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I DIRITTI DEGLI UOMINI

Putnam’s Magazine, febbraio 1869 Ho sempre avuto un’inclinazione perversa per il rovescio della medaglia, soprattutto se ha dei risvolti negativi. A nessuno piace essere completamente schiacciato, neanche dalla verità. Cosa succederebbe se tutto il mondo, e anche i nostri sensi, dicesse che lo scudo è d’argento? Vorremmo ancora di più strisciare verso quel solitario angolo buio, laggiù, e guardarlo con gli occhi dell’unico povero fantasma che dice che è d’oro.

Per esempio: la questione dei Torti alle Donne, o delle Necessità delle

Donne1, come preferisco chiamarlo. È una verità così lampante, così importante

che è troppo tardi per discuterne. Trova tacite e terribili parole da sé negli occhi invidiosi e smaniosi delle donne smagrite che la sera si accalcano sulle porte delle botteghe da rigattieri e degli arsenali; in quell’altra moltitudine di donne, nate

virtuose come voi o me, che, a tarda notte, stanno agli angoli delle strade, e

aspettano, aspettano; in ogni giovane e dolce ragazza che mette il proprio corpo e la propria anima sul mercato, in cerca di marito. Questa per me è una tragedia più reale di qualunque altra nella vita. Ma la sua realtà a volte ci opprime: ci toglie il respiro come la confusa crudeltà di Amleto. Non c’è più al mondo una commedia morale? Il cuore guarda le donne con così tanta pena, che è un sollievo volgersi

agli uomini tiranni, accusati di tutta quella miseria, per vedere se hanno un

argomento a loro difesa. Ho un amico, un ragazzo sensibile, con semplici idee

pratiche convenienti allasua vita, convinto che gli uomini stiano rischiando, a loro

volta, di perdere alcuni dei propri diritti. La sua opinione è di grande importanza perché penso che lui rappresenti gli uomini moderati e tranquilli che lasciano le discussioni sull’argomento a quelli che ci lusingano e ci scherniscono, o scatenano nelle donne leader del Movimento dei Diritti le ire più feroci con coccole e idiozie, trattandole come bambine capricciose.

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Il mio vicino, John, non ha nessun dono o virtù tramite cui poter influenzare la sua epoca. Non ha la mania di voler lasciare impronte sulla sabbia del tempo. È come la maggior parte dei ragazzi negli stati centrali, di intelletto mediocre, ma ben intenzionati e laboriosi, che sperano di fare una discreta fortuna, diventare buoni cittadini, mariti e padri, e andare avanti nella vita con onore e onestà. La prossima settimana si metterà in affari in proprio, in piccolo, giù al molo.

“Finora tutto bene”, dice “Quando ci sono di mezzo gli uomini, la vita va abbastanza bene. Se il mio nemico è un uomo, o lo batto io o mi batte lui; se è un mio amico, gli do una mano quando posso, gli presto soldi quando ne ha bisogno, sono cortese con le sue donne, e, senza lacrime o effusioni, provo un profondo dolore quando muore. Ma invece le donne: hanno reso i vecchi punti di riferimento una palude sotto i nostri piedi. Immagino che sia assurdo e che sia colpa della vecchia tirannia maschile in me, ma vorrei sapere: come dovrei comportarmi con loro? Cosa dovrebbe essere mia moglie per me, o io per mia moglie?

È un momento di transizione per le donne, rispondo.

“Transizione? Sì, davvero! Da quando ho iniziato a prestare attenzione alla storia dei torti subiti, il mondo è finito a soqquadro. Sono nauseato dal punto di vista morale. Ma quanto durerà questa transizione? Di chi è la colpa se sta durando così tanto?”

Visto che John è uno di quelli che si fanno coinvolgere dal clamore che segue la riforma, gli consiglio di non ascoltare il tumulto e pensare solo ai suoi affari al molo. Ma come fa a tapparsi le orecchie? L’aria stessa è satura delle proteste delle donne, in Francia, Inghilterra, e in ogni città o paese che ci circonda. Grida di battaglia dalle più forti, lamenti dalle più deboli; “anime oltraggiate,” come si auto-definiscono, “ingannate, intralciate, con poteri divini ma repressi. Così non sorprende che John, facilmente suggestionato dal rumore, si senta, dice, come Dante che guarda giù dalla ruina, e creda, preso dal rimorso, che questa moltitudine di anime sia davvero perseguitata solo dalla crudeltà della volontà maschile.

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“Di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena.”2

Cos’è che vogliono? Cos’è che non vogliono? C’è una concretezza selvaggia in alcune delle loro necessità. Invocano il suffragio; l’emancipazione da un giogo vecchio come il mondo; parità di retribuzione e diritti di proprietà; lavoro per sottrarsi alla prostituzione; e – Dio ce ne scampi! – cibo per loro e i loro figli. Quando sento queste richieste, e le soluzioni selvagge e contraddittorie con cui si lanciano invano le une contro le altre, mi ricordo di alcune parole di un mio vecchio libro.

“Quella palude era detta «Scoraggiamento»: là, dunque, guazzarono nel fango per un po’.“Poi Aiuto chiese: ʽPerché non hai cercato le passerelle?ʼ “ʽHo preso la prima via che mi si apriva davantiʼ, rispose Cristiano.”3

Poiché non c’è mai stata una palude in cui non ci fossero pietre di guado, se le cerchiamo con buonsenso e un po’ di fede in Dio. Questa è la mia esperienza.

Le nostre nonne sembravano avere terra solida sotto i piedi. C’è un’anziana signora, dall’altro lato del camino, dalla vista acuta, un corpicino indolenzito, con un grande nastro di puro raso sull’alto copricapo e un grosso anello di oro finto al dito: l’anello di fidanzamento di quando aveva diciassette anni. Le ragazze si fidanzavano una volta sola, ai suoi tempi, mi spiega. Quando parla del corteggiamento ufficiale, dei miracoli del lavoro a maglia fatti tra i solenni compiti semestrali di mettere da parte maiale e conserve, della venerazione ormai fuori moda per gli anziani, della moderata intossicazione mentale garantita alle

2 Dante, “Inferno”, canto V, vs. 43-45. 3

Bunyan, John, The Pilgrim’s Progress, in Owens, W. R. (ed.), Oxford, Oxford University Press 2003, p.16. (traduzione mia).

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donne in “Faber on the Prophecies”4, o “The Children of the Abbey”5

, colgo barlumi di una vita che, sebbene modesta, era soddisfacente, pura e decorosa.

All’epoca le lavoratrici facevano quello che sapevano essere di loro competenza, senza riluttanza, senza disprezzo, e senza darsi arie. È così anche ora?

Ma, mi dice Eliza, noi abbiamo liberalizzato tutto questo. L’affrancamento del suo sesso è imminente. Eliza è la sorella di John. Vedo un sacco di ragazze come lei oggigiorno. Ha lineamenti pallidi e marcati, pelle come pasta, grigi occhi pensierosi; il seno è piatto; il suo modo di muoversi e tutto il portamento esprimono inquietudine, e alludono sottilmente a un potere represso. Le donne non sono sue amiche fidate, sebbene sia generosa e di buon cuore come un leone o un cane coraggioso, e gli uomini non la capiscono. Forse solo uno ci riuscirà, ed è lui che dovrebbe sposare.

Le ragazze della sua cerchia appartengono a quella classe sociale che ha più cultura che denaro; ma combattono molto meno delle loro madri per mantenere l’apparenza; arrivano a scherzare sulla loro povertà e a ostentarla. Sono amanti della musica o della letteratura; alcune di loro si interessano di insetti o di filosofia tedesca; la maggior parte ha scritto poesie rifiutate dalle riviste; e, nonostante debbano aver appena concluso gli studi, le sento, nelle serate, discutere con gli uomini della politica di Bismarck, o di Herbert Spencer, o di Renan, con chiari, autorevoli tocchi di comprensione da surclassare me e l’anziana signora, lasciandoci senza fiato. Che critichino una filosofia o respingano un pretendente, o si sistemino le crinoline e gli chignon, lo fanno con la stessa aria noncurante di aplomb e superiorità. Mi facevano pensare che il cervello femminile, dopo essere stato imprigionato così a lungo, fosse come il genio evanescente fuggito dalla

scatola di ferro del pescatore, della storia6; non c’era niente in terra o in mare che

4 Faber, George S., The Sacred Calendar of Prophecy, or a Dissertation on the Prophecies of the

Grand Period of Seven Times, and of its Second Moiety, or the latter three times and a half, 3 vols.

1828, 2nd ed. 1844.

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Opera di Regina Maria Roche, 1796.

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non potesse occupare e conquistare. Sono ragazze che di regola non si sposano giovani.

