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La Mousiké nell'antica Grecia

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CAPITOLO 1

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I Greci con il temine mousiké indicavano un complesso sistema comunicativo - tra i più alti di una comunità civile - che comprendeva la parola poetica cantata e recitata, il suono degli strumenti (a fiato, a corde, a percussione) e la danza. Il poeta era egli stesso il compositore musicale della sua opera e il coreografo della danza.

Nell'antichità non esiste il concetto di musica come tipo differenziato d'arte. Musica (mousiké) è un aggettivo, e significa " (arte) delle Muse"1. Il termine italiano "musica" e il corrispettivo

in altre lingue, corrisponde solo in parte alla parola antica.

Storicamente in Grecia l'insegnamento della mousiké precedeva l'apprendimento della lettura e della scrittura; imparare a suonare uno strumento musicale era considerato la base dell'educazione di

ogni individuo libero.2

Dunque la mousiké era un elemento importante della vita sociale dei Greci e permeava tutte le occasioni della vita comunitaria, dal simposio alle celebrazioni festive e agli agoni atletici, dai rituali religiosi alle terapie mediche fino all' educazione dei giovani. A tal proposito, Aristotele, facendo eco alle teorie dell' etica musicale già affermate da Pitagora, Damone e Platone, osserva che la musica può

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Carapezza 2004, p.7 2

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esercitare influssi sui caratteri dell'animo e quindi è necessario accostarle i giovani (cfr. Aristotele, Politica, v.1340b). In un altro passo egli annota che le funzioni della musica sono il gioco, il divertimento, l' educazione (paideia) e la purificazione (katharsis); quindi lo studio della musica da parte dei giovani è in funzione del divertimento che potranno ricavarne quando saranno adulti (cfr. Aristotele, Politica, v. 1339a, 1340b). Uno dei luoghi privilegiati, non solo per l'esecuzione delle melodie tradizionali, ma anche per la sperimentazione di quelle nuove e "trasgressive" nell'intento di valutarne gli effetti psicagogici sull' uditorio e di formulare l'

eventuale condanna, era il simposio3.

La musica greca fu essenzialmente orale: fin dalle origini gli strumenti furono costantemente uniti alla voce e quando se ne distaccavano era per riprodurre delle melodie vocali. La voce cantante si differenziava dalla parlante - ci insegna Aristosseno - per la precisa intonazione delle sillabe sui gradi d' una scala di suoni prefissata, e per l'esatta misura dei rapporti di durata. La musica consisteva quindi nella realizzazione sonora della poesia, nell' esplicazione artisticamente controllata degli atti linguistici, di determinati percorsi verbali4.

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Gentili - Pretagostini 1988, p. 7 4

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La stessa tradizione orale sottolinea come la musica venisse fissata mentalmente solo dopo averla ascoltata, o meglio ancora, eseguita. Essa veniva composta per essere eseguita nell' hinc et hunc di occasioni ben specifiche, spesso determinate dalla committenza, e nelle quali anche l'interprete (specialmente nella musica strumentale) godeva di ampi margini d'improvvisazione; a tal proposito possiamo affermare come, in una trasmissione orale - aurale, memorizzare le parole contribuiva a ricordarne la melodia e viceversa; infatti non possiamo neanche sperare su ritrovamenti di musica arcaica o classica, visto che a quei tempi non si sentiva

alcun bisogno di notazione musicale.5 Nelle fonti iconografiche non

si trovano infatti esempi di cantori o strumentisti che leggono spartiti musicali.

Inoltre, occorre chiarire che in generale le composizioni erano destinate ad un'unica esecuzione e che perciò non si sentiva l'esigenza di conservarne le musiche. E' solo agli inizi del V secolo che, ad Atene, si affermano le prime scuole di musica; anche se non esistevano strutture pubbliche, e l’insegnamento non era obbligatorio6. 5 Meriani 2003, pp. 6-7 6 Beschi 2003, p 3

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Nei più vari tipi di celebrazione i Greci di ogni classe sociale godevano della musica anche come tεχνή, “l’arte delle Muse” in cui il giovane, atto a diventare un mousikos, veniva formato a saper praticare quest'arte e allo stesso tempo ad essere in grado di recepire il messaggio di una cultura che veniva proposta dai poeti, nei canti per le feste come nelle opere drammatiche, attraverso la parola, che si univa più volte strettamente alla musica e talora all'azione

gestuale.7 Tutto quello che sappiamo dei Greci è filtrato attraverso il

gigantesco naufragio della maggior parte della loro "produzione culturale". I documenti scritti che abbiamo sono forse il 5%, forse il 10% di quelli che si potevano trovare nelle biblioteche di Pergamo o di Alessandria; nelle arti figurative, la pittura, che aveva un ruolo centralissimo, è interamente perduta.

Dal patrimonio figurativo dell'antichità, in altri termini, abbiamo oggi probabilmente meno dell' 1% o 2%; mentre i resti di oggetti musicali sono meno dell'uno per mille.

