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cap.4 “DISMORFISMI DELL’ETÀ EVOLUTIVA” 4.1 – Le osteocondrosi

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cap.4 “DISMORFISMI DELL’ETÀ EVOLUTIVA”

4.1 – Le osteocondrosi

Il termine osteocondrosi viene utilizzato per indicare un gruppo di patologie caratterizzate da un processo di tipo degenerativo-necrotico a carico dei nuclei di ossificazione epifisari e apofisari, sono quindi coinvolti l'osso neoformato e la cartilagine circostante.

L'eziologia è sconosciuta, ma si ipotizza che tale processo sia dovuto a un disturbo di tipo vascolare che provoca ischemia e necrosi cellulare in particolar modo in età adolescenziale, periodo nel quale l'attività osteogenetica è maggiore.

Un'altra ipotesi è che esista una predisposizione dovuta a squilibri di tipo endocrino e che il processo abbia come agente scatenante un trauma o

ripetuti microtraumi.

Conseguentemente al processo necrotico-degenerativo possono verificarsi deformazioni dei nuclei causate dai normali carichi di schiacciamento e trazione che essi devono sopportare.

Le sindromi osteo-condrosiche hanno solitamente decorso benigno; i processi di necrosi tendono a regredire e l'ossifica-zione riprende in modo normale, ma, in alcuni casi, le alterazioni di tipo morfo-anatomico verificatisi durante il processo necrotico permangono.

Tutti i nuclei di ossificazione, sia quelli epifisari che quelli apofisari, possono essere colpiti da osteocondrosi, ma alcune sedi sono più colpite di altre e spesso si hanno rilevanti conseguenze di tipo clinico. In quasi tutti i tipi di osteocondrosi, le alterazioni di carattere anatomo-patologico sono praticamente le stesse; la fase iniziale

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è caratterizzata dal processo necrotico che colpisce cellule ossee e cartilagine, vi è poi una fase caratterizzata dall'aumento della densità ossea causata da un accumulo di sali di calcio e dallo schiacciamento delle fibre di supporto (trabecole) e dal progressivo riassorbimento della necrosi; le fasi successive sono quelle di ricostruzione e rimodellamento; mediamente il processo osteocondrosico ha una durata che varia dai 18 ai 24 mesi.

Le osteocondrosi vengono solitamente distinte a seconda della sede interessata dal processo patologico; inoltre vengono contrassegnate con il nome dell'autore o degli autori che le hanno osservate.

Si ricordano le più frequenti osteocondrosi: a. dell’arto inferiore;

b. della mano;

c. della colonna vertebrale

a. Osteocondrosi dell’arto inferiore

Osteocondrosi dell'epifisi prossimale del femore (morbo di Legg-Calvè-Perthes-Waldenström)

La prima descrizione dell'osteocondrosi della testa femorale risale ai primi anni del 1900; è la forma di osteocondrosi più frequente e interessa sia femmine che maschi, con maggior prevalenza per questi ultimi. Si manifesta generalmente fra i 3 e i 12 anni di età; il maggior picco di insorgenza riguarda i bambini di età compresa fra i 5 e gli 8 anni. Può colpire sia monolateralmente che bilateralmente; quest'ultima evenienza è più rara, si verifica infatti solo nel 10-15% dei casi.

L'esordio della malattia è caratterizzato da dolori di tipo saltuario all'anca colpita dalla degenerazione; tali dolori si manifestano generalmente dopo attività faticose; in seguito si possono avere zoppia e riduzioni delle funzioni articolari.

Talvolta all'esame clinico è possibile riscontrare una tumefazione a carico dell'inguine; la pressione nella zona inguinale provoca dolore; la

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sintomatologia dolorosa può anche essere provocata da normali movimenti attivi o passivi dell'articolazione interessata. È estremamente importante curare precocemente e in modo opportuno la malattia onde evitare sia limitazioni delle funzioni articolari sia che l'arto rimanga più corto dell'altro a causa della deformazione della testa del femore.

Inizialmente, l'esame radiografico potrebbe non rilevare alterazioni di tipo scheletrico, ma una risonanza magnetica può evidenziare il processo necrotico che caratterizza le fasi iniziali della patologia. In seguito l'esame radiografico è in grado di evidenziare la maggior densità dei nuclei di ossificazione e le successive fasi che caratterizzano il processo osteocondrosico. Altri esami che possono essere utili nella valutazione della malattia sono la TAC, l'artrografia dinamica e la scintigrafia ossea.

Il trattamento di questo tipo di osteocondrosi mira sia a ridurre il carico dalla testa del femore in modo da impedire che questa si deformi (provocando in seguito coxartrosi secondaria) sia a favorire i processi di vascolarizzazione in modo da accelerare la fase riparativa. Gli interventi terapeutici possono essere di diverso tipo dipendentemente dalla gravità della patologia; nei casi meno gravi è sufficiente l'applicazione di un tutore che scarichi l'articolazione dell'anca mantenendo l'arto in abduzione; nei casi più gravi si deve intervenire chirurgicamente (le modalità chirurgiche più utilizzate sono le seguenti: osteotomia intertrocanterica di varizzazione,osteotomia di bacino secondo Chiari, osteotomia di bacino secondo Salter).

