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CAPITOLO 2 L’IDROELETTRICO IN ITALIA

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CAPITOLO 2

L’IDROELETTRICO IN ITALIA

Quanto riportato in merito alla potenzialità idroelettrica in termini di quantitativi di energia prodotta e relativo residuo potenziale è imputabile quasi esclusivamente ad impianti di taglia medio-grande.

Più difficile è quantificare numericamente il potenziale del micro-hydro, in primo luogo perché richiederebbe studi sul territorio ad una scala troppo di dettaglio, ed in secondo luogo perché il suo pregio non consiste tanto in un contributo energetico significativo all’interno del fabbisogno nazionale, quanto piuttosto nel suo valore in termini di sostenibilità dell’utilizzo della risorsa idrica a livello locale.

I luoghi in Italia adatti allo sviluppo dell’energia idraulica in micro-scala sono numerosi, anche in considerazione del fatto che molto varia è la tipologia dei possibili utenti: utenze isolate, nuclei familiari, borgate, aziende agricole, artigianali e industriali.

I vantaggi dei microimpianti sono inoltre legati alla limitata risorsa necessaria per la produzione di energia elettrica, ed alla loro struttura compatta, relativamente semplice - almeno per le microcentrali - da trasportare anche in luoghi inaccessibili.

L’esperienza inoltre permette di affermare che l’idroelettrico di piccola scala, se ben proporzionato e ubicato, risulta economicamente competitivo rispetto alle altre fonti energetiche rinnovabili e sovente anche rispetto alle fonti tradizionali una volta considerati gli effettivi costi globali unitari (ad esempio un sistema a generatore diesel ha costi di investimento ridotti ma necessita di una spesa consistente per l’acquisto ed il trasporto del carburante).

La risorsa idrica è una fonte di energia sicura in quanto inesauribile e disponibile sul territorio italiano in modo capillare. Come ogni risorsa naturale è intermittente, ma sul lungo periodo comunque affidabile. La piovosità media annua in Italia è dell’ordine di 1.000 mm: questo significa che ogni mq di territorio è in grado di raccogliere potenzialmente circa 1 mc di acqua l’anno che a meno di perdite (per infiltrazione, evapotraspirazione, ecc) confluisce in rigagnoli, torrenti e fiumi. Assumendo un coefficiente di deflusso medio sul territorio italiano di 0.7 (che corrisponde a dire che solo il 70% delle acque piovute si rende effettivamente

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disponibile in superficie) si può contare, con i 300.000 kmq del nostro paese, su di una quantità d’acqua pari a circa 210 miliardi di mc annui.

La risorsa idrica è dotata di una elevata energia specifica. L’acqua ad esempio è 800 volte più densa dell’aria: la spinta che esercita sulle pale di una girante è notevolmente maggiore rispetto a quella esercitata dal vento.

L’idroelettrico gode di una comprovata tecnologia. Lo sfruttamento delle acque, prima per produzione puramente di forza meccanica e a partire dal secolo scorso anche a fini idroelettrici, è di antica data.

Una simile conoscenza della risorsa ha permesso di ottenere un buon grado di sviluppo tecnologico (almeno per quanto riguarda le grandi taglie) e costi di installazione contenuti. Nel caso di applicazione micro-hydro, anche se un trasferimento tout court della tecnologia non è possibile (soprattutto in termini economici) quello che più conta sono l’esperienza e l’affinità con la fonte energetica, maturate con i medi e grandi impianti.

L’idroelettrico spesso facilita la regionalizzazione della produzione. Nelle applicazioni di piccola-media taglia rappresenta una forma di generazione distribuita che consente di produrre energia vicino alle utenze. L’affermazione è ancora più valida per le micro applicazioni che sono poco ingombranti, poco impattanti ed ad ampio potenziale di diffusione sul territorio. In termini localizzativi i siti sono molteplici. Le applicazioni micro-hydro sono a bassissimo impatto ambientale. Gli impianti di piccola taglia sono poco ingombranti e visibili, spesso integrati in sistemi idrici già esistenti e conseguentemente di grande valenza in termini di sostenibilità della generazione elettrica.

2.1 CONSISTENZA E POTENZIALITÀ

Secondo le fonti del Gestore della Rete (GRTN), i cui dati sono peraltro in accordo con il Rapporto Energia e Ambiente dell’ENEA, in Italia nel 2000 sono stati installati 1.965 impianti idroelettrici di cui circa 1.120 di potenza inferiore a 1 MW, per un totale di 373 MW installati. La producibilità di questi ultimi è stata per l’anno 2000 di 1.812 GWh.

Impianti N° : 1.965

Potenza netta : MW 20.350 Produzione annua : GWh 50.235

Molti esperti hanno convenuto nell’affermare che il territorio italiano ha una potenzialità idroelettrica annua di circa 65 TWh, a fronte di una produzione energetica lorda nel 2000 di

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circa 51 TWh. Si può dunque affermare che si è quasi giunti al limite di sfruttamento, avendo cioè realizzato impianti in ogni sito ove fosse opportuno e conveniente dal punto di vista tecnico ed economico.

La restante percentuale di potenzialità potrebbe non essere mai utilizzata a causa di insuperabili problemi autorizzativi e magari di elevatissimi impatti ambientali, salvo che con impianti di piccola taglia, più versatili e con ridotti effetti negativi sull’ambiente.

2.2 IMPATTO AMBIENTALE

Certamente le considerazioni ambientali sull’idroelettrico cambiano radicalmente se si fa riferimento agli impianti di piccola taglia (sotto i 1000 kW) che stiamo analizzando in questa sede.

