζομένους μετὰ μὲν τῶν πολιτῶν πρὸς τοὺς ἐπιστρατευομένους, μετὰ δ᾽ ἄλλων τινῶν πρὸς τοὺς συμπολιτευομένους, [33] ἔτι δὲ συλῶντας μὲν τὰ τῶν θεῶν, ἀποκτείνοντας δὲ τοὺς βελτίστους τῶν πολιτῶν, ἀπιστοῦντας δὲ τοῖς οἰκειοτάτοις, οὐδὲν δὲ ῥᾳθυμότερον ζῶντας τῶν ἐπὶ θανάτῳ συνειλημμένων, ἀλλὰ τὰ μὲν ἔξω ζηλουμένους, αὐτοὺς δὲ παρ᾽ αὑτοῖς μᾶλλον τῶν ἄλλων λυπουμένους.

Teseo vedeva che quando si cerca di dominare con la violenza, βίᾳ, i cittadini, si è schiavi

degli altri. La presenza di βίᾳ richiamerebbe lo stesso termine che compare, come abbiamo

visto nel I capitolo108 , con insintenza martellante alla fine del nostro dialogo e che proprio per questo suo ricorrere con frequenza era stato interpretato come un elemento da un forte valore simbolico. Dietro queste parole sembra essere vivo il ricordo della recente esperienza della tirannide e del terrore che aveva portato i rappresentanti di tale governo a uccidere i migliori dei cittadini (…ἀποκτείνοντας δὲ τοὺς βελτίστους τῶν πολιτῶν). L’agire politico di Teseo si pone contro tutto questo. In che misura però l’elogio di Teseo e le stesse virtù dell’eroe creano quella che per Dušanić è una contrapposizione radicale con ciò che emerge dal Carmide e dalle definizioni che in esso vengono date della sophrosyne? Sono rintracciabili, a nostro avviso, al contrario, alcuni punti di contatto tra le definizioni del dialogo e la caratterizzazione del Teseo di Isocrate.

a) In X, 25 Teseo è definito ad esempio padrone di se stesso (κύριος ὢν). Si ricorderà di come le prime definizioni di Carmide cerchino di cogliere gli aspetti esteriori della

107

Bultrughini 1999, 311 e ss.. sostiene che l’allusione a Crizia, presenza sotterranea e scomoda, compaia frequentemente nelle opere del IV secolo e in particolare in Isocrate. Ad. Una esplicita critica dei Trenta si trova nell’Areopagitico (VII, 62-69), ma anche in XVI, 12-37-40-46-50; XVIII 16-17; 35-67; XXI 2; 11-12.

108

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35

sophrosyne, aspetti che si collegano con la tradizione. Secondo la tradizione tale virtù è da

intendersi come autocontrollo. Manifestazioni di ciò sarebbero una compostezza e una lentezza dell’agire (…σωφροσύνη εἶναι τὸ κοσμίως πάντα πράττειν καὶ ἡσυχῇ…, Ch.159 b 2 - 3). Dunque un carattere mite, lo stesso che si rintraccia nella caratterizzazione di Carmide. Strettamente legato a queste manifestazioni è il pudore, l’aidos (εἶναι ὅπερ αἰδὼς ἡ σωφροσύνη, 160 e 4 - 5). Teseo nell’essere kyrios di se stesso e nel possedere la sophrosyne si pone in linea con la visione tradizionale di questa virtù109 .

b) In X, 37 si sottolinea come nei costumi attuali restino tracce della sua mitezza:

(…) οὕτω γὰρ νομίμως καὶ καλῶς διῴκει τὴν πόλιν ὥστ᾽ ἔτι καὶ νῦν ἴχνος τῆς ἐκείνου πραότητος ἐν τοῖς ἤθεσιν ἡμῶν καταλελεῖφθαι.

Il termine praotes non è presente nel Carmide, ma non è difficile scorgere nelle definizioni del giovane lo stesso identico atteggiamento approntato a pudore e lentezza dell’azione.

c) Per quanto riguarda il suo essere eroe democratico per eccellenza, riportiamo le parole di Isocrate a proposito:

X, 36 τοσούτου δ᾽ ἐδέησεν ἀκόντων τι ποιεῖν τῶν πολιτῶν ὥσθ᾽ ὁ μὲν τὸν δῆμον καθίστη κύριον τῆς πολιτείας, οἱ δὲ μόνον αὐτὸν ἄρχειν ἠξίουν, ἡγούμενοι πιστοτέραν καὶ κοινοτέραν εἶναι τὴν ἐκείνου μοναρχίαν τῆς αὑτῶν δημοκρατίας. οὐ γὰρ ὥσπερ ἕτεροι τοὺς μὲν πόνους ἄλλοις προσέταττε, τῶν δ᾽ ἡδονῶν αὐτὸς μόνος ἀπέλαυεν, ἀλλὰ τοὺς μὲν κινδύνους ἰδίους ἐποιεῖτο, τὰς δ᾽ ὠφελείας ἅπασιν εἰς τὸ κοινὸν ἀπεδίδου.

Secondo Isocrate, sebbene Teseo abbia eletto il popolo padrone della politica, i cittadini ritennero lui solo degno di governare, ritenendo il suo governo monarchico maggiormente affidabile e improntato al bene comune rispetto al loro governo democratico. Dunque Teseo in virtù della sua sophrosyne è legittimato a governare allo stesso modo del sophron del

Carmide, che in virtù della sua superiorità è in grado di essere maggiormente utile al bene

comune. Questo consente una distribuzione paritaria dei vantaggi (ὠφελείας ἅπασιν εἰς τὸ κοινὸν ἀπεδίδου). L’ophelia è una conseguenza di questo agire anche nel Carmide, insieme

109

Anche Platone difinisce se stesso kyrios nella VII Lettera (324 b 9). In questo caso indicherebbe il compimento della maggiore età, v. Knab 2006, 129, il quale sottolinea come tale utilizzo avesse valore idiomatico).