Osteocondrosi dell’apofisi tibiale anteriore (Il morbo di Osgood-Schlatter)

Il morbo di Osgood-Schlatter fu descritto per la prima volta nel 1903 a opera di un ortopedico statunitense, Robert Bayley Osgood, e di un chirurgo elvetico Carl Schlatter.

La patologia interessa sia femmine che maschi, ma in questi ultimi la frequenza è tre volte superiore

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Nei maschi si manifesta generalmente nel periodo compreso tra gli 11 e i 15 anni di età, mentre nelle femmine in quello compreso fra gli 8 e i 13 anni; ciò è dovuto al fatto che nel sesso femminile il processo di ossificazione dell'apofisi tibiale inizia più precocemente. Nel 25% dei casi, la patologia colpisce bilateralmente. Solitamente, i soggetti colpiti dal morbo di Osgood-Schlatter sono bambini che praticano sport in modo attivo, si riscontra specialmente in quelli che usano largamente il muscolo quadricipite (come accade, per esempio, nell'atletica, nel basket, nel calcio, nella danza, nel pattinaggio ecc.); la patologia è dovuta infatti alla ripetuta azione traumatica causata dalla trazione del tendine rotuleo sulla sua inserzione a livello dell'apofisi tibiale nella fase di contrazione del muscolo estensore della gamba; il morbo di Osgood-Schlatter ricorre spesso per esempio nei soggetti maschi di giovane età, specialmente se di alta statura, che praticano la danza classica; questo a motivo della forza esplosiva richiesta per eseguire i salti; anche i plié (i movimenti che prevedono il piegamento di uno o di entrambi i ginocchi) possono, a lungo andare, creare problematiche a livello dell'apofisi tibiale.

La sintomatologia del morbo di Osgood-Schlatter è caratterizzata dal dolore, generalmente localizzato a livello del terzo inferiore del tendine; talvolta però si riscontra un'irradiazione verso la rotula o la tibia; l'intensità del dolore è maggiore al termine dei movimenti di flessione o di estensione del ginocchio; in alcuni casi è possibile riscontrare la formazione di una tumefazione locale.

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Una complicanza abbastanza frequente della sindrome di Osgood-Schlatter è la formazione di una salienza ossea che in genere è abbastanza piccola e non procura dolore a meno che non sia sottoposta a una discreta pressione diretta; in alcuni casi è possibile la formazione di calcificazioni intra-tendinee che potrebbero essere, in età adulta, causa di processi infiammatori. Un'altra complicanza, invero molto rara, che potrebbe verificarsi è il distacco della tuberosità tibiale.

L'indagine diagnostica per eccellenza, nel caso si sospetti la sindrome di Osgood-Schlatter, è l'esame radiografico che, generalmente, viene effettuato anche sull'arto controlaterale per permettere una migliore valutazione delle condizioni della tuberosità della tibia; il reperto radiografico mostra spesso una tuberosità tibiale dall'aspetto irregolare e in qualche caso frammentato. L'indagine radiografica, oltre a precisare lo stadio di evoluzione della malattia, consente di verificare la presenza o meno di altre forme di osteocondrosi a carico del ginocchio.

L'approccio terapeutico è abbastanza semplice e si avvale in prima istanza della sospensione dell'attività sportiva traumatica che, a seconda del grado di gravità della malattia, potrebbe durare diverse settimane o addirittura alcuni mesi. Continuare stoicamente a praticare sport può portare allo sviluppo di calcificazioni permanenti che richiedono l’ asportazione chirurgica.

Il decorso della malattia è generalmente benigno e ha una durata media di circa due anni.

Osteocondrosi dell’apofisi posteriore del calcagno (La sindrome di Haglund)

L'osteocondrosi dell'apofisi posteriore del calcagno è una forma di osteocondrosi che colpisce generalmente i soggetti di età compresa fra gli 8 e i 13 anni. La malattia ha decorso benigno e non è causa di deformità, ma la guarigione completa può richiedere fino a due anni di tempo. In molti adulti resta una parte posteriore superiore del calcagno sporgente e allargata, spesso accompagnata da un'infiammazione della borsa sottocutanea, dovuta al continuo trauma contusivo del calcagno contro la scarpa. Nelle fasi acute il

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dolore provocato dall'infiammazione impedisce di indossare scarpe; inizialmente si ha un arrossamento cutaneo, seguito da tumefazione associata alla borsite.

Con una radiografia si verifica la sporgenza abnorme del calcagno, mentre l'ecografia identifica la presenza di un'eventuale borsite. Se l'atleta vuole condurre una vita atletica lunga e positiva, la soluzione migliore resta l'intervento di correzione del profilo calcaneare. Nei casi meno gravi, è possibile convivere con la situazione alternando

periodi di stop a periodi di attività, in cui comunque il carico non può essere portato oltre un certo limite. Sconsigliato l'uso frequente delle infiltrazioni per tamponare la situazione.

