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Capitolo I Profilo storico della città di L’Aquila dalla fondazione alla conquista aragonese

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Capitolo I

Profilo storico della città di L’Aquila dalla fondazione alla

conquista aragonese

1.1. Le ragioni della fondazione

Nell’iniziare questo lavoro, è doveroso delineare un rapido profilo delle condizioni sociali, storiche, economiche e politiche che portano, intorno al 1254, alla nascita della città di L’Aquila, della quale gli Statuti e gli altri documenti civili (dalle Cronache di fonti tipologicamente diverse, ai Privilegi) sono uno specchio fedele, ritraendo uno spaccato di vita di questa comunità a cavaliere tra i secoli XIII e XV.1

1

Le fonti documentali della storia aquilana sono pressoché tutte custodite negli archivi della città (Archivio Civico Aquilano ora depositato presso l’Archivio di Stato dell’Aquila) e in quelli di Napoli. Gran parte di esse (cronache, diari, memorie) sono state pubblicate nei Quaderni, nelle Monografie e soprattutto nei Bullettini della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, la cui opera istituzionale assume una funzione insostituibile per la tutela e la promozione del patrimonio culturale aquilano ed abruzzese. Molti privilegi furono pubblicati a L’Aquila, sottoforma di regesto, con il titolo Regia

munificentia erga Aquilanam Urbem variis privilegiis exornatam nel 1639. A tali fonti dedico grande

spazio in questo capitolo del mio lavoro, ed esse saranno ampiamente citate ove necessario.

In questa occasione corre l’obbligo di ricordare i 56 volumi manoscritti dell’erudito del ‘700 A.L. Antinori, custoditi nella Biblioteca Provinciale dell’Aquila. Fondamentali per la storia cittadina quanto abruzzese, i primi 25 volumi (i cosiddetti Annuali degli Abruzzi dall’epoca preromana al 1777

dell’era nostra) sono stati riprodotti in copia anastatica dall’editore Forni di Bologna, dal 1971 al

1980. La riproduzione dei volumi successivi, da parte della S.E.A.B. di Bologna, si è fermata al trentunesimo. Un’antologia degli stessi Annuali, ovvero una selezione dei passi relativi a L’Aquila fino al 1424, fu pubblicata a L’Aquila nel 1883, a cura di A. Leosini, dal titolo Annali della città

dell’Aquila.

Il lavoro dell’Antinori, sui cui cenni biografici rimando alla nota 8 di questo capitolo, è per gli storiografi preziosissimo e parimenti problematico, per la mole di notizie conservate (alcune attinte da fonti dirette, altre da fonti indirette e talvolta in contraddizione tra loro), moltissime tratte da documenti in seguito perduti, soprattutto dopo le razzie dei francesi del 1799.

Parimenti bisogna citare l’edizione, a cura dell’erudito di primo Novecento G. Pansa, in Sulmona nel 1902, di Quattro cronache e due diarii inediti relativi ai fatti dell’Aquila dal sec. XIII al sec. XVI, la quale contiene una Dissertazione sulle fonti edite e inedite della storia aquilana.

Le prime composizioni di opere storiche che implicano una certa consapevolezza critica appaiono nel sedicesimo secolo e sono individuabili nelle opere di S. Massonio, con il Dialogo della origine della

città dell’Aquila (Aquila 1549), di B. Cirillo, con gli Annali della Città dell’Aquila con le historie del suo tempo (Roma 1570), di C. Crispomonti, con il manoscritto Historia della origine e fondazione della Città dell’Aquila (1629) e di C. Franchi, con la Difesa per la fedelissima Città dell’Aquila

(Napoli 1752).

Per la composizione della presente indagine storica, è inoltre valsa la lettura o la consultazione delle opere seguenti e che indico come bibliografia essenziale: M.R. Berardi, U. Dante, S. Mantini, F. Redi,

Breve storia della città dell’Aquila, Pisa 2008; M.R. Berardi, I monti d’oro Napoli 2005; E. Valeri, L’Aquila, Pescara 2000; A. Clementi, Storia dell’Aquila, Roma–Bari 1998; Guida dell’Aquila,

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Con la caduta dell’impero romano l’Abruzzo inizia quella complessa e rischiosa funzione di raccordo orientale tra il nord ed il sud d’Italia, che si è perpetuata fino, si può dire, alle vicende della seconda guerra mondiale.

Se i secoli dell’alto medioevo rappresentano anche per questa regione un periodo storico tra i più oscuri, con pochissime fonti documentarie rintracciabili, è con la lenta penetrazione dei Normanni in Abruzzo che si innescano vari processi d’evoluzione per quest’area geografica.

La presenza normanna si stabilizza definitivamente nel quinto decennio del dodicesimo secolo.2 Il territorio regionale entra integralmente a far parte del

Regnum Siciliae, che garantisce infatti una certa tranquillità politica ed un

costante sviluppo economico. L’Abruzzo, senza più distaccarsene, seguirà – nelle alterne vicende della storia, seppur con frequenti rivolte – il destino del Regnum fino all’unità d’Italia.