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36 con la felicità110 . Solo chi è superiore, sembra di poter desumere, è legittimato a governare proprio in virtù di questa superiorità. Un tale governo è preferibile ad un governo democratico. La coincidenza di contenuto con l’utopia del buon governo del Carmide è forte. Ma leggiamo ciò che segue:

[37] καὶ γάρ τοι διετέλεσε τὸν βίον οὐκ ἐπιβουλευόμενος ἀλλ᾽ ἀγαπώμενος, οὐδ᾽ ἐπακτῷ δυνάμει τὴν ἀρχὴν διαφυλάττων, ἀλλὰ τῇ τῶν πολιτῶν εὐνοίᾳ δορυφορούμενος, τῇ μὲν ἐξουσίᾳ τυραννῶν, ταῖς δ᾽ εὐεργεσίαις δημαγωγῶν: οὕτω γὰρ νομίμως καὶ καλῶς διῴκει τὴν πόλιν (…)

In queste righe si coglie l’ambivalenza dell’autorità di Teseo, il quale τῇ μὲν ἐξουσίᾳ τυραννῶν, ταῖς δ᾽ εὐεργεσίαις δημαγωγῶν. Egli è sia tyrannos che demagogos. Tyrannos perché indiscussa la sua autorità, demagogos in virtù delle euergesiai, delle buone azioni, e dunque dei benefici nei confronti del popolo.

Sembra emergere qui uno sfondo comune, una visione etico-politica non nettamente contrapposta, come vuole parte della critica, ma improntata ad un confronto costruttivo. Non mancherebbero i punti di divergenza, ma parallelamente non mancherebbe il terreno del dialogo e dell’incontro, rintracciabile a nostro avviso nella lettura paralleta dell’elogio di Teseo interno all’Elena e del Carmide, in alcuni suoi snodi fondamentali in cui si coglie pienamente il valore politico del dialogo. Per il momento tale conclusione resta un’ipotesi, suscettibile di critiche e approfondimenti, punto di partenza, forse, per un ripensamento di certi rapporti che risentono di un pregiudizio di antichi e moderni. Lo stesso pregiudizio che pesa sulla figura di Crizia111 .

Altra comparsa della sophrosyne nell’Elena la si ha subito dopo, in X, 38, in riferimento alla stessa Elena.

τὴν δὴ γεννηθεῖσαν μὲν ὑπὸ Διός, κρατήσασαν δὲ τοιαύτης ἀρετῆς καὶ σωφροσύνης, πῶς οὐκ ἐπαινεῖν χρὴ καὶ τιμᾶν καὶ νομίζειν πολὺ τῶν πώποτε γενομένων διενεγκεῖν;

110

Cf. Ch. 171 d 5-6: (…) μεγαλωστὶ ἂν ἡμῖν, φαμέν, ὠφέλιμον ἦν σώφροσιν εἶναι (…). L’agire secondo sophrosyne produce non soltanto un utile collettivo, ma una distribuzione dei ruoli adeguata alle capacità di ciascuno, come si legge in 171 e 1-2: (…) οὔτε γὰρ ἂν αὐτοὶ ἐπεχειροῦμεν πράττειν ἃ μὴ ἠπιστάμεθα, ἀλλ᾽ ἐξευρίσκοντες τοὺς ἐπισταμένους ἐκείνοις ἂν παρεδίδομεν (…). Un tale agire genera felicità (Ch. 172 a 1-3): ἁμαρτίας γὰρ 172α] ἐξῃρημένης, ὀρθότητος δὲ ἡγουμένης, ἐν πάσῃ πράξει καλῶς καὶ εὖ πράττειν ἀναγκαῖον τοὺς οὕτω διακειμένους, τοὺς δὲ εὖ πράττοντας εὐδαίμονας εἶναι.

111

(11)

37 Anche Elena, come Teseo, è in possesso delle stesse virtù politiche. Ma ci si potrebbe chiedere se e in che modo la figura di Elena abbia una connessione con la politica e se questa connessione sia rintracciabile all’interno del testo e ancora se abbia delle connessioni con l’attualità. La risposta a questi tre interrogativi è affermativa. Lo stesso Tulli nota come nella sezione finale dell’orazione (61-66) Elena diventi un simbolo positivo capace di

esprimere la comune politica, il comune impegno culturale dei Greci112 . Attraverso la

caratterizzazione di Elena come sophron Isocrate esprime il suo ideale politico113 . In particolare in X, 67 – 68 viene sottolineato il ruolo di Elena nell’aver favorito una serie di benefici. Oltre alle technai e alle philosophiai, a buon diritto potremmo pensare che Elena

sia la causa del fatto di non essere schiavi dei barbari. Troveremo infatti che gli Elleni, raggiunta la concordia grazie a lei, fecero una spedizione comune contro i barbari, e allora, per la prima volta, l’Europa eresse sull’Asia un trofeo di vittoria. Nella concordia

tra i Greci e nell’esigenza di una comune spedizione contro i persiani si nascondono alcune delle necessità politiche per Isocrate. Emergerebbe da qui il valore politico del discorso e il suo legame stringente con l’attualità, passando attraverso un confronto con gli eventi che hanno lasciato un segno, come il governo dei Trenta. Isocrate, allo stesso modo del Platone del Carmide e del Protagora, si interroga sulla virtù politica. In entrambi priorità assoluta che giustifica lo sforzo letterario è il presente nella sua dimensione politica dell’utilità. Se lo scopo è coincidente e ugualmente coincidenti sono gli ideali su cui si sono formati, differenti gli sviluppi del pensiero, da inquadrare nell’ottica di un dialogo, possibile, sulla comune convinzione del ruolo chiave della filosofia114 .

112

Tulli 2007, 100. Sul ruolo politico di Elena - dell’Elena si veda anche Zajonz 2002, 38-40: Die Helene als panhellenisches Manifest (la Zajonz sembra propendere per un’interpretazione non politica dell’orazione, diversamente da Kennedy 1958, 77-83, confutato già da Heilbrunn 1977, 147-159.

113

Per l’ideale politico di Isocrate si veda nell’ampia bibliografia: Bringmann 1965; Mathieu 1966; Bearzot 1981. Su Isocrate e l’Atene del IV sec. a.C. si veda Berlinzani 2006.