John ha un’altra sorella, Nelly, che Eliza giudica molto al di sotto del vero status femminile: una rosea e paffuta macchiolina, che sta appena aprendo gli occhi durante il suo ultimo anno di scuola, con le braccia cariche di libri, e che ha occhi solo per gli spasimanti.

Fin dalla nascita, Nell traboccava di seducenti piccole civetterie; e, per quanto mi sforzi, non vedo nessun danno in esse; sono innocenti proprio come il tubare degli uccelli in primavera che aspettano di essere scelti dai compagni, o il profumo dei fiori attraverso cui silenziosamente si fanno la corte.

Le ragazze diventano beffarde quando parlano della loro nonna e del destino della donna ai suoi tempi. Ricordano la ciniglia, il maiale, le conserve, come la farfalla ricorda il bozzolo da cui è fuggita. L’altra sera stavano esaminando delle vecchie miniature in avorio, ed erano infastidite, notai, di scoprire che le caratteristiche di quelle donne del secolo precedente erano raffinate quanto le loro, veicoli di menti altrettanto astute e impetuose. “Strano” aveva detto Eliza, quando le avevano messe vie, “che potessero essere soddisfatte di una vita di servitù:

semplici madri e mogli e donne di casa! La fame di conoscenza7 delle donne di

questa epoca è ciò che le distingue dalle altre.”

L’ultima frase mi sembra che vada al cuore della questione. Il suffragio, o il lavoro, qualsiasi altra richiesta popolare tra noi, altro non sono che le tante espressioni della stessa fame di conoscenza o potere inutilizzato.

Potere inutilizzato, e quindi perverso. E, di seguito, si può subito vedere un tratto marcato delle donne dei nostri tempi, come le vedono gli uomini, in particolare quelle che vivono nelle grandi città, un tratto di cui raramente sentono parlare. Gli uomini che le lusingano ne ridono volgarmente tra loro; e gli uomini come John, per i quali non c’è niente al mondo più degno di adorazione di una donna buona e pura, lo guardano stupiti e increduli. John pensa moltissimo, in

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segreto, alla donna che sposerà, e si chiede dove e come la troverà. È impacciato e timido quando è con loro, temendo che il contatto con la sua natura rozza possa ferirle, dal momento che le ritiene tutte pure, buone e tenere. L’argomento di cui parlo riguarda molto John e gli uomini come lui. Ma è più pertinente che, essendo donna, ne parli io, piuttosto che lui.

Il cambiamento più rilevante ed evidente nelle donne, negli ultimi anni (non dico il più profondo), non è un progresso nell’intelligenza, per quanto notevole; è l’aumento dell’impurità. È semplicemente un effetto transitorio di questo risvegliato e insoddisfatto potere della mente. La donna comune di Londra e New York è troppo evoluta nel “progresso dell’epoca” per occupare l’immaginazione risvegliata o la ragione con le faccende domestiche o le chiacchiere; e lo è troppo poco per dedicarsi all’arte o alla scienza o persino a impieghi faticosi. Come autodifesa, allora, ascolta musica lasciva, o guarda i quadri viventi del balletto,

che si approfittano delle sue passioni ma almeno lo fanno con raffinatezza. Legge,

o scrive, a seconda del caso, romanzi in cui solo pochi uomini sono onesti, e nessuna donna è virtuosa, o, se fa un altro passo avanti, trova che tutto ciò costituisce solo una vita mediocre e ignobile per una donna, sacrificata ai figli che Dio le ha dato; e, sulla base di principi estetici, contribuisce silenziosamente a costruire templi per il massacro, che ci minacciano apertamente nelle nostre strade più affollate.

Inizio con un caso troppo estremo? Forse sì. Tuttavia la fame non sceglie il cibo, e c’è ragione di dubitare se l’alimento ordinario di tutte le donne in arte o letteratura ora sia solo un briciolo più puro e morale di quello degli uomini, per quanto definiamo i loro appetiti osceni.

C’è un insieme di temi, che il solo nominare farebbe arrossire l’anziana signora laggiù, ma con cui è oggi di moda tenere sempre al corrente le giovani. Ora non c’è più bisogno di mandare via Nelly dalla stanza, qualunque sia l’argomento di cui discutono le signore. La terra incognita delle nostre nonne è un sentiero in cui lei si muove con disinvoltura già a sedici anni.

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Tra i membri della società che conta, trova non solo uomini, ma anche donne, dai nomi macchiati; siede accanto alla madre, e la vede sorridere davanti all’evidente indecenza dell’opera-buffa senza vergognarsi; sente il “male sociale” che viene sfacciatamente discusso come una necessità sociale. Non c’è da meravigliarsi, allora, se, sera dopo sera, la stessa Nelly viene vista, con schiena e petto mezzi nudi, volteggiare e sudare tra le braccia di Dick French, mentre sua madre sta tranquillamente a guardare. Se lascio trapelare il mio disgusto, mi viene detto severamente che per i puri tutto è puro, e che le commedie oscene e il valzer che infuoca Dick French, se guardati in modo estetico, sono, per le donne, piaceri raffinati e innocenti.

Dubito che qualche uomo ci creda. Se, per mancanza di pura occupazione delle loro menti e dei loro sensi, le donne di società portano questi scarti a inquinare le loro vite quotidiane, non hanno bisogno di ritenere che qualsiasi leziosa ignoranza o estetica luce solare nasconderà agli uomini la vera natura della loro sostanza. Dick French, da esperto libertino qual è, si è unito alla scuola del critico del Saturday Review. Afferma che tutte le donne sono rappresentate da queste. Lascia intendere di comprendere le lusinghe impiegate da queste dame in decolleté.

“Un uomo è molto tormentato”, dice. “La stravaganza di queste donne non permette a nessun uomo di sposarle; e tuttavia lo tentano con tutte le arti del peggiore dei demi-monde”. Poi lui e i suoi amici si sistemano gli occhiali, si appoggiano all’entrata, e criticano i ritmi delle giovani ragazze raffinate che gli vengono fatte volteggiare davanti, come farebbe un mercante con gli schiavi al mercato.

French esagera. La mia piccola Nelly non è in vendita; ha il sogno segreto e innocente del vero amore e di sposarsi un giorno, ben nascosto nel cuore. Non c’è neanche uno della compagnia di French che lei sposerebbe. Quando si spoglia senza vergogna e si abbandona al loro tocco, non ha nessun ulteriore scopo oltre all’inebriante piacere del momento. L’abitudine ha reso i suoi occhi abituati all’indecenza, ha fatto scivolare via l’istinto difensivo di purezza innato in ogni

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donna; ma questo è il peggio che si può dire di lei. Tuttavia, se il suo stesso sangue è un tale ghiaccio che esporre se stessa non ha il potere di farla arrossire, non le importa per niente che occhi soddisfatti e impuri si posino su di lei, che la metà degli uomini che la guardano fraintendano le sue ragioni e compatiscano la degradazione che subisce nello sforzo di compiacerli?

Sto usando parole oscene. I tempi sono osceni. Il tipo di società che può rendere possibile un Swimburne, può sopportare poche semplici parole senza alcun danno per il suo pudore. È vero che il male è finora limitato alle grandi città. Dio non voglia che la donna libertina e alla moda di New York o Chicago sia considerata la tipica donna americana. Sta in rapporto alle donne americane quanto i sintomi della febbre sul volto lo sono con tutto il corpo in salute e dal sangue dolce. Ma questa società ritiene di fondarsi principalmente su raffinatezza e cultura, e non può rifiutarsi di mettere alla prova le sue pretese. E poi, la febbre si diffonderà.

Credo che gli uomini abbiano il diritto di essere ascoltati in tale questione. Il più degradato tra loro manterrà almeno una cosa sacra: l’onore di sua moglie. Ha il diritto di pretendere che arrivi a lui senza macchia. Un tipo pigro e semplice qual è John ha il diritto di pretendere dalla donna che sposa, e dalla madre che l’ha cresciuta, che non sia stata messa sul mercato per mostrare le sue forme come un animale; che il suo corpo non sia stato tastato da tutti i libertini che frequentano le sale da ballo; che lui non debba riceverla superficiale e sfacciata per i flirt che ha avuto; e che la sua mente sia pura quanto il suo corpo.

È un ritorno alla pruderie ormai fuori moda. Sì. Se la cultura estetica dei nostri giorni richiede alle ragazze l’esplorazione di tali campi indecenti; e se, d’altra parte, la necessità di maggiori carriere per una donna è rendere la maternità il raro lusso che è diventato in New England, allora torniamo, in nome del Dio buono e puro, torniamo umilmente alla stagnazione delle nostre nonne!