Osteocondrosi dello scafoide tarsale (morbo di Köhler I)

La prima descrizione dell'osteocondrosi dello scafoide tarsale risale al 1908 a opera di un radiologo tedesco, Alban Köhler. La patologia, di solito monolaterale, si manifesta generalmente in bambini di età compresa fra i 3 gli 8 anni e compare con maggiore frequenza nel sesso maschile. Il morbo di Köhler può essere asintomatico; quando presenti, le manifestazioni cliniche sono il dolore, che talvolta può causare una leggera zoppia, e una lieve tumefazione nella parte interna del piede.

La radiografia mette in evidenza l'appiattimento dello scafoide che appare inoltre sclerotico e frammentato; è consigliabile eseguire anche un controllo radiografico dell'altro piede.

Il decorso della malattia è generalmente benigno; la guarigione completa avviene nel 18-24 mesi.

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Nei due o tre mesi in cui la sintomatologia dolorosa si acutizza viene consigliato di solito uno stivaletto gessato; terminata la fase di dolenzia potrebbe essere indicato l'uso di un plantare che, sollevando la volta longitudinale del piede, diminuisca il carico dallo scafoide.

Osteocondrosi dell'epifisi prossimale del II metatarso (morbo di Köhler II o morbo di Freiberg)

L'osteocondrosi dell'epifisi prossimale del II metatarso si manifesta clinicamente con maggiore frequenza in età adulta, generalmente nel periodo compreso fra i 18 e i 30 anni di età, solitamente in soggetti di sesso femminile. La comparsa della malattia avviene di solito nel periodo della tarda infanzia o in quello dell'adolescenza, ma, sfortunatamente, i primi sintomi si avvertono solamente in età più avanzate. La radiografia della testa metatarsale rende evidenti la deformazione, lo slargamento, l'appiattimento, l'addensamento e la frammentazione di quest'ultima. Il dolore, spesso non troppo intenso, è localizzato in sede plantare, nella regione del metatarso interessato; solo in rari casi il dolore è intenso e si irradia a tutta la gamba; la sintomatologia dolorosa si acutizza quando il soggetto è in stazione eretta e se si calzano scarpe con i tacchi alti. Il processo riparativo necessita di un periodo che va dai 12 ai 24 mesi. La terapia consiste generalmente nell'uso di un plantare che riduca il carico cui è sottoposta la testa metatarsale. Nei casi particolarmente gravi, invero rari, può essere necessario il ricorso alla metodica chirurgica (osteotomia, perforazione, resezione della testa metatarsale, svuotamento dell'epifisi, trapianto tendineo ecc.).

b. Osteocondrosi della mano

Osteocondrosi del semilunare (morbo di Kienböck)

L'osteocondrosi dell'osso semilunare fu osservata per la prima volta nel 1910 da un medico austriaco, Robert Kienböck. La patologia colpisce i soggetti di

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età compresa fra i 15 e i 40 anni soprattutto se lavoratori manuali (il caso tipico è quello di soggetti che usano i martelli pneumatici).

I sintomi che caratterizzano la patologia sono il dolore al polso che si irradia all'avambraccio; si osservano inoltre rigidità e aumento della dolenzia in fase di estensione del polso e del dito medio, vi è inoltre una riduzione della forza della presa. La radiografia rileva un semilunare sclerotico, frammentato e appiattito. A differenza che in altre forme di osteocondrosi, il processo di guarigione non è spontaneo. Nelle fasi iniziali della malattia viene generalmente consigliata l'immobilizzazione del polso con un gesso allo scopo di ridurre la sintomatologia dolorosa e permettere la rivascolarizzazione. Nei casi più gravi è possibile il ricorso alla metodica chirurgica; si provvederà in questo caso all'escissione del semilunare e all'inserimento di una protesi acrilica; un'alternativa chirurgica consiste in un'artrodesi limitata tra capitato e uncinato allo scopo di prevenire alterazioni artrosiche secondarie.

a. Osteocondrosi della colonna vertebrale

Sono due le forme di osteocondrosi che possono colpire la colonna vertebrale: la vertebra plana (morbo di Calvè) e il dorso curvo giovanile (morbo di Scheuermann).

Il morbo di Calvè

È una forma di osteocondrosi abbastanza rara e si manifesta in bambini di età compresa fra i 2 e i 15 anni con picco di incidenza verso il settimo anno. È più frequente nei soggetti di gracile costituzione; colpisce più soventemente i maschi.

La patologia è generalmente localizzata a livello della prima vertebra lombare; è di solito asintomatica.

L'esame radiografico mostra il corpo vertebrale sclerotico e totalmente appiattito. La terapia consiste nell'indossare un corsetto ortopedico che ha lo

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scopo di favorire la ricostruzione del corpo vertebrale. Il decorso della malattia, che può durare dai 12 ai 24 mesi, è generalmente benigno.

Il morbo di Scheuermann

È una forma di osteocondrosi che si manifesta in ragazzi di età compresa fra i 10 e i 14 anni, più frequentemente di sesso maschile.

