• Non ci sono risultati.

Capitolo 8: il modello di Bernanke, Gertler e Gilchrist (1999)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 8: il modello di Bernanke, Gertler e Gilchrist (1999)"

Copied!
29
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 8: il modello di Bernanke, Gertler e

Gilchrist (1999)

Si presenta adesso l’ultimo modello che viene considerato in questo lavoro. Nel modello di Smets e Wouters (2003) abbiamo già considerato un elevato numero di frizioni ed un elevato numero di shock, non è nelle intenzioni di questo capitolo l’andare a dettagliare ulteriormente l’economia che viene considerata. In questa parte, invece, focalizzerò l’attenzione su un elemento che non è stato molto discusso nei capitoli precedenti, ma che invece ha riscosso un certo interesse negli anni della crisi: le frizioni nei mercati finanziari. Come si può osservare il modello di Bernanke, Gertler e Gilchrist (1999) è antecedente rispetto a quello di Smets e Wouters (2003); esso però è stato ripreso da certi studiosi dopo la crisi del 2008, nello specifico essi si sono domandati se l’inclusione delle frizioni finanziarie all’interno del modello DSGE potesse in qualche modo spiegare quanto avvenuto nel 2008 (per esempio in Merola 2015). Non si può negare che i modelli DSGE, dopo una fase di riconosciuto successo fino agli anni 2000, siano stati fortemente attaccati in quanto non in grado di prevedere o comunque spiegare quanto avvenuto durante la crisi. Proprio le frizioni nei mercati finanziari hanno rappresentato uno dei possibili modi per interpretare la crisi.

8.1 Introduzione

Nei precedenti capitoli abbiamo potuto osservare certe differenze che si manifestano tra il modello real business cycle canonico ed i modelli DSGE Keynesiani; ciò nonostante vi è un elemento che è comune ad entrambe le strutture: la presenza di frizioni nei mercati finanziari e nei mercati del credito non si ripercuote nell’economia. In effetti in entrambi i casi stiamo implicitamente assumendo le condizioni fondamentali del teorema di Modigliani e Miller (1958), ovvero che la struttura finanziaria è indeterminata e irrilevante all’interno dei risultati economici. Ovviamente queste assunzioni possono non essere prese alla lettera, ma essere solamente considerate come una semplificazione della realtà non particolarmente nociva quando le frizioni nei mercati finanziari e nel credito siano sufficientemente piccole. D’altra parte vi è in

(2)

letteratura una visione alternativa a questa che trova le sue origini già in Keynes e Fisher e che fa ricoprire un ruolo centrale alle condizioni del mercato del credito nei movimenti delle variabili macroeconomiche. In altre parole situazioni come l’aumento delle insolvenze e delle imprese che vanno in bancarotta, l’inasprimento delle posizioni debitorie, il collasso dei prezzi delle attività reali ed i fallimenti delle banche vengono considerate un fattore prioritario nel deprimere l’attività economica. Nel corso degli anni ‘90 il sistema bancario sotto stress e le condizioni difficili nel mercato del credito sono state imputate come la principale causa delle contrazioni economiche in America Latina, Giappone ed altri paesi dell’Asia Orientale. È necessario sottolineare che non è necessariamente detto che le difficoltà nel mercato del credito siano le principali cause di tutte le crisi, ma è comunque bene tenere in considerazione questi elementi ed aggiungerli al quadro delineato nei precedenti capitoli.

Oltre a voler determinare il ruolo dei mercati finanziari nelle crisi recenti, ci sono altri due motivi che ci spingono ad inserire questi elementi nel nostro modello; innanzi tutto le frizioni nei mercati finanziari ci permettono di migliorare la spiegazione delle fluttuazioni del ciclo economico, poiché l’inclusione di esse nel modello tende ad amplificare gli effetti degli shocks che avvengono nel nostro modello. Inoltre le frizioni nei mercati del credito possono giocare un ruolo importante nella domanda e nell’offerta aggregata.

Passiamo adesso a descrivere le modalità attraverso le quali è possibile inserire le frizioni finanziarie all’interno del nostro contesto macroeconomico. Le asimmetrie informative hanno fatto il loro ingresso nelle scienze economiche a seguito degli studi portati avanti da Akerlof (1970), successivamente sono state applicate nell’ambito della finanza aziendale e da qua si è resa possibile l’analisi delle imperfezioni nei mercati finanziari. Nel caso specifico ci si rende conto che la mancanza di perfetta informazione gioca un ruolo fondamentale nella relazione tra colui che prende il denaro in prestito e l’istituzione che effettua il prestito. Per far fronte a questa situazione, dalla quale emerge il problema nel rapporto principale-agente, la banca deve sostenere dei costi legati alla raccolta di informazioni sulla controparte; di conseguenza essa deve creare un contratto che minimizzi i costi legati alla raccolta di informazioni in modo da mitigare il problema nella relazione principale-agente.

(3)

Quando si manifestano delle crisi di natura finanziaria aumentano i costi nella concessione di crediti verso imprese e famiglie e si riduce l’efficienza del processo che associa coloro che sono disposti a prestare denaro con i possibili debitori. In altre parole, nel caso i cui i mercati del credito fossero caratterizzati da situazioni di asimmetria informativa o da problemi di agenzia, non sono più accettabili quelle che abbiamo visto essere le condizioni del teorema Modigliani-Miller.

L’aspetto che caratterizza maggiormente questo modello è l’acceleratore finanziario descritto in Bernanke, Gertler e Gilchrist (1996). Questo meccanismo può essere inserito all’interno di un certo ambiente economico ed causa la propagazione e l’amplificazione degli shocks a livello macroeconomico. L’acceleratore finanziario si basa essenzialmente su due elementi, il premio finanziario per il rischio (definito come la differenza dei fondi raccolti esternamente ed i fondi disponibili internamente per l’impresa) ed il patrimonio netto del soggetto che prende i fondi a prestito (dove il patrimonio netto rappresenta la differenza tra le attività prontamente liquidabili e le obbligazioni). Quando sono presenti asimmetrie informative nei mercati finanziari allora si ha che il premio finanziario per il rischio dipende inversamente dal patrimonio netto del soggetto che prende i fondi in prestito. Tale relazione inversa è dovuta al fatto che quando il mutuatario non ha fondi per contribuire a finanziare il proprio progetto, la divergenza tra gli interessi tra questi ed il fornitore di fondi esterni aumenta, e cresce anche il costo collegato al problema di agenzia. Per quanto riguarda il soggetto che prende in prestito i fondi il patrimonio netto è pro-ciclico, mentre il premio finanziario per il rischio è controciclico.