114 Cf. Isocr. Antidosis XV 227-228: ἀλλὰ γὰρ οὕτω τινὲς ἀγνωμόνως ἔχουσιν ὥστ᾽ εἰδότες καὶ τοὺς ξένους τοὺς ἀφικνουμένους καὶ τοὺς προεστῶτας τῆς παιδείας οὐδὲν κακὸν ἐπιτηδεύοντας, ἀλλ᾽ ἀπραγμονεστάτους μὲν ὄντας τῶν ἐν τῇ πόλει καὶ πλείστην ἡσυχίαν ἄγοντας, προσέχοντας δὲ τὸν νοῦν σφίσιν αὐτοῖς καὶ τὰς συνουσίας μετ᾽ ἀλλήλων ποιουμένους, ἔτι δὲ τὰ καθ᾽ ἡμέραν εὐτελέστατα καὶ κοσμιώτατα ζῶντας, καὶ τῶν λόγων ἐπιθυμοῦντας οὐ τῶν ἐπὶ τοῖς ἰδίοις συμβολαίοις λεγομένων οὐδὲ τῶν λυπούντων τινάς, ἀλλὰ τῶν παρὰ πᾶσιν ἀνθρώποις εὐδοκιμούντων, ὅμως τολμῶσι βλασφημεῖν περὶ αὐτῶν καὶ λέγειν ὡς ταύτην ποιοῦνται τὴν μελέτην, ἵν᾽ ἐν τοῖς ἀγῶσι παρὰ τὸ δίκαιον πλεονεκτῶσι. Qui da un lato si nota l’ambiguità dell’atteggiamento politico di Isocrate, dall’altro la vicinanza con alcuni punti chiave dell’ideologia aristocratica espressa e sintetizzata nel Carmide. Il parallelo è stato già notato da Bultrighini 1999, 56. Per l’ambiguità dell’atteggiamento di Isocrate si veda sempre Bultrighini (311 ss.).

(12)

38 II.1.2 L’anno 382 a.C. e l’orazione XXVI di Lisia

Già Witte115 aveva posto l’attenzione sui numerosi punti di contatto tra l’orazione XXVI di Lisia e il nostro Carmide. L’orazione Sulla docimasia di Evandro ha il vantaggio di essere databile con relativa precisione. Il 382 a.C. è l’anno in cui fu arconte eponimo Evandro, contro cui si scaglia il logografo. Dunque, se si accetta l’identificazione di Evandro arconte eponimo nell’anno 382/381 con l’Evandro dell’orazione, allora se ne possiede la data esatta di composizione116 . In quell’anno candidato all’arcontato era, oltre ad Evandro, Laodamante. L’orazione è stata commissionata da un cittadino amico di Laodamante per cercare di bloccare la nomina di Evandro, a sua volta sostenuto dal politico e retore Trasibulo di Collito. Il cittadino rivolge ad Evandro e al suo protettore Trasibulo una serie di accuse relative alle simpatie oligarchiche e ai crimini commessi durante il regime dei Trenta. Per il carattere personale delle accuse tale orazione è stata sempre considerata negativamente. Weissenberger117 , nella sua analisi delle orazioni sulla docimasia del corpus di Lisia, ne ha riabilitato il contenuto, considerando le accuse non del tutto menzognere.

Ma quale sarebbe il legame tra l’orazione di Lisia e il Carmide? E cosa induce Witte a considerare una tale orazione addirittura una prova per la datazione del dialogo? In effetti i punti di contatto non mancano. In alcuni casi sembra di essere davanti a veri e propri riferimenti testuali, come nel caso della presenza dello slogan politico del ta heautou

prattein. Lisia viene a sapere da qualche imprecisato canale alcune delle argomentazioni che

Evandro userà per difendersi dalle accuse. Tra le argomentazioni una risulta a noi particolarmente familiare:

XXVI, 3 λέξειν δὲ (…) ὅτι αὐτὸς κόσμιός ἐστι καὶ οὐχ ὁρᾶται ποιῶν ἃ ἕτεροι ἐνταῦθα τολμῶσιν, ἀλλὰ τὰ ἑαυτοῦ πράττειν ἀξιοῖ.

Per Witte il Carmide sarebbe stato composto prima dell’orazione. L’orazione conterebbe insomma dei rimandi indiretti a quel lavoro. Per Dušanić, invece, il rapporto tra i due testi è

115

Witte 1970, 42-46. Erler (2007, 104) considera degna di attenzione (bemerkenswert) una delle osservazioni di Witte, ossia quella secondo cui il nome astratto hesychiotes è presente, oltre che nel Carmide, solo in Lys. XXVI,5 a cui il Carmide alluderebbe.

116

Sull’Orazione XXVI di Lisia si veda Medda 1995, 296 ss. La prima parte dell’orazione è perduta. Non si dubita dell’autenticità del discorso.

117

(13)

39 invertito. L’orazione sarebbe stata scritta prima del Carmide. Prova di ciò sarebbe nella replica di Socrate a Carmide in 176 c 7:

βιάσῃ ἄρα, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ οὐδ᾽ ἀνάκρισίν μοι δώσεις;118

L’anakrisis a cui allude Socrate sarebbe un riferimento della dokimasia a cui viene sottoposto Evandro in Lisia XXVI. I due termini possono infatti considerarsi sinonimi119 .

Sia che il dialogo si collochi prima dell’orazione, sia che esso venga dopo, non si può negare che la relazione tra i due testi è forte. Se l’ipotesi di Witte - Dušanić fosse vera allora il Carmide sarebbe stato composto nel 382 a.C120 . A questo punto è legittimo chiedersi: a) quale fosse la situazione politica in quegli anni sia ad Atene, sia in Grecia più in generale;

b) se il clima di quel periodo possa aver determinato la scelta dell’ambientazione del dialogo e dei personaggi;

c) se di questo eventuale influsso ci siano indizi all’interno del testo del Carmide.