La musica non era intesa come qualcosa di aggiuntivo, ma come un'arte che, coinvolgendo emotivamente più di ogni altra, doveva aiutare a comprendere le altre.

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1.1 CENNI DI ORGANOLOGIA

Qualsiasi comprensione dei testi che parlano di musica richiede una certa familiarità con la natura degli strumenti musicali usati dai Greci.

Possiamo distinguere gli strumenti in tre gruppi principali: strumenti a corda, a fiato e a percussione.

Tra gli strumenti a corda, possiamo ancora individuare altri criteri di distinzione: troviamo strumenti con corde di uguale lunghezza (la famiglia della lyra), strumenti con corde di lunghezza diversa (le arpe) ed infine strumenti con manico e corde tastate.

Lo strumento più usato e riconosciuto come nobile per eccellenza, adatto agli uomini liberi, era la lyra (e gli strumenti ad essa affini), la cui costruzione è descritta nei dettagli nell'inno omerico a Ermes (vv. 39-51).

Per indicare questo strumento troviamo, nei testi greci, termini diversi: accanto a lyra, phórminx, bárbitos e kíthara. Secondo i commentatori antichi, si tratta di strumenti distinti per alcune caratteristiche (o piuttosto, di "versioni" distinte dello stesso strumento), ma nei testi letterari greci i termini sono usati abbastanza indistintamente.

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In ogni caso, tutti e quattro gli strumenti consistevano in una cassa di risonanza, alla quale erano fissati due bracci, uniti in alto da un'asticella trasversale (Fig. 1-2). Le corde erano solitamente in budello animale ritorto; erano di uguale lunghezza, differendo soltanto in spessore e tensione, e si estendevano da un attaccatura al fondo della cassa, passando sopra un ponte, all'asticella trasversale, alla quale erano fissate da strisce di cuoio (chiamate kóllopes). Queste strisce erano attorcigliate intorno all'asticella per regolare la tensione delle corde. Lo strumento era imbracciato dall'esecutore in varie posizioni, ma sempre nella parte sinistra del corpo, a volte sostenuto da una fascia di tessuto. Solitamente si suonava con un grosso plettro (tenuto dall'esecutore nella mano destra); le dita della mano sinistra erano usate sia per pizzicare le corde, eseguendo figure melodiche, sia per smorzare le corde che non dovevano risuonare quando il plettro le percorreva tutte. Gli strumenti del periodo più antico avevano tre o quattro corde; il numero fu poi aumentato a sette e questa divenne la norma verso il VII secolo a. C., anche se i musicisti professionisti nel VI e specialmente nel V secolo ne aggiunsero ancora (fino a undici-dodici, ma era un fatto eccezionale e considerato scandaloso dai conservatori, cfr. cap. II ). Gli strumenti ordinari continuarono ad avere sette o otto corde.

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Il bárbitos o bárbiton invece, considerato da Pindaro come uno

strumento dalla tonalità bassa8, può essere immaginato come una

lyra allungata e leggermente modificata: la sua cassa di risonanza

rimaneva di piccole dimensioni, ma la maggiore lunghezza dei suoi bracci consentiva allo strumento un tono più grave e un suono più pieno. Celebri studiosi del passato hanno voluto riconoscere questo tipo di lyra come il barbitos di Anacreonte e dei poeti di Lesbo, basandosi principalmente sullo splendido cratere di Monaco che mostra Alceo e Saffo, entrambi reggenti lo strumento9 (cfr. scheda

n.3). A tal proposito, c'è da dire tra le tante ipotesi, che venne considerato come invenzione di Terpandro per poi essere adottato dai poeti lirici di Lesbo, quali appunto Saffo e Alceo.

Il bárbitos solitamente caratterizza le scene in cui il vino compare come elemento centrale: scene di libazione, che si svolgono alla presenza di Dioniso e processioni in cui è enfatizzata la presenza di piccoli vasi per bere il vino, come lo skyphos e il kantharos10.

Si evince, quindi, che era uno strumento associato soprattutto ai riti dionisiaci tant'è vero che, nelle pitture vascolari, è suonato

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Gentili-Pretagostini 1988, p.99 9

Cfr. Lyra, in RE 1897, p. 1440 (tra questi Winckelmann, Gerhard, Jahn) Winckelmann lo riconosce principalmente sui vasi a figure rosse e, dopo di

lui, non abbiamo altre ipotesi atte a sostituire la sua tesi. 10

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solitamente da satiri e da altri personaggi appartenenti alla sfera dionisiaca.

Da questa riflessione si deduce che non è lo strumento musicale di per sé a determinare la funzione, o qualsivoglia il carattere di una scena, ma il tipo di musica che con questo si suona.

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Figura

Fig. 1: la famiglia delle lyrai
Fig. 2: lyra ricavata da guscio di tartaruga

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