I sintomi d'esordio sono una postura ipercifotica e un persistente rachialgia. Il principale reperto clinico è un aumento della normale cifosi toracica, che può essere diffusa o localizzata. Spesso alla deformità si associa una rachialgia dorsale legata al movimento e alla postura (dorsalgia meccanica), che a volte è il sintomo che per primo porta il paziente dal medico.

La cifosi toracica (dorso curvo) adolescenziale (giovanile) di Scheuermann è la forma più frequente di ipercifosi, avendo un'incidenza media stimata dall'1% all'8% della popolazione.

I casi lievi vengono spesso riconosciuti durante visite scolastiche di screening per la deformità della colonna. Alcune persone affette hanno un aspetto marfanoide ed una predisposizione familiare, con sproporzione tra la lunghezza del tronco e quella degli arti.

L'eziologia è ancora incerta: la maggior parte degli autori chiama in causa primitive alterazioni istopatologiche delle cartilagini fertili con successiva inibizione dell'accrescimento somato-vertebrale correlato a fattori meccanici secondari.

E' fondamentalmente causata da un minore accrescimento in altezza nella parte anteriore dei corpi vertebrali. La funzione dei nuclei epifisari dei corpi vertebrali è quella di permettere la crescita in altezza dei corpi vertebrali stessi; se i nuclei vengono colpiti da un processo necrotico, essi si deformano determinando un atteggiamento cifotico della colonna vertebrale. La cifosi di Scheuermann è generalmente considerata lieve sotto i 50°, di media gravità tra 50-70°, severa oltre i 70-75°; tuttavia, quando la deformità si situa al di fuori della fisiologica cifosi, essa è sempre patologica a prescindere dal valore angolare. Esiste infatti anche il Morbo di

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Scheuermann lombare atipico o Scheuermann tipo II (stando alla classificazione di Blumenthal). Questa condizione, relativamente poco conosciuta, si riscontra a livello del passaggio toraco-lombare o del rachide lombare sotto forma di cifosi angolare, di solito assai poco appariscente per il coinvolgimento di solo una o due vertebre; è frequentemente causa di lombalgia, specie in presenza di sollecitazioni meccaniche eccessive.

La radiografia evidenzia la cifosi della colonna e la deformazione dei corpi vertebrali; i nuclei di ossificazione appaiono addensati, frammentati e schiacciati. Le radiografie laterali della colonna vertebrale mostrano un incuneamento anteriore dei corpi vertebrali, generalmente nei tratti dorsale inferiore e lombare superiore.

L'esame radiografico principe per lo studio dell'ipercifosi è la radiografia laterale in ortostasi ed in telemetria a due metri di distanza dal rachide con le braccia flesse a 45° e le mani poggiate su di un supporto. Il paziente deve tenere la testa diritta.

I criteri radiografici più importanti per la diagnosi di malattia di Scheuermann sono:

- Una vertebra cuneizzata di 5 o più gradi. - Presenza di irregolarità dei piatti terminali

- Un aumento oltre la norma del valore angolare della cifosi toracica (maggiore di 40-45°)

- Restringimento apparente dello spazio discale

Negli stadi tardivi i piatti vertebrali diventano irregolari e sclerotici. Il disallineamento del rachide è in prevalenza di natura cifotica, ma a volte è presente una deformità in scoliosi. Nella forma classica, tre o più corpi vertebrali adiacenti presentano radiologicamente, di solito nel tratto toracico medio, una deformità a cuneo anteriore di 5 o più gradi; talvolta, tuttavia, sono cuneiformi solo una o due vertebre. Le tipiche alterazioni delle limitanti somatiche (addensamenti, ondulazioni, noduli di Schmorl, anomalie delle apofisi anulari) possono interessare anche le vertebre non cuneiformi o, al contrario, non essere neppure presenti nelle vertebre cuneiformi.

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Nei casi atipici, bisogna escludere una displasia scheletrica generalizzata e la tubercolosi spinale.

I casi lievi, non progressivi, possono essere trattati riducendo il sovrappeso ed evitando le attività fisiche intense.

Il decorso è lungo (molto variabile, spesso parecchi anni), ma lieve; una volta raggiunto lo stato di quiescenza, spesso persiste un insignificante disallineamento della colonna vertebrale.

La terapia consiste nel rafforzamento dei muscoli addominali e paravertebrali e ha lo scopo di ottenere una corretta posizione della colonna vertebrale. Nei casi più gravi, con rigidità della colonna, viene generalmente consigliata la confezione di corsetti ortopedici. Il ricorso alla metodica chirurgica è un'evenienza molto rara ed è riservata a deviazioni di estrema gravità.

4.2 – Le scoliosi

La scoliosi è una deformità della colonna vertebrale conosciuta e studiata già nel 300 a.C da Ippocrate.Il nome scoliosi deriva dal termine greco skolíosis ‘incurvamento’, che a sua volta deriva da skolíos ‘curvo’. Ippocrate, dopo aver classificato le varie deformità angolari della colonna vertebrale, ideò una serie di strumenti per ridurre queste anomalie. Tra questi mezzi spicca il cosiddetto letto di trazione, il cui principio di funzionamento viene ancora oggi utilizzato.