So già bene qual è la risposta che riceverò. Non sono le donne che hanno per prime macchiato la società e la letteratura; non sono le donne deboli, che muoiono

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di fame e malpagate da incolpare per questa geenna di prostituzione che sta alla base del nostro tessuto sociale.

Penso che la colpa dell’uomo non c’entri con la responsabilità delle donne. Se

stiamo in piedi o cadiamo ciò riguarda il nostro padrone8. Abbiamo sempre

affermato di essere l’elemento morale dell’umanità. L’affermazione non è mai stata fatta così a voce alta come ora dalle nostre portavoci. “Il suo diritto,” dice una delle più zelanti, “è che si provveda per lei alle cose carnali; il suo campo è provvedere alle cose spirituali.” Un’altra descrive la venalità che scompare dalle corti, la corruzione dalle sale della legge, le frodi dal commercio, non appena i suoi piedi puri saranno ammessi oltre la soglia. “Il male indietreggia confuso

dinnanzi ai passi della donna ideale.”9

Ma quella reale? Gli uomini hanno un diritto, quando vengono fatte affermazioni del genere, di richiedere la loro prova. Noi che vantiamo indumenti bianchi, dobbiamo anche mostrare che sono tali. Come possiamo pretendere che

ci vengano dati i dieci talenti10, quando siamo sempre meno in grado di custodire

l’unico talento della purezza affidato alla nostra custodia? Ecco una riforma più urgente di qualsiasi altra dopo il suffragio: e tuttavia le donne chiudono gli occhi davanti alla nuda realtà, e accelerano il passo.

Ci sono altri diritti degli uomini, che varrebbe la pena considerare per il nostro stesso bene. Sono imprecisi nel modo di presentarli, forse. È troppo tardi per John, sia per ignorare del tutto sua sorella Eliza, o per definirla “carina”, e tentare di bloccare quei suoi occhi svegli con una qualsiasi rete di sentimento. Magari sarebbe meglio per l’attuale stato degli affari se le desse una pacca sulla spalla e la supplicasse, da buon amico, di farla finita con i lamenti e le arringhe, e di guardare al problema razionalmente, come si fa tra uomini. Lei ha iniziato il discorso con la perorazione. L’inizio di ogni riforma è cominciata con la protesta, l’inquietudine, la richiesta appassionata e titubante; ma questo è solo lo squillo di

8 Cfr. Romani 14, 4, traduzione CEI. 9

Cfr. Hamilton, Gail, Woman’s Wrongs, 1868.

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tromba, la vera battaglia viene dopo. È tempo che la battaglia abbia inizio. Fino a quando elencheremo i torti subiti, e chiederemo il riconoscimento di un posto nel mondo, otterremo solo quella tenera simpatia senza valore, data tanto facilmente, perché siamo donne: ma non appena tentiamo di fare un passo nel terreno che è dell’uomo per diritto di precedenza, dobbiamo dimostrare di avere diritto a ogni centimetro secondo la dura logica del lavoro ben fatto. Il nostro picchetto deve essere piantato in profondità quanto il suo prima di potergli portare via il territorio che ha posseduto per così tanto tempo. E questa è solo onesta.

Per cominciare dall’inizio: avevo chiesto a Eliza, È giusto scaricare sull’uomo tutta la colpa di quella che lei definisce la servitù della donna? Con pochissime eccezioni, afferma, sono state, in ogni nazione, schiave domestiche o giocattoli da coccolare; escluse dal governo, nonostante paghino le tasse per finanziarlo; escluse dal lavoro nel mondo che le avrebbe rese indipendenti come gli uomini, nel corpo e nella mente. Quindi mente e corpo si sono indeboliti e il matrimonio è diventato il solo mezzo ammesso per guadagnarsi da vivere.

Credo sia giusto che tutti i riformatori siano mezzi ciechi; se vedono solo la

testa del chiodo che conficcano, sferrano i colpi più duri. Quelle parole – schiave domestiche e giocattoli da coccolare – hanno un suono che a Eliza piace. Le ha ripetute tanto spesso che le sembra che abbraccino l’intero campo della questione, da Sara nella tenda di Abramo ai giorni di Mary Wollstonecraft. A me sembrano chiassose come la maggior parte delle popolari richieste. La condizione delle donne nelle nazioni selvagge non c’entra con noi. Il bruto più robusto costringe la compagna più debole a macinare il suo grano e trasportare il suo carico, in obbedienza alla sola legge che conosce: quella della forza fisica. È quindi un istinto differente quello che ha finora assegnato alla donna il suo posto accanto al focolare, nei paesi civilizzati.

Eliza lo definisce un istinto ingiusto e permeato dal male. “L’uomo è ed è sempre stato il nemico delle donne,” grida una di queste riformatrici, con una sorta di rabbia incomprensibile, che sempre si scatena al solo sentir menzionare un uomo. Non voglio discutere su questo punto. Per quanto concerne la giustizia

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ora dovuta alle donne non ha importanza chi sia responsabile del suo ruolo in passato. Solo se ci venisse raccontata la storia di ogni popolo – che, per tremila anni, ha vissuto in relazioni quotidiane con un altro, con l’opportunità di avere la stessa cultura, con la stessa lingua, seduto fianco a fianco in perfetta uguaglianza sociale, e tuttavia è rimasto in stato di sottomissione, escluso da diritti che affermano essere propri, – saremmo in grado di decidere, abbastanza prontamente, se i diritti non sono stati loro dati dalla natura, o se la loro codardia ed esitazione a impossessarsene meritavano la servitù. Ci sono state donne giudici, soldatesse, mercanti, in ogni paese e in ogni tempo; donne che sono state a capo di stati, guerre e commerci; e la prontezza con cui il terreno è stato ceduto loro, il plauso con cui il loro minimo merito è stato accolto, provano quanto sia stato scalato facilmente il sentiero che hanno percorso, e quanto sia accessibile a ogni donna, se solo scegliesse di percorrerlo.

E tutto sommato non è colpa della roccia ostinata che ha nascosto per così tanti anni gli spiragli di umanità al giovane Teseo, ma i suoi muscoli flaccidi e la volontà incerta che non sono riusciti a rimuoverla. Arrivato il momento di usarli, la roccia venne spostata e lì sotto c’erano i sandali d’oro e la spada magica che avrebbero reso il cammino facile e sicuro. Sono convinta che, essendo un eroe reale e avendone bisogno per un lavoro reale, Teseo non abbia manifestato con rabbia il disgusto verso la propria debolezza, né abbia preso a calci la pietra ostinata.

Ripeto. Eliza, come donna del XIX secolo, esalta naturalmente la sua mansione. È così facile includere in un feroce slancio di pietà e di condanna verso tutte le donne che ci hanno preceduto, dileggiandole come pezzi di materia carini e con poca anima; incapaci, cieche davanti ai diritti dati da Dio dei quali sono state private; alla mercé delle adulazioni e dei torti di tutti i tiranni eufuistici, dal dissoluto Salomone allo sfortunato dottor Todd.

Ma – per arrivare al cuore della questione – qual è la vera differenza tra Eliza e la sua disprezzata bisnonna? Nei secoli le donne non sono mai rimaste molto più indietro degli uomini nella cultura intellettuale dell’epoca. Tuttavia ai giorni di

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“sorella di Sidney, madre di Pembroke” c’era una distanza tra l’uomo più importante e la donna, e c’è una distanza simile anche ora.

Non è per niente carino che Eliza ostenti davanti ai dolci volti di queste evanescenti antenate la forza che deve al progresso della sua epoca, un progresso di cui gli uomini sono indubbiamente stati i pionieri.

Dunque, messo da parte questo progresso, in quanto irrelato, la differenza tra le donne delle due epoche risiede nel lavoro che si offre loro, non nella loro abilità o accuratezza nel compierlo.

La moglie del contadino del Cheshire, della Contea di Cork, o anche nella nostra stessa buia e sanguinosa terra del Kentucky, ha potuto esercitare la conoscenza pratica, il potere di governo, le mani esperte e mente sveglia tra le mucche, i telai per il lino, o i muli, tanto quanto la scaltra ragazza newyorkese di oggi, che compone o che misura metri di mussolina. Se Eliza avesse mai avuto l’opportunità di conoscere una di quelle anziane donne francesi dei salotti, contro le quali e contro le cui piatte imitazioni si scaglia come fossero farfalle dipinte e inutili, sarebbe stata per lei una ulteriore rivelazione della natura umana – cosa che aveva richiesto svariati successi, rigore nell’esercizio della mente, comprensione della natura umana e un infinito tatto nell’uso di tutte le proprie capacità, che avrebbe reso dozzinali le giovani donne, rozze e poco istruite che si propongono con foga al pubblico americano come guide ed educatrici volontarie, donne che erano vere artiste nella loro vocazione, e che, sebbene non abbiano mai forse preso in mano una penna tranne che per scrivere i più frivoli e affascinanti biglietti, hanno lasciato ampie e profonde tracce nella storia del mondo, diventando un quinto stato, con un’influenza tanto potente e più penetrante di qualunque altro.

