C
APITOLO
I
L
E SENTENZE DEL GIUDICE TRIBUTARIO
1. I PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE
Il giudice, nell’esercizio delle sue funzioni, ha il potere di emanare tre diversi tipi di atti, così come definito dal codice di procedura civile1 e che
ben possiamo applicare anche al giudice tributario. Questi atti consistono in: decreti2, ordinanze3 e sentenze.
Le sentenze rappresentano di norma l’atto che pone fine all’intero processo4. Il giudice, pronunciando la sentenza, esprime il proprio giudizio
1 Così l’art. 131 c.p.c., il quale sancisce che la legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto (comma 1); e che, in mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello scopo (comma 2).
2 Questi sono atti volti a regolare lo svolgimento del processo e di norma sono atti non collegiali, sono sprovvisti di una motivazione e vengono emanati dal giudice in assenza di contraddittorio (si veda al riguardo FRANCO BATISTONI FERRARA E BRUNELLA BELLÈ, Diritto tributario processuale, 2014, p. 130). Un esempio di decreto, nel nostro processo, è quello attraverso il quale il presidente della sezione della commissione tributaria fissa la data per l’udienza di trattazione (Artt. 27 e 30 D.Lgs. 546/1992).
3 Questo secondo provvedimento del giudice, a differenze del decreto, è un atto tipicamente collegiale, che presuppone la preventiva instaurazione del contraddittorio tra le parti ed inoltre necessita di essere motivato. Le ordinanze sono volte a definire problematiche relative all’istruttoria della causa e hanno come presupposto l’adozione da parte del giudice di un successivo provvedimento, come la sentenza, che andrà a definire il giudizio. Sul punto è utile puntualizzare ed anticipare che, nel giudizio di ottemperanza disciplinato dall’art. 70 D.Lgs. 546/1992 (di cui verrà trattato in seguito), l’ordinanza è il provvedimento di chiusura dell’intero procedimento (comma 8) e quindi rappresenta un’eccezione in quanto non necessita di altri provvedimenti successivi.
4 Al riguardo è bene puntualizzare che le sentenze possono facilmente essere distinte in sentenze di rito, cioè quelle che esprimono un giudizio su ragioni e vizi
riguardo all’oggetto della controversia, cioè sulle domande che il ricorrente ha formulato nell’atto introduttivo del giudizio5.
L’art. 36 D.L.gs. 546/1992 individua il contenuto della sentenza6 e il
difetto di anche uno degli elementi (es.: incompleta motivazione) è causa di nullità della stessa.
2. LE SENTENZE DI RIGETTO DEI RICORSI CONTRO GLI ATTI DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA
Tra le sentenze che possono essere pronunciate dal giudice tributario vi sono le sentenze di mero accertamento, attraverso le quali il giudice respinge i ricorsi per l’impugnazione di atti impositivi emanati dall’Amministrazione finanziaria. Queste si limitano a dichiarare, da un lato, l’insussistenza dei vizi che il contribuente rileva con il ricorso e, dall’altro, l’inesistenza del diritto all’annullamento dell’atto impugnato7.
È importante porre l’attenzione sul fatto che l’atto impugnato non viene in qualche modo sostituito dalla sentenza pronunciata dal giudice, ma sopravvive in tutto e per tutto al giudizio8.
procedimentali (es.: incompetenza o inammissibilità del ricorso), e sentenze di merito, che invece vanno a giudicare direttamente sull’oggetto della domanda. 5 FRANCO BATISTONI FERRARA E BRUNELLA BELLÈ, Diritto tributario processuale, 2014, p. 131.
6 Gli elementi costitutivi della sentenza sono: 1) l’indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono; 2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo; 3) le richieste delle parti; 4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto; 5) il dispositivo.
7 Proprio per questo motivo, e dal momento che non vanno ad accertare positivamente l’obbligazione tributaria, vengono definite come sentenze di accertamento negativo del diritto addotto con il ricorso.