Gli impianti piccoli sono diversi da quelli di potenza elevata poiché sono caratterizzati da modalità organizzative sostanzialmente differenti, distribuiti sul territorio, gestiti in piccole comunità, integrati in un uso plurimo ed equilibrato della risorsa acqua. Il caso dell’idroelettrico è emblematico nella ricerca di fonti energetiche alternative.

Pur senza ricorrere ad una fonte energetica o ad una tecnologia del tutto nuova (la tecnica realizzativa ha fatto molti progressi, ma lo sfruttamento idroelettrico ha origini antiche), oggi gli impianti micro-hydro possono contribuire allo sviluppo sostenibile del territorio in cui sono inseriti.

I benefici dal punto di vista ambientale legati alla realizzazione di microimpianti idroelettrici sono notevoli: servizio a zone altrimenti isolate o raggiungibili mediante opere di maggiore impatto, attuazione di una politica di regionalizzazione della produzione, contributo alla diversificazione delle fonti, riduzione della dipendenza energetica da fonti convenzionali della zona in cui si installa l’impianto ed infine, zero emissioni di gas serra e sostanze inquinanti. Anche i microimpianti idroelettrici possono avere impatti negativi sull’ambiente che sarà cura del progettista cercare di minimizzare.

Gli elementi negativi si riferiscono soprattutto all’occupazione di suolo, alla trasformazione del territorio, alla derivazione e captazione di risorse idriche superficiali ed a possibili alterazioni su flora e fauna, anche se naturalmente di proporzioni minime rispetto ad impianti di maggiori dimensioni.

Anche per le micro-applicazioni è importante mantenere un deflusso adeguato (D.M.V.) al mantenimento dell’ecosistema fluviale in cui l’impianto si inserisce. E’ doveroso ricordare

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che, soprattutto nel caso di impianti cosiddetti a recupero energetico, l’impatto può risultare molto limitato in quanto, oltre alla taglia ridotta, essi si inseriscono in schemi idrici già esistenti ed in un territorio artificializzato ed antropizzato.

Per contro, però, in applicazioni di questo tipo occorre porre particolare attenzione alle installazioni nei centri abitati dove è necessario prevedere interventi di assorbimento dei rumori e delle vibrazioni prodotte dalle macchine. In rapporto alla Valutazione di Impatto Ambientale, per i piccoli impianti la procedura è più semplice. E’ importante ricordare che vengono considerate derivazioni utilizzabili anche a fine idroelettrico i prelievi di acqua superiori a 200 litri al secondo.

L’idroelettrico è una forma di energia considerata rinnovabile in quanto sfrutta la inesauribile risorsa idrica che è presente in grandi quantità sul nostro pianeta.

Lo sfruttamento delle acque superficiali per produrre energia elettrica può però avvenire attraverso forme non del tutto sostenibili come nel caso di grandi impianti idroelettrici a bacino: questi rispecchiano un modello di produzione energetica che ha indubbiamente portato benefici allo sviluppo economico del nostro paese nei decenni passati, ma che è intrinsecamente affetto da difetti gravissimi.

I grandi impianti infatti sono caratterizzati da una gestione centralizzata e controllata da pochi soggetti, enorme intensità energetica, straordinaria complessità del sistema ed inevitabile insensibilità ecologica.

Agli occhi di tutti sono evidenti le problematiche di impatto ambientale determinate da simili opere: letti dei fiumi lasciati in secca per molti mesi dell’anno e per lunghi tratti con distruzione o grave degenerazione del patrimonio ittico, alterazione delle falde acquifere, peggioramento della qualità delle acque dovuto al minor potere di diluizione nei confronti degli inquinanti, alterazione del paesaggio e rischi di catastrofi.

Uno dei problemi principali rimane quello della variazione quantitativa e qualitativa dell’acqua lungo il suo corso. Una prescrizione nazionale, utile in linea di principio al mantenimento di valori ambientali accettabili lungo il corso d’acqua, è quella del Deflusso Minimo Vitale.

A livello italiano non esiste ancora un riferimento normativo che lo quantifichi, ma molte regioni italiane ed Autorità di Bacino hanno legiferato in tal senso.

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2.2.1 Compatibilità ambientale del mini-idroelettrico

La qualifica di “energia pulita” ha caratterizzato gran parte della storia della generazione idroelettrica, che ha visto forti opposizioni essenzialmente nel caso in cui, nella costruzione di grandi invasi, venissero a scomparire porzioni di territorio abitate o sfruttate dalla popolazione locale.

Tuttavia, a partire dagli anni ’80, a seguito di analisi di casi reali, sono cominciati a emergere dubbi e obiezioni rispetto alla presunta assenza di impatti ambientali, riferiti alla realizzazione non solo delle grandi dighe, ma di ogni tipo di sbarramento e captazione idrica. Allo stato attuale la produzione idroelettrica non è più considerata ad impatto ambientale nullo e conflitti ed opposizioni rispetto alla gestione degli invasi sono sempre più diffusi.

Si pensi ad esempio ai contrasti derivanti dall’uso multiplo della risorsa idrica, alle necessità di rilasci minimi (Minimo Deflusso Vitale) necessari per garantire nei corsi d’acqua un livello di qualità ambientale accettabile, ai contrasti con le associazioni locali, come quelle dei pescatori. Inoltre sono molte le realtà in cui l’intero bacino idrografico risulta pesantemente sfruttato in termini di prelievi e di scarichi (recapito di reflui civili e industriali).