Partiamo dal punto a): la situazione del 382 a.C. in Grecia era delicata121 . Una serie di eventi cruciali, tra cui il processo contro il tebano Ismenia122 , l’occupazione spartana di Olinto e di Cadmea, rocca di Tebe, dovevano rendere l’atmosfera politica ateniese particolarmente tesa. In particolare sugli eventi del presente, come nota Dušanić, si presentava il ricordo vivo degli eventi del passato. Le operazioni congiunte di Atene e Tebe nella penisola calcidica, come si vedrà in seguito, non potevano non ricordare la guerra del Peloponneso e il ruolo di prophasis che aveva avuto la ribellione di Potidea. Ad essa, come è noto, era seguita la reazione di Atene (e la vittoriosa battaglia del 432 a.C.). Vivo doveva essere anche il ricordo del colpo di stato del 404 a.C. che segnava la fine della guerra del Peloponneso. Il peso che gli eventi della fine del V sec. a.C. avevano nell’Atene del IV è rintracciabile nei testi degli autori di cui ci stiamo occupando. Lo si tocca quasi con mano leggendo le parole dell’orazione XXVI di Lisia e indirettamente, come abbiamo visto, leggendo l’elogio che Isocrate fa di Teseo. Le cause che avevano portato a porre in primo

118

“Mi farai dunque violenza” dissi io “e non mi concederai neppure l’istruttoria?” (trad. Centrone B.).

119

Sull’equivalenza dei due termini si veda Harrison 1971, 202.

120

Non manca chi propone una diversa cronologia per il Carmide. Kahn propone una composizione più tarda e lo colloca al 380 a.C. v. Kahn 1988, 541 ss.

121

Un recente contributo sulla storia della Grecia nel IV sec. a.C. è quello di Buckler 2008, a cui rimando. Si veda anche Buckler 1980.

122

(14)

40 piano il ricordo dell’oligarchia e la propaganda politica ad essa connessa sono da rintracciarsi in eventi esterni alla città, come abbiamo precedentemente accennato. Proprio nel 382 a.C. infatti il generale spartano Febida nel dirigersi verso Olinto compiva una deviazione non casuale e non autorizzata passando per la strada che collega Platea a Tebe. I Tebani, infatti, da tempo avevano avviato un politica antispartana, frutto dell’attività diplomatica di personalità interne alla scena politica tebana come Ismenia e Androkleida. All’interno di tali attività s’inserivano discussioni con Olinto nella penisola Calcidica per un’alleanza. Parallelamente si muoveva Atene. Una potenziale alleanza tra Atene e Tebe avrebbe costituito per Sparta una seria minaccia. La più seria dal tempo della guerra di Corinto123 .

Allarmato dalla nascente ostilità tebana, il re Agesilao aveva ordinato a Febida di prendere Cadmo di Tebe, se se ne fosse presentata l’occasione. A Tebe Febida s’incontrò con Leonziade, capo della fazione spartana di Tebe, che diede la possibilità di introdurre le truppe durante la celebrazione di una festività religiosa. L’accordo ebbe successo e Febida non solo occupò Cadmo, ma catturò anche Ismenia insieme ad altri tebani dello stesso partito, violando gli accordi della pace di Antalcida del 386 a.C., che sanciva, tra l’altro, l’indipendenza delle poleis greche. 300 uomini dell’entourage di Ismenia, tra cui Pelopida, riuscirono a fuggire verso Atene e lì, supportando la democrazia ateniese, progettarono la liberazione della loro città. Da qui si comprende come gli Ateniesi fossero coinvolti. Inoltre da parte dalla fazione democratica era vivo il ricordo del debito dei confronti di Tebe per l’instaurazione della democrazia ad Atene. La città si divise nuovamente, come era avvenuto negli anni della guerra del Peloponneso, tra coloro, filospartani, che proclamavano un atteggiamento di apragmosyne da un punto di vista politico prima che etico, in altre parole un atteggiamento anti imperialista. Dall’altra parte si ergevano i democratici, tra cui Lisia e Isocrate, a favore di un supporto per la liberazione di Tebe, occupata dagli spartani. Alla fine nel 379 a.C. i 300 esuli tebani ad Atene, organizzandosi con la fazione antispartana della città, la liberarono. Da allora l’alleanza Atene-Tebe restò salda.

Non è difficile comprendere in quale dei due schieramenti fosse Platone. Testimonianze della posizione di Platone e dell’Accademia in merito a quegli eventi ci vengono dallo stesso corpus. In Teage 129 a-c , ad esempio, si esprime indirettamente il giudizio negativo dell’Accademia nei confronti della liberazione di Tebe, giudizio che quadra con la condanna di Ismenia in Men. 90 a. Preso atto di ciò veniamo al punto b), ovvero: può il clima di quel periodo aver influenzato l’ambientazione e la scelta dei

123

(15)

41 personaggi? La risposta sembrerebbe essere affermativa. Abbiamo già visto come la

dokimasia di Evandro fosse un riflesso della vivacità e attualità del dibattito sui Trenta.

All’interno dell’orazione, infatti. il cliente di Lisia sosteneva Leodamante, presentato come un perfetto democratico. Che il passato di Leodamante non fosse impeccabile e che questa figura al contrario fosse controversa lo leggiamo da un passo della Retorica di Aristotele (1400 a). Qui si afferma che in realtà il nome di Leodamante figurava sulla colonna

dell’infamia nell’Acropoli di Atene insieme ad altri nomi di uomini implicati nel colpo di

stato e che in seguito il suo nome era stato fatto cancellare. Nei cittadini il ricordo di quel nome e di quel volto, connesso ad altri nomi ed altri volti come quello di Crizia e Carmide, doveva essere vivo e fortemente evocativo.