La scoliosi è una deviazione laterale della colonna associata a rotazione dei corpi vertebrali, a deformazione dei dischi intervertebrali, ad asimmetrie costali e retrazioni muscolo legamentose.

Questo avviene perché la colonna non può piegarsi lateralmente senza effettuare nel contempo una rotazione intorno al proprio asse longitudinale. Pertanto le coste accompagnano la rotazione dei corpi

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infatti spinte lateralmente ed in avanti dalle apofisi trasverse, ed han-no la tendenza ad orizzontalizzarsi. Al contrario, le coste dal lato convesso sono

spinte indietro e si verticalizzano, formando il gibbo. L’asimmetria costale che ne deriva, frenando il gioco respiratorio, può provocare una sindrome restrittiva. Tale deformità è fissa e permanente tanto da rendere patologica la curva scoliotica che non può più essere modificata volontariamente. Se non vi è rotazione dei corpi vertebrali non si può parlare di scoliosi e l'anomalia prende il nome di paramorfismo. Tale condizione tende alla risoluzione spontanea durante l'accrescimento e non necessita di trattamenti particolari eccetto terapie fisiche adeguate e sport. Il termine paramorfismo o atteggiamento scoliotico può quindi indicare semplicemente un atteggiamento posturale scorretto.

L’ 85% delle scoliosi sono idiopatiche la cui causa è sconosciuta, il rimanente 15% è rappresentato dalle scoliosi congenite osteopatiche ( difetti di formazione: emispondili; difetti di segmentazione: sinostosi) oppure secondarie a malattie congenite neurofibromatosi ( macchie di caffè latte ) o acquisite (in seguito ad un trauma, poliomelite , tumori o artrite).

Statisticamente sono colpiti da scoliosi idiopatica il 5-7 % dei ragazzi in accrescimento, ed in prevalenza sono colpite maggiormente le femmine rispetto ai maschi (con un rapporto 7:1).Inoltre le femmine hanno maggiori probabilità di sviluppare scoliosi gravi (8:1).

Oggi numerosi lavori scientifici affermano che la malattia è conseguenza di una predisposizione genetica multifattoriale a trasmissione autosomico

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Solo il 5%o dei casi evolvono in grave peggioramento, tanto che se non trattati, giungono sul tavolo operatorio; negli altri casi la scoliosi può rimane stabile oppure può aggravarsi molto lentamente, non necessitando di alcuna cura se non il controllo clinico (sarà l’entità del gibbo a valutare l’evoluzione nel tempo).

Già John Cobb, maestro dell’ortopedia, ebbe a rimarcare come la cura della scoliosi necessita nella maggior parte dei casi di “una energica terapia di attesa”.

Nel 95 % dei casi la malattia inizia con i primi segni della pubertà ( in media 10 aa nella bambina e 12 aa nel maschietto) proseguendo la sua evoluzione per tutto il periodo della rapida crescita puberale fino alla maturazione ossea del rachide (dura 4-5 anni e termina in media due-tre aa dopo il menarca nella femmina e il cambiamento di voce nel ragazzo). Lo squilibrio tra sviluppo scheletrico e muscolare rappresenta la principale causa di comparsa di queste deformità. Per questo motivo le scoliosi idiopatiche compaiono prevalentemente nell'età infantile e puberale, periodi in cui l'accrescimento osseo è elevato.

Nei rimanenti casi (5%) la scoliosi può evidenziarsi in altre epoche di accrescimento, dall’infanzia al periodo puberale, sapendo anche che, più lontana dalla fine dell’accrescimento è la comparsa della scoliosi, maggiore è il rischio di aggravamento.

In rapporto all’età distinguiamo le seguenti forme di scoliosi idiopatica: - infantile. 0-3 anni

- giovanile . 4anni–iniziopubertà

(10 anni nella femmina e 12 anni nel maschio)

- dell’adolescenza inizio pubertà – maturazione ossea (10-16 anni ) La varietà infantile (2%) (da non confondere con quella congenita ) si manifesta generalmente nel primo anno di vita; rara, è nella maggioranza dei casi una curva toracica che colpisce prevalentemente i maschi risolvendosi spontaneamente senza alcun trattamento in pochi casi progredisce nella crescita fino a curve strutturali gravemente rigide con prognosi sfavorevole

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La varietà giovanile (5-10 %) si evidenzia più frequentemente tra i 6 e 8 anni fermandosi nell’evoluzione e rievolvendo all’inizio della pubertà .

La varietà adolescenziale ( 80-85 % ) coincide con l’inizio della crescita puberale (in media 10 anni nelle femmine e 12 anni nei maschi) evolvendosi in questo periodo, detto della rapida crescita puberale della colonna , di durata intorno ai 4-5 anni; è in questo intervallo di tempo che avviene lo sviluppo sessuale, cioè il menarca nella fanciulla e cambiamento del tono della voce nel maschio e la maturità ossea della colonna vertebrale.