C’è una vasta categoria di donne non classificabile per rango o età, su cui si

riversa la settima fiala11 ardente della collera di Eliza, donne della cui tipologia la

mia civettuola e rotondetta Nell è l’embrione. Ci guardano da ogni periodo

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dell’arte e della letteratura, con le facce affettuose e amabili, circondate da ogni aureola che la mano del genio sa illuminare e colorare: Miranda, Giulietta, Rose Bradwardine, l’Amelia di Thackeray, e tutte le eroine di Dickens, l’intera moltitudine di perfette e sciocche madonne, non sono che le molte esponenti della donna ideale per l’uomo: la donna che, casualmente ha più o meno cervello (non importa se più o meno), vive soltanto con e per l’uomo; può anche avere occhi rivolti fuori casa, e mani utili in piccola misura; ma in quella casa vive e si muove e conduce la propria esistenza. Quando arriva il momento di morire, se solo il marito e i figli si alzano e la chiamano santa, ciò è sufficiente. Ha compiuto al meglio un lavoro grandioso e ha una ricompensa di molto superiore.

Eliza, quella tremenda iconoclasta, è stanca di questo stupido idolo; intende spodestare questa bambola bianca e rosa dal suo trono nel cuore degli uomini, e collocarvi la donna che il periodo richiede; perspicace, con una mente aperta, generosa, idonea per natura e preparazione a essere profetessa, oratrice, capitano di lungo corso, o commessa in una drogheria cooperativa.

Ma gli uomini, Eliza, sono cocciuti come muli. Ti tratteranno proprio come farebbero i cinesi se fossi un missionario: accoglieranno la tua nuova divinità spirituale con grande educazione, con braccia alzate e occhi spalancati per l’ammirazione, per poi andare a casa e cadere in ginocchio davanti alla loro piccola divinità privata dietro la porta della cucina. La Donna Casalinga è stata sul trono per troppo tempo, capisci? È un vero e proprio riguardo per lei che ha reso la nobiltà stessa rispettabile in Inghilterra da quasi una vita.

Costituisce un grosso ostacolo sul vostro cammino, lo so. Lei alimenta l’idea che voi, che parlate di Diritti della Donna, appartenete a una classe di uomini dai capelli lunghi e donne in pantaloncini, che hanno perso ogni fede in Dio o in George Washington, e sono determinate a costringerla a fare impacchi di acqua fredda, e a far sposare la figlia al primo mulatto all’altezza. Riconosce una donna che scrive un libro da segni incontrovertibili come gli inconfondibili zoccoli e la

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coda da cui si riconosce Satana: capelli spettinati, scarpe scalcagnate12, casa disordinata e figli verso la perdizione. Non la si può ingannare su questo punto. Durante la guerra era leale, o ribelle, a seconda della provenienza geografica o della fede del proprio marito, sebbene più risentita di lui. Se veniva ucciso, lei e le figlie (che non era riuscita a lanciare nell’unica carriera rispettabile, quella del matrimonio), si univano al numeroso esercito delle cucitrici, e per tutto quel tempo erano abbastanza soddisfatte, perché morire di fame con l’ago in mano è un’uscita totalmente femminile e anti-“intelligente”.

Neanche gli dei possono combattere la stupidità, dice Eliza, e prega con tutto il cuore che la Donna Casalinga possa estinguersi senza lasciare eredi. Ma non lo farà; non verrà mai estirpata; rispunterà, generazione dopo generazione, come il trifoglio dalle molte teste, tenero, gradevole; e ci sono uomini che, fino alla fine dei tempi, continueranno a preferire il trifoglio al più maestoso albero che fa ombra al terreno: tipi ostinati, come il mio amico John. È un radicale: insiste perché a Eliza venga aperta ogni carriera, con illimitata libertà di scelta, persino la possibilità di votare; tuttavia, quando si sposerà, lo farà senza dubbio con una di quelle donne all’antica, sottomesse e ottuse.

Quando Eliza avrà attuato altre riforme, forse sarà più perspicace e vedrà i vantaggi di questo caro e familiare tipo di donna e delle relazioni vecchie come il mondo che detiene. Ma Eliza e la sua categoria sono come operai che scavano un tunnel; ora come ora vedono solo la collina che hanno davanti e attaccano con colpi sonori: la strada che tracciano verso il progresso umano è necessaria, ne sono consapevoli; la civiltà intera aspetta che la portino a termine. Quando sarà finita, e si saranno spinti fino in cima, forse scopriranno quanto è grande il mondo, e che in esso c’è posto, bisogno e accoglienza, non solo per il grande sentiero del progresso, ma per il terreno tranquillo e fertile, per le case silenziose e ben ordinate, il cui ricordo si conserva per tutta la vita nel profondo del cuore

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dell’uomo, e lì innesca cambiamenti più grandi delle visioni di irreali tenute in un paradiso che non ha mai visto.

Per dirla tutta, credo che il vecchio tipo di donna, la cui vita reale le proviene dall’amore per una casa, un marito e dei figli, sia irrevocabilmente radicato dalla natura, nel cuore di tutti gli uomini e della maggior parte delle donne, come il più importante e il migliore e che l’ostacolo maggiore sulla strada per ottenere ora nuove professioni e più carriere per noi, sia l’errore delle nostre portavoci nel ridicolizzare questa vecchia figura, e nel dichiarare quelle professioni e quelle carriere incompatibili con essa. Tutti gli uomini hanno provato e collaudato la tranquilla, riservata moglie e madre casalinga, in tutta la sua forza o cagionevolezza, mentre questa nuova creatura che non arrossisce anche quando le sue parole sono ascoltate da uno o da mille, affermando chiassosamente di essere pari all’uomo, in politica e per statura mentale, e superiore a lui spiritualmente, è, giustamente o no, un qualcosa di assolutamente sgradito alla mente maschile. Essa dimentica che le donne che nell’ultimo secolo sono state le più efficienti nell’aiuto erano totalmente sconosciute alle masse. E chiude la questione in modo piuttosto sbrigativo. “Se questo è il risultato di far lavorare mia figlia come commessa, intagliatrice o medico, è meglio che, in nome di Dio, stia a casa, e colga l’unica occasione concessa alle donne: trovare marito, se ci riesce.”

E la figlia, nel cui cuore, dopotutto, la corda più forte freme al pensiero di un marito e un figlio, teme, per quella ragione, di rendersi sgradita agli uomini, esita a buttare via la sua occasione, e sta a casa, un pesante fardello forse, mente e corpo malati per l’ozio, mentre fuori il lavoro l’aspetta. Se il marito non arriva presto, il sogno innocente del vero amore e del matrimonio inizia a svanire; si considera quella di troppo, in casa e fuori, un errore nella vita: delle creature di Dio, quella solitaria che non ha una funzione né un legame, ed è al mondo solo per soffrire. Così si sposa, se può, col primo che passa. Si sente vagamente colpevole di prostituzione legale. Ma sarebbe così bello avere un posto come le altre donne, una casa e un bambino tutti per sé! Così la contrattazione e la vendita vanno avanti.

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C’è un difetto fatale nel funzionamento della macchina sociale; qui ci sono i lavoratori, e là il lavoro. Tuttavia il pregiudizio degli uomini li tiene separati. Una donna che sceglie di lavorare crede di essere obbligata a perdere il privilegio sociale, la possibilità di sposarsi, e che sarà ridicolizzata e sottopagata. E di questo pregiudizio contro la nuova condizione delle donne, la chiassosa veemenza e le insensate vanterie delle leader riformatrici, sono, temo, responsabili.

Tuttavia per quanto possano essere in errore riguardo ad aspetti secondari, nessuna donna deve proferire verso di loro una parola che non sia di riconoscenza. Sono pioniere nel più duro e nobile mestiere della nostra epoca in questo paese, accanto all’abolizione della schiavitù. Se credono che la donna abbia bisogno di un sentiero nuovo, piuttosto che allargare uno vecchio, è un errore che il tempo e la natura correggeranno.

Gli elementi del caso sono così chiari che persino la ragazza più esitante può comprenderli. La quantità e l’inettitudine del nostro sesso sono diventati un ostacolo per il paese. In ogni stato c’è una grande eccedenza di donne che non hanno un uomo su cui contare per mantenersi. Le vecchie abitudini imposte, di cucire e insegnare, non garantiscono cibo neanche a un ottavo di loro, e devono pur vivere. Questa è la necessità urgente e immediata. Più lavoro, e più stipendi.