Se da una prospettiva globale la produzione idroelettrica può essere considerata ambientalmente vantaggiosa, in virtù degli equivalenti di combustibile fossile che non vengono bruciati, non si può negare il fatto che le problematiche ambientali vengano trasferite alla piccola scala e, come tali, fortemente sentite dalle popolazioni locali. Inoltre dal momento che per le piccole opere, come nel caso degli impianti mini idroelettrici, la responsabilità decisionale spetta agli enti locali, le opposizioni derivanti dalla percezione di impatti negativi possono esercitare forti pressioni.

Risulta perciò importante la disponibilità di conoscenze obiettive sia sulle reali problematiche ambientali che possono derivare dalla realizzazione di nuovi impianti, sia sulle possibili soluzioni tecnologiche, progettuali e gestionali, che ne garantiscano la compatibilità ambientale.

Per quanto riguarda la potenzialità di sviluppo del mini-idroelettrico in Italia si è ritenuto necessario definire il contesto ambientale anche sotto il profilo normativo (indirizzi e regolamentazioni) ed amministrativo (iter autorizzativi), sia mediante revisione dello stato dell’arte sia attraverso incontri con addetti ai lavori.

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2.2.2 Impatto ambientale degli impianti idroelettrici

Dopo decenni di disattenzione verso le problematiche ambientali, ha cominciato a svilupparsi una cultura della tutela dei corpi idrici con l’emanazione della legge Merli riguardo la regolamentazione degli scarichi. A questa concezione “antropocentrica”, legata essenzialmente alla salvaguardia dell’acqua per il suo sfruttamento potabile ed irriguo, è seguita negli anni più recenti una sempre maggiore attenzione per la tutela ecosistemica dei corpi idrici.

In un approccio ecosistemico il corpo idrico non viene più visto come un “recipiente” che deve contenere acqua in quantità e qualità sufficiente a garantirne l’utilizzo, ma come un sistema complesso, la cui funzionalità dipende dalle interrelazioni tra le diverse componenti biotiche ed abiotiche del fiume e del territorio circostante, e la cui qualità complessiva è giudicata in relazione a quanto si scosta dalle condizioni naturali.

Secondo questa nuova concezione, qualunque tipo di pressione esterna (aumento del carico organico e inquinanti in genere, ma anche alterazioni morfologiche ed idrologiche), provocando effetti su una o più componenti del sistema fluviale, comporta la modifica del funzionamento globale dell’ecosistema. Le relazioni in gioco, come si è detto molto complesse, non sono completamente conosciute e ancor meno è possibile prevedere con certezza il tipo, l’entità e i tempi degli effetti provocati dalle pressioni ambientali. Tuttavia i risultati della ricerca in questo campo concordano sul fatto che, ai fini della sua funzionalità e anche della capacità di “smaltire” i carichi inquinanti che riceve, un corso d’acqua debba possedere caratteristiche morfoidrauliche tali da garantire gli scambi energetici tra i vari comparti.

Tali scambi, che prevedono la produzione primaria di sostanza organica (es. fotosintesi), il suo utilizzo nella rete trofica e la decomposizione (ciclo dei nutrienti), avvengono secondo diverse dimensioni spaziali:

- longitudinale, secondo il gradiente monte-valle

-trasversale, tra il centro e le rive, ma coinvolgendo anche le fasce più esterne (alveo di morbida, alveo di piena, aree di esondazione)

- verticale, tra la superficie e il fondo.

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Tra i diversi modelli concettuali sviluppati nel tempo per schematizzare i processi funzionali del corso d’acqua e la sua struttura ecologica, si citano:

- River Continuum Concept, che considera il corso d’acqua come un gradiente in cui la struttura di un tratto è determinata dagli eventi di monte. Tale modello ha contribuito a sottolineare l’importanza della continuità longitudinale dei fiumi;

- Flood Pulse Concept, che individua nelle variazioni naturali di portata (anche esondazioni) importanti meccanismi di trasporto dei nutrienti;

- Riverin Productivity Model, che tiene conto degli interscambi tra fiume e rive, e dell’effetto della vegetazione riparia.

Interventi antropici, quali la costruzione di sbarramenti, traverse, sponde artificiali, ma anche la regolazione e la riduzione delle portate, possono dunque comportare l’interruzione dei rapporti energetici e l’alterazione dell’ecologia del fiume, anche in tratti non direttamente soggetti a tali pressioni, sia a valle che a monte dello sbarramento. La riduzione delle portate, nel tratto interessato dalla derivazione, può avere come effetto la riduzione di habitat dovuto alla contrazione areale dell’alveo bagnato, ma anche la scomparsa di microhabitat necessari alle funzioni vitali delle diverse specie acquatiche. In particolare di :

- zone a maggiore velocità di corrente, - zone a sufficiente ossigenazione - rifugi per i pesci,

- aree per la riproduzione e deposizione delle uova

E’ in considerazione di tali effetti che è stato introdotto da tempo il concetto di deflusso minimo vitale per i corpi idrici. In particolare l’attuale normativa italiana prevede l’introduzione di coefficienti correttivi che tengano conto delle esigenze ecologiche del tratto fluviale interessato da una sottrazione di acqua.