Per affrontare il problema delle origini della città dell’Aquila, ed in particolare il modo con cui si costituisce in Comune ponendo le premesse per la successiva evoluzione politica, economica e sociale, occorre tener presente e ricomporre in un quadro unitario tutte le componenti storiche che in varia misura hanno contribuito alla formazione di una struttura cittadina che si rivela diversa, rispetto alle caratteristiche tipiche di altre città. Una diversità che riguarda non solo le

L’Aquila 1997; P.F. Palumbo, Le origini, la distruzione sveva e la ricostruzione angioina dell’Aquila, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», CVIII (1996), pp. 25–68; D. Chilante, F. Pompa (a cura di), Viaggio nell’Abruzzo Aquilano, L’Aquila 1996; S. Boesch Gajano, M.R. Berardi, Civiltà medioevale negli Abruzzi, vol. II, L’Aquila 1990–1992; L. Lopez, L’Aquila: le

memorie, i monumenti, il dialetto. Guida alla città, L’Aquila 1988; A. Clementi, E. Piroddi, L’Aquila,

nella collana “Le città nella storia d’Italia”, Roma–Bari 1986; M.R. Petrignani, Egemonia politica e

forma urbana. L’Aquila, città come fabbrica di potere e di consenso nel medioevo italiano, Bari 1980;

M. Centofanti, Fonti e documenti per la storia della città dell’Aquila: il ruolo del centro civico nella

definizione della forma della città e le sue trasformazioni, Lanciano 1979; G. Barbato, A. Del Bufalo, L’Abruzzo e i centri storici della Provincia dell’Aquila, L’Aquila 1978; E. Pontieri, Il Comune dell’Aquila nel declino del Medioevo, L’Aquila 1978; A. Clementi, Statuta Civitatis Aquile, Roma

1977; L. Lopez, L’Aquila, panorama storico, in L’Aquila nella storia e nell’arte, Teramo 1974; A. De Matteis, L’Aquila e il Contado. Demografia e fiscalità, Napoli 1973; R. Colapietra, Profilo

dell’evoluzione costituzionale del comune Aquilano fino alla riforma del 1476 in «Archivio Storico Italiano», nn. 425–426, (1960), pp–3–57 e pp. 163–189; G. Equizi, Storia de L’Aquila e della sua diocesi, Torino 1957; A. Chiappini, Fondazione, distruzione e riedificazione de L’Aquila capitale degli Abruzzi, estratto dalla Miscellanea di scritti vari in memoria di Alfonso Gallo, Firenze 1956, pp.

254–278; A. Chiappini, Intorno alla fondazione della città dell’Aquila, in «Bullettino della R.

Deputazione Abruzzese di Storia Patria», (1936), pp. 21–31. O. Sabatini, Documenti Aquilani dei secoli XIII, XIV e XV, in «Bullettino della R. Deputazione Abruzzese di Storia Patria», (1918–1919),

pp. 187–220.

2 Alfonso d’Altavilla (†1144), figlio di Ruggero II, completò la conquista dell’Abruzzo appenninico spingendo i confini fino al fiume Tronto. Vedasi J.J. Norwich, Il Regno nel Sole. I Normanni nel Sud:

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estese dimensioni del territorio in cui sorge, ma anche l’assetto urbanistico, politico e sociale dell’iniziale nucleo cittadino.

Tuttavia, il carattere del presente lavoro non consente di soffermarmi a lungo su tali problematiche, ma, volendo analizzare speditamente i dati sull’origine della città di L’Aquila, si osserva che molteplici fattori concorrono alla sua edificazione.

Essi sono certamente individuabili nelle ragioni di riorganizzazione geografica e di sicurezza del vasto ed impervio territorio a confine tra lo Stato Pontificio ed il Regno di Sicilia, ma soprattutto nel bisogno di coordinamento delle forze economiche e lavorative sparse nelle terre e nei villaggi della porzione d’Abruzzo che andrà a costituire il Comitatus Aquilanus.

L’Aquila, disegnata e fundamentis, andrà a nascere lungo il fiume Aterno, in una vasta area – abitata fin dall’antica epoca preromana – che raccoglie nella conca ai piedi del Gran Sasso i limina delle popolazioni vestine, sabine, sannitiche, ed in particolare le antiche città di Amiternum, patria di Sallustio, e di Forcona, Foruli, Peltuinum, decadute o distrutte per opera barbarica e ridotte a vici o pagi.

Un territorio fortemente caratterizzato dalla presenza appunto del versante meridionale del massiccio del Gran Sasso – che storicamente separa i due ambienti o paesaggi di cui fondamentalmente si compone l’Abruzzo: marino, o adriatico, e montano – e che si estende ad occidente fino alle gole del Velino, sulla via Salaria, a sud fino alle serre di Celano e ad oriente fino a Popoli ed alle gole dell’Aterno, nei pressi dell’antica capitale della Lega Italica, Corfinio.