Le curve scoliotiche le possiamo distinguere in curve principali o primarie e curve di compenso o secondarie. La curva principale o primaria compare per prima e si riconosce in quanto i fenomeni di strutturazione, rappresentati essenzialmente dalla rotazione e dall’angolazione a livello dei corpi vertebrali e dal gibbo in sede extrarachidea, sono più evidenti. La curva di compenso o secondaria non presenta fenomeni di strutturazione.

In base alla localizzazione della curva principale le scoliosi le possiamo distinguere in :

- Scoliosi idiopatica infantile, evidenziatasi all’età di 2 anni e mezzo, rapida ed intensa ingravescenza che a 4 anni misurava 30° e a 12 anni 104°.

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- dorso-lombari 22.81%, - lombari 13.08% - doppie primarie 11,34% - lombo-sacrali 0.35% - cervico-dorsali 0,25% CLINICA E DIAGNOSI

L’esame clinico segue queste modalità (prima visita):

 breve ricerca anamnestica su precedenti casi di scoliosi nei familiari  età cronologica

 sul soggetto svestito (la femmina con slip e reggiseno e il maschio con il solo slip) prendiamo nota dello stato e dello sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie se il paziente è prepubere o pubere attraverso il cambiamento del tono della voce e la presenza dei primi peli pubici nel maschio, l’inizio del menarca nella femmina e la valutazione attraverso il Tanner Test

- fase 1 = prepubere

- fase 2 = allargamento dell’areola

- fase 3 = ulteriore allargamento del seno e dell’areola - fase 4 = ulteriore allargamento del seno e dell’areola - fase 5 = mammella adulta

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L'esame obiettivo del rachide va condotto in ortostatismo (visione anteriore, posteriore e laterale ) ed in flessione anteriore del tronco valutando la presenza di uno dei seguenti segni clinici:

 incurvamento laterale della linea risultante dall’unione di tutte le apofisi spinose ed inclinazione della postura da un lato ;

 slivellamento del normale parallelismo tra le due linee congiungenti le spalle, le scapole, le creste iliache, (sopraelevazione della spalla situata dal lato della convessità della curva in presenza di scoliosi dorsale);

 nelle bambine differenza di livello e di volume delle mammelle;  asimmetria dei "triangoli della taglia"

 obliquità del bacino

 presenza di una sporgenza costale (gibbo costale)e valutazione dell’entità mediante gibbometro

 ricerca di eventuali “macchie color caffèlatte” che possono evidenziare una scoliosi neurofibromatosica o più di rado presenza di aree di “pigmentazione” e “ciuffi” di peli per una scoliosi congenita o mielomeningocele, oppure una lassità ligamentosa associata alla sindrome di Marfan ;

 in posizione supina si ricerca un’associata ipercifosi del rachide (cifo-scoliosi) o, in rari casi, una inversione della curva cifotica con avvicinamento del rachide allo sterno (lordo-scoliosi).

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La prima cosa da valutare è il disassamento cioè il grado di compensazione tra tronco e pelvi servendosi di un

filo a piombo teso tra la protuberanza occipitale esterna e la linea interglutea (normalmente deve posizionarsi esattamente al centro della linea interglutea). L’allontanamento del filo a piombo dal centro della linea (verso destra o verso sinistra) può essere spia di scoliosi, ma anche di dismetria

degli arti inferiori, con conseguente differenza di livello del bacino. La presenza del disassamento è un segno prognostico sfavorevole specie se compare nell’età infantile.

Dalla raccolta dei dati definiamo la diagnosi:

se non sono presenti gibbi consideriamo la scoliosi funzionale, non strutturata, non necessitante di Rx o di alcuna terapia, se non di controlli nel tempo in rapporto all’età. Con il tempo, le deformità riscontrate (eventuali asimmetrie, disassamenti ecc.) scompariranno;

se viene riscontrata la presenza del gibbo lo misuriamo, lo registriamo, e in base all’epoca di accrescimento consigliamo controlli clinici periodici; se la misurazione del gibbo o dei gibbi è inferiore ai 7/8 mm non richiediamo nessun controllo radiografico. Si può

certamente affermare che nella valutazione del paziente scoliotico diamo la massima importanza alla presenza del gibbo, il quale

caratterizza la scoliosi strutturata come malattia capace di progredire e di aggravarsi: il gibbo non scompare e può, come accade spesso, non modificarsi o modificarsi poco

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oppure molto; è per questo che viene preso come riferimento sia per la

prognosi che per la terapia della scoliosi idiopatica .

4.3 – La valutazione radiologica

Per diagnosticare e valutare una scoliosi è necessario far eseguire una radiografia in antero-posteriore della colonna in ortostatismo ed in laterale La rx così eseguita ci potrà dare molte informazioni utili sullo stato della curva scoliotica e sulla sua prognosi.

Per misurare il valore radiografico della curva scoliotica ci si avvale del metodo proposto da Cobb nel 1948.