8 FRANCESCO TESAURO, Le sentenze del giudice tributario, in Corso di Perfezionamento
per Magistrati Tributari, p. 647: “Se l’atto impugnato non è illegittimo, non v’è
ragione di sostituirlo. Gli effetti dell’atto impugnato continuano ad essere effetto dell’atto, non sono effetti novati della sentenza”.
Da quanto appena detto è facile capire che quando, a seguito della sentenza che respinge il ricorso del contribuente, l’Amministrazione finanziaria procede all’iscrizione a ruolo delle somme dovute per effetto di un avviso di accertamento, non va ad eseguire la sentenza, ma si limita ad eseguire l’avviso di accertamento precedentemente emanato e giudicato legittimo dalla sentenza che ne ha respinto l’impugnazione.
In conclusione dobbiamo dire che, nelle sentenze di mero accertamento negativo, il giudicato tributario non va a sostituire l’atto impugnato e l’Ente impositore provvederà a far eseguire quest’ultimo, non la sentenza.
3. LE SENTENZE DI ANNULLAMENTO
Un altro tipo di sentenze che possono essere pronunciate è quello delle sentenze di annullamento, riguardo alle quali è necessario dire che la sentenza potrà disporre l’annullamento dell’atto impugnato per vizi di natura sia formale che sostanziale.
Con riferimento ai vizi formali, possiamo citare innanzitutto un ormai abbandonato orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale i vizi in oggetto non permetterebbero di inficiare la fondatezza o meno della pretesa tributaria9.
L’attuale giurisprudenza10, invece, è concorde nel ritenere che, quando
l’atto impugnato è portatore di vizi invalidanti, il giudice deve procedere all’annullamento dell’atto11.
9 Così la sentenza della Cassazione n. 1471 del 5 marzo 1980, in Rivista di diritto
finanziario, 1980, fasc. 2, p. 101.
10 Tra le tante si veda Cassazione, sentenza n. 21564 del 20 settembre 2013, in
Rassegna tributaria della Cassazione, agosto-‐settembre 2013, p. 5.
11 Vizi formali invalidanti possono essere per esempio: l’incompetenza assoluta dell’organo o la mancanza di motivazione dell’atto.
Per ciò che concerne i vizi sostanziali di un atto impositivo, possiamo dire che il giudice può pronunciare sentenze che vanno ad annullare totalmente o soltanto in parte l’atto impugnato.
Analizzando la sentenza è possibile cogliere il suo duplice effetto: da un lato essa accerta il diritto del ricorrente all’annullamento, mentre dall’altro dispone l’annullamento dell’atto impugnato con il ricorso.
Notiamo che, anche nel caso delle sentenze di annullamento, queste non puntano né alla sostituzione né alla riforma dell’atto impugnato, ma si limitano ad annullarlo. Sarebbe infatti inaccettabile la redazione di un nuovo atto impositivo di matrice giudiziale12.
Quando il giudice si pronuncia su una domanda di annullamento possiamo riscontrare due effetti:
a. in caso di accoglimento totale del ricorso l’atto viene eliminato e l’obbligazione tributaria posta a suo fondamento cessa di esistere; b. in caso di accoglimento parziale del ricorso, l’atto impugnato viene
annullato parzialmente producendo quindi una sorta di scissione dell’atto in due parti. Una di queste diviene illegittima in virtù dell’annullamento parziale, mentre l’altra continua ad avere efficacia ed è valido titolo per la riscossione.
Secondo la giurisprudenza della Cassazione, che si è espressa con la sentenza n. 23770 del 23 dicembre 200513, qualora il giudice incontri dei
vizi sostanziali non deve limitarsi ad annullare l’atto impugnato, ma deve provvedere ad emettere una decisione di merito14, che quindi vada a
12 FRANCESCO TESAURO, Le sentenze del giudice tributario, in Corso di
Perfezionamento per Magistrati Tributari, p. 649.