In questo modo, per riassumere, si riapre il dibattito sui Trenta, influenzato sia da vicende di quella che si potrebbe definire politica interna (elezione di Evandro o Leodamante), sia di politica estera (liberazione di Tebe, trattative nella penisola calcidica, in particolare con Olinto)124 . Allo stesso modo si recupera tutto il repertorio ideologico di una fase che aveva preceduto le ostilità della guerra del Peloponneso, una fase di tensione e scontro ideologico, che vede l’Atene democratica ad alimentare una politica di tipo imperialista e quella oligarchica - filospartana contraria al conflitto con Sparta, contraria all’imperialismo e a favore di un ripiegamento su se stessi. Si rivive l’atmosfera degli anni in cui Crizia sviluppa ed elabora il suo pensiero, gli anni del to ta eaoutou prattein inteso come fare ciò che è di propria competenza, ciò che riguarda l’individuo e dunque che allontani dalla frenesia imperialista. L’anno cruciale in cui tutto questo ha già preso forma, in cui lo scontro ideologico è vivo e altrettanto viva è la minaccia di un conflitto con Sparta è il 432 a.C. Anno della battaglia di Potidea, cronologia fittizia del Carmide. L’anno del dramma.

Ma veniamo al punto c) ovvero: in quali punti il dialogo presenta allusioni più o meno esplicite alla realtà storica che abbiamo appena descritto? Da questa domanda se ne genera un’altra: nell’ottica della dinamica dialogica quale senso assume il dettaglio storico?

La risposta alla prima domanda è già indirettamente stata data. Già nell’introduzione al II capitolo abbiamo citato i passi in cui il riferimento alla storia è forte125 . La seconda domanda è più delicata e ha a che fare con le modalità di fruizione del dialogo, visto come dramma. In seguito si prenderà in esame il gioco dei personaggi all’interno del Carmide e le

124

Sulla persistenza del ricordo delle vicende dei Trenta e dell’anno 403 a.C. nel IV sec. a.C. e sulle strategie letterarie con cui le diverse ideologie del secolo precedente vennero elaborate si veda Roscalla 2005, con annessa bibiografia. In particolare si veda il cap. II sull’epitaffio del Menesseno e il IV sulla letteratura socratica.

125

(16)

42 loro mutevoli relazioni126 . Si noterà come mediante alcuni espedienti letterari, come l’uso dello stesso genere dialogico, il lettore venga esortato ad entrare all’interno del testo attraverso un processo che si potrebbe definire mimetico, in quanto porta all’immersione e all’immedesimazione. Questo non implica che la letteratura, ed in particolare quella dialogica, sia vincolata al rispetto di una ben precisa cronologia, compito della storia. Come già aveva chiarito Aristotele, infatti, la letteratura tende all’universale (to katholou), mentre la storia tende al particolare (to kath’hekaston)127 . Ciò che conta in ambito letterario è la verosimiglianza, necessaria per il coinvolgimento del lettore. Si può affermare che più verosimile è il dettaglio storico e la rilevanza dello stesso, più forte sarà il coinvolgimento del lettore all’interno delle trame dialogiche. Il presentare sotto forma di dramma personaggi reali la cui memoria era viva e pungente nel IV sec. e vicende oggetto di dibattito quotidiano doveva creare una fortissima immersione all’interno del testo, tanto forte da produrre un effetto simile a quello dell’epode128 .

II.1.3. Dopo Potidea: esortazioni alla sophrosyne

Se tale era il contesto in cui il dialogo prende forma allora il Carmide doveva scuotere già dall’incipit. Abbiamo infatti ricordato le operazioni parallele di Tebe e Atene nella penisola Calcidica e i rischi di quelle operazioni nel fomentare un conflitto con Sparta. A proposito Dušanić:

Platon’s evocation of the battle of 432 pointed out the risk of fresh inter-Greek hostilities on a large scale but his comparison of the Calcidic problems of the years 432 and 382 may have had an even more precise point: on both occasions, Potidaea wished, quite legitimately, to secede from an oppressive League, and the attempts on the part of the League’s hegemon to prevent its secession led (or, in 382/1 threatened to lead) the nation into a major war. In 432, the chief instigator of the aggressive policy was Athens; in 382 and the previous year, that was Olynthus, to which Ismenias’ Thebans and Cephalus’ Athenians promised armed support129

.

Abbiamo ugualmente sottolineato come gli eventi del 382 a.C. e degli anni immediatamente precedenti e successivi abbiano riaperto un dibattito politico che recuperava il repertorio ideologico appartenuto alla fazioni in lotta nella seconda metà del V sec. a.C. A distanza di

126

infra, § IV.2.

127

cf. Aristot. Poet. cap. IX, 1451 b.

128

Per il valore metaforico dell’incantesimo nel Carmide v. infra, § IV.2.1.

129

(17)

43 circa mezzo secolo l’ideologia di Crizia e dei suoi avversari diventava attuale. La stessa

sophrosyne con il peso ideologico di cui è portatrice ritorna nel nostro Carmide e nell’Elena

di Isocrate, esplicitamente associata alla politica.

L’ideologia del Carmide è allora riflesso di un’ideolgia più antica, risalente al cuore del V secolo. Per comprendere meglio gli aspetti fondamentali di questo background e per tastarne l’autenticità, illuminate risulta un confronto con Tucidide, nella cui opera letteraria si coglie pienamente il legame tra storia ed ideologia. Nel I libro delle Storie viene descritto, come è noto, il contesto storico che precede la guerra del Peloponneso130 . Tra i fattori scatenanti Tucidide ricorda la defezione di Potidea. Colonia corinzia, soggetta a pagare un tributo alla lega delio attica, venne obbligata da Atene ad abbattere le sue mura. Quest’ingiunzione procurò la reazione oltre che della città stessa, di Corinto, che mandò degli ambasciatori a Sparta per ottenere nel caso di attacco da parte di Atene, un aiuto (I 58). I capi spartani promisero che in caso di un attacco ateniese avrebbero invaso l’Attica. Potidea passò alla ribellione aperta, appoggiata dal re di Macedonia Perdicca II. Gli Ateniesi inviarono una spedizione al comando di Callia e altri quattro strateghi (I 61), mentre Potideati e Peloponnesiaci, al comando di Aristeo, posero l’accampamento nel pressi di Olinto131 . Callia mandò un contingente di alleati verso Olinto e una volta arrivato trovò i nemici già schierati. Ebbe inizio la battaglia (I 62), che si concluse con una rapida vittoria ateniese, nonostante la morte di Callia. Con l’arrivo dei rinforzi ateniesi comandati da Formione, Potidea venne assediata da entrambi i lati. Il generale spartano Aristeo, ormai consapevole dell’impossibilità della salvezza, fece la proposta di lasciare a Potidea solo 500 uomini e con il resto delle truppe ritornare in patria. La proposta, però, non ebbe successo (I 65). In questa situazione di tensione Sparta convocò un’ assemblea a cui parteciparono ambasciatori sia Corinzi che Ateniesi. Dopo aver ascoltato rispettivamente l’intervento degli ambasciatori corinzi e di quelli ateniesi, gli Spartani si ritirarono, come di consueto, per deliberare.