È necessario dapprima individuare le vertebre estreme di una curva. Si intendono per vertebre estreme quelle vertebre, facenti parte della curva scoliotica, che pre-sentano la maggiore inclinazione rispetto all’orizzonte. Individuate quindi la vertebra estrema craniale e quella caudale si traccia una linea parallela al piatto vertebrale superiore della vertebra più alta ed una linea parallela al piatto vertebrale inferiore della vertebra più bassa. Si tracciano successivamente delle perpendicolari a dette rette che intersecandosi fra loro formano un angolo b (angolo di Cobb ) che indica l'entità in gradi della deviazione scoliotica.

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Si noti però che mentre la vertebra limite inferiore per la lordosi è sempre L5 (o la mensola sacrale S1, con altro metodo), per la cifosi la determinazione della vertebra limite superiore è spesso condizionata dalla qualità della radiografia e per l'inferiore non sempre la vertebra più inclinata è D12: a volte, in presenza di cifosi del passaggio dorso-lombare può essere L1, L2 o L3, oppure in pre-senza di una lordosi estesa può essere D11, D10 o anche D9 (vedi Figura ).

La cuneizzazione vertebrale può essere eventualmente calcolata segnando le linee parallele ai piatti terminali e misurando gli angoli così formati.

Le curve scoliotiche che richiedono trattamento sono quelle che misurano un angolo maggiore dei 30-40° Cobb la cui l'incidenza è dello 0,2-0,3%.

L’entità della rotazione vertebrale può essere misurata prendendo in considerazione il processo spinoso e dopo aver diviso l’emicorpo in 4 parti (a,b,c,d) si riesce a quantificare l’entità della rotazione secondo 4 gradi (1+,2+,3+,4+).( Metodo di Cobb).

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Altro metodo per misurare la rotazione è quello di prendere in considerazione lo spostamento dei peduncoli.

Con l’esame radiografico potremo individuare la vertebra apicale che è rappresentata dalla vertebra più ruotata di una curva scoliotica. Alcune volte, specie nelle scoliosi a due curve, nel punto di passaggio fra una curva e l’altra si può trovare quella che comunemente viene indicata come vertebra neutra o di transizione: questa è una vertebra in cui i fenomeni di strutturazione sono meno presenti e può essere considerata la fine della curva superiore e l’inizio della curva inferiore in senso opposto.

Altra valutazione importante che possiamo evidenziare con l’esame radiografico è la maturazione scheletrica mediante il test di Risser. Il test consente di stabilire il grado di sviluppo osseo valutando l'ossificazione delle creste iliache. Il risultato può variare da Risser 0 (non esiste nucleo di ossificazione) a Risser 5 (esprime l’avvenuta fusione del nucleo con l’osso sottostante e corrisponde alla completa maturità ossea della colonna che si manifesta, in genere, 2-3 anni dopo la pubertà). I gradi sono così suddivisi: 1+ quando l'ossificazione è intorno al 25%; 2+ quando è intorno al 50%; 3+ intorno al 75%; 4+ per una ossificazione completa del tratto e 5+ per la completa fusione con l'ileo. Fino a Risser 2+ il rischio di peggioramento è del 50%, dopo Risser 2+ il rischio si riduce al 20%.

Le Linee Guida raccomandano quanto segue:

 Si raccomanda che la scelta di eseguire l'indagine radiografica venga effettuata dallo specialista.

 Si raccomanda che la misurazione della radiografia venga effettuata utilizzando l'angolo di Cobb.

 Si raccomanda, per ridurre l'invasività del follow-up, che la radiografia non venga effettuata più di una volta all'anno.

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Prognosi

La prognosi della scoliosi, ovvero il giudizio clinico sulla evoluzione futura della malattia dipende da diversi fattori come: maturazione scheletrica,

età, menarca, sede, strutturazione, entità della curva in gradi.

In base all’entità della curva scoliotica siamo soliti classificare le scoliosi in: - Lievi: < 20°

- Medie: 20° - 40° - Gravi: > 40°

Sede e rischio di peggioramento:

Gradi, età e rischio di peggioramento

Età (anni) 10 ÷ 12 13 ÷ 15 16 Curva (gradi) < 20° 25% 10% 0% 20° ÷ 30° 60% 40% 10% 30 ÷ 60° 90% 70% 30% >60° 100% 90% 70% TORACICHE:

le scoliosi toraciche hanno le maggiori probabilità di peggioramento TORACO LOMBARI

LOMBARI

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Scoliosi, indicazioni terapeutiche:

Curva fino a 15-20°: Nessuna terapia si effettua controllo e prevenzione. La prevenzione si attua tramite l'educazione posturale e la regolare pratica di attività motoria generica per potenziare i muscoli paravertebrali, controllare periodicamente ogni 6mesi attraverso l’esame clinico ed ogni 12 mesi attraverso il controllo radiografico .Il 10% di queste possono essere evolutive!!!!In tal caso è necessario indossare un corsetto. Questi corsetti sfruttano per la correzione della curva scoliotica forze di pressione e di elongazione; possono essere impiegati a tempo pieno o parziale, durante la giornata, a seconda dell’età del paziente e dell’entità della curva: quanto più grave è la curva tanto più tempo il paziente deve indossare il corsetto durante la giornata.