13 In banca dati Lex24.
14 Nel processo tributario l’espressione “impugnazione-‐merito” non è linguisticamente corretta e deve essere intesa nel senso di “impugnazione-‐ riforma”; FRANCESCO TESAURO, Le sentenze del giudice tributario, in Corso di
Perfezionamento per Magistrati Tributari, p. 650. Sempre lo stesso autore chiarisce
che “con la formula impugnazione-‐merito la giurisprudenza intende dire che il giudice tributario, nei casi in cui l’atto non debba essere annullato per vizi di forma, esamina il contenuto dell’atto”; FRANCESCO TESAURO, Istituzioni di diritto
sostituire sia la dichiarazione resa dal contribuente, sia l’accertamento15.
Quindi, non appena vengono esclusi vizi formali insiti nell’atto impugnato, il giudice è chiamato ad accertare il credito vantato dall’Amministrazione, sia nell’an che nel quantum, attraverso un esame nel merito del fondamento della pretesa16.
4. LE SENTENZE DI CONDANNA DELL’AMMINISTRAZIONE
Vi sono infine le sentenze attraverso le quali il giudice tributario condanna l’Amministrazione al rimborso di somme indebitamente pagate dal contribuente.
Così come disciplinato dall’art. 19 D.Lgs. 546/1992, il rifiuto tacito o espresso da parte dell’Amministrazione a seguito di domande di rimborso presentate dal contribuente-‐ricorrente è da considerarsi un atto impugnabile17.
tributario – parte generale, 2013, p. 380. Inoltre, sul punto, è bene ricordare che “la
dottrina è divisa tra coloro che vedono nel processo tributario un processo di impugnazione-‐annullamento e coloro che, invece, assumono che il processo tributario sia un processo … riconducibile tra quelli rientranti nella nozione di impugnazione-‐merito. Essa (questa seconda tesi) si caratterizza per un duplice profilo: il riconoscimento del carattere formalmente impugnatorio proprio della fase introduttiva, e quello sostanziale concernente le situazioni giuridiche soggettive in esso dedotte, e la natura della sentenza che attiene al merito ed è sostitutiva dell’atto”; FRANCO BATISTONI FERRARA E BRUNELLA BELLÈ, Diritto tributario
processuale, 2014, p. 98.
15 Così la sentenza: “Il giudice, il quale ravvisi l’infondatezza parziale della pretesa dell’Amministrazione, non deve limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve, scendendo nel merito, quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal
petitum delle parti”.
16 FRANCO BATISTONI FERRARA E BRUNELLA BELLÈ, Diritto tributario processuale, 2014, p. 98.
17 Così la lett. g) dell’articolo citato: “Il ricorso può essere proposto avverso il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti”. Per quanto riguarda il termine per la proposizione del ricorso contro gli atti di cui all’art. 19, comma 1, lett. g), si veda l’art. 21, comma 2.
Sul tema del rifiuto è necessario fare una distinzione a seconda che questo sia espresso o tacito.
Nella prima ipotesi è indubbio che l’azione sia tesa all’accertamento del diritto e può ben essere considerata come un’azione di impugnazione-‐ merito.
Nella seconda ipotesi, invece, l’azione è proposta contro il silenzio dell’Amministrazione e quindi sarà volta ad accertare il diritto del ricorrente al rimborso di quanto indebitamente pagato. In questo caso l’azione sarà classificabile tra quelle di mero accertamento e il ricorrente dovrà accompagnarla con un’autonoma azione di condanna dell’Amministrazione.
Il contribuente-‐ricorrente, nell’impugnare un atto di rifiuto espresso o nel censurare il silenzio, deve chiedere che venga accertato il suo diritto al rimborso e che l’Amministrazione sia condannata a rimborsare18.