L’acceleratore finanziario comunque non è l’unica caratteristica importante di questo modello. Altri elementi fondamentali sono la vischiosità nei prezzi e la presenza di una Banca Centrale che serve per capire quelli che possono essere gli effetti della politica monetaria all’interno di un’economia con frizioni nei mercati finanziari. Sarà inoltre presente un lag temporale nelle decisioni di investimento (ciò significa che l’investimento deciso oggi diventerà capitale utilizzabile solo nel periodo successivo). Infine si considera che ci sia eterogeneità tra le imprese.

8.2 Le assunzioni del modello

Le caratteristiche fondamentali di questo modello DSGE Neo-Keynesiano sono, la presenza di asimmetrie informative, la presenza di un organo che prende decisioni in

(4)

merito alla politica monetaria, un ambiente con concorrenza monopolistica e le rigidità nei prezzi. Una difficoltà che si incontra in questo modello è data dall’impossibilità di utilizzare il concetto di agente rappresentativo: abbiamo bisogno che ci sia eterogeneità tra gli agenti affinché tra essi avvengano le attività di dare in prestito e di prendere a prestito. Inoltre è necessario definire quelli che sono i contratti finanziari.

La struttura base del modello prevede l’esistenza di 3 tipologie di agenti: le famiglie, gli imprenditori ed i venditori al dettaglio. Le famiglie e gli imprenditori (come detto) devono essere tra loro distinti per motivare l’attività di credito e di debito. I dettaglianti sono necessari per l’inserimento delle rigidità nei prezzi. Oltre a questi agenti è presente un’autorità governativa che conduce sia la politica monetaria che la politica fiscale.

Vediamo brevemente le caratteristiche dei soggetti appena elencati. Le famiglie hanno una vita indefinita e prendono decisioni con riguardo ai consumi, al risparmio ed al lavoro. Esse detengono un certo ammontare di ricchezza sotto forma di scorte liquide, ed un’altra parte sotto forma di attività con un certo interesse.

Gli imprenditori ricoprono una funzione fondamentale all’interno di un modello con acceleratore finanziario. Questi individui sono neutrali nei confronti del rischio e non hanno una vita infinita ma, in ciascun periodo, si assume che ogni imprenditore abbia una certa probabilità di sopravvivere fino al periodo successivo. L’assunzione di vita finita per gli imprenditori viene effettuata per cogliere la nascita e la morte delle imprese all’interno dell’economia. Il fatto di avere una probabilità di sopravvivenza data e costante facilita, inoltre, il processo di aggregazione. Si assume anche che il tasso di nascita degli imprenditori sia tale da far sì che il numero di essi rimanga costante nel tempo.

In ciascun periodo t gli imprenditori acquistano capitale fisico. Il capitale fisico acquistato in questo periodo è utilizzato in combinazione col lavoro per produrre una certa quantità di output al periodo secondo una funzione di tecnologia con rendimenti di scala costanti. L’imprenditore può ricorrere al finanziamento esterno oppure alle risorse interne all’azienda (ciò che avevamo chiamato patrimonio netto) per l’acquisto di nuovo capitale. Il capitale di proprietà dell’imprenditore deriva da 2 fonti: i profitti accumulati attraverso la precedente attività di investimento di capitale,

(5)

ed il reddito dall’offerta del lavoro (si assume quindi che l’imprenditore si presenti sul mercato del lavoro dal lato dell’offerta). Il patrimonio netto dell’imprenditore gioca un ruolo molto importante nel nostro modello perché è inevitabilmente collegato al costo del finanziamento esterno. Un livello più elevato del patrimonio netto permette un maggior ricorso all’autofinanziamento riducendo i problemi di agenzia associati con il finanziamento esterno, si abbassa così il premio finanziario per il rischio fronteggiato dall’imprenditore.

Per motivare in maniera endogena il premio finanziario per il rischio ci immaginiamo l’esistenza di un semplice problema di agenzia che scaturisce dalla situazione di conflitto di interesse tra il soggetto che offre il denaro in prestito e la rispettiva controparte. Il contratto è costruito in modo da minimizzare i costi di agenzia.

L’economia che noi vogliamo descrivere è caratterizzata da una situazione di concorrenza imperfetta; assumere che tale situazione si realizzi a livello di imprenditori complicherebbe l’analisi. Per eliminare questo problema si effettua la distinzione tra imprenditori e venditori al dettaglio; gli imprenditori svolgono la loro attività in un mercato perfettamente concorrenziale e vendono i beni da loro prodotti ai dettaglianti, è su questo settore di mercato che interviene la concorrenza monopolistica. L’attività svolta dai dettaglianti è solamente quella di acquistare i prodotti finiti degli imprenditori, effettuare su di essi un processo di diversificazione senza che sia sostenuto alcun costo, e rivenderli sul mercato alle famiglie. Il potere di mercato dei venditori al dettaglio è la fonte delle rigidità nominali all’interno della nostra economia. Sono così state descritte le caratteristiche generali del modello. Adesso si procede a stimare a livello microeconomico la relazione fondamentale all’interno della struttura appena descritta: il fatto che la domanda di capitale di un’impresa dipenda dal patrimonio netto del soggetto che richiede il prestito di fondi. Successivamente si andrà ad inserire questa relazione all’interno di un modello DSGE Neo-Keynesiano. L’obiettivo è quello di dimostrare come delle fluttuazioni nel patrimonio netto del soggetto che richiede il prestito dei fondi possa amplificare e propagare gli shock esogeni del sistema.

8.3 La domanda di capitale ed il ruolo del patrimonio netto

In questa sezione si studiano le decisioni sull’investimento del capitale prendendo come dati i prezzi dei beni ed il ritorno del capitale.

(6)

Al tempo t l’imprenditore che gestisce l’impresa j acquista capitale per utilizzarlo al tempo ; la quantità di capitale acquistato è denominata dove il pedice indica il periodo al quale il capitale sarà effettivamente utilizzato, mentre l’apice denota l’impresa utilizzatrice. Il prezzo pagato per un’unità di capitale al tempo t è pari a .

Il ritorno del capitale è sensibile sia al rischio aggregato sia al rischio idiosincratico. Il ritorno del capitale ex-post per l’impresa j è pari a , dove è il disturbo idiosincratico per l’impresa j, mentre rappresenta il ritorno del capitale a livello aggregato.