Curva oltre i 20° fino a 30-35°: trattamento incruento con confezionamento di un apparecchio gessato. Attualmente sono meno utilizzati. Vengono confezionati su un apposito letto (Risser o Scaglietti) e sfruttano forze di elongazione e di compressione, tramite pressori localizzati sull’apice della curva. Oggi vengono impiegati per scoliosi di media gravità in preparazione al successivo uso di corsetti.

Esistono diversi tipi di corsetti che vengono impiegati a seconda della sede della curva come: il Cheneau ( maggior controllo dei cingolo scapolare per curve dorsali e lombari), il Boston (nelle curve toraco-lombari o lombari) ed il Milwaukee (nelle curve toraciche o doppie primarie).

Il corsetto verrà abbandonato quando avremo accertato che la curva scoliotica è ormai stabilizzata e cioè quando il paziente ha raggiunto la maturità scheletrica o quando avremo constatato che non vi è un significativo peggioramento togliendolo. E’ necessario tenere presente che lo scopo principale del trattamento con corsetti e gessi è quello di controllare o arrestare l’aggravamento della scoliosi in quanto un suo miglioramento si ottiene soltanto in una piccola percentuale di casi.

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Curva oltre i 35-40°: prevede il trattamento chirurgico che consiste nell’artrodesi vertebrale. Gli

strumentari che vengono impiegati si avvalgono di uncini o viti che applicati sulle lamine o nei peduncoli e nei corpi vertebrali vengono a loro volta

collegati a due barre metalliche: sfruttando forze di distrazione e di derotazione si corregge per quanto possibile la curva e si esegue quindi l’artrodesi mediante la decorticazione delle lamine e l’applicazione di tessuto cortico-spongioso autologo prelevato dalla cresta iliaca.

4.4 - -Altri dismorfismi del piede

Il piede piatto primitivo annovera forme da anomalie onto-morfogenetiche di sviluppo (deformità o dismorfismi), e forme da anomalie onto-morfogenetiche di formazione (malformazione)

I piattismo primitivi da difetto evolutivo sono rappresentati principalmente da: - sinostosi astragalo-calcaneali (generalmente ha sede mediale in corrispondenza del sustentaculum tali, inizialmente coalescenza fibrosa che si ossifica all’età di 13-14 anni, impedisce al calcagno di completare la sua migrazione al di sotto dell’astragalo, per cui il piede rimane piatto. Tipicamente si manifesta come un piattismo che diventa doloroso a 13-14 anni in un piede in cui mancano la pronazione e la supinazione della sottoastragalica per la fusione di astragalo e calcagno);

- difetto evolutivo idiopatico della migrazione del calcagno (è spesso alla base di un eccesso di pronazione della sottoastragalica con valgo di calcagno e piattismo. Il calcagno nell’abbozzo embrionario del retropiede, è complanare all’astragalo sul piano orizzontale ;nello sviluppo intrauterino prima e nella vita post-natale poi, migra progressivamente sotto l’astragalo per raggiungere, intorno ai 10 anni di

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età, l’assetto sul piano frontale in fisiologico valgismo di 5°-7°; ad un arresto della migrazione nello sviluppo ontogenetico consegue un assetto in valgismo del retropiede maggiore dei residui 5°-7° fisiologici, (associato di solito a piattismo ).

Per completezza riportiamo brevemente anche le forme di piattismo primitivo a carattere malformativo rappresentate da :

- astragalo verticale (da protrusione della testa astragalica nella coxa pedis con dislocazione dorsolaterale della articolazione calcaneo-scafoidea per displasia della coxa stessa). Si pensa che sia in relazione

ad un salto di accrescimento peroneale. Ha incidenza maggiore nel piede torto. L’aspetto clinico è quello tipico del piede “a barca” o “a dondolo” per la convessità plantare e nel radiogramma laterale in carico l’astragalo è verticale ed i rapporti tra astragalo e calcagno non si correggono neanche nei radiogrammi in carico in massima flessione plantare del piede. L’astragalo assume una forma allungata protruso medialmente e plantarmente , notevole è la divergenza astragalo-calcaneale con calcagno disposto pressoché lateralmente all’astragalo, lo scafoide è lussato dorsalmente all’astragalo, si associa brevità del t. di Achille per il marcato valgismo del calcagno, e brevità del tibiale anteriore per la supinazione dell’avampiede.);

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- anomalie del tibiale anteriore (una sua brevità può indurre supinazione eccessiva dell’avampiede compensata dalla pronazione della sottoastragalica con conseguente piattismo. Da ricordare che il TA è prima supinatore e poi flessore dorsale);

- ipoplasia o aplasia del Tibiale posteriore (deficit di stabilizzazione passiva ed attiva operata fisiologicamente dal tendine del TP sulla coxa pedis; viene meno il contenimento mediale della testa astragalica nella articolazione calcaneo-scafoidea fisiologicamente svolto dalla espansione terminale a grembo del tendine TP).

Per quanto riguarda i dimorfismi del piede cavo risultano poco frequenti pertanto rimandiamo al capitolo dei paramorfismi dell’età evolutiva dove è esposta la classificazione etiopatogenetica del piede cavo.

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