Il suffragio e le leggi sulla proprietà sono di importanza secondaria.

Poco importa se la necessità di nuove occupazioni per le donne sia unicamente una conseguenza di queste circostanze, o una richiesta del potere intellettuale che ha sviluppato; il problema che va risolto è se la vecchia idea di donna debba essere rimpiazzata da esse. La riformatrice derida pure l’“angelo del focolare” o la “santità della casa”, ma questi slogan sono indizi della realtà di una convinzione pressoché universale e vitale, e opporvisi è la grande difficoltà intangibile che incontra sulla sua strada, oggi. Esaminate attentamente la questione per più di un minuto, e vedrete come funziona.

Eliza ha quasi passato l’età da marito. C’è una solida e intrinseca verità nella ragazza che si è negata il matrimonio per una sistemazione. Ci sono due o tre serve che lavorano in casa e così non ha niente da fare a parte cucirsi vestiti e

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cappelli. Suo padre è un vecchio dai capelli grigi che ha raggiunto l’età in cui dovrebbe avere il tempo di prendere fiato, dopo aver lavorato tutta la vita, prima

che se ne vada e più non sia13. Invece non ha tempo; lavora più duramente che

mai. Ci sono altre due ragazze oltre a Eliza e Nelly, e devono essere vestite e mantenute in un certo modo, per assicurarsi matrimoni adeguati. Va presto a lavoro e rientra tardi, debole e angosciato, mentre loro rammendano vecchi vestiti e cappelli, per farli sembrare nuovi (perché cercano di aiutarlo come possono), e poi escono a ballare il Cotillon, o prendono parte al mercato dei mariti in uno dei soliti modi. Ma non fanno niente più di questo, per paura di scendere nella scala sociale, sebbene non ci sia nessuna di loro che non abbia una mente più brillante e un corpo più sano del fratello o del padre. Un giorno il vecchio, a cui sono state disposte di consegnare questo pesante fardello fino all’ultimo, morirà. C’è un’assicurazione sulla sua vita di qualche milione di dollari; e credo che con essi sbarcheranno un magro e angoscioso lunario, rischiando di morire di fame in casa per mantenere la miserabile apparenza di nobiltà, conservando ogni duraturo, povero avanzo di bellezza, nella speranza persino allora di sistemarsi nella maniera approvata, tradite continuamente dal bisogno di pochi dollari, i gusti naturali soffocati e insoddisfatti, e le loro naturali potenzialità inutilizzate che tormenteranno e tortureranno la loro anima fino alla fine.

Ma con le sue idee progressiste, Eliza non potrebbe essere intimidita dalla paura di perdere i privilegi sociali? Non del tutto; la sua difficoltà è di altro tipo. Lei è il genere di donna che viene definita capace: scaltra, perspicace, controllata e pronta all’azione, adattissima al commercio; se fosse nata maschio, a questo punto, avrebbe avviato una sua attività in crescita costante, e sarebbe stata conosciuta sul mercato finanziario come un uomo brillante. Ma, come tutte le ragazze intelligenti, ha la mania di diventare una insegnante statale. Scrive poesie, saccheggiate da Emerson o Walt Whitman; litiga per il suffragio al momento giusto e non, proponendo versioni diluite dell’autorevole e sincera logica di Mrs.

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Cfr. Salmo 93,13: “O spare me, that I may recover strength, before I go hence, and be no more”, traduzione CEI.

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Dall. È in dubbio se dispensare rimproveri o riproporre il legittimo dramma. Ma aprire una libreria, o apprendere il commercio delle pellicce come commessa!

Oggi, quasi come una norma fissa, la giovane donna che sente dentro di sé il desiderio di un qualche lavoro che non sia quello delle sue mani, si crede qualificata, per il solo diritto al desiderio, per professioni anche importantissime. Deve salire sul pulpito o sulla tribuna, o non farlo per niente, dimenticando gli innumerevoli mestieri e la maestria intellettuale e manuale che implicano, in cui la maggior parte degli uomini trovano ampi spazi per tutte le loro osservazioni, capacità e ingegno. Lei dimentica che lo spirito di Dio riempì Bezaleel per

concepire progetti e realizzarli in oro, argento, rame14, così come aveva fatto

Aronne, che per Lui sapeva parlare bene15. È abbagliata dal solenne viaggio di una

vita come quella di Lucretia Mott, e il grande trionfo che venne per portare a termine il compito al quale era stata chiamata, e non capisce che lavora degnamente solo chi si limita al lavoro per cui è qualificato, sia esso liberare un popolo o lucidare stivali.

Mi rendo conto di quanto sia inadatta a dare la mia opinione su un argomento a cui donne del calibro di Caroline Dall hanno nobilmente consacrato anni di ricerche e lavoro; tuttavia non posso che temere che, nella loro battaglia per innalzare il loro sesso a un livello più alto, saremo collocate dove non siamo ancora pronte a stare. Perché le donne dovrebbero, per esempio, essere spinte al pulpito o a un’altra professione dotta? La più umile tra noi è chiamata da Dio per predicare il Suo vangelo tramite le azioni ma predicarlo a parole è un’altra cosa. È prendere una parte dell’acqua della vita e introdurla nel condotto del nostro pensiero e carattere personale. Una mera intenzione pia di fare del bene, o sgobbare per qualche anno sull’ebraico o il greco, o sugli Articoli e le Confessioni, non bastano a giustificare un uomo che si erge a interprete della verità divina. È sufficiente solo ascoltare le noiose frasi fatte così poco appropriate alle necessità dell’epoca, i dogmatismi pungenti e contrastanti, le verità ovvie,

14

Cfr. Esodo 35,32, traduzione CEI.

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vecchie, inaridite e sterili che ci vengono propinate domenica dopo domenica, da troppi pulpiti, per accorgerci di quanto tutto ciò sia vero. Se la più acculturata e illuminata classe di uomini nelle città non sono, di regola, membri della chiesa cristiana, se i più grandi successi nella causa della fratellanza universale degli ultimi anni sono stati raggiunti in nome dell’Umanità anziché in nome di Cristo, è perché questo tipo di predicazione è troppo frequente; perché uomini coscienziosi e seri sono stati allontanati dall’ Aiutante il cui insegnamento risolve il problema di questo tempo, come di qualunque altro, tramite la superficiale verbosità sul pulpito di molti degli uomini che, nella loro vita domestica, non sono inadatti a essere Suoi ministri.

Confesso che io, per quanto mi riguarda, sarò dispiaciuta quando le donne verranno ammesse al sacerdozio retribuito. Non che ad alcune di loro, come ad alcuni uomini, non arrivi il messaggio che brucia nell’anima finché non viene riferito, o la vita non impartisca lezioni individuali che potrebbero essere adatte a salvare altre anime. Quando sarà questo il caso, parleranno. In tutte le epoche, i veri messaggeri di Dio, hanno trovato modo di esprimersi. Ma il salario, e la posizione rispettabile associata alla salvezza professionale dell’anima, sarebbero, sotto le presenti circostanze, più una tentazione per le donne comuni di quanto non lo siano mai state per gli uomini; ed è meno probabile che una donna dimentichi se stessa sul pulpito, sarà più soggetta a essere influenzata da un desiderio di approvazione rispetto a suo fratello, e così arriverà ad abbassare il livello della religione cristiana molto più di quanto lui abbia mai fatto.

Forse mi sbaglio. Ma poiché l’uomo è stato così pronto a precipitarsi verso questo sacro ministero, solo per poi dimostrare molto spesso la sua stessa debolezza portandolo a una cattiva reputazione, non affrettiamoci a imitarlo.

Sarei meno zelante di Eliza, inoltre, a pretendere quello che lei definisce con veemenza il suo naturale e inalienabile diritto al voto. La irrita oltre ogni limite di sopportazione vedere, il giorno delle elezioni, bifolchi ignoranti e ubriachi – l’olandese Jake e l’irlandese Jim – accalcarsi ai seggi, mentre lei è costretta a starsene seduta in casa, passiva e inutile. Mi sembra che se la motivazione di Eliza

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è il bene del suo paese, dovrebbe accontentarsi di stare lontana dalle urne, se dovrà portare con sé le mogli di Jake e Jim, di regola più ignoranti in politica dei loro mariti. Non mi fa arrabbiare più di tanto che “donne, negri e idioti” siano tutti esclusi dal votare, finché donne, negri e idioti non saranno, come massa, in grado di usare il voto intelligentemente.