A valle dello sbarramento l’esercizio dell’impianto può comportare variazioni repentine di portata (denominate hydropeaking) sia nell’alveo sotteso che a valle della restituzione. La messa in asciutta improvvisa di aree bagnate, così come l’improvviso

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innalzamento della portata, può ridurre la capacità di sopravvivenza dei pesci, in particolare degli stadi vitali con minori capacità di reazione (es. avannotti).

Gli effetti nel tratto fluviale a monte dello sbarramento sono legati essenzialmente alla creazione di un habitat poco diversificato, reso uniforme dal rallentamento della corrente con conseguente riduzione della biodiversità.

Per quanto riguarda l’interruzione fisica della continuità fluviale, la presenza di sbarramenti e traverse costituiscono un elemento di impedimento dei movimenti della fauna ittica, che vengono compiuti per la ricerca di: rifugi e nuovi territori, nutrimento, aree idonee alla riproduzione, migliori condizioni chimico-fisiche (in relazione alla variazione, anche stagionale, della qualità dell’acqua).

In sintesi i diversi effetti che possono essere determinati sul corpo idrico fluviale dalla realizzazione di una derivazione d’acqua possono essere così riassunti:

- Effetti a valle legati alla regolazione della portata: · riduzione dell’habitat disponibile complessivo · riduzione della varietà di habitat e della biodiversità

· evoluzione indesiderata della vegetazione (nell’alveo messo in asciutta) · interruzione della continuità idraulica

· variazioni repentine di portata (hydropeaking)

- Effetti a monte legati alla regolazione delle portate (effetto diga): · riduzione della varietà di habitat e della biodiversità

- Interruzione fisica della continuità fluviale :

· alterazione del trasporto monte-valle di nutrienti e organismi · alterazione del trasporto torbido

· impedimento delle migrazioni della fauna ittica

L’entità reale degli impatti dipende, oltre che dalle caratteristiche dell’impianto, dalle caratteristiche del corpo idrico quali:

−morfologia: a parità di portata, la morfologia dell’alveo (larghezza, pendenza, scabrosità del fondo) determina la presenza di habitat più o meno funzionali a sostenere la vita acquatica (in particolare della fauna ittica).

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−vocazione ittica: ovvero le specie di pesci che colonizzerebbero il corpo idrico in condizioni indisturbate. Specie diverse richiedono habitat differenti e possono essere diversamente esigenti o vulnerabili ad alterazioni idrauliche e morfologiche (ad esempio pesci che risalgono o discendono i fiumi per esigenze riproduttive).

−presenza di altre pressioni: se su un corpo idrico insistono altre pressioni che tendono ad alterarne lo stato qualitativo o funzionale (tipicamente carichi inquinanti) il prelievo di acqua da parte di un nuovo impianto può peggiorare ulteriormente la situazione (anche per effetti sinergici) sino a livelli inaccettabili.

Le problematiche sinora esposte sono legate alle alterazioni di carattere idromorfologico e pertanto comuni a tutte le opere di captazione idrica, indipendentemente dalla finalità. Rappresentano la motivazione che ha innescato la discussione in tema di rilasci minimi vitali, che ancora non ha visto una completa risoluzione del problema.

Altri possibili effetti ambientali sono legati alla presenza dell’impianto idroelettrico, ovvero alla realizzazione e al funzionamento delle strutture che lo compongono (turbine, condotte, infrastrutture).

Il passaggio dell’acqua attraverso l’opera di presa, le condotte e le turbine, può causare danni alla fauna acquatica e l’aumento della mortalità in particolar modo per la fauna ittica (schiacciamento contro le griglie dell’opera di presa, urti, variazioni di pressione, ecc.). Altre sorgenti di impatto sono legate all’interazione delle strutture con il territorio. Come per altre opere civili sono da tenere in considerazione la variazione dell’uso del suolo, del paesaggio, della fruizione turistica e del rumore.

Tralasciando gli impatti in fase di cantiere, limitati nel tempo, le possibili interazioni con l’ambiente di un impianto idroelettrico in esercizio, sono presentate sinteticamente nella tabella seguente:

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Tab. 2.1 Problematiche ambientali del mini-idroelettrico

Per quanto riguarda le problematiche ambientali del mini idroelettrico esistono documentazioni tecnico-scientifiche specifiche ed in particolare dei documenti prodotti dall’European Small Hydropower Association (ESHA) per la Commissione delle Comunità Europee (Direttorato Generale per l’Energia). Si tratta di documenti guida per la realizzazione dei piccoli impianti, nei quali sono presi in considerazione i diversi aspetti ambientali potenzialmente coinvolti sia in fase di costruzione che di esercizio delle diverse soluzioni impiantistiche, e le possibili opere di mitigazione.

Dall’analisi di tale documentazione è emerso che in generale le implicazioni ambientali valide per la grande produzione idroelettrica possono essere trasferite agli impianti di piccola taglia in misura proporzionale. In linea teorica le modeste dimensioni consentono di risolvere i problemi (riduzione delle pressioni e degli impatti) con una maggiore facilità, anche se tipologia e severità degli impatti sono strettamente dipendenti da caratteristiche sito-specifiche e le soluzioni impiantistiche non possono essere definite in modo univoco.

Esistono tuttavia alcune criticità legate più specificatamente al mini-idroelettrico, in particolare:

−Sensibilità del corpo idrico: molti siti potenziali di mini-idro sono localizzati in aree sensibili (ad esempio parchi ed aree protette).

−Maggiore dispersione degli impianti e conseguente difficoltà di controllo.