La decisione del giudice a seguito di una domanda di rimborso avrà un contenuto complesso e scomponibile in tre punti:
a. annullamento del rifiuto;
b. accertamento del credito del ricorrente;
c. condanna al rimborso dell’Amministrazione19.
Per poter avere il valore di titolo esecutivo, la sentenza favorevole al contribuente-‐ricorrente che condanna l’Amministrazione al rimborso dovrà passare in cosa giudicata; soltanto dopo tale momento sarà possibile esercitare le azioni per l’esecuzione forzata20 o ricorrere per l’ottemperanza
a norma dell’art. 70 D.Lgs. 546/1992, in caso di inadempienza da parte dell’Amministrazione di quanto statuito con la sentenza.
18 FRANCESCO TESAURO, Le sentenze del giudice tributario, in Corso di
Perfezionamento per Magistrati Tributari, p. 651. FRANCESCO TESAURO, Istituzioni di
diritto tributario – parte generale, 2013, p. 381.
19 Tuttavia, nel caso di azioni contro il silenzio dell’Amministrazione, l’annullamento del rifiuto non ci sarà, ma permarranno l’accertamento del credito e la condanna al rimborso.
20 Per seguire questa via sarà necessario fare riferimento alle norme del codice di procedura civile.
5. IL GIUDICATO TRIBUTARIO
Quando il giudice decide sulla questione entrando nel merito pronuncia la c.d. decisione di merito. Nel momento in cui tali decisioni diventano definitive hanno l’effetto che definiamo come cosa giudicata sostanziale, con cui viene accertata l’esistenza o l’inesistenza della situazione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio21. In breve, “la cosa giudicata sostanziale
indica gli effetti della sentenza”22.
Oltre alla cosa giudicata in senso sostanziale, esiste anche la cosa giudicata in senso formale. Quest’ultima, a differenza della prima, indica la stabilità di una sentenza, che diventa tale soltanto quando gli ordinari mezzi di impugnazione non sono più esperibili contro la stessa23. Una volta scaduti
tutti i termini del gravame, la sentenza passa in giudicato in senso formale. È indubbio che la cosa giudicata formale nel nostro processo venga a formarsi nello stesso modo del processo civile, infatti, l’art. 324 c.p.c.24
rientra tra le norme che l’art. 1, comma 2, D.Lgs. 546/1992 richiama 25.
Nel processo tributario, la cosa giudicata va ad accertare, per esempio, il diritto all’annullamento di un atto impositivo, o il diritto al rimborso vantato dal ricorrente26. È bene notare, però, che il passaggio in giudicato di
una sentenza non va a precludere all’Amministrazione la possibilità di una nuova azione, tuttavia quest’ultima dovrà essere proposta nel rispetto dei
21 Art. 2909 c.c.: “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.
22 FRANCESCO TESAURO, Le sentenze del giudice tributario, in Corso di
Perfezionamento per Magistrati Tributari, p. 651.
23 Per mezzi ordinari di impugnazione dobbiamo intendere: l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione ordinaria (art. 50 D.Lgs. 546/1992). Le sentenze passate in giudicato possono essere impugnate soltanto per mezzo della revocazione straordinaria.
24 Secondo questo articolo: “ Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395”.
25 PASQUALE RUSSO, Manuale di diritto tributario, 2005, p. 295.
26 FRANCO BATISTONI FERRARA E BRUNELLA BELLÈ, Diritto tributario processuale, 2014, p. 203.
termini decadenziali e senza andare in contrasto con quanto definito con la sentenza.
Per quanto riguarda la riscossione del tributo, è necessario ricordare che l’art. 68 D.Lgs. 546/1992 disciplina il pagamento del tributo in pendenza del processo e quindi va a delineare la riscossione frazionata di quanto dovuto all’Amministrazione, alla cui base non vi è una cosa giudicata in senso formale, in quanto la sentenza può sempre essere sempre oggetto di impugnazione.