Di quale utilità sarebbe appesantire la bilancia politica con un ulteriore carico di ignoranza, solo perché poche abili mani siano libere di pianificare e manipolare tutto, proprio come fanno ora? Quando il diritto di voto è limitato a chi possiede un certo grado di istruzione, e dunque sono le menti intelligenti del paese che determinano il suo potere dominante anziché il peso lordo del sesso e del colore, donne e negri possono partecipare al governo con soddisfazione, a beneficio loro e del governo stesso. La mia solidarietà, lo confesso, non va affatto alle illustri donne del paese che mirano a lavori più importanti, e il cui passo attira immediata attenzione perché sono donne, quanto alla grande moltitudine di comuni mogli apatiche e delle ragazze che inciampano nella palude perché non riescono a vedere le passerelle; le cinquantamila cucitrici a New York; le settantamila donne intelligenti in New England, per cui, letteralmente, non ci sono mariti, che Mrs. Stowe esorta ai lavori domestici; ma soprattutto, le innumerevoli ragazze istruite in famiglie che lottano per affermarsi, in tutto il paese, i cui fratelli sono giustamente e felicemente al lavoro; mentre loro stanno a casa, con le menti inattive, malate, insoddisfatte, rinchiuse in quella angusta cella dalle regole della nobiltà rispettabile, in attesa di un marito che potrebbe non arrivare mai.

Se avessi tante figlie quanto quelle che il Signore donò a Giobbe, e due volte la sua salute, ognuna di loro avrebbe una qualche maestria intellettuale e manuale per mezzo della quale, in caso di necessità, potrebbe mantenersi da sola. A questo punto come minimo, come fece lui, le metterei a parte dell’eredità insieme ai loro fratelli.16

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Qui, in una casa, c’è un fratello che ha accantonato qualsiasi pensiero di sposarsi, per il bene di due sorelle che dipendono da lui: un atto generoso e nobile, sebbene abbastanza comune. Le ragazze lo accettano da “Charley” con egoistica indifferenza, come una cosa naturale; e la generosità di Charley non gli impedisce di scivolare gradualmente in modi dissoluti da vecchio scapolo, e andare in covi che non hanno mai neanche sentito nominare, alla ricerca di divertimento ed eccitazione di cui, se avesse moglie e figli, non avrebbe mai sentito il bisogno.

Prendiamo Mrs. A−, per esempio, la moglie di un contabile, una donna con una mente per gli affari migliore di quella del marito. Lui ha un salario di 800 dollari, con cui deve nutrire, vestire e istruire una famiglia di cinque persone. Due dei ragazzi sono tipi studiosi, dalla mente brillante, per i quali l’unico sogno della povera A– era dar loro un’istruzione completa e una discreta possibilità nella vita. Hanno entrambi iniziato ad apprendere un mestiere, dal momento che, in quanto maschi, devono fare qualcosa per aiutare a sbarcare il lunario. La loro madre si è resa serva; è una donna emaciata, stanca, di mezza età; ha cucinato, cucito e cresciuto i bambini da sola, per risparmiare quei miseri 800 dollari. Era questo il meglio che potesse fare?

“Non c’è nessun consiglio che può darmi?” scrive una ragazza. “Ho soldi a sufficienza per mantenermi. Non ho ancora trovato l’uomo che vorrei sposare. Sono intelligente e ben istruita quanto i miei fratelli. Loro si accontenterebbero di occupare la loro vita con un giro di visite, in una piccola cittadina di campagna, con studio e ricamo senza scopo e inutilizzati? Non so scrivere saggi o racconti; non ho niente di speciale da raccontare. Non riesco nell’insegnamento; non sono per natura ben disposta verso i bambini e non mi piacciono. Tuttavia penso che ci sia una qualche capacità in me. Dio mi ha dunque creata per niente? Sicuramente in qualche parte nel mondo, ci sarà qualcosa che posso fare!”

Il lavoro per lei e per tutte noi è sotto i nostri piedi, nelle nostre mani. Ci sono le passerelle per uscire dalla palude, ma non le vediamo. Le donne sono tutte in attesa di un qualche grandioso cambiamento che venga loro in soccorso: il voto garantito, le facoltà di medicina aperte, il Vassar College istituito in ogni stato,

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l’avvio di una cooperativa di lavori domestici, e che la miriade di preoccupazioni domestiche sia loro tolta dalle mani. Il solo sostegno per ogni donna che desideri un lavoro è in se stessa. Magari vive in qualche cittadina dell’entroterra. Non può insegnare, nonostante sia abbastanza preparata per farlo; cucire rende una miseria; ha inviato articoli all’Atlantic e a Harper, e non ha mai ricevuto risposta. Molto plausibile. Quanti uomini sono adatti a fare gli insegnanti, o i sarti, o gli autori?

Che cosa può fare? O meglio, c’è qualche sua predisposizione o destrezza che lasciano intuire la possibilità di imparare a far meglio? A cosa si dedicherebbe se fosse un uomo? Al commercio o all’agricoltura, all’incisione, la stampa, la stenografia, vendere farmaci o coltelleria, fare sedie o fotografie, all’apicoltura o attaccare carta da parati? Di qualsiasi cosa si tratti, lasciate che cominci a farlo ora, il più tranquillamente possibile, e in modo modesto quanto serva, imparando quel mestiere come farebbe un uomo. Miss Penny, in un libro pubblicato quest’anno, elenca cinquecento professioni adatte alle donne. Io ridurrei il numero a trecentosessanta, quelle praticabili facilmente, e in cui le donne in Inghilterra e

in questo paese sono state effettivamente assunte.17

“Ma cosa dirà la gente?”

Non penso che la domanda sia sciocca. Comprendo la riluttante stretta al cuore che fa tremare una donna di paura di fronte al tumulto di meraviglia, sarcasmo e derisioni con cui presume che verrà accolta la sua apparizione in pubblico.

Quello che diranno dipenderà unicamente da te. Se sarai calma, diretta, onesta, e farai sul serio, molto probabilmente avranno pochissimo da dire su di te. Il mondo fa presto a riconoscere una motivazione sincera o un atto intelligente, e ad accettarlo come una cosa normale. Più alta è la classe sociale a cui appartieni, meno probabile sarà che siano prevenuti per le tue azioni. Quindi, più in alto stai, più facile sarà il dovere che ti spetta e più ti toccherà compierlo.

17 Il libro di Miss Penny sarebbe più utile se la scala salariale riportata in esso fosse quella attuale.

Dovrebbe correggerlo in una prossima edizione. Il libro sarebbe allora per la donna un aiuto più utile di una dozzina di trattati sui suoi diritti [n.d.a.].

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Non serve a niente scagliarsi contro un pregiudizio; deve essere vissuto senza imbarazzo. Ogni donna che, fermamente e sinceramente, mira a un lavoro atipico e dimostra di riuscire a rimanere modesta, cortese e garbata come quando lavorava con l’ago o preparava la cena, sta compiendo un vero servizio per il suo sesso, molto diverso dal citare in modo vago e convulso Bibbia e Costituzione per dimostrare che la donna è uguale all’uomo.

È proprio a questo punto del tuo percorso che il Diritto dell’Uomo ti si oppone. C’è una dura realtà che noi donne siamo solite eludere, ma che dobbiamo affrontare dopotutto, e cioè che negli spietati processi economici delle nazioni la questione non è il lavoratore ma il valore del lavoro. Gli stipendi vengono dati in base al loro stesso valore, non per sentimentalismo. Se il frumento che porti al mercato è scadente, lo sarà anche il tuo compenso; ed è pura follia mostrare il tuo viso pallido, o vantarsi del grano di prima qualità coltivato in un altro paese da un tuo parente. Come può questo atteggiamento far aumentare di un centesimo alla libbra il valore del tuo frumento?

Prima di togliere all’uomo il suo lavoro, devi dimostrare di saperlo fare bene come lui. In questa prova risiede il tuo più grande ostacolo. Offriti come commessa o apprendista in qualsiasi attività della tua città; se hai un capitale imbarcati in qualche affare, e ci saranno buone possibilità di ritagliarti un bello spazio per mettere alla prova le tue potenzialità. Ma dopo, verrai rigorosamente giudicata dalle stesse regole che determinano il valore degli uomini come lavoratori; come è giusto che sia. Se accetti un lavoro come ripiego, un mezzo per un fine, impegnandoti il minimo indispensabile, è giusto che tu venga scavalcata da quelli che ci mettono il cuore. L’arte può essere onorata sinceramente nella bottega di un falegname o in una lavanderia quanto nell’atelier di uno scultore, e per quanto umile possa essere l’oblazione, essa richiederà grande dedizione in un posto come nell’altro.