Al termine del periodo t l’imprenditore j ha a disposizione un certo livello di patrimonio netto pari a . Per finanziare la differenza tra le spese sostenute per l’acquisto di capitale ed il proprio patrimonio netto l’imprenditore deve prendere in prestito un certo ammontare pari a , dato da:

(8.1)

L’imprenditore domanda denaro ad un intermediario finanziario che, a sua volta, ottiene i fondi dalle famiglie. L’intermediario finanziario ha un costo opportunità tra il tempo ed il tempo pari al tasso free-risk per l’economia considerata (in altre parole si assume che l’intermediario detenga un portafoglio perfettamente diversificato).

Si inserisce a questo punto il problema della verifica da parte dell’intermediario sul modello di quanto previsto da Townsend (1979): colui che dà in prestito i fondi deve pagare un certo costo (costo di auditing) per verificare quanto è stato il realizzo da parte del debitore. Seguendo questa tipologia di approccio il creditore deve pagare un certo ammontare di denaro ogni volta che vuole verificare il ritorno del capitale effettivamente realizzato da parte della controparte. Il costo di auditing può anche essere visto come un costo della bancarotta (spese di auditing, spese legali, perdite legate alla liquidazione di attività…). Il costo per monitorare la performance realizzata da parte del debitore è una porzione del profitto dell’impresa, quindi pari a .

(7)

8.3.1 termini del contratto in assenza di rischio aggregato

Per descrivere il contratto ottimale è utile considerare il caso in cui il ritorno aggregato del capitale è conosciuto in anticipo; in questo caso l’unica fonte di incertezza per i progetti dell’azienda è rappresentata dal rischio idiosincratico.

Osserviamo quindi come è definito il contratto ottimale in questo caso; l’imprenditore sceglie il livello di capitale il cui corrispettivo valore è pari a , ed il livello di indebitamento necessario pari a . Dato l’ammontare di queste due grandezze e considerato il livello di rischio aggregato, il contratto ottimale è caratterizzato da un tasso di interesse (nella situazione di non-default) pari a , e da un valore soglia del rischio idiosincratico pari a ̅ tale che per livelli del rischio idiosincratico uguali o maggiori di ̅ l’imprenditore è in grado di ripagare il prestito al tasso stabilito dal contratto . Si definisce la seguente equazione:

̅ (8.2)

Nel casi in cui ̅ l’imprenditore riesce a pagare l’ammontare pattuito e può tenersi la differenza pari a .

Invece se ̅ l’imprenditore non può ripagare quanto previsto dal contratto e deve dichiarare bancarotta. In questo caso l’intermediario paga il costo di audit ed osserva quello che è il guadagno effettivamente realizzato dall’imprenditore; l’intermediario riceverà un ammontare pari a , mentre l’imprenditore non riceve niente. Siccome il rischio collegato al prestito è perfettamente diversificabile il costo opportunità dell’intermediario è il tasso free-risk . Allora il contratto di debito deve soddisfare:

[ ( ̅ )] ∫̅ (8.3) Dove il lato sinistro dell’equazione rappresenta il ritorno atteso del prestito effettuato nei confronti dell’imprenditore, mentre il lato destro rappresenta il costo opportunità fronteggiato dall’intermediario. ̅ è la probabilità di default. Dalla combinazione della (8.1), (8.2) ed (8.3) si ottiene la nuova espressione:

(8)

[ ( ̅ )] ̅ ∫ ̅

( ) (8.4) In questa maniera si può esprimere il ritorno atteso dell’intermediario semplicemente come una funzione di ̅ . La variazione di ̅ ha due effetti opposti sul ritorno del capitale; un aumento di questo fattore rende più elevato il payoff in caso di non default, dall’altra parte aumenta anche la probabilità di fallimento (e quindi si abbassa anche il payoff atteso). Noi assumiamo che il ritorno atteso raggiunga un valore massimo ed per un certo ammontare di ̅ : per valori superiori a questo livello, il ritorno atteso si abbassa a causa dell’aumento della probabilità di fallimento, per valori inferiori, invece, si ha un ritorno atteso inferiore. Se il costo opportunità dell’intermediario fosse talmente elevato che non esiste un valore di ̅ che genera il ritorno atteso necessario, allora il potenziale debitore si troverebbe razionato dal mercato del credito. Quando è presente incertezza a livello aggregato il valore ̅ dipende dalla realizzazione ex-post di .

8.3.2 I termini del contratto in presenza d rischio aggregato

L’esistenza di incertezza lega il tasso cui è stipulato il contratto alle condizioni macroeconomiche. Nello specifico questo tasso si aggiusta in maniera controciclica. Ciò significa che una realizzazione di più bassa delle aspettative aumenta il tasso in modo da compensare l’aumento della probabilità di default legato al ritorno del capitale troppo basso. Ciò implica di conseguenza un aumento del valore soglia ̅ . Nel nostro modello, quindi, le probabilità di default ed il premio ̅ aumentano quando il ritorno del capitale aggregato è più basso del livello atteso; più precisamente i valori di ̅ e di sono determinati dalla realizzazione ex-post di

e dalle scelte ex-ante di e .

8.3.3 Il patrimonio netto e la scelta ottima di capitale

Osserviamo adesso il problema dell’imprenditore relativo alla domanda di capitale. Il ritorno atteso per l’imprenditore è espresso da:

(9)

Dove le aspettative riguardano la variabile e ̅ dipende inevitabilmente dalla realizzazione di questa variabile. Combinando questa espressione con l’equazione (8.4) si può semplificare il problema di massimizzazione ottenendo:

,* ∫̅ +- { } (8.6) Dove ⁄ { }, ovvero è il rapporto tra il ritorno del capitale effettivamente osservato ed il ritorno atteso. Il problema sulla scelta dell’investimento diventa quello di decidere un ammontare e una scheda per ̅ (che è una funzione del livello realizzato ) tale da massimizzare l’equazione (8.6) sottoposta al vincolo di bilancio (8.4).

Si definisce { } che rappresenta il ritorno del capitale atteso opportunamente scontato. Perché gli imprenditori acquistino capitale in una situazione di equilibrio competitivo deve valere che ; quando si realizza questa condizione si ottiene la seguente condizione del primo ordine:

(8.7) L’equazione (8.7) descrive il vincolo cruciale tra le spese dell’impresa e le sue condizioni finanziarie misurate da e dal patrimonio netto dell’imprenditore . Dato il valore del capitale che soddisfa l’equazione (8.7) si può ricavare in maniera unica ̅ , definito dall’equazione (8.4). L’equazione (8.7) rappresenta la relazione fondamentale del modello, essa mostra che la spesa per il capitale di ciascuna impresa è proporzionale al patrimonio netto dell’imprenditore, dove tale proporzionalità è colta da . A parità di altri fattori un aumento in riduce le probabilità di fallimento; di conseguenza un imprenditore ha la possibilità di prendere in prestito una maggiore quantità di denaro e di aumentare le dimensioni dell’impresa. L‘aumento della dimensione dell’impresa non è indefinito perché il rapporto tra i fondi presi a prestito e il patrimonio netto fa crescere il costo in caso di default.