Questa vastissima porzione d’Abruzzo, costituita da altipiani ricchissimi di erbe da maggio ad agosto, diede origine nei fatti ad un’economia da sempre massimamente dedicata alla pastorizia.

La via Claudia Nova – che univa la via Salaria, ad Antrodoco, con la via Claudia Valeria alla confluenza del fiume Aterno con il Tirino, nei pressi di Popoli – e le altre strade consolari garantirono costantemente uno sviluppo economico per quei pastori che lungo il migrare dei secoli, dall’epoca romana in avanti, le percorsero con le loro greggi.

Va da sé che lo sfruttamento estivo (verticale) dei pascoli abruzzesi, rasati dal vento ed innevati per il resto dell’anno, impose l’orizzontalità degli spostamenti verso le estensioni pascolative pugliesi: ecco allora germogliare la pastorizia transumante, che avrebbe condizionato in maniera determinate lo sviluppo della

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futura conca aquilana. Tale pastorizia disegnerà – accanto quelle consolari – le vie tracciate in una ideale carta dei tratturi, ancor oggi in buona parte praticabili.3 La viabilità antica è infatti un elemento fondamentale lungo il quale ebbe a compiersi, fin dall’undicesimo secolo, la lenta penetrazione nel territorio regionale da parte dei Normanni, come prima accennato.

Quest’ultima trasformò il territorio e riorganizzò gli abitanti sparsi sugli altipiani producendo il fenomeno antropico dell’incastellamento, costellando di rocche e castelli – spesso nuclei originari degli attuali centri abitati – il paesaggio dell’Abruzzo aquilano mantenendosi pressoché intatto fino ai nostri giorni.

Disseminati lungo i vecchi percorsi, e raccolti attorno i tanti monasteri benedettini – dipendenti dalle Abbazie di Farfa e di Montecassino – i castra rappresentano un’autentica rinascita urbanistica e demografica lungo il decimo e l’undicesimo secolo.4

Nel secolo successivo, all’interno degli ormai sicuri confini del Regnum Siciliae, si arricchisce il sistema dei collegamenti verso il mare e si consolidano i percorsi principali della transumanza, i quali, scavalcando fiumi e montagne, vengono punteggiati dai riposi: diverranno essi stessi ulteriori nuovi centri abitati e fortificati, insediamenti commerciali e di servizio, sorgendo talvolta sul luogo stesso delle antiche cittadine romane.

In tal modo l’intera struttura culturale ed economica della “terra di pastori” si evolve coinvolgendo tutti i suoi aspetti di vita civile, politica, sociale ed altresì religiosa.

Agli inizi del Duecento, la porzione territoriale d’Abruzzo che trova nella conca aquilana la sua più fervente fucina, e che determinerà profonde trasformazioni in un’area vastissima, è legata da una parte a piccole signorie feudali “di confine” sparse nell’alta valle dell’Aterno – come i signori di Poppleto (Coppito) –, e dall’altra al grande sistema feudale dei conti di Celano, un’insigne signoria appenninica che governava dal Matese fino alle gole di Celano ed all’altopiano di

3 R. Colapietra, Itinerario storico abruzzese, Lanciano 1979, pp.17–19; vedasi inoltre A. Clementi, L’organizzazione demica del Gran Sasso nel Medio Evo, L’Aquila 1991.

4 Sul fenomeno dell’incastellamento rimando a: G. Chiarizia, L’architettura fortificata in

Abruzzo. Nuove acquisizioni e premesse per un catalogo automatico, in «Abruzzo» XXXVI–

XXXVIII (1998–2000), pp. 417–451; A. Clementi, L’incastellamento negli Abruzzi, Colledara 1996; C. Delle Donne, I Castelli d’Abruzzo in età Federiciana, in «Bullettino della Deputazione

Abruzzese di Storia Patria», CVI (1994), pp. 17–58; P. Properzi, A. Clementi, L. Santoro, R.

Colapietra, Abruzzo dei Castelli. Gli insediamenti fortificati abruzzesi dagli Italici all’Unità

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Rocca di Mezzo, tuttavia quasi annientata dall’accentratrice politica federiciana che, come dirò a breve, stava spostando il baricentro amministrativo abruzzese verso la conca peligna.5

I “luoghi di potere” sono dunque piuttosto deboli e lontani, ed allora sorge da parte della popolazione la necessità di più efficaci sistemi di organizzazione commerciale, di governo, di rappresentanza collettiva, di ricostruzione non solo di centri ma anche di una rete di poteri, in un’epoca straordinariamente segnata da profondi cambiamenti, la cui indagine storiografica ha avuto nuovi impulsi grazie all’attività dell’Ateneo aquilano, ormai da una quarantina d’anni a questa parte.6 Nasce, in una parola, il bisogno di città.