“Non si può pretendere” dice un giornalista di New York, “che le ragazze che intraprendono il mestiere di tipografo sperando di liberarsene col matrimonio, o vedove che intendono farlo solo finché i loro figli non saranno in grado di

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mantenersi soli, compiano un lavoro accurato come quello degli uomini che lo scelgono per tutta la vita.” Che sia così, è dimostrato dalla riassunzione di uomini da alcuni delle più grandi tipografie, malgrado la volontà di liberarsi dalle pastoie del sindacato degli editori attraverso l’utilizzo delle donne.

È sufficiente a scoraggiare qualsiasi fautore della richiesta delle donne di una professione più importante, vedere la disattenzione e l’insofferenza con cui tale lavoro è spesso svolto una volta trovato. Notate la maleducazione e l’indifferenza della commessa, in confronto all’uomo che sta dietro il bancone con lei!

“Ma questa sarà la sua attività; lui spera di diventare socio un giorno; si sta costruendo un capitale sulla vostra buona volontà”

Per l’appunto. Perché non dovrebbe essere la sua attività? Perché non dovrebbe diventare una collaboratrice attiva e non solo passiva per suo marito? Supponiamo che Mrs. A– sfrutti le sue abilità nel disegno per fabbricare o incidere orologi; e quella ottima casalinga, Mrs. B–, impieghi cinquanta donne anziché una per fare marmellate; e Mrs. C–, al posto del suo piccolo orto, prenda in affitto un acro in più, e guadagni mille o duemila dollari l’anno coltivando erbe per il mercato farmaceutico, e tutte impieghino inservienti competenti per cucinare e cucire per loro: non ne trarrebbero beneficio sia marito che figli, pur rimanendo, come ora, donne tuttofare?

“Ma siamo sempre sottopagate,” incalza la tremante codarda sulla riva, timorosa di tuffarsi. Questo è verissimo. Di regola, quando si dimostra che un lavoro è equivalente a quello di un uomo non c’è differenza di retribuzione. Quando Rosa Bonheur, o Jean Ingelow, o Fanny Kemble, portano a vendere le loro mercanzie, la questione del sesso non influenza quella del pagamento. Nel caso in cui succedesse, il rimedio è nelle vostre mani. Rendete il vostro lavoro equivalente a quello di un uomo, e poi esigete il suo stesso pagamento. Non accettate un centesimo in meno, solo perché siete donne. Per quanto deboli possiate essere, è vostro dovere verso tutte le altre donne espletare un tale servizio. Non offrirci al ribasso è un altro diritto degli uomini, uno che concederemo loro di buon grado.

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Dopotutto, questa riforma, come qualunque altra, non sarà costruita come il tempio di Salomone al tempo dei tempi, con silenzio e devote aspirazioni; ci sono talmente tanti battibecchi e maldicenze e lanci di mortai da farci pensare che le fondamenta del mondo stiano andando in pezzi. Ma quando il lavoro sarà finito e i rifiuti spazzati via, il mondo tornerà quello di prima; solo sarà più piacevole viverci, una casa col soffitto più alto e finestre più grandi di quelle delle nostre nonne. Il cielo sopra di esso e gli esseri umani che avranno ritenuto necessaria e piacevole la più ampia dimora nelle migliorate condizioni, saranno sostanzialmente gli stessi.

Il mio amico John può mettersi la sua ansiosa anima in pace. Ci sono donne, così come uomini, che rimarranno nubili, o che, sposate, sembreranno avere una missione collettiva piuttosto che una speciale, un “Così dice il Signore” da distribuire a tutta la gente piuttosto che a uno o due dei Suoi figlioletti. Perché non dovrebbero compiere il loro incarico? Perché la strada non deve essere loro spianata? Ma, prendendoci tutte insieme, siamo state plasmate come lo sono state le generazioni di donne che ci hanno precedute; e proprio in questo processo di formazione dei corpi e delle menti si evidenziano i doveri superiori e più rilevanti nella vita: quelli di moglie e di madre. Ancora non ci stiamo muovendo en masse alle urne o alla vendita al dettaglio; né stiamo distruggendo le cucine comprate quando eravamo sposate, per tuffarci nel vasto conglomerato delle associazioni di cucina. Una buona cosa, senza dubbio, quando è una necessità; ma questi piani universali, dove ogni piatto di patate e rape viene tirato fuori da una pentola comune piuttosto che essere cucinato per soddisfare il gusto specifico di Will o Tom; dove ogni donna si ritrova madre, non del suo speciale bambino, ma spiritualmente dell’umanità intera, sono raggelanti, estremamente raggelanti per la più debole tra noi.

John può scegliere sua moglie, ed essere sicurissimo che lei considererà la sua casetta adorabile, vizierà suo marito, e sopravvaluterà i figli come ha fatto ogni donna da Eva in poi.

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E se lui le dà tutto il lavoro adatto alle sue mani e al suo intelletto, la scoprirà una moglie meno tormentata e debole, meno incline ad andare in visibilio per Offenbach, e a covare possibili nuove affinità elettive per se stessa; la scoprirà, in tutti i sensi, più servizievole, e più sicura di collocare lui e i figli nel posto che spetta loro, vicini al suo obbligo morale verso il suo Dio.

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È COLPA DELLE DONNE?

The North American Review, 1889

È la donna ad avere la colpa maggiore in un matrimonio infelice?

Qualche collaboratore del The North American Review spera finalmente di rispondere a questa domanda?

Ma come! Adamo ed Eva ne hanno discusso proprio all’inizio della loro infelice vita matrimoniale: infelice perché lei era intelligente e ambiziosa e lui mediocre e ingordo. Di chi è stata la colpa delle conseguenze? Da quel momento, la disputa è andata avanti in quasi tutte le famiglie di qualsiasi epoca e nazione. Come si fa a dire qualcosa di nuovo al riguardo?

Perché, dopotutto, questa associazione matrimoniale tra l’uomo e la donna è sempre stata la stessa in ogni periodo del mondo e a qualsiasi stadio della civiltà; e l’uomo e la donna sono gli stessi, che abbiano la pelle bianca, nera o gialla; che abbiano sangue blu o siano negri in un campo di riso della Georgia. Oggi esattamente le stesse qualità nel marito o nella moglie causano felicità o miseria sotto un tetto di New York o Philadelphia, come nella prima città costruita da Caino.

Un principe della casata degli Asburgo – che hanno governato per seicento anni – amava un’altra donna più di sua moglie e, l’altro giorno, si è sparato un colpo in testa per liberarsi del problema. Lo stesso giorno, è stata raccontata una storia simile riguardo a un impastatore olandese di malta a Cincinnati. La Bibbia ci racconta di come Rebecca, figlia di Labano, venne tentata da gioielli d’oro e vesti pregiate per sposare un uomo che non aveva mai visto e non amava, e di come divenne una moglie scaltra e avida, e portò l’infelicità nella sua casa; e ogni giornale del mattino ci racconta la storia di qualche dolce ragazza americana che, uno o due anni prima, era stata messa in vendita al miglior offerente, diventando poi una moglie avida e falsa, e ora dà pubblico spettacolo in un orribile scandalo e causa di divorzio.

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Persino in mezzo al nugolo di mogli, Salomone venne irritato fino alla pazzia da una donna brillante, dalla lingua che si dimenava incessantemente; così anche Socrate; così anche Thomas Carlyle. Il gentile, geniale sir Walter portò, per tutta la vita, il peso di una moglie benintenzionata, noiosa e pedante. La stessa cosa era vera per Byron o Goldsmith, e forse anche per il mio lettore.

Non c’è una nuova tesi da sostenere sull’argomento. Non si legge mai una tragedia o una commedia sulla vita matrimoniale dei secoli bui i cui eventi non si trovino replicati nella strada accanto.

Dopotutto, si tratta dello stesso tipo di relazione, degli stessi uomo e donna, e delle stesse regole di vita che vi si applicano sempre!

Date a un marito e a una moglie un po’ di amore sincero, l’abitudine del pensare e agire in modo onesto, un po’ di svago nelle loro vite, e, soprattutto, riverenza per un Potere superiore a loro stessi, e saranno felici, che vivano in Congo o a Chicago, proprio come accadeva prima del diluvio.

La questione di cui ci occupiamo proprio ora è se sarà possibile che dalle attuali condizioni della vita sociale americana possa originarsi tale tipo di rapporto matrimoniale.