−Sovrasfruttamento dell’asta fluviale: necessità di regolamentare tutte le derivazioni in modo da garantire i rilasci minimi (DMV). Sono molte le realtà in cui l’intero bacino idrografico risulta fortemente sfruttato in termini di prelievi e di scarichi, anche incontrollati.

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−Impatto indebito: ovvero se l’impianto non è giustificato dal punto di vista della richiesta energetica, qualunque impatto, di qualunque entità non è ammissibile.

Come per tutti gli altri tipi di produzione (si pensi ad esempio al termoelettrico) anche per l’idroelettrico vale il principio che a parità di energia prodotta la centralizzazione della produzione in impianti di grande taglia è maggiormente controllabile rispetto ad uno scenario costituito da una moltitudine di piccoli impianti (migliore modulazione dei rilasci a valle, maggiore efficienza di sfruttamento della risorsa idrica) (Forneris et al, 1990).

Tuttavia nel contesto energetico attuale si è arrivati a considerare importante, almeno come soluzione nel breve periodo, il contributo offerto dallo sfruttamento della risorsa idrica residua, sotto forma di impianti idroelettrici di piccola e piccolissima dimensione.

In uno studio svolto per la Regione Lombardia dal Consorzio Universitario in Ingegneria per la gestione di impresa – Politecnico di Milano (1995), a valle dell’analisi energetica della Lombardia si concludeva che “il fatto che il contributo delle piccole derivazioni alla copertura dei fabbisogni regionali sia limitato non implica alcuna valutazione in merito alla loro utilità nell’ambito dell’economia locale” ma che al contrario il consumo di energia elettrica prodotta nelle vicinanze possa contribuire allo sviluppo locale.

La carenza energetica costituisce dunque una forte motivazione a sostegno del ricorso ad una generazione distribuita meno controllabile.

Nel campo del mini-idroelettrico esistono inoltre diverse tipologie di impianto prive di impatto sulla componente fluviale in quanto sfruttano acqua al di fuori da contesti naturali o installati in ambienti già altamente modificati:

· canali artificiali

· scarichi da dighe (sfruttamento del rilascio minimo vitale) · acquedotti

· impianti di depurazione

2.2.3 Mitigazione degli impatti

La maggiore attenzione alle problematiche ambientali e l’approfondimento delle conoscenze scientifiche sul funzionamento degli ecosistemi acquatici, hanno agito sullo sviluppo

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tecnologico e ingegneristico, consentendo di migliorare la compatibilità ambientale degli impianti.

Esistono molteplici soluzioni progettuali che consentono di minimizzare se non di azzerare l’impatto ambientale, la cui applicabilità, o opportunità di applicazione, devono essere valutate in modo sito-specifico, essendo strettamente dipendenti dalle caratteristiche idromorfologiche, ecologiche del corpo idrico e del contesto territoriale di ubicazione.

Non entrando nel dettaglio delle singole alternative, per le quali si rimanda alla letteratura tecnica specialistica (ad esempio i manuali pubblicati dall’European Small Hydropower Association e disponibili sul sito www.ESHA.be) si propone nel prospetto che segue una sintesi delle possibili soluzioni adottabili per ciascuna tipologia di impatto.

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Come visto nel paragrafo precedente, gli aspetti più critici riguardano la derivazione d’acqua e l’interruzione della continuità fluviale. Per quanto riguarda l’alveo sotteso, ovvero il tratto di fiume compreso tra la derivazione e la restituzione, l’impatto può essere minimizzato con:

1.Definizione di un regime di deflusso residuo che tenga conto della reale situazione morfoidraulica ed ecologica del tratto (DMV calcolato con metodi sito specifici, prevedendo, laddove necessario, un regime modulato nell’anno, in funzione della variazione stagionale dell’esigenza d’habitat della/e specie ittiche di interesse);

2.Modifiche della struttura dell’alveo per incrementare la superficie di habitat disponibile, ad esempio restringimento dell’alveo, creazione di pool e rifugi, aumento dell’ombreggiatura e protezione delle sponde dall’erosione mediante rivegetazione delle rive (ingegneria naturalistica con utilizzo di elementi naturali o artificiali). E’ da notare che queste modifiche possono contribuire a una riduzione del DMV laddove esso sia stato stabilito con metodi sperimentali. I costi associati a questi interventi possono essere controbilanciati da un aumento della producibilità.

La mitigazione degli impatti dovuti all’interruzione della continuità fluviale può essere risolta tecnicamente con la realizzazione dei passaggi artificiali per i pesci. Questo è un aspetto molto critico, nonostante anche dal punto di vista normativo in Italia esista da decenni l’obbligo di realizzazione per ogni opera di sbarramento, di idonee strutture per la migrazione della fauna ittica. Sul territorio nazionale poche sono le strutture effettivamente realizzate e ancora meno quelle funzionanti.

La mancata funzionalità di un passaggio artificiale può infatti essere dovuta a :

- Carenze progettuali (ad esempio dislivello eccessivo tra bacini successivi, errato collocamento dell’imbocco, mancanza di organi di regolazione delle portate).

- Mutamenti dell’alveo.

- Mancata manutenzione (ostruzione dell’imbocco o del passaggio).(Larinier, 1992).

Nell’ambito di un’indagine di Ricerca di Sistema riguardante l’uso dei passaggi artificiali per gli sbarramenti idroelettrici (Ceradini, 2000), è stato rilevato che delle 33 strutture individuate (quasi tutte localizzate su corsi d’acqua alpini), molte non risultavano fruibili a causa di interrimento o inghiaiamento della struttura.