Alla domanda se la fondazione dell’Aquila fosse realmente una fondazione di

popolo, ovvero su chi avesse effettivamente bisogno di rappresentatività, gli

storici hanno risposto concordi affermativamente,7 identificando certamente non i baroni o i signorotti di paese, ma, in una sorta di “atmosfera interclassista”,8 larghi strati della società, dalla piccola, media e grossa borghesia mercantile, intellettuale, produttiva, oltre ad una presenza popolare generica.

La fondazione della città dunque è un fenomeno complesso, e gli storici sono concordi nel ritenere che tutte queste condizioni rapidamente evocate maturano agli inizi del Duecento, anni in cui l’Abruzzo interno si trova a svolgere il ruolo di cerniera territoriale nella dialettica politica che vede antagonisti il papato e l’impero.

Il primo momento significativo nelle dinamiche del territorio avviene tra gli anni Venti e Trenta, quando gli abitanti dei centri sparsi nella valle dell’alto e medio fiume Aterno decidono collettivamente di fondare la città proprio su quella

5 I primi conti di Celano furono i Berardi, alla metà del IX secolo, furono signori della Marsica e del Molise. Federico II spogliò del dominio il conte Pietro, che aveva seguito il partito dell’imperatore Ottone IV, e ne investì Tommaso di Segni, fratello di papa Innocenzo III, che poi gli si ribellò. L’imperatore cinse allora d’assedio Celano (1223) e la distrusse con il castello; gli abitanti furono esiliati in Calabria, Sicilia e a Malta. Gli esuli ebbero il permesso di ritornare nel 1227, e rifondarono Celano nei pressi del preesistente castello, che fu successivamente feudo di varie famiglie, fra le quali i Piccolomini, i Savelli e gli Sforza.

6 Per un’attenta disamina storiografica rimando a: S. Boesch Gajano , M.R. Berardi, Civiltà

medioevale negli Abruzzi, vol. II, L’Aquila 1990–1992; A. De Matteis, L’Aquila e il Contado. Demografia e fiscalità, Napoli 1973.

7 M.R. Berardi, I monti d’oro, Napoli 2005; L. Lopez, L’Aquila, panorama storico, in L’Aquila nella

storia e nell’arte, Teramo 1974, pp. 7–104.

8 R. Colapietra, M. Centofanti, Aquila dalla fondazione alla renovatio urbis, Sambuceto 2009, pag. 21.

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collina che lega la parte vestina dell’Abruzzo da quella sabina, tra le due antiche città di Amiternum e Forcona, sedi episcopali.

La fondazione di una città deve essere approvata da una superiore autorità, sia essa il Papa o l’Imperatore: gli abitanti dei centri fondatori hanno le idee molto chiare, coagulate intorno ai comuni interessi prima esposti.

Nell’intento di liberarsi del rigido, seppur indebolito, sistema feudale cui erano sottoposti, il primo tentativo per conseguire tale obiettivo, approfittando anche dell’assenza di Federico II (1194–1250) per la quinta crociata, fu rivolto dagli abitanti di Amiternum e Forcona nel 1229 a papa Gregorio IX (1227–1241), affinché concedesse loro di fondare la città nel luogo chiamato Acculae.9

Certamente egli vede in questo desiderio l’opportunità di indebolire la presenza imperiale (aveva già scomunicato Federico) nelle terre di confine tra il Regnum

Siciliae e il Patrimonium Sancti Petri.

Gregorio IX, Ugolino da Ostia, sommo giurista e grande personaggio che vide potentemente nella nuova civiltà francescana uno dei grandi strumenti di rafforzamento della Chiesa, riferendosi al notissimo privilegio di Ottone I del 962 – il quale prevedeva la donazione di Rieti, di Amiternum, di Forcona, di Norcia, di Valva, della Marsica e di Teramo al demanio della Chiesa – non solo riconosce la legittimità della perorazione, ma rivendica la propria giurisdizione territoriale ed autorizza gli abitanti a fondare una città ed a riunirsi in essa nella località di

Acculae.10

9

Il toponimo Acculae o Locus Aquili (piccole acque), è identificato nei pressi dell’attuale Borgo Rivera, all’interno delle mura urbane, ricchissimo per una serie di sorgenti e polle di acqua. 10 La lettera apostolica, rata il 7 settembre 1229 in Perugia – dove Gregorio IX si trovava dall’anno precedente avendo istruito e concluso la canonizzazione di Francesco d’Assisi – è edita nei Monumenta Germaiae Historica. Epistolae saeculi XIII et regestits Pontificum Romanorum

selectae, tomo I, n. 402, Monaco 1982 pp. 321–322; vedasi anche A. Potthast, Regesta pontificum romanorum, Graz, 1956 (rist. an. dell’ed. di Berlino 1874). Ne riporto un ampio stralcio nella