Nella cornice di questa assemblea interna, priva di sguardi estranei, viene drammatizzato il discorso di Archidamo (I 79), compendio di ideologia spartana. Il discorso di Archidamo è espressione della stessa ideologia del Carmide, come dimostrano alcuni forti punti di contatto. Già prima della presa della parola da parte di Archidamo viene sottolineato, in I 79, il suo essere ξυνετός καὶ σώφρων:

130

Sulle influenze ideologiche antipericlee e oligarchiche di Tucidide che traspaiono dalla sua narrazione della cause della guerra si veda Giuliani 1999 (con bibliografia, 34 n. 22).

131

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44 παρελθὼν δὲ Ἀρχίδαμος ὁ βασιλεὺς αὐτῶν, ἀνὴρ καὶ ξυνετὸς δοκῶν εἶναι καὶ σώφρων, ἔλεξε τοιάδε.

Già dalle prime battute compare l’invito alla sophrosyne, I 80 2:

εὕροιτε δ᾽ ἂν τόνδε περὶ οὗ νῦν βουλεύεσθε οὐκ ἂν ἐλάχιστον γενόμενον, εἰ σωφρόνως τις αὐτὸν ἐκλογίζοιτο.

Vengono compiute alcune valutazioni sulla superiorità oggettiva degli Ateniesi e dunque sul rischio di intraprendere con essi una guerra. La decisione di astenersi, dunque l’apragmosyne, diventa così sinonimo di sophrosyne. Tale decisione non deve però sconfinare nella totale assenza di attività che sfocerebbe nella prevaricazione (οὐ μὴν οὐδὲ ἀναισθήτως αὐτοὺς κελεύω τούς τε ξυμμάχους ἡμῶν ἐᾶν βλάπτειν καὶ ἐπιβουλεύοντας μὴ καταφωρᾶν I 82 1), ma piuttosto in un tipo di attività ponderata che consiste in ultima analisi nel dedicarsi alle proprie cose, καὶ τὰ αὑτῶν ἅμα ἐκποριζώμεθα (I 82 2). In questo contesto il dedicarsi alle proprie cose è da intendersi come il dedicarsi a preparare una guerra, con calma e lentezza, come viene esplicitamente affermato in I 83 3: πορισώμεθα οὖν πρῶτον αὐτήν (denari), (…) , οἵπερ δὲ καὶ τῶν ἀποβαινόντων τὸ πλέον ἐπ᾽ ἀμφότερα τῆς αἰτίας ἕξομεν, οὗτοι καὶ καθ᾽ ἡσυχίαν τι αὐτῶν προΐδωμεν. E subito dopo viene aggiunto: καὶ τὸ βραδὺ καὶ μέλλον, ὃ μέμφονται μάλιστα ἡμῶν, μὴ αἰσχύνεσθε (I 84 1), non bisogna avere vergogna della lentezza. Tale attitudine caratteristica del mondo spartano è sinonimo di sophrosyne (καὶ δύναται μάλιστα σωφροσύνη ἔμφρων τοῦτ᾽ εἶναι, I 84 2) ed è definita anche una forma di eupragia132 . In virtù di questa eupragia gli Spartani non si fanno possedere dalla hybris in caso di successo e d’altra parte non si lasciano abbattere nelle sventure133 . L’agire spartano è in altre parole un agire equilibrato, κοσμίως, come si evince dalla seguente argomentazione:

Tuc. I 84 3: πολεμικοί τε καὶ εὔβουλοι διὰ τὸ εὔκοσμον γιγνόμεθα, τὸ μὲν ὅτι αἰδὼς σωφροσύνης πλεῖστον μετέχει, αἰσχύνης δὲ εὐψυχία, εὔβουλοι δὲ ἀμαθέστερον τῶν νόμων τῆς ὑπεροψίας παιδευόμενοι καὶ ξὺν χαλεπότητι σωφρονέστερον ἢ ὥστε αὐτῶν ἀνηκουστεῖν, καὶ μὴ τὰ ἀχρεῖα ξυνετοὶ ἄγαν ὄντες τὰς τῶν πολεμίων παρασκευὰς 132 v. Ch. 173 d. 133 Tuc. I 84 2, (…) μόνοι γὰρ δι᾽ αὐτὸ εὐπραγίαις τε οὐκ ἐξυβρίζομεν καὶ ξυμφοραῖς ἧσσον ἑτέρων εἴκομεν.

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45 λόγῳ καλῶς μεμφόμενοι ἀνομοίως ἔργῳ ἐπεξιέναι, νομίζειν δὲ τάς τε διανοίας τῶν πέλας παραπλησίους εἶναι καὶ τὰς προσπιπτούσας τύχας οὐ λόγῳ διαιρετάς.

Questa qualità dell’azione deriva infatti dall’agire διὰ τὸ εὔκοσμον, da uno stile di vita e da un orientamento politico basati sull’ordine. Tale orientamento fa si che gli Spartani siano contemporaneamente πολεμικοί τε καὶ εὔβουλοι. L’essere combattivi è il risultato di aidos e

sophrosyne: l’essere forniti di un sentimento come l’aidos, ovvero senso dell’onore,

significa, all’interno dell’ideologia spartana, essere dotati di sophrosyne. Ugualmente la virtù bellica per eccellenza, il coraggio, l’εὐψυχία, partecipa a sua volta dell’αἰσχύνη. L’educazione ricevuta fa si che da un lato si rispettino le leggi e dall’altro non si diventi esperti nelle cose inutili, τὰ ἀχρεῖα. Un’educazione inutile è quella che insegna a parole a poter disprezzare la preparazione bellica del nemico pur non riuscendo nei fatti a saperlo eguagliare.