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Lo stato di pulizia del passaggio non è comunque garanzia di funzionalità.

Tra le osservazioni riportate nello studio citato, si sottolineava che di norma non sono adottate misure per la verifica della funzionalità dei passaggi realizzati; nello specifico è apparso deficitario nel nostro paese il ricorso a nuove soluzioni tecnologiche per il monitoraggio in continuo del passaggio di fauna ittica, come trasmettitori, lettori ottici o magnetici che sono ampiamente utilizzati in Francia, Inghilterra e soprattutto Stati Uniti. La buona funzionalità di una scala di risalita richiede un’approfondita conoscenza del sito specifico, il ricorso a competenze multidisciplinari in fase di progettazione e, in fase di esercizio, interventi di manutenzione per garantirne l’efficienza nel tempo.

Elementi di approfondimento della tematica dei passaggi artificiali - progettazione, verifica sperimentale, casi applicativi si possono trovare in “FAO & DVWK 2002. Fish passes: Design, dimension and monitoring”.

Lo sviluppo tecnologico attuale e le conoscenze scientifiche in campo ambientale, consentono di realizzare impianti mini-idroelettrici a ridottissimo impatto ambientale.

In linea teorica l’adozione della migliore soluzione per ciascuna componente dell’impianto consente la realizzazione di un’opera a impatto ambientale estremamente basso. E’ altresì vero che in questo modo i costi di realizzazione possono diventare tali da rendere l’operazione economicamente insostenibile, se non in presenza di incentivazioni:

- Costo o tempi delle indagini richieste per la valutazione del progetto (VIA, sperimentazione DMV, etc.).

- Costi e tempi di realizzazione delle opere necessarie alla mitigazione degli impatti.

- Costi di manutenzione delle strutture di mitigazione e controllo (passaggi per i pesci, registratori di portata,….).

L’adozione delle varie soluzioni necessarie per mitigare gli impatti può avere un’incidenza sui costi di realizzazione proporzionalmente maggiore man mano che diminuisce la taglia dell’impianto stesso.

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27 2.2.4 Il contesto normativo italiano

Per quanto riguarda la normativa, il contesto in cui si colloca lo sviluppo del mini idroelettrico è formato essenzialmente dalle direttive e leggi in materia di risorse energetiche e in materia di tutela delle acque.

In particolare lo scenario attuale è caratterizzato dalla coesistenza di politiche potenzialmente in contrasto: da una parte infatti la liberalizzazione del mercato dell’energia (Decreto Bersani) e l’incentivazione della generazione da fonti rinnovabili (D.lgs. n. 387/2003 in attuazione della direttiva 2001/7) costituiscono le basi per l’incremento di richieste di nuovi impianti (o ripristino di impianti dimessi) da parte di privati e della pubblica amministrazione; dall’altra gli obiettivi di tutela promossi dalla Direttiva europea sulle acque (WFD 2000/60) e dalla normativa italiana (Decreto legislativo 152/99 e 152/2006), orientati alla riqualificazione ecologica dei fiumi, tendono a rendere più restrittive le modalità di sfruttamento della risorsa idrica.

La definizione degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici dovrebbe essere contenuta, ai sensi della 152/99, nei Piani di Tutela delle Acque (PTA), documento programmatico che dovrebbe contenere gli indirizzi regionali anche in materia di limitazione delle pressioni, risparmio idrico, salvaguardia degli ecosistemi acquatici. In particolare il rispetto del deflusso minimo vitale, pur subordinato agli usi potabili e irrigui, trova posto tra gli obiettivi primari della tutela della risorsa idrica.

Tab. 2.3 Flusso di priorità nella tutela quantitativa dell'acqua.

2.2.5 Deflusso Minimo Vitale - DMV

Il riferimento normativo in materia di tutela quantitativa delle acque è il Dlgs 152/99 (ripreso dal recente Testo Unico Ambientale Decreto legislativo 152/2006), che prevede la definizione del DMV nell’ambito della pianificazione del bilancio idrico.

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La finalità del DMV è quello di garantire la compatibilità del prelievo richiesto con le condizioni ambientali del corso d’acqua stabilite dal PTA.

Le tappe normative che hanno portato alla regolamentazione italiana sul DMV sono riportate nel riquadro seguente:

Tab. 2.4 Cronologia normativa sul deflusso minimo vitale in Italia.

Nel decreto sono individuati i campi di applicazione del Deflusso Minimo Vitale e la ripartizione delle competenze per la sua implementazione sul territorio:

−la competenza tecnica per l’individuazione dei criteri di definizione del DMV spetta all’Autorità di Bacino (nell’ambito della specifica competenza di pianificazione del bilancio idrico). L’AdB dà inoltre parere vincolante per l’approvazione definitiva del Piano di Tutela delle Acque;

−la competenza normativa spetta alle Regioni che introducono la regolamentazione DMV nel Piano di Tutela delle Acque e/o in successivi decreti o regolamenti attuativi;

−la competenza amministrativa, ovvero la comunicazione del valore di DMV al concessionario della derivazione, spetta all’autorità competente al momento del rilascio della concessione.

Allo stato attuale la definizione dei valori di DMV non è ancora completata per tutte le realtà regionali.

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Nell’ambito dei PTA già approvati è spesso rimandata a regolamenti da emanare a valle di studi specifici. Per approfondimenti sullo stato di implementazione del DMV si rimanda al Rapporto RdS n° 07000578 (Maran et al., 2006).