Se vogliamo invece parlare di riscossione definitiva, dobbiamo necessariamente attendere che la sentenza passi in giudicato e non sia più impugnabile con i mezzi ordinari. La sentenza diventa quindi titolo per la riscossione27.
Dal punto di vista del contribuente-‐ricorrente, il passaggio in giudicato della sentenza è, quindi, condizione necessaria affinché questi possa proporre un’azione per l’esecuzione forzata o il giudizio di ottemperanza. Al contrario, per l’Amministrazione, il passaggio in giudicato rappresenta il termine iniziale per procedere alla riscossione del tributo iscritto definitivamente a ruolo28.
Da non dare per scontato è il rapporto che esiste tra giudicato sostanziale e giudicato formale: quest’ultimo è causa del primo, e in mancanza (mancando il passaggio in giudicato) non potrebbe avere il valore vincolante di cui all’art. 2909 c.c.
5.1. IL GIUDICATO E LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI: I LIMITI OGGETTIVI
In modo analogo a quanto avviene nel rito ordinario, dove il giudice civile risolve incidentalmente le questioni pregiudiziali29 , il giudice
27 FRANCESCO TESAURO, Istituzioni di diritto tributario – parte generale, 2013, p. 382. 28 FRANCESCO TESAURO, Le sentenze del giudice tributario, in Corso di
Perfezionamento per Magistrati Tributari, p. 652.
29 Al riguardo è bene puntualizzare che l’art. 34 c.p.c. statuisce che: “Il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con
tributario, così come sancito dall’art. 2, comma 3, D.Lgs. 546/1992, “risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella sua giurisdizione…”.
Da questa disposizione normativa30 è immediato desumere che,
nonostante le questioni pregiudiziali siano risolte in via incidentale, ciò che passa in giudicato è soltanto la decisione della controversia31.
Dottrina e giurisprudenza su questo tema non sono concordi. Infatti, in giurisprudenza è ormai opinione consolidata che anche le questioni pregiudiziali, “che costituiscono un presupposto logico della decisione contenuta in una sentenza passata in giudicato”, siano un vincolo per altri giudizi. Questo principio giurisprudenziale è riferibile sia al giudicato civile, che a quello tributario32.
Tuttavia, riferendo questa tesi della giurisprudenza alla nostra materia, dovremmo ritenere che le questioni risolte nella lite relative ad un periodo d’imposta vincolino anche per altri periodi33. In realtà, ogni decisione risolve
una singola lite, quindi questa tesi, in un contesto del genere, non può certo essere accettabile.
Ciononostante, l’effetto di vincolo pluriennale può essere ammesso nella misura in cui si venga a ripresentare la stessa questione in un giudizio tra le stesse parti, relativamente ad un fatto identico a quello già deciso.
efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo…”. Questa norma indica, quindi, che nel caso in cui la questione pregiudiziale appartenga alla competenza di un giudice superiore, questo attrae anche la causa principale, precisando che la questione pregiudiziale verrà decisa con efficacia di giudicato se ciò è previsto dalla legge o richiesto dalle parti. Ebbene, qualora la legge non lo preveda o le parti non lo richiedano, le questioni pregiudiziali verranno risolte dal primo giudice, ma non avranno efficacia di giudicato.
30 Combinato disposto dell’art. 2, comma 3, D.Lgs. 546/1992 con l’art. 34 c.p.c. 31 FRANCESCO TESAURO, Le sentenze del giudice tributario, in Corso di
Perfezionamento per Magistrati Tributari, p. 653.
32 FRANCESCO TESAURO, Istituzioni di diritto tributario – parte generale, 2013, p. 382. 33 Così la sentenza della Cassazione n. 13916 del 16 giugno 2006, in banca dati
Concludendo, in termini generali, dobbiamo dire che ogni provvedimento impositivo, riferendosi ad un’autonoma obbligazione tributaria, deve considerarsi anch’esso come autonomo. Quindi, l’efficacia della cosa giudicata tributaria è limitata all’atto impugnato, senza perciò vincolare altri tributi.