Tale educazione è stata sempre messa in pratica ottenendone utilità, per questo Archidamo invita a non disprezzarla:

I 85 (…) ταύτας οὖν ἃς οἱ πατέρες τε ἡμῖν παρέδοσαν μελέτας καὶ αὐτοὶ διὰ παντὸς ὠφελούμενοι ἔχομεν μὴ παρῶμεν μηδὲ ἐπειχθέντες ἐν βραχεῖ μορίῳ ἡμέρας περὶ πολλῶν σωμάτων καὶ χρημάτων καὶ πόλεων καὶ δόξης βουλεύσωμεν, ἀλλὰ καθ᾽ ἡσυχίαν134

.

Si noti come compaiano i termini chiave di βραχύς ed ἡσυχία come esortazione ad un agire ponderato, καθ᾽ ἡσυχίαν. Nel discorso di Stenelaida, che segue quello di Archidamo, viene marcato nuovamente il carattere assennato del popolo di Sparta (… ἢν σωφρονῶμεν I 86 2), in contrapposizione al popolo di Atene che essendo dalla parte del giusto per la vittoria sui Persiani è passata alla parte del torto, mentre gli Spartani sono riusciti a mantenere negli anni una coerenza nell’atteggiamento e nella condotta.

Tra il discorso di Archidamo nel I libro delle Storie di Tucidide e il Carmide di Platone c’è una corrispondenza di motivi molto forte che lascia trasparire come Platone, al momento di scrivere il Carmide, abbia attinto ad un repertorio ideologico di matrice aristocratica e filospartana che il discorso di Archidamo sintetizza in maniera magistrale. Soffermiamoci adesso su alcuni paralleli. Se di Archidamo in I 79 si dice ξυνετὸς δοκῶν εἶναι καὶ σώφρων, nel Carmide in 157 e 6 Crizia dice a Socrate: εὖ τοίνυν ἴσθι (…) ὅτι πάνυ πολὺ δοκεῖ

134

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46 σωφρονέστατος εἶναι τῶν νυνί. Termini come sophron o il nome astratto sophrosyne compaiono, inoltre, con non poca frequenza (I 79 1; 82 2; 84 2; 86 2). Ma ciò che è ancora più interessante notare è che il concetto di sophrosyne è legato in Archidamo ad altri concetti che poi si rintracciano puntualmente nel Carmide. Come si ricorderà135 , la I definizione di Carmide della sophrosyne consisteva in τὸ κοσμίως πάντα πράττειν καὶ ἡσυχῇ (Ch. 159 b). Tale atteggiamento consentirebbe agli Spartani di affrontare il nemico non in maniera avventata, ma appunto καθ᾽ ἡσυχίαν (I 83 3; 85)136. Ma il collegamenti si estendono ancora. Bisogna considerare infatti il peso di due avverbi presenti nel testo del

Carmide a breve distanza tra di loro: κοσμίως (159 b 3); βραδέως 159 c 6; c 9; e 4; e 7; e

10). Partiamo dal secondo. La frequenza con cui compare è motivata dal fatto che Socrate, nel confutare Carmide, fornisce una serie di esempi in cui l’agire appunto βραδέως risulta più svantaggioso rispetto all’agire ταχέως. Questo vale, seguendo la confutazione di Socrate, sia per lo scrivere, il leggere, ma anche per il lottare, il pugilato e tutte le attività del corpo. Similmente per le attività che riguardano l’apprendimento, l’eumathia, e l’intelligenza, l’anchinoia. L’agire hesyche è in altre parole un agire bradeos, come dimostra il fatto che i due concetti, della calma e della lentezza, vengono entrambi usati da Socrate per la confutazione, senza distinzione. In 160 b 5, infine, vengono proprio accostati:

οὐκοῦν πάντα, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ Χαρμίδη, ἡμῖν καὶ τὰ περὶ τὴν ψυχὴν καὶ τὰ περὶ τὸ σῶμα, τὰ τοῦ τάχους τε καὶ τῆς ὀξύτητος καλλίω φαίνεται ἢ τὰ τῆς βραδυτῆτός τε καὶ ἡσυχιότητος;

Nel discorso di Archidamo compaiono gli stessi concetti di hesychia e bradytes accostati. Come è stato già notato sopra137 Archidamo prima sottolinea la necessità di un agire καθ᾽ ἡσυχίαν e poi afferma: non bisogna avere vergogna (μὴ αἰσχύνεσθε) di quella che loro

definiscono con biasimo la nostra lentezza (τὸ βραδὺ) e la nostra esitazione. La stessa

esortazione compare alla fine del discorso: evitiamo di deliberare con tutta fretta (ἐν βραχεῖ μορίῳ ἡμέρας) in poche ore, intorno alla sorte di tanti uomini, di tanti beni, di tante città,

del nostro buon nome: riflettiamo con calma (καθ᾽ ἡσυχίαν)138 . Sembrerebbe qui esserci un gioco di riferimenti incrociati. In un primo livello il discorso del re spartano si riferisce alle

135

supra, § I.1.

136

Il motivo dell’hesychia è presente anche nel discorso dei Corinzi che precede quello di Archidamo. Gli Ateniesi venono accusati della loro incapacità a stare tranquilli (I 70 2).

137

supra,

138

(21)

47 accuse che gli Ateniesi fanno al suo popolo. Non bisogna vergognarsi, dunque, di ciò che è una virtù. Il testo del Carmide sembra dialogare con quello di Tucidide. Le accuse da cui il re spartano si difende coincidono con la confutazione socratica alla I definizione di Carmide. Confutazione che Socrate compie in un istante immaginato da Platone contemporaneo (432, dopo la battaglia di Potidea). La stessa definizione di Carmide si trova all’interno del testo tucidideo, in 84 2: καὶ δύναται μάλιστα σωφροσύνη ἔμφρων τοῦτ᾽ εἶναι. il pronome si riferisce proprio alla lentezza139 .