In questa sede si sottolinea che la regolamentazione del DMV prevede per le nuove derivazioni l’installazione di dispositivi di misura per il controllo delle portate rilasciate. I Costi di installazione e gestione sono a carico del concessionario.

2.2.6 Il quadro autorizzativo italiano

Per la concessione di nuovi impianti è necessario fare riferimento da una parte alla normativa per l’installazione e la gestione di impianti di produzione, dall’altra a quella per la concessione delle derivazioni.

Nello specifico:

- DLgs n° 112/98, sul conferimento di funzioni, soprattutto amministrative, alle Regioni e, più limitatamente, agli Enti Locali. All’art. 31, ha attribuito alle Province la competenza per il rilascio dell’autorizzazione all’installazione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia di potenza inferiore a 300 MW. In base a questa legge (ripresa nella legislazione di molte regioni), tutte le province delle regioni a statuto semplice e quelle del Friuli, hanno competenza autorizzativa per impianti di produzione <300 MW;

- DLgs n° 387/2003 “attuazione della direttiva 2001/77, relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”. In base a tale decreto lo Stato provvede a definire obiettivi indicativi nazionali di energia verde, mentre la ripartizione regionale (ovvero la quota di energia da fonti rinnovabili che ciascuna Regione dovrà raggiungere) è demandata alla Conferenza Unificata;

- essendo il D.lgs 387/2003 finalizzato alla sola costruzione ed esercizio degli impianti la concessione della derivazione è disciplinata da R.D. 1775/1933. In base a tale normativa l’istruzione della pratica di rilascio della concessione deve essere fatta in regime di concorrenza.

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Da notare che né il DLgs n° 112/98, né le leggi regionali, hanno regolato l’iter che le Province avrebbero dovuto seguire, né hanno fornito indicazioni o principi, che potessero in qualche modo orientare i procedimenti in un’ottica di semplificazione e snellimento.

Il rilascio delle concessioni prevede la valutazione di compatibilità ambientale delle opere in progetto. La normativa di riferimento che disciplina le procedure di valutazione è il D.p.r. 12 aprile 1996. “Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dall'art. 40 comma 1, della legge n° 146/1994, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale.” Il decreto (e le successive modifiche e provvedimenti d.p.c.m. 3.09.99 e d.p.c.m. 1.09.00), individua le competenze per la valutazione di impatto ambientale per ciascuna tipologia di opera e il tipo di procedura da applicare.

Nello specifico:

- Per le piccole derivazioni (dighe di altezza inferiore a 10m o volume di invaso inferiore a 100.000 mc) e per gli impianti di produzione inferiore a 30 MW, la competenza è trasferita alle Regioni e Province autonome.

- Ogni derivazione di portata superiore a 200 l/s deve essere sottoposta a una procedura di verifica.

- A seguito di domanda di concessione è pertanto prevista l’istruzione di una procedura di verifica, per ciascuna derivazione (e opere connesse) di portata superiore ai 200 l/s.

- In caso di esito negativo a valle della procedura di verifica, l’opera deve essere sottoposta a procedura di V.I.A. regionale.

L’individuazione della procedura è anche determinata dalla sensibilità dell’area in cui viene situata. La localizzazione anche parziale di un’opera in un’area naturale protetta (ai sensi della L.394/91) determina:

· l’assoggettamento automatico a V.I.A. regionale delle opere soggette a verifica;

· la riduzione del 50% delle soglie dimensionali per l’assoggettamento sia a verifica che a V.I.A. regionale.

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2.3 LE PRINCIPALI DIFFICOLTA’ DEL MINI-IDROELETTRICO

Nonostante il mini-idro sia una tecnologia per produrre energia rinnovabile, senza emissioni inquinanti e a basso impatto ambientale, la burocrazia e le complesse procedure amministrative rischiano di rallentare il processo di sviluppo. Molte autorizzazioni per l’uso dell’acqua, infatti, sono in attesa di approvazione, soprattutto per supposti problemi di tipo ambientale.

Principali difficoltà per la realizzazione di nuovi impianti di produzione di energia elettrica, anche idroelettrica, riguardano la scarsa accettabilità sociale (nimby – not in my back yard) e l’accesso ai finanziamenti.

Nel primo caso si tratta di un fatto culturale che può essere risolto attraverso campagne informative sempre più mirate che creino una conoscenza diffusa delle tecnologie energetiche, soprattutto rinnovabili, e attraverso lo studio di soluzioni per migliorare l’impatto ambientale e visivo degli impianti. Nel secondo caso, solo un’accurata strutturazione finanziaria dell’operazione può garantire copertura del debito e ritorni economici in tempi accettabili. Tuttavia, i costi di gestione per impianti mini-idro sono piuttosto bassi (2.500 ÷ 3.500 €/MW) rispetto alle altre fonti rinnovabili e le ore equivalenti annue sono nella media (~3-5.000).

2.4 INCENTIVI E NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Per poter essere competitivo sul mercato il mini-idro, come le altre rinnovabili, necessita di una serie di incentivi. L’Italia nel corso degli anni ha approvato alcune leggi atte a favorire lo sviluppo di fonti rinnovabili sul territorio nazionale. Tra queste le prime da citare sono la Legge 9 gennaio 1991 che disciplina la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e identifica gli impianti stessi come opere di “pubblica utilità” e il provvedimento numero 6 del 29 aprile 1992 del Comitato Interministeriale Prezzi.