Una maniera equivalente per esprimere l’equazione (8.7) è:

{ } (

(10)

L’equazione (8.8) implica che per un imprenditore che non si autofinanzi completamente il ritorno del capitale sarà eguagliato al costo marginale del finanziamento esterno. Infatti fin tanto che lo stock di capitale può essere acquistato attraverso il patrimonio netto, l’impresa fronteggia un costo pari al tasso risk-free. Quando per l’acquisto di capitale inizia ad essere necessario il ricorso al finanziamento esterno, allora il costo per i fondi aumenta riflettendo l’incremento nel costo atteso di default associato con un più alto livello dell’indebitamento. Dall’equazione (8.8) si può cogliere inoltre che il rapporto s (il quale può anche essere interpretato come il premio finanziario esterno) dipende inversamente dalla quota del capitale investito nell’impresa finanziato attraverso il patrimonio netto.

Prima di procedere alla prossima sezione è necessario effettuare un’osservazione. In generale non è immediato effettuare un’operazione di aggregazione quando la domanda di capitale di un’impresa dipende dalla sua posizione finanziaria; si dovrebbe infatti avere che la domanda di capitale dipende dalla distribuzione del benessere tra le varie imprese. Nel nostro caso l’assunzione di rendimenti di scala costanti porta ad una relazione proporzionale tra il patrimonio netto e la domanda di capitale da parte delle imprese; inoltre il fattore di proporzionalità è indipendente dalle caratteristiche specifiche dell’impresa. In questa maniera diventa più agevole effettuare un’aggregazione dell’equazione (8.7) e derivare la relazione tra la domanda aggregata di capitale e lo stock di patrimonio netto degli imprenditori.

8.4 L’equilibrio del modello

In questa sezione si procede ad integrare il problema relativo alla definizione del contratto in un modello DSGE. Questo passaggio ci permette di rendere endogene certe variabili come il tasso free-risk ed il ritorno del capitale che erano date nelle precedenti sezioni.

Il primo step sarà quello di aggiungere il settore degli imprenditori dal quale possiamo ottenere una curva di domanda del lavoro e del capitale dati i salari reali ed il tasso di interesse free-risk. La domanda del capitale è una componente molto importante del modello perché riflette l’impatto delle frizioni nei mercati finanziari. Nel primo step sarà anche identificato il patrimonio netto degli imprenditori e come questo evolve nel tempo.

(11)

Nel secondo step saranno poi aggiunte le famiglie ed i venditori al dettaglio (necessari per l’inserimento della vischiosità nei prezzi), infine il governo, responsabile per la politica monetaria.

8.4.1 Il settore degli imprenditori

Gli imprenditori acquistano capitale in ciascun periodo per utilizzarlo nel periodo successivo. Il capitale viene utilizzato in combinazione con il lavoro per la produzione di output. La funzione di produzione è descritta dalla seguente espressione ed è caratterizzata da rendimenti di scala costanti:

(8.9)

Si introduce anche la componente che caratterizza le spese per investimenti; lo stock di capitale aumenta secondo la seguente equazione:

( ) (8.10)

dove è il tasso di deprezzamento del capitale. Esiste un costo di aggiustamento del capitale che è colto da ⁄ , ciò significa che l’investimento di un ammontare genera una quantità di output aggiuntivo pari a ⁄ . Tale funzione è importante per permettere la variabilità del prezzo del capitale. In equilibrio, data la funzione del costo di aggiustamento, il prezzo per un’unità di capitale è dato da:

* ( )+ (8.11)

La funzione del costo di aggiustamento è normalizzata in modo che il prezzo del capitale sia 1 nello stato stazionario.

Si assume poi che tutti gli imprenditori vendano il loro output ai dettaglianti. Si definisce come il mark-up dei beni venduti al dettaglio rispetto alla totalità dei beni, quindi, dalla funzione di produzione si può ottenere il costo per la detenzione di un’unità di capitale al tempo :

(12)

Si ricava così quello che è il ritorno atteso per la detenzione di un’unità di capitale dal tempo al tempo :

{ } 2

3 (8.12)

L’equazione (8.12) rappresenta la domanda per il nuovo capitale.

La curva di offerta degli investimenti si ottiene dall’aggregazione dell’equazione (8.7):

{ }

(8.13)

S ricorda che rappresenta il rapporto tra il costo del finanziamento esterno rispetto al finanziamento interno, esso decresce quando aumenta il patrimonio netto fin tanto che .

La domanda di capitale dipende dall’evoluzione del patrimonio netto dell’imprenditore; esso dipende dai profitti dell’impresa al netto degli interessi pagati ai prestatori di fondi. Si assume che l’imprenditore, oltre a gestire l’azienda, abbia un reddito che deriva dall’offerta del proprio lavoro sul mercato. L’ammontare totale del fattore produttivo lavoro è ed è composto dal lavoro offerto dalle famiglie e dal lavoro offerto dagli imprenditori :

(8.14)

Gli imprenditori offrono il proprio lavoro in maniera inelastica e si assume che la quota di reddito che deriva dal lavoro degli imprenditori sia molto piccola.

Definiamo come la ricchezza dell’imprenditore, come il salario dell’imprenditore e ̅ come il rischio idiosincratico al periodo . Allora il patrimonio netto aggregato degli imprenditori è dato da:

(8.15) dove, ∫ ̅ (8.16)

(13)

rappresenta il capitale degli imprenditori al tempo che non saranno falliti al tempo . La ricchezza dell’imprenditore è data dai suoi profitti dal tempo al tempo meno il pagamento di quanto preso in prestito. Il rapporto tra il costo di default e quanto preso in prestito è dato da:

∫ ̅

Questa grandezza riflette premio per il finanziamento esterno. Chiaramente gran parte del patrimonio netto è data dalla ricchezza dell’imprenditore.

Passiamo adesso a definire le curve di domanda del lavoro per le famiglie e gli imprenditori, esse sono determinate attraverso l’uguaglianza del prodotto marginale con il salario per entrambi i casi:

(8.17)

(8.18)

Dove è il salario reale per le famiglie e è il salario reale degli imprenditori. A questo punto andando a combinare le equazioni (8.9), (8.15), (8.16), (8.18) ed imponendo la condizione che il lavoro deli imprenditori sia fissato pari all’unità si ottiene l’equazione: 0 . ∫ ̅ / 1 (8.19)

L’equazione (8.19) insieme alla (8.13) formano le due equazioni fondamentali per l’inserimento dell’acceleratore finanziario all’interno del nostro modello. La (8.13) definisce come i movimenti nel patrimonio netto influenzino il costo del capitale. La (8.19) caratterizza la variazione endogena del patrimonio netto.

Arrivati a questo punto abbiamo inserito la definizione dell’output totale, l’investimento, l’evoluzione del capitale e l’evoluzione del patrimonio netto quando sono dati il tasso di interesse free-risk, il salario delle famiglie ed il prezzo relativo dei

(14)

beni . Per definire queste grandezze è necessario inserire le famiglie, i venditori al dettaglio ed il governo.

8.4.2 Il modello linearizzato completo

In questa parte la maggior parte dei risultati sono standard e non vengono definiti nei dettagli. Abbiamo già detto che accanto agli imprenditori operano altre due tipologie di soggetti, le famiglie ed i venditori al dettaglio. Le famiglie sono individui con una vita indefinita che hanno dei consumi, dei risparmi, dedicano un certo tempo all’attività lavorativa e detengono delle attività monetarie e non monetarie. Assumiamo poi che l’utilità delle famiglie sia separabile additivamente nei consumi, nella detenzione di moneta e nel tempo libero.

A questo punto si aggiunge la presenza di concorrenza monopolistica per motivare la vischiosità nei prezzi ed il costo di aggiustamento nominale dei prezzi. Ricordiamo che gli imprenditori che acquistano capitale e producono output svolgono la loro attività in una regime di concorrenza perfetta (in questa maniera risulta agevolata l’operazione di aggregazione). Il regime di concorrenza monopolistica si ha, invece, al livello dei venditori al dettaglio. Nello specifico si assume che esista una serie di rivenditori al dettaglio che acquistano l’output prodotto da parte degli imprenditori che operano in regime di concorrenza perfetta e, successivamente, effettuano su di esso delle modifiche senza sostenere alcun costo (per esempio potrebbero applicare sui beni un certo marchio). A questo punto il prodotto che viene venduto dai dettaglianti è diversificato e, di conseguenza, essi hanno un certo potere di mercato.

Per inserire l’inerzia nel prezzo dei beni si assume che i venditori al dettaglio siano liberi di modificare il prezzo solamente in un momento preciso, e che questa azione venga effettuata con una probabilità . Questo meccanismo segue Calvo (1993) e fornisce un metodo semplice per incorporare lo sfasamento nell’impostazione dei prezzi.

A questo punto si presentano le equazioni del modello suddivise per domanda aggregata, offerta aggregata, evoluzione delle variabili, politica monetaria e shocks. Nelle seguenti equazioni i pedici denoteranno le deviazioni dallo stato stazionario, mentre le lettere maiuscole i valori dello stato stazionario. Inoltre rappresenta

(15)

generalmente dei termini di importanza secondaria all’interno dell’equazione della variabile , mentre la deviazione standard sarà data da . Infine sono i consumi del governo, il tasso di inflazione e { } il tasso di interesse nominale. Domanda aggregata (8.20) { } (8.21) (8.22) { } (8.23) (8.24) (8.25) Offerta aggregata (8.26) (8.27) { } (8.28)

Evoluzione delle variabili

(8.29)

( ) (8.30)

Politica monetaria e shocks

(8.31)

(8.32)

(16)

dove , , ed sono dei parametri. Più nello specifico è un parametro ricollegabile al rapporto tra il ritorno del capitale aggregato ed il tasso free risk, è un parametro riconducibile alla funzione del costo di aggiustamento, è invece espressione dell’inerzia nei prezzi (deriva quindi dalla definizione del cambiamento dei prezzi secondo il meccanismo proposto Calvo) ed infine è un parametro che si ottiene dalla sostituzione delle equazioni (8.9) ed (8.11) nella (8.12).

Diamo adesso una spiegazione più puntuale dell’intero set di equazioni. L’equazione (8.20) è la versione linearizzata del vincolo di bilancio. Le determinanti della spesa che avviene a livello aggregato sono i consumi delle famiglie gli investimenti e la spesa pubblica . Le variazioni nel consumo degli imprenditori non hanno una grande importanza ed il parametro , che comprende quelle risorse collegate al costo per il monitoraggio, ha un valore trascurabile sotto un’adeguata parametrizzazione. L’equazione (8.21) descrive i consumi delle famiglie. Da questa equazione si può osservare che nel nostro modello le frizioni nei mercati finanziari non impattano sulle scelte dei consumatori. Nell’equazione (8.22) si definisce che il consumo dell’imprenditore, , varia in maniera proporzionale con il suo patrimonio netto. Le equazioni (8.23), (8.24) ed (8.25) definiscono la domanda di investimenti. Esse sono le versioni linearizzate delle equazioni (8.13), (8.12) ed (8.11). Nel dettaglio la (8.23) definisce il ruolo che gioca il patrimonio netto sull’investimento; l’investimento è spinto fino al punto in cui il ritorno atteso del capitale { } è uguale al costo opportunità dei fondi . Il fatto che ci sia imperfezione nei mercati finanziari comporta che il costo per la raccolta dei fondi esterni dipende dal rapporto tra il patrimonio netto dell’imprenditore ed il valore del capitale, . Un aumento in questo rapporto riduce il costo del finanziamento esterno e comporta un innalzamento del livello degli investimenti. Quindi l’equazione (8.23) è importante per inserire il meccanismo dell’acceleratore finanziario all’interno del modello; dall’altra parte le equazioni (8.24) ed (8.25) sono delle espressioni convenzionali legate alla produttività marginale del capitale ed al legame tra il prezzo delle attività e gli investimenti.

Passando all’offerta aggregata l’equazione (8.26) è la versione linearizzata della funzione di produzione. L’espressione (8.27) definisce l’equilibrio nel mercato del lavoro, il lato sinistro riflette la produttività marginale del lavoro che in equilibrio

(17)

varia proporzionalmente al mark up che c’è tra i beni venduti al dettaglio e quelli prodotti dagli imprenditori. L’equazione (8.28) caratterizza il prezzo di aggiustamento includendo la formulazione di Calvo. Questa equazione ricorda la curva di Philips una volta che si sia osservato che il mark-up varia in maniera inversa rispetto allo stato della domanda. Assumendo le rigidità nei prezzi nominali le imprese al dettaglio che mantengono fissi i loro prezzi in un certo periodo reagiscono ad un incremento della domanda con un aumento delle vendite. Per fronteggiare questo aumento delle vendite i dettaglianti devono aumentare l’acquisto di beni finiti prodotti dagli imprenditori, ciò aumenta il prezzo dei beni finali e riduce il mark-up esistente. È per questo motivo che fornisce una misura della domanda quando i prezzi sono vischiosi. Le equazioni (8.29) ed (8.30) descrivono l’evoluzione del capitale e del patrimonio netto; l’equazione (8.29) è una relazione standard. L’equazione (8.30) descrive l’evoluzione del patrimonio netto, esso dipende in primo luogo dal rendimento ottenuto dagli imprenditori rispetto alla quota di partecipazione. È bene sottolineare che un aumento di un punto percentuale nel ritorno del capitale ha un effetto molto importante sull’evoluzione del patrimonio netto; infatti questo aumento percentuale in fa sì che il patrimonio netto, , aumenti tenendo in considerazione il fattore ⁄ . Le equazioni (8.23) ed (8.30) sono quelle fondamentali per l’introduzione del meccanismo dell’acceleratore finanziario all’interno del nostro modello. Tutte le altre equazioni sono standard.

L’equazione (8.31) descrive la regola seguita dall’organo di politica monetaria; il tasso di interesse a breve termine (lo strumento attraverso il quale si svolge la politica monetaria) reagisce a cambiamenti nell’inflazione passata e nel tasso di interesse passato. Si sottolinea come il meccanismo dell’acceleratore finanziario giochi un ruolo via via più basso a mano a mano che si riconosce alla politica monetaria una maggiore capacità di stabilizzare l’output.

Infine le ultime due equazioni rappresentano i disturbi nella spesa pubblica e nello shock tecnologico che obbediscono entrambi ad un processo di autoregressione del primo ordine.

(18)

8.4.3 Due estensioni per il modello

Le due considerazioni aggiuntive che andrò a fare riguardano il ritardo nell’effettuare l’investimento e la considerazione che imprese diverse abbiano diverse possibilità di accedere al credito.

L’introduzione del ritardo nell’effettuare l’investimento è necessaria per avere una risposta dell’output a forma di gobba. Se per esempio si considera uno shock monetario, sono necessari 2 trimestri prima che il cambiamento nel tasso di interesse generi degli effetti apprezzabili nell’output. Il picco nella deviazione dell’output arriva ben dopo il picco nella deviazione del tasso di interesse. Per replicare una situazione di questo tipo noi assumiamo che le spese per l’investimento siano determinate in anticipo.

La modifica che subisce il modello è abbastanza lineare; se la spesa per l’investimento è scelta con periodi di anticipo, allora la relazione che lega il prezzo del capitale all’investimento, la (8.11) è modificata in:

2 [ (

)]

3 (8.34)

Adesso che è necessario un certo tempo per la pianificazione degli investimenti, uno shock nell’economia ha un effetto immediato sul prezzo delle attività, ma un effetto ritardato sull’investimento e sull’output. La versione linearizzata della (8.34) va a sostituire la (8.25), e diventa:

{ ( )} (8.35) Il secondo elemento che viene considerato è l’eterogeneità tra le imprese. Nel modello base si assume che le imprese siano tra di loro identiche con la sola eccezione del livello del patrimonio netto. Nella realtà, ovviamente, ci sono molte differenze tra le varie imprese, in particolare per quanto riguarda l’accesso al credito. Per osservare come l’eterogeneità si ripercuote sui risultati si considera l’esistenza di due tipologie di imprese che hanno diversa capacità di accedere al credito (per esempio per motivi collegati all’informazione).

(19)

Per poter considerare due imprese è necessario che esistano due tipologie di beni intermedi che poi vengono tra loro aggregati per la formazione di un unico bene finale. La produzione del bene intermedio è data da:

(8.36)

La produzione totale di output è data da:

[ ] ⁄ (8.37) Assumiamo poi che il capitale sia specifico per ciascuno dei due settori, e che i costi di aggiustamento del capitale in ciascun settore siano dati da:

⁄ (8.38) dove indica quanti periodi in anticipo è effettuata la scelta sull’investimento per il settore . In ciascun settore il legame tra il prezzo delle attività e il livello dell’investimento è dato da { 0 . /1 }

Sebbene il prezzo del capitale possa essere diverso tra i due settori, per il principio di arbitraggio essi generano lo stesso ritorno atteso del capitale:

{[ ] ⁄ } Dove ( ) ⁄ E ( ) ( )

(20)

sono i prezzi relativi all’output totale dei beni prodotti nel settore 1 e nel settore 2. La scelta dei parametri verrà effettuata in modo tale che le imprese fronteggino dei costi diversi per accedere al credito. Inoltre l’acceleratore finanziario continua ad essere un elemento importante dell’economia nonostante solo una parte delle imprese siano sottoposte alle imperfezioni nei mercati del credito.

Le equazioni appena presentate devono essere linearizzate prima di poter essere inserite all’interno del modello. Le modifiche al set di equazioni definite precedentemente riguardano il blocco dell’offerta aggregata per poter considerare le due tipologie di bene intermedio, ed il blocco relativo all’evoluzione del capitale visto che adesso sono presenti due diverse tipologie di capitale.

8.5 Simulazioni con il modello

In questa sezione si vanno ad effettuare alcuni esperimenti quantitativi per mostrare come l’acceleratore finanziario impatti sulle variabili macroeconomiche del modello. Nello specifico si considera come le imperfezioni nei mercati finanziari possano propagare ed amplificare gli shocks che avvengono nell’economia; si considerano inoltre gli effetti di un ritardo negli investimenti, e la possibilità da parte di certe imprese di accedere più facilmente al mercato del credito rispetto ad altre.

Il primo aspetto che viene considerato è quello della parametrizzazione; in questo modello non viene fatta una stima dei parametri ma si considerano dei valori ritenuti standard. Si imposta il fattore di sconto trimestrale in linea con i modelli visti precedentemente; si sceglie l’elasticità dell’offerta del lavoro pari a in accordo con gran parte della letteratura. Si assume inoltre che la quota dell’output legata all’utilizzo del capitale sia pari a , quella legata alle famiglie ed infine la quota di reddito imputabile agli imprenditori è presa molto piccola e pari a . Il tasso di deprezzamento del capitale ha, al solito, il valore di 0.025. La quota delle spese governative sull’output è presa pari a in linea con i valori storici. I parametri relativi allo shock tecnologico e allo shock nella spesa pubblica sono assunti rispettivamente pari a 1.0 e 0.95. Infine il parametro relativo all’elasticità del prezzo del capitale rispetto al livello dell’investimento è pari a 0.25, è bene specificare che per il valore di questo

(21)

parametro non vi è molta chiarezza ma, attraverso delle assunzioni ragionevoli, si può ritenere che esso oscilli tra 0 e 0.5.

Per tutti gli altri parametri che non sono standard andiamo a definire dei valori tali che siano verificate certe condizioni nello stato stazionario: il differenziale per il rischio deve essere pari a 200 punti base, ovvero il valore che si ricava dai dati storici (differenza tra il tasso per un finanziamento ed il tasso di interesse per i titoli di Stato con scadenza semestrale); il tasso di fallimento per le imprese ̅ pari al 3%, anche questo ricavato dai dati storici; un rapporto tra il capitale ed il patrimonio netto pari a ⁄ ricavato dai dati. Per ottenere questi valori nello stato stazionario si fissa il tasso di fallimento delle imprese trimestrale pari a , si definisce una distribuzione normale logaritmica per la variabile legata al rischio idiosincratico con varianza pari a e si fissa la percentuale del payoff perso per la banca-rotta pari a .

Per concludere la fase di calibrazione mancano i parametri relativi al costo di aggiustamento del prezzo ed alla politica monetaria. Si fissa , questo rappresenta la probabilità che le imprese non cambino il prezzo durante un certo periodo, ed implica che gli aggiustamenti nei prezzi possano essere effettuati ogni tre trimestri. Nell’equazione che definisce la politica monetaria si fissa il parametro di autoregressione pari a 0.9, mentre il coefficiente dell’inflazione è uguale a 0.11. Con questo è terminata la fase di calibrazione per il nostro modello.

8.5.1 I risultati

Gli esperimenti che andiamo ad effettuare sulla base del modello appena presentato sono 4: uno shock nella politica monetaria, un shock nella tecnologia, uno shock nella spesa del governo, e il trasferimento di ricchezza dalle famiglie alle imprese. Ciascuno di questi shock sarà analizzato con l’inclusione e l’esclusione dell’acceleratore finanziario.

8.5.2 Lo shock nella politica monetaria

La prima elaborazione che andiamo a considerare è uno shock nella politica monetaria. In figura (ripresa da Bernanke Gertler Gilchrist(1999)) sono riportati gli effetti di uno shock monetario sull’economia descritta nel modello

(22)

Figura 1. Shock nella politica monetaria

Sull’asse delle ascisse è riportato il tempo espresso in trimestri; in ciascuna delle quattro figure le linee tratteggiate rappresentano la funzione di risposta nel caso dello scenario base, ovvero quando il premio per il finanziamento esterno è fissato al livello dello stato stazionario e non risponde ai cambiamenti nel rapporto tra capitale e patrimonio netto: in altre parole, le linee tratteggiate mostrano il caso senza la presenza dell’acceleratore finanziario. Viceversa le linee continue mostrano le reazioni delle variabili macroeconomiche quando l’acceleratore finanziario è incluso.

Nelle figure possiamo vedere gli effetti di un abbassamento di 25 punti base nel tasso di interesse nominale a breve termine. Sebbene le frizioni nei mercati finanziari non riguardino specificatamente il tasso di interesse nominale, vi è comunque una forte risposta nelle variabili reali. In particolare con l’inclusione dell’acceleratore finanziario la risposta dell’output ad uno shock di natura monetaria aumenta di circa il 50%, mentre gli effetti sugli investimenti sono addirittura raddoppiati. Osservando sempre le variabili reali si può notare che lo shock risulta avere anche una persistenza maggiore: l’output e gli investimenti nel caso siano presenti imperfezioni nei mercati del credito dopo quattro trimestri, sono circa allo stesso livello del caso precedente

(23)

dopo due soli trimestri, quindi lo stesso livello di output e di investimenti si raggiunge dopo un tempo raddoppiato.

La presenza dell’acceleratore finanziario si riflette anche nel premio per il finanziamento esterno. Per assunzione esso è passivo nel modello base, ma si riduce prepotentemente nel caso sia considerato l’acceleratore finanziario. Ciò che accade è il seguente processo, l’abbassamento nei tassi di interesse aumenta la domanda di capitale che, di conseguenza, aumenta il livello degli investimenti e ed il prezzo del capitale. L’aumento non atteso nel prezzo delle attività incrementa il patrimonio netto e spinge ulteriormente verso il basso il premio per il finanziamento esterno e continua a stimolare l’investimento. Si mette in moto un effetto moltiplicatore che spinge l’attività di investimento, aumenta il prezzo delle attività ed il valore del patrimonio netto, e ciò comporta un’ulteriore spinta all’attività di investimento. Il patrimonio netto inverte il trend mano a mano che le imprese escono dal mercato, ma questo effetto è lento e fa sì che il premio per il finanziamento esterno sia molto persistente.

Questi risultati dimostrano che i mercati del credito possono aiutare a spiegare sia la forza con la quale le variabili macroeconomiche rispondono alla politica monetaria sia la tendenza che hanno certe situazioni a perdurare anche quando i tassi di interesse sono tornati alla normalità. L’unico aspetto che per ora non è colto dal modello (ma che si vedrà in seguito) è il ritardo nella risposta dell’output di fronte allo shock monetario.

8.5.3 Lo shock nella domanda, nella tecnologia e nella ricchezza

In figura (sempre ripresa da Bernanke, Gertler Gilchrist(1999)) si possono vedere gli effetti dei tre shock alternativi: lo shock nella tecnologia, nella domanda (più precisamente uno shock nella spesa pubblica) e la redistribuzione delle ricchezza dalle famiglie agli imprenditori.

(24)

Figura 2. Shock tecnologico Figura 3. Shock nella domanda Figura 4. Shock nel benessere

Come si può osservare dalle figure l’acceleratore finanziario amplifica l’effetto dello shock tecnologico e dello shock nella domanda. Anche in questo caso l’elemento fondamentale è l’aumento nel prezzo delle attività associato con il boom negli investimenti che aumenta il patrimonio netto e, quindi, riduce il premio per il finanziamento esterno. La maggior persistenza degli shocks è dovuta al fatto che il patrimonio netto è lento nell’invertire il trend.

È interessante osservare che una redistribuzione della ricchezza dalle famiglie alle imprese non ha fondamentalmente alcun effetto nel caso il modello non includa l’acceleratore finanziario, viceversa gli effetti sono molto diversi quando si considerano le imperfezioni nei mercati finanziari. Il trasferimento della ricchezza aumenta la domanda per l’investimento dei beni che a sua volta incrementa il prezzo del capitale e, di conseguenza, la ricchezza dell’imprenditore dando così avvio al meccanismo del moltiplicatore già osservato.

Da questi risultati si osserva che tutti quei cambiamenti che portino a una variazione nella ricchezza dell’imprenditore possono diventare importanti per le variazioni delle variabili macroeconomiche. Questo tipo di modello può diventare molto interessante quando si considerino le crisi; questo modo di ragionare non è nuovo e si può anche osservare in Fisher (1933); secondo questo articolo la redistribuzione della ricchezza tra creditori e debitori poteva avere importanti effetti reali. Nel caso specifico Fisher attribuiva ad un meccanismo simile a quello che noi abbiamo descritto la profondità e la persistenza della recessione del 1929. Lo stesso tipo di ragionamento potrebbe poi essere applicato anche alle crisi più recenti.

(25)

8.5.4 Ritardo nell’investimento ed eterogeneità tra le imprese

Supponiamo ora che le spese per l’investimento debbano essere pianificate con un trimestre di anticipo. La seguente figura mostra gli effetti di una politica monetaria espansiva.

Figura 5. shock monetario con ritardo nell’investimento

Possiamo adesso osservare che, rispetto al caso precedente, le funzioni di risposta hanno una forma a gobba. Tale forma è più accentuata quando si include il meccanismo dell’acceleratore finanziario. L’aspetto interessante è che adesso la persistenza è maggiore rispetto al caso precedente e si sposa meglio con quelli che sono i risultati osservabili dai dati. Inoltre rimane la risposta molto forte del premio per il finanziamento esterno (elemento anche questo suggerito dai dati).

Passiamo ora ad osservare il caso con imprese eterogenee. La scelta dei parametri viene effettuata in modo che il settore 2 abbia un premio per il finanziamento esterno pari al 3% annuo, mentre questa grandezza è pari all’1% per il settore 1. Si fissa un livello di per generare un premio medio nello stato stazionario pari al 2%. La conseguenza di queste assunzioni è che la metà dell’output dell’economia è prodotto da imprese che hanno difficoltà ad accedere ai mercati finanziari. Si fissa poi un che

(26)

implica che i beni prodotti nei due settori sono dei buoni sostituti. Il livello di passa da 0.25 a 0.1 per raggiungere lo stesso costo di aggiustamento del capitale che si considerava nel modello con un solo settore. Infine il ritardo negli investimenti è di un solo trimestre per le imprese appartenenti al settore 2, mentre è di due periodi per le imprese anche fanno parte del settore 1. Questa scelta risponde all’osservazione empirica che le imprese con difficoltà nell’accesso al credito sono tendenzialmente più piccole e quindi hanno un maggior grado di flessibilità negli investimenti.

In figura si possono osservare gli effetti di uno shock nella politica monetaria quando si considerano imprese eterogenee.

Figura 6. Shock monetario con ritardo nell'investimento ed imprese eterogenee

Se si osserva la risposta dell’output aggregato si può vedere che la crescita di questa variabile è pressappoco la stessa che si osservava nel caso senza eterogeneità tra le imprese, sia nel caso in cui sia escluso l’acceleratore finanziario, sia quando esso è incluso. La differenza interessante è che il diverso ritardo nell’investimento tra i due settori permette di smussare la funzione di risposta a forma di gobba, aumentando ulteriormente la persistenza nella variazione dell’output aggregato. Comunque la propagazione dello shock è pressappoco la stessa nelle due versioni del modello (con un settore e con due settori).

(27)

Il modello con 2 settori ha poi delle altre implicazioni. I due pannelli sulla destra della figura 6 mostrano le risposte dell’output e degli investimenti per i 2 settori. La linea continua corrisponde al settore 2 (che ha maggiori restrizioni nella richiesta di credito), mentre la linea tratteggiata rappresenta il settore 1 (con minori restrizioni nella richiesta di credito). Si scopre che, in risposta ad uno shock espansivo della politica monetaria, l’investimento delle imprese appartenenti al settore 2 ha un aumento di circa tre volte superiore rispetto al settore 1. Sebbene gli effetti nell’investimento siano molto diversi tra le imprese dei due settori, i cambiamenti nell’output sono abbastanza simili. Se volessimo inserire dei cambiamenti nella risposta dell’output, potremmo considerare l’inserimento di fattori produttivi che devono essere finanziati attraverso dei prestiti.

8.6 Conclusioni

In questo capitolo abbiamo definito un modello DSGE che può aiutare a capire quello che è il ruolo delle frizioni finanziarie nelle fluttuazioni delle variabili macroeconomiche. L’inserimento delle frizioni finanziarie fa sì che gli shocks nell’economia considerata abbiano un impatto più elevato e più persistente nelle variabili endogene rispetto al caso in cui esse non venivano considerate. Tale effetto si ripete in maniera più o meno analoga in tutti i casi che abbiamo osservato ed è legato ad un effetto moltiplicatore nel quale, ad un certo punto, si verifica un incremento del valore dei prezzi delle attività e, quindi, un aumento del patrimonio netto. Il miglioramento del patrimonio netto riduce il costo del finanziamento esterno e permette all’imprenditore di chiedere un prestito alla banca per aumentare la dimensione aziendale; tale comportamento aumenta la domanda di capitale e quindi fa crescere ulteriormente il valore delle attività. Questo è il procedimento seguito dal moltiplicatore che può anche operare in senso inverso durante una fase di crisi. Pur essendo l’articolo antecedente al 2008, in esso si fa riferimento a diverse crisi in diverse parti del mondo la cui gravità sembra essere stata acuita proprio dalle frizioni nei mercati finanziari. Il meccanismo dell’acceleratore finanziario è stato preso come punto di partenza in altri lavori successivi per la stima di modelli DSGE (Merola 2015) il cui obiettivo è proprio quello di spiegare meglio quanto avvenuto nel 2008.

(28)
(29)

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

Un sistema lineare stazionario con funzione di trasfe- rimento G(s) razionale fratta avente i poli a parte reale negativa soggetto ad eccitazione sinusoidale presenta, a regime,

[r]

Un sistema lineare stazionario con funzione di trasfe- rimento G(s) razionale fratta avente i poli a parte reale negativa soggetto ad eccitazione sinusoidale presenta, a regime,

La relazione trovata è fondamentale, in quanto consente di tracciare il diagramma delle fasi semplicemente conoscendo la frequenza di break ω B : nota ω B , dividendo per 4.81

 Riassumendo, in C/C++ il campo di visibilità degli Riassumendo, in C/C++ il campo di visibilità degli identificatori e, come vedremo, il tempo di vita degli identificatori e,

8 Che tipo di funzione è la funzione rappresentata nella figura seguente?. A Iniettiva ma

In pratica più che la dipendenza della velocità di reazione dalle concentrazioni spesso interessa la dipendenza delle concentrazioni di reagenti e.. prodotti in funzione