L’altro avverbio degno di interesse è κοσμίως. Significativo è infatti che compaia all’interno della I definizione di Carmide. Accostato all’agire kat’hesychia sta un’agire kosmios. Se rivolgiamo lo sguardo nuovamente al testo di Tucidide notiamo come a breve distanza, dopo l’esortazione alla calma e alla lentezza, si affermi: πολεμικοί τε καὶ εὔβουλοι διὰ τὸ εὔκοσμον γιγνόμεθα140

. È proprio l’eukosmia, l’agire ordinato, che Carmide ha in mente nella I definizione di sophroyne. La calma e l’ordine vengono messi su un piano parallelo dai due discorsi che stiamo osservando141 . Il passaggio dalla I alla II definizione di Carmide viene ugualmente illuminato dal discorso di Archidamo. Gli Spartani sono, infatti,

combattivi e saggi al tempo stesso: combattivi perché l’aidos partecipa della sophrosyne

(τὸ μὲν ὅτι αἰδὼς σωφροσύνης πλεῖστον μετέχει) e, d’altra parte, perché il coraggio

partecipa del timore del disonore (αἰσχύνης δὲ εὐψυχία); saggi perché educati in modo da essere piuttosto semplici per arrivare a disprezzare le leggi ed in modo piuttosto duro per arrivare a disobbedirle142. Incalzato da Socrate, come abbiamo visto nel I capitolo143 , Carmide giunge alla II definizione:

Ch.160 e 2 – 5, δοκεῖ τοίνυν μοι, ἔφη, αἰσχύνεσθαι ποιεῖν ἡ σωφροσύνη καὶ

αἰσχυντηλὸν τὸν ἄνθρωπον, καὶ εἶναι ὅπερ αἰδὼς ἡ σωφροσύνη.

La II definizione è articolata in due parti, strettamente connesse. Tra Tuc. I 84 e e Ch. 160 e 2 - 5 si può scorgere una struttura chiastica. Archidamo prima afferma che l’aidos partecipa

della soprosyne e poi che il coraggio partecipa della aischyne. Platone mette in bocca a

Carmide entrambi i motivi, ma li inverte: per prima compare il motivo del pudore, ovvero:

139 supra, 36. 140 supra, 36. 141

Per l’eukosmia-eukosmos si veda anche Sol 4.32; Tuc. 6.42.1; Plat. Prot. 325 d; Symp. 193 a; Eur. Bac. 693. Si veda inoltre Plat. Rp. 560d, in cui aidos, kosmos e sophrosyne sono messi in rapporto.

142

Per il testo greco v. supra, 36.

143

(22)

48 la sophrosyne consiste nell’agire modesto, non privo di pudore (αἰσχύνεσθαι ποιεῖν). Successivamente, l’identificazione sophrosyne - aidos.

Un’ulteriore spia di una vicinanza tra i die testi si trova in I 85. Si è notato come qui Archidamo ponga l’accento sull’utilità di un’azione ponderata. Il problema dell’ophelia della sophrosyne è una delle costanti del dialogo. Infatti dall’inizio alla fine si percepisce una tensione in tal senso: da un lato la consapevolezza indimostrata dell’utilità di una tale virtù, dall’altro l’esigenza di fornire una dimostrazione dell’utile che ne deriva144

. Ricordiamo, per inciso, che la questione del vantaggio è presente anche nell’Elena di Isocrate, nella sezione in cui l’agire politico del sophron Teseo diventa paradigma di un corretto agire145 . Il tema dell’ophelia rende valida l’ipotesi di un dialogo con l’Archidamo di Tucidide e con il corpus ideologico che le sue parole sottendono.

Infine il concetto di kosmos lo ritroviamo anche nell’orazione sulla dokimasia di Evandro di Lisia (XXVI 3). καὶ νυνὶ αὐτὸν ἀκούω ὑπὲρ μὲν τῶν αὐτοῦ κατηγορουμένων διὰ βραχέων ἀπολογήσεσθαι, ἐπισύροντα τὰ πράγματα καὶ διακλέπτοντα τῇ ἀπολογίᾳ τὴν κατηγορίαν, λέξειν δὲ ὡς πολλὰ εἰς τὴν πόλιν ἀνηλώκασι καὶ φιλοτίμως λελῃτουργήκασι καὶ νίκας πολλὰς καὶ καλὰς ἐν δημοκρατίᾳ νενικήκασι, καὶ ὅτι αὐτὸς κόσμιός ἐστι καὶ οὐχ ὁρᾶται ποιῶν ἃ ἕτεροι ἐνταῦθα τολμῶσιν, ἀλλὰ τὰ ἑαυτοῦ πράττειν ἀξιοῖ.

Il cittadino che accusa Evandro anticipa e confuta quelli che sarebbero stati argomenti della parte avversa, attuando in altre parole il procedimento della prokatalepsis146 . Questo

implica, come nota Medda, che l’accusa doveva essere già in possesso di quelli che sarebbero stati gli argomenti della parte avversa. Sappiamo che Evandro veniva accusato di aver parteggiato per gli oligarchi e di aver commessi dei crimini sotto i Trenta. La presenza degli stessi motivi nel Carmide non è solo un indizio della relazione tra i due testi di cui

144

Passi relativi all’ophelia nel Carmide : 163 c 3; 167 b 3; 171 d 1; d 6; 174 d 7; 174 d 8; e 2; 175 e 2. Anche nel prologo dell’Elogio di Elena Isocrate pone l’accento sull’utilità del suo insegnamento rispetto alla sofistica: (…) πολὺ κρεῖττόν ἐστι περὶ τῶν χρησίμων ἐπιεικῶς δοξάζειν ἢ περὶ τῶν ἀχρήστων ἀκριβῶς ἐπίστασθαι, καὶ μικρὸν προέχειν ἐν τοῖς μεγάλοις μᾶλλον ἢ πολὺ διαφέρειν ἐν τοῖς μικροῖς καὶ τοῖς μηδὲν πρὸς τὸν βίον ὠφελοῦσιν (X 5). Sul prologo dell’Elogio di Elena si veda Tulli M 2008.

145

Supra, § II.1.1.

146

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