Il provvedimento, meglio conosciuto come CIP 6, prevedeva che l’energia prodotta da impianti a fonti rinnovabili venisse acquistata dal GRTN ad un prezzo incentivante.

Il Decreto Legislativo n° 387 del 2003 di recepimento delle Direttiva Europea 2001/77/CE stabilisce che l’energia prodotta da impianti a fonti rinnovabili ha priorità di dispacciamento. Quindi sulla piattaforma di negoziazioni della Borsa Elettrica l’energia rinnovabile deve

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essere obbligatoriamente acquistata prima dell’energia prodotta con fonti convenzionali. Lo stesso Decreto 387 stabilisce all’articolo 12 l’introduzione di una autorizzazione unica per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili.

Le regioni sono quindi responsabili, entro 30 giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione, di convocare la Conferenza dei servizi con tutti i soggetti interessati al fine di rilasciare l’autorizzazione entro 180 giorni.

Con questa disposizione si semplifica l’iter burocratico consentendo un ampio risparmio di costi e soprattutto una diminuzione del rischio. La Legge 23 agosto 2004 n° 239, detta anche Decreto Marzano di “Riordino del settore energetico”, conferma le intenzioni del Governo di incentivare le fonti rinnovabili attraverso il meccanismo dei Certificati Verdi. La Delibera 34/05, modificata con la delibera 49/05, garantisce agli impianti a fonti rinnovabili minori di 10 MWp la cessione dell’energia elettrica prodotta ad una tariffa incentivante fissata dal GRTN.

Gli importatori ed i produttori di energia da fonti non rinnovabili hanno l’obbligo di immettere nel sistema nazionale una quota di energia proveniente da impianti a fonti rinnovabili. I produttori e gli importatori possono adempiere all’obbligo anche acquistandole quote e i diritti (Certificati Verdi) da altri produttori, i cui impianti siano riconosciuti come impianti da fonti rinnovabili (IAFR – Impianto A Fonte Rinnovabile). Grazie all’introduzione di questo meccanismo un impianto a fonti rinnovabili ha diritto di ricevere annualmente per i primi 8 anni di attività – recentemente innalzati a 12 anni grazie al nuovo Codice Ambientale promulgato il 3 aprile 2006 - un certificato verde ogni 100 Mwh (ridotto dapprima a 50 MWh e poi dal 1 gennaio 2008 ulteriormente calato a 1MWh ) di energia prodotta. Il prezzo del certificato è definito dal mercato, il limite superiore è fissato dal GTRN.

In alternativa ai Certificati Verdi i gestori degli impianti di taglia inferiore al Mw possono scegliere di vendere l’energia prodotta senza il meccanismo dei certificati verdi ad una tariffa fissa onnicomprensiva di 22 € cent/kWh.

Per quanto riguarda l’assoggettabilità alla procedura di VIA, accanto alle soglie dimensionali sulle opere (dighe >10m) e sui volumi d’acqua invasati (>100.000 m3) o derivati (200 l/s) già previsti dalla precedente disciplina, vengono introdotte delle soglie specifiche per l’utilizzo energetico delle risorse idriche, riferite direttamente alla potenza degli impianti:

−centrali per la produzione di energia idroelettrica con potenza di concessione superiore a 30 MW, incluse le dighe ed invasi direttamente asserviti (Allegato II - VIA di competenza statale);

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−impianti per la produzione di energia idroelettrica con potenza installata superiore a 100 kW (Allegato IV - verifica di assoggettabilità di competenza delle Regioni e delle Province Autonome). Per quanto concerne invece la gestione delle risorse idriche viene chiarito che “nelle more della costituzione dei distretti idrografici (..) e della revisione della relativa disciplina legislativa con un decreto legislativo correttivo, le autorità di bacino di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183, sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del decreto correttivo”

2.5 INVESTIRE NEL MINI-IDROELETTRICO

Investire nel mini-idro non apporta solo benefici ambientali perché non richiede l'utilizzo di combustibili fossili e non richiede invasi e opere in muratura molto invasive, ma anche benefici economici in quanto i tempi di ritorno dell’investimento sono piuttosto brevi. Infatti, per i piccoli impianti, grazie alle tariffe incentivanti attuali, il tempo di ritorno è mediamente inferiore ai 5 anni, inoltre si associa una lunghissima vita operativa (sono ancora in funzione impianti realizzati a fine ‘800).

Prima di pensare ad un investimento nel piccolo idroelettrico è opportuno considerare attentamente i rischi e gli strumenti di mitigazione.

I problemi più comuni riguardano il processo autorizzativo, le variazioni delle portate dei corsi d’acqua, il prezzo dell’energia elettrica e i costi operativi.

I primi due punti critici possono essere mitigati attraverso la realizzazione di uno studio preliminare completo ed un’analisi storica delle portate e lo studio idrologico.

Il rischio di variazione del prezzo di cessione dell’energia elettrica è pressoché inesistente perché gli impianti miniidroelettrici cedono l’energia direttamente al GRTN ad una tariffa fissa. Inoltre non si prevede una diminuzione del prezzo dei Certificati Verdi nel medio periodo.

I costi operativi possono essere fissati con contratti a lungo termine e possono essere mantenuti molto bassi grazie a tecnologie di telecontrollo e all’automazione degli strumenti di manutenzione.

Figura

Tab. 2.1  Problematiche ambientali del mini-idroelettrico
Tab. 2.2  Problematiche ambientali del mini-idroelettrico
Tab. 2.4  Cronologia normativa sul deflusso minimo vitale in Italia.

Riferimenti

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