traduzione in R. Colapietra, M. Centofanti, Aquila dalla fondazione alla renovatio urbis, Sambuceto 2009, pag.73–75: «A tutte le genti che risiedono tra Amiterno e Forcona, fedeli e devote alla Sede Apostolica. Amati figli, il nobile Luca di Preturo, Simeone preposto di San Giustino, il presbitero Giovanni di Stefano, Gualtiero di Rainaldo. I. di Pietro, B. di San Palumbo ed altri ambasciatori da voi invitati sono giunti alla Sede Apostolica per lamentarsi al nostro cospetto e con molte lacrime delle innumerevoli tribolazioni e delle amarezze infinite con le quali Federico, nominato Imperatore, nemico di Dio e della Chiesa, vi ha finora orribilmente afflitto per il tramite dei suoi ministri. Questi, oltre ad aver rapinato i vostri beni, oggetto della loro rozza ed inesausta furia, vi hanno lasciato appena di che mantenervi; e non parliamo delle tante e tante prepotenze, delle umiliazioni e delle violenze con cui pensarono di ridurvi in soggezione, come se foste servi e non uomini liberi. Incuranti del timore di Dio e privi di riguardo per la Chiesa, vi hanno tormentato in tanti modi, chierici e laici: alcuni di voi sono stati impiccati, altri ancora uccisi in diversa maniera e in diversa maniera mutilati. Perciò, i vostri messi ci hanno supplicato con ardore, pregando e scongiurando nel nome di Gesù Cristo Nostro Signore, affinché sia fatta dichiarazione che il predetto Federico, abusando in tal modo

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Augurando che la Città potesse godere dell’eterno rispetto (Civitas vestra

perpetuo laetetur honore), il pontefice tuttavia richiede, in cambio della

concessione, il pagamento una tantum di una somma iniziale – decem milia

unciarum auri – da corrispondere alla Santa Sede, oltre ad un contributo annuale;

inoltre esige la clausola che i futuri consoli della città dovessero essere approvati dal papa stesso.11

Anche se purtroppo non siamo sufficientemente informati sul seguito di questa trattativa con il pontefice, la proposta di Gregorio IX, non ebbe evidentemente accoglimento a causa del forte impegno economico: ma se onerosa appariva questa via, altrettanto difficile appariva intraprendere il percorso che poteva portare verso una concessione imperiale, ovvero di Federico II.

Già dal 1231, con l’emanazione delle Costituzioni di Melfi,12 Federico II aveva dotato il suo regno di un codice realmente organico di leggi, ispirate alla tradizione giuridica romana ed alla legislazione normanna.

Il riordinamento amministrativo e la riorganizzazione del potere erano giunti ad un culmine di sorprendente modernità, guidato da una concezione assai alta dello Stato e della giustizia: un “monumento” del pensiero laico del Medioevo.

Segnando una tappa fondamentale nel rafforzamento del potere imperiale nell’Italia meridionale e nella conservazione della pace, le Costituzioni, tra i vari intendimenti, proibiscono espressamente (al terzo libro, titolo 33) la costruzione del feudo, è meritevole di esserne privato, sebbene sia noto che voi e che le vostre terre apparteniate alla Chiesa di Roma per diritto di proprietà e che egli, in virtù della stessa legge, risulti già escluso da ogni diritto sugli uni e sulle altre. Compatiamo le vostre sofferenze con il debito affetto, e ritenendo degna cosa mirare a liberarvi – Dio non voglia che siano le nostre mani a versare il sangue vostro – nel mentre vi riconduciamo nel demanio della Chiesa e nell’atto di concedervi con grazia speciale la località di Acculae perché vi sia costruita la città, siate pronti a versarci diecimila once d’oro, soprattutto perché in questa circostanza tanto straordinaria non potremmo aiutarvi senza che voi forniate il vostro aiuto. […] Nell’accingervi all’opera con coraggio ed energia, spendetelo in maniera produttiva, nella pienezza delle forze e dei sentimenti. E’ nostro intendimento seguirvi con ogni benevolenza; possa la città godere dell’eterno rispetto…».

11 Vedi nota precedente; G. Marinangeli, La Ecclesia Aquilanensis nel suo antecedente storico e

giurisdizionale, in L’Arcidiocesi dell’Aquila 1876–1976, a cura della Curia arcivescovile,

L’Aquila 1977, pag. 277 e ss.

12 Liber Constitutionum Regni Siciliae, detto in seguito Liber Augustalis, promulgato a Melfi nel 1231. Sul testo, edito in numerosi studi nel corso del tempo (come ad esempio, in G. Galasso,

Critica e documenti storici, Napoli–Firenze 1972, vol. I), esiste una bibliografia sterminata. Io ho

consultato O Zecchino, Liber Constitutionum, in Federiciana, Roma 2005, pubblicato in www.treccani.it/enciclopedia/liber-constitutionum_(Federiciana)/. Strutturalmente il Liber

comprende quattro organizzazioni amministrative dell’Impero: lo Stato, in cui si definiscono i poteri del sovrano; la Giustizia, affidata al Maestro generale di Giustizia; la Finanza, affidata ai Maestri Camerari; il Feudo. Tutto il complesso giuridico si esplica attraverso tre libri per un totale di 259 titoli. Il primo comprende 109 titoli riguardanti il diritto pubblico in generale. Il secondo libro, 52 titoli, particolarmente importante, tratta elementi di procedura civile e penale. Il terzo libro, 94 titoli, del diritto feudale, della proprietà, dei diritti di famiglia e penale.

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di torri e qualsivoglia opere difensive, ritenendo sufficienti, per la sicurezza dei fedeli sudditi, le opere fatte già costruire dall’autorità sveva.

Federico II aveva inoltre riordinato giuridicamente la regione abruzzese, creando lo Iustitieratus Aprutii e fissando il capoluogo nella fiorente città di Sulmona, che fu cinta di una nuova cerchia di mura, dotata di una cattedra di diritto canonico e sede di fiera mercantile.13

La lungimirante politica in funzione antipapale dell’Imperatore svevo aveva dunque già spostato il baricentro nell’Abruzzo peligno, concentrandovi risorse ed energie in dialettica con Roma: insomma, in tali condizioni, il disegno di una grande città fortificata mai avrebbe potuto prendere forma.14

Non posso addentrarmi ulteriormente negli avvincenti aspetti della politica federiciana (e rimando ai fondamentali contributi di Galasso e di Tabacco– Vivanti),15 ben sapendo quanto furono tormentati gli ultimi anni di Federico II, scomunicato per ben due volte e dichiarato decaduto dal concilio di Lione nel 1245; accompagnato da una crisi del potere imperiale – si vedano gli episodi di Parma e Fossalta – ed immerso in un clima di sospetto fino alla propria morte, avvenuta il 13 dicembre del 1250.

Non sappiamo purtroppo, mancando fonti documentarie, cosa stesse esattamente accadendo – tra gli anni Trenta e Quaranta – nel mondo in fermento dell’alto e medio Aterno. Si rileva, piuttosto, l’emergere nei luoghi di cerniera tra Lazio, Abruzzo e Marche di alcune personalità che si contendono, in un certo senso, i

limina territoriali che ben conosciamo.

Sotto il difficile regno di Corrado IV (1250–1254), le popolazioni del contado di Amiternum e Forcona inviano a Rieti, il 6 maggio 1253, il loro procuratore e sindaco, Notar Pietro di Bazzano, presso il potente consigliere regio Tommaso conte di Mareri (una figura misconosciuta fino a qualche tempo fa, sulla quale si stanno concentrando gli studi più recenti).16

13 M. Pacifico, Sulmona, Milano 1985; Abruzzo e Molise, Guida del Touring Club Italiano, Milano 2005, pp. 203–215.

14 cfr. pag 5.

15 Sulla legislazione federiciana: G. Vitolo, Corso di storia diretto da G. Galasso, Milano 1995, vol. I, pp. 454–470; sui processi di costruzione statale in Italia: G. Tabacco e C. Vivanti, La

società medievale e le corti del Rinascimento, in Storia d’Italia, Torino 1974, vol. I.

16

T. Leggio, Profilo biografico di un funzionario di Federico II: Tommaso Mareri, rettore di

Treviso, podestà di Forlì e Ravenna, Vicario imperiale di Romagna e di Puglia, protagonista della fondazione dell’Aquila, in «Ravenna Studi e ricerche», 3 (1996), pp. 149–174; R.

Colapietra, M. Centofanti, Aquila dalla fondazione alla renovatio urbis, Sambuceto 2009, pag. 21 e ss.

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Con rinnovata ambizione, gli abitanti chiedono al consigliere di interessarsi attivamente, tam per se quam apud regem, per l’edificazione della città usque ad

complementum civitatis ipsius. In cambio, essi si impegnano a corrispondere al

Mareri mille once d’oro, un palazzo con cortile, terra da coltivare a vigneti e due mulini, di cui uno a Poppleto (l’attuale Coppito, in territorio amiternino) e l’altro a Bazzano (in territorio forconese).17

Questa onerosa “mediazione” nei confronti di re Corrado non ottiene, come il caso precedente, alcun esito tangibile né minimamente rintracciabile tra le fonti documentarie.

La svolta per la fondazione della città si determina nell’inasprimento delle vicende tra il papato e gli eredi di Federico, Corrado IV e il fratellastro Manfredi. Nell’anno della richiesta a Tommaso di Mareri dobbiamo trovare la chiave giusta per leggere l’avvenimento di fondazione, il cui diploma arriverà in quello successivo – il 1254 – tormentato dalla morte di papa Innocenzo IV, che tanto osteggiò gli svevi, e da quella dello stesso giovane Corrado, rendendo vacante il trono ed il titulus imperiale.

La vicenda aquilana si inserisce dunque con evidenza nel clima di questi anni, lacerati da conflitti, incertezze ed aspri affanni politici, religiosi ed istituzionali, che vedranno a brevissimo la fine della dinastia sveva e l’avvento di quella angioina.

In tali condizioni di generale vuoto di potere, il sogno di città si realizza; ed è molto probabile che la grande feudalità si limiti ad osservare, senza troppi contrasti, questo irresistibile inurbamento, leggendo nel sorgere di L’Aquila «più un fenomeno da seguire e controllare che da osteggiare direttamente ».18

Come altrove accennato, la nuova città avrebbe costituito un nuovo punto di riferimento strategico nella vasta area di cerniera dell’impervio nord del Regno di Sicilia e lo Stato della Chiesa, ed avrebbe garantito sicurezza e governabilità del territorio da parte della popolazione stessa; facile controllo finanziario per ogni attività manifatturiera, economica e commerciale.19

17 M.R. Berardi, I monti d’oro, Napoli 2005, pag. 149. 18 Ivi, pag. 33.

19 E. Centofanti, Pensata e disegnata come Gerusalemme in «Bell’Italia – Speciale L’Aquila», suppl. al n. 127 (1996), pp. 30–43.

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1.2. Dall’avvio della fabbrica urbana ai secoli d’oro

Il diploma per la fondazione della città in loco qui dicitur Aquilae20 è emesso dalla cancelleria di Corrado IV di Svevia.

Il fervore per gli studi storiografici e diplomatici ha fatto a lungo dibattere gli eruditi, tra fine Ottocento e i primi del Novecento, se le due trascrizioni a noi pervenute fossero copia di un originale o di un falso (di cui è piena la storia medievale), poiché le prime copie a noi giunte sono quattrocentesche.21

Una trascrizione è riccamente miniata ed apre solennemente la Seconda Raccolta dei Privilegi presso l’Archivio di Stato, ed è oggetto di questo lavoro.

La critica è da tempo concorde nell’accogliere la tesi dello storico e giurista Gennaro Maria Monti (1896–1943), il quale illustrò i risultati delle sue ricerche paleografiche e diplomatiche in un convengo nel 1931, attribuendo senza dubbio il Privilegio di fondazione alla cancelleria sveva e datandolo al 1254.22

Il Privilegium concessum de constructione Aquilae,23 definisce l’area geografica

da coinvolgere nel processo di edificazione della città; ordina la distruzione dei

20

Il nome della città è una mutazione del toponimo Acculae o Locus Aquili (Cfr. nota 9 di questo capitolo), verso un palese omaggio al maestoso uccello che fa da insegna alla casa imperiale sveva, una evidente captatio benevolentiae di quell’autorità.

21 Rimando ai contributi di G. Pansa, O. Sabatini e A. Chiappini indicati all’inizio di questo lavoro, alla nota 1.

22 G.M. Monti, La fondazione di Aquila e il relativo diploma, in Convengo storico abruzzese–

molisano (25–29 marzo 1931) Atti e memorie, Casalbordino 1933, vol. I, pp. 249–275;

ripubblicato in Civiltà Medioevale negli Abruzzi, a cura di: S. Boesch Gajano e M.R. Berardi, L’Aquila, 1990–92, vol. II, pp. 255–286. Per la datazione, vedasi anche L. Lopez, L’Aquila,

panorama storico, in L’Aquila nella storia e nell’arte, Teramo 1974, pp. 17–19. Il diploma è

trascritto e miniato a c. 1r nel codice membranaceo V35 dell’Archivio Civico Aquilano presso l’Archivio di Stato.

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Presento la traduzione della trascrizione integrale del privilegio, privo di datazione topica, riportata in R. Colapietra, M. Centofanti, Aquila dalla fondazione alla renovatio urbis, Sambuceto 2009, pp. 78–85:

«Privilegio concesso per la costruzione di Aquila. Noi che regniamo sotto i migliori auspici, e viviamo nel nostro regno ereditario di Sicilia, esercitando i diritti propri del vincitore, con ogni attenzione dobbiamo ponderare in che modo condurci in tempo di pace come di guerra, e in quale maniera mantenere la concordia, domata che sia ovunque la rivolta con le fatiche che impone la battaglia. Agire a vantaggio di chi ama la pace e proteggere con la forza che desidera vivere all’ombra delle nostre ali: è quanto bisogna fare; e la nostra spada, che solleviamo a punizione dei malfattori, e a gloria degli onesti, infierisca sui violenti e protegga gli innocenti. Mossi da queste considerazioni, disponiamo che i confini del nostro Regno di Sicilia, soprattutto dalla parte dell’Abruzzo – donde, siccome esposto agli assalti, spesso è stato possibile ai nemici avvicinarsi alle delizie del nostro pomerio, e a bande di predoni violarne talvolta l’inte rno – siano

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ordinati in modo tale che un nuovo innesto di popolazioni a noi fedeli precluda ai predoni ed ai ribelli, che in varie circostanze ci attaccano dal territorio vicino, la possibilità di nuocere, e procuri agli altri, la cui vita e prosperità dipendono dalla nostra Maestà, tranquillità e pace perpetua. Nell’intenzione dunque di porre utili ripari in quei luoghi dove talvolta il male ha imperversato, mentre ancora o l’esperienza del passato ci è maestra circa le cose da farsi, provvediamo acchè nella località chiamata Aquila, tra Forcona e Amiterno, per il concorso dei castelli e delle terre vicine – che come membra disperse per quanto vigorose e splendide nella loro lealtà, non potevano opporsi ai tentativi dei ribelli alla nostra legge, né venirsi in reciproco aiuto – sia costruita una città unitaria, che dal nome del luogo e per questo sotto gli auspici delle nostre vittoriose insegne, decretiamo debba essere chiamata con il nome di Aquila. Da quanto disposto crediamo debba principalmente giungerci l’utile gloria costituita dal fatto che, fin quando dai molti nascerà l’uno, e dalle parti il tutto – quasi che in esse vi sia quella concordia propria dell’amore recente, grazie alla quale le parti elementari della natura e l’umanità alle sue origini hanno potuto svilupparsi – gli abitanti della città potranno senza impedimenti opporsi agli assalti dei nemici, seguitando ad esserci obbedienti; e in questa medesima condizione d’ossequio, bisognava forse che gli stessi riottosi trovassero la pace. Perché d unque la nobile impresa di questi uomini a noi vicini si compiaccia di pregiarsi della speciale grazia della nostra munificenza, stabiliamo che la città stessa sia compresa entro i seguenti confini, e cioè: da Orno Putrido ecc. fino ad Amiterno compreso, assegnando al territorio circoscritto, proprio della città, dal piano della universitas tutti i colli adiacenti che vanno sotto il nome di Aquila e tutte le terre intorno situate, eccetto quelle che al presente sono riconosciute in possesso dei feudatari ch e ci sono fedeli o che si riterrà questi possano avere nel medesimo luogo posseduto in passato e sino ad oggi, terre ottenute dai loro sottoposti a titolo di esazione o compenso. Stabiliamo inoltre da assegnare all’universitas le selve e i boschi di tutti i territori situati entro i limiti sopradetti. A vantaggio di tutti i futuri abitanti della città, concediamo alla stessa universitas che essi abbiano la piena e libera facoltà di vendere i terreni edificabili, locare e accordare a titolo gratuito, a chiunque vorranno, e secondo la loro volontà, i luoghi e le terre dei colli posti dentro e fuori le mura. Vogliamo e ordiniamo che chi le ha occupate ne abbia il diritto di proprietà. Per effetto delle nostre piene prerogative di comando e della particolare ind ulgenza e sicura sapienza che ci sono proprie, esimiamo inoltre in perpetuo tutti gli uomini convenuti entro i confini predetti, qualunque sia la loro condizione e il loro mestiere, e con essi i loro eredi e successori, da ogni obbligo contratto nei confronti dei Conti o di chiunque altro, con ciò liberandoli da ogni forma di dipendenza della propria persona, o delle proprie cose, e da obblighi di pagamento nei confronti di tutti colo ai quali, in generale o in particolare, siano strettamente vincolati in f orza delle leggi, ossia di fatto o per qualche consuetudine, ed esentandoli, quando a questo non ostino provvedimenti dei nostri predecessori, né nostre concessioni – dal momento che non intendiamo esercitare il potere al di fuori delle norme – da ogni prova di vassallaggio e giuramento d’omaggio, che per ordine nostro o di chi ci ha preceduto, ovvero un assenza di ordini, essi abbiano finora reso ai loro signori. I residenti entro i confini stabiliti sono inoltre ricondotti sotto la nostra autorità, con tutti i beni che posseggono: promettiamo di conservare, sotto la protezione nostra e dei successori, in condizioni di particolare privilegio, tanto gli eredi e i loro discendenti, quanto la stessa città. Mai più, una volta che entro due mesi dalla sua nascit a siano state distrutte alla radice – per non essere in avvenire ripristinate – le ricche poste entro i confini dinanzi assegnati, e si dovranno ridursi in soggezione i Conti o di chiunque altro, e per nessun motivo, generale o particolare. Saranno sottratti all’abbattimento solo i castelli che vogliamo siano conservati per la nostra Corte, ed il castello di Ocre, che riserviamo a Gualtiero ed ai suoi eredi. Disponiamo che per il resto la città nel suo insieme, i singoli suoi abitanti ed i posteri, possano fare uso e godere dei loro beni, così come avviene nelle altre città del nostro territorio a noi fedeli. E perché essa via via si arricchisca di abitanti, concediamo con il presente provvedimento a tutti i nostri fedeli, i quali provenendo da altri luoghi, avranno scelto di