Ci viene detto di no. I moralisti sui giornali, i preti, e, soprattutto, i turisti inglesi lamentano incessantemente il livello degradato della nostra vita domestica. La Nazione, ci dicono, ha ceduto alla ricerca del denaro, per spenderlo con volgare ostentazione. I nostri giovani non sanno niente dell’amore, l’ardente, irrazionale, inesplicabile passione che ha fatto girare il mondo fin dall’inizio dei tempi. Bramano soltanto cavalli, gioielli, aziende. Le ragazze imparano il valore di queste cose da bambine, e viene loro insegnato che devono guadagnarle col matrimonio. Vengono addestrate per un ricco partito, e ne sono consapevoli. Capelli, portamento, pelle, voce, danza, accento francese: tutte queste cose sono importanti per le opportunità della debuttante di fare un buon matrimonio. Viene presentata in società, alla fine, come un cavallo lanciato in pista, col più possibile éclat per la sua famiglia. Ogni suo passo, ogni suo trionfo, vengono registrati dai

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giornali nella volgare pubblicità delle rubriche riservate alla Società. Se sposa un uomo ricco, è là che ci si congratula con lei come se avesse vinto una corsa.

I ragazzi poveri, ovviamente, non hanno nessuna possibilità di conquistare queste prelibatezze di umanità; di solito, vengono comprate da vecchi ricconi. Inoltre, i giovani non si sposano a meno che non trovino mogli con una dote sufficiente per fornire loro dei lussi. Dopo il matrimonio, questi ragazzi, fino ad allora intenti solo a vendersi, scoprono improvvisamente che esiste una realtà come l’amore, una forza che spazza via ogni preoccupazione per il denaro, la posizione, l’onore. Allora seguono scandali, divorzi, disgrazie, indicibile vergogna.

Questi sono solo alcuni degli sgradevoli fatti addotti da chi è convinto che la nostra vita domestica sia corrotta quanto la politica, e il matrimonio in questo paese stia rapidamente diventando solo una questione di contrattazione e vendita che culmina nell’infelicità.

Ma sono la realtà?

Queste affermazioni potrebbero essere in buona misura rispondenti a verità per un certo ambiente alla moda e volgare nelle grandi città, proprio come lo sono per la stessa classe a Londra, Parigi o Berlino. Se una donna fa del divertimento e del lusso lo scopo della vita, naturalmente sacrificherà ogni altra cosa per ottenere

il rango o la ricchezza che li richiedono. Ethel Newcome18, qui, viene venduta per

soldi come in Inghilterra per un titolo. In questi matrimoni mercenari la moglie è più colpevole del marito, perché cade più in basso per ottenere il suo scopo. L’amore e l’onore personale, di solito, contano più per una donna che per un uomo.

Sfortunatamente per la nostra reputazione nazionale, i preti e i critici stranieri, molto ascoltati dall’opinione pubblica, conoscono meglio le comunità delle città alla moda, e tendono erroneamente a pensare che le poche migliaia di uomini e donne che le compongono siano tutto il popolo americano. Al di fuori

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della Società delle grandi città i matrimoni mercenari sono rari. Il vero americano, non il ballerino di Murray Hill o di Back Bay, ma il piantatore del sud, l’operaio delle ferrovie dell’ovest, il commerciante della Pennsylvania, si sposa raramente senza un forte e sincero battito d’amore nel cuore. In fondo, è un uomo troppo onesto e generoso per vendersi. Ha tratti virili. Riverisce le donne. Riversa il suo denaro su asili, ospedali, scuole, con una grande e gratuita generosità. Non è certo il tipo d’uomo che fa del matrimonio una questione di baratto!

Ma persino nella grande, oscura massa di persone che non finisce sui giornali a cui appartiene, è vero che l’avidità di ricchezze, che sta degradando e rendendo volgare tutta la nostra vita, rende infelici molti matrimoni che prima si basavano sull’affetto più puro. Qui, secondo me, sono gli uomini ad avere la colpa maggiore. Non appena John viene contagiato dalla smania per il denaro, la prima cosa che gli sacrifica è il tempo che fino ad allora aveva dedicato alla moglie e ai figli. Corre via dal tavolo della colazione verso l’ufficio o il negozio, vi trascorre tutta la giornata, a casa è depresso e silenzioso, e si porta gli affari nei sogni. Una moglie rimane attaccata al romanticismo dell’amore più a lungo del marito. Non si lascia sfuggire l’amante nell’uomo che le firma gli assegni. E non è neanche vero che molti matrimoni infelici sono dovuti alla ridicola stravaganza delle mogli.

La stravaganza, nella maggioranza di noi donne, è un gusto acquisito. Molte di noi abbiamo un gusto evidente per le piccole economie, e gustiamo il centesimo che abbiamo risparmiato più del dollaro che dobbiamo spendere. È una piccola fastidiosa virtù, se si può chiamare virtù; ma le donne americane ce l’hanno, una reliquia dei tempi in cui il loro unico ruolo nell’economia familiare era risparmiare.

Non sono del tutto sicura neanche del fatto che ci siano più matrimoni infelici rispetto a cinquanta anni fa. Ci sono più divorzi e gli atti di separazione portano alla luce l’infelicità segreta. Ricordo che, nella città della Virginia dove sono cresciuta, c’era una divorcée, e la separazione legale era così rara all’epoca, e talmente aberrante per il sentimento pubblico, che la povera ragazza veniva

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guardata con orrore come fosse stata una lebbrosa. Ma non c’erano matrimoni naufragati tra le brave persone che la tenevano a debita distanza? Nessun marito ubriacone e violento? Nessuna moglie egoista o assillante? Oggi le tolleranti leggi sul divorzio portano tutti questi scheletri segreti a ballare per le strade.

Negli stati dell’ovest, la consapevolezza che il divorzio si può ottenere facilmente, senza dubbio rende spesso le mogli irrequiete e ribelli per delle inezie. In questo caso, la colpa è sicuramente della donna.

Nel sud, dove il divorzio viene ancora considerato una disgrazia, e il sentimento religioso è più rigoroso di ogni altra parte del paese, la donna Casalinga all’antica si può ancora trovare. È cortese; ha un immenso tatto; odia il chiasso; conosce l’arte di trattare gli uomini. Penso che se il matrimonio è infelice la colpa non sia sempre sua.

In alcuni stati del New England, dove le donne superano in numero gli uomini per sei a uno, è l’uomo duro e intrattabile ad avere la situazione in pugno. Sa che quando si stanca della paziente e malnutrita bestia da soma che gli ha fatto da schiava per così tanto tempo, non ha che da “far approvare un atto” e sarà libero di corteggiare e sposarsi di nuovo. Senza la minima intenzione di ravvivare la fiamma sull’altare domestico!

Ma, nel complesso, credo che grazie all’amore onesto e sincero, alla coscienziosità, alla assennatezza e al grande buon umore tipici degli americani, la maggioranza delle coppie in questo paese sia felice.

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LA DONNA SCOPERTA DI RECENTE

Independent, 30 novembre 1893

Da molte settimane volevo richiamare l’attenzione dei lettori

dell’Independent su un articolo di Helen Watterson Moody apparso sul numero di settembre di The Forum. Tratta del “Fermento delle donne per la donna.” E di tutte le innumerevoli riflessioni che ho avuto modo di sentire negli ultimi vent’anni sul mio difficile sesso, questo mi sembra il più razionale e il più sensato. Arriva proprio nel mezzo del petulante baccano sulle donne che si sente in ogni dove, come i rintocchi della campana della chiesa che, regolari e costanti, scandiscono l’ora giusta, dall’alto sulla babele del mercato.

Mrs. Moody pacatamente pone a noi donne poche domande a cui, temo, sarà difficile rispondere.

Pur comprendendo la gioia delle sue sorelle che si sono fatte strada nelle professioni – commercio, finanza e abbigliamento maschile (da loro considerati solidi scalini sulla scala verso il successo e l’auto-sviluppo) – trova che ci sia una nota stonata nella loro gioia. In essa c’è troppa consapevolezza del proprio sesso, e fin troppa ostentazione.

Mrs. Moody ricorda loro che le donne hanno sempre fatto metà del lavoro del mondo, e che quelle che l’hanno fatto in passato erano ugualmente capaci e degne, e impiegate in modo altrettanto vantaggioso, anche se non così pubblico, quanto quelle che oggi strombazzano i propri successi con tanta veemenza.

È perplessa, inoltre, dal recente ed estatico annuncio, fatto a Chicago dai capi del nuovo movimento, secondo cui “è stata appena fatta una scoperta, più importante di quella del Nuovo Mondo da parte di Colombo; la scoperta, quest’estate, della Donna.”

Notando la differenza nel tipo di lavoro fatto dalle generazioni passate del suo sesso, e da questa presente che si è appena scoperta rivale dell’uomo, chiede gentilmente, Qual è la differenza tra i lavoratori? L’unico cambiamento che trova

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