5.2. I LIMITI SOGGETTIVI
Oltre ai limiti oggettivi, il giudicato presenta anche dei limiti soggettivi che lo legano alle parti del processo.
Come regola di principio, quindi, il giudicato vincola soltanto le parti che hanno preso parte al processo e non può vincolare soggetti terzi.
Sul tema è certamente possibile collegarsi a quanto detto da Giuseppe Corasaniti34. Questi, come è ormai pacifico in dottrina e giurisprudenza,
spiega che una sentenza che pone conclusione ad un processo istituito tra sostituto d’imposta e Amministrazione non può essere invocata contro il sostituito, ma vincola soltanto le parti attive che hanno partecipato al processo35.
Seguendo l’orientamento della Cassazione, ai processi che hanno ad oggetto l’accertamento dei redditi conseguiti dalle società di persone36
devono partecipare anche i soci della società.
Infatti, qualora non venisse accettata la tesi del litisconsorzio necessario andremmo incontro ad una violazione dell’art. 24 Cost.37, in
quanto il giudicato pronunciato nei confronti della società di persone, non
34 Giuseppe Corasaniti, Professore ordinario di Diritto Tributario presso l’Università degli Studi di Brescia, l’8 ottobre 2015, presso l’Università degli Studi di Pisa, ha tenuto una lezione su “Redditi di natura finanziaria: profili processuali delle controversie tra sostituto d’imposta e sostituito”.
35 Sul punto si è espressa anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3109 del 3 marzo 2003, in banca dati Lex24.
36 Tali società, come sappiamo, sottostanno al regime impositivo della trasparenza, che prevede la tassazione dei redditi conseguiti dalla società direttamente in capo ai soci e indipendentemente dalla loro distribuzione.
potrebbe essere opposto al socio. Questo sarebbe certamente iniquo, infatti gli accertamenti sui redditi delle società di persone hanno un immediato riflesso anche sui soci andando a modificare le quote di reddito riferibili a quest’ultimi38.
6. L’ESECUTORIETÀ ED ESECUTIVITÀ DELLE SENTENZE
Così come stabilito dall’art. 69 D.Lgs. 546/199239, l’esecuzione delle
sentenze di condanna dell’Amministrazione è chiaramente condizionata dal suo passaggio in cosa giudicata e quindi non si potrà mai avere un’anticipazione dei loro effetti esecutivi. Ciò introduce, come è stato già anticipato e come avremo modo di approfondire, un’apparente disparità di trattamento tra l’Amministrazione e il contribuente.
È necessario puntualizzare e non dimenticare che una cosa è parlare dell’esecutorietà della sentenza, cioè l’efficacia di essa in quanto titolo esecutivo per proporre l’azione per l’esecuzione forzata, altra è parlare dell’esecutività della sentenza, cioè il lineare dispiegarsi dei suoi effetti che, nel caso di sentenze che accolgono il ricorso del contribuente, saranno quelli di annullamento dell’atto impugnato40.
Di fondamentale importanza, quindi, sul tema dei conflitti tra Amministrazione e contribuente-‐ricorrente, è stabilire se una sentenza non ancora “stabilizzata” attraverso il giudicato formale, possa produrre o meno gli effetti definiti con il giudicato sostanziale.
38 FRANCESCO TESAURO, Le sentenze del giudice tributario, in Corso di
Perfezionamento per Magistrati Tributari, p. 655.
39 “Se la commissione condanna l’ufficio del Ministero delle finanze o l’ente locale o il concessionario del servizio di riscossione al pagamento di somme, comprese le spese di giudizio liquidate ai sensi dell’art. 15 e la relativa sentenza è passata in giudicato, la segreteria ne rilascia copia spedita in forma esecutiva a norma dell’art.475 c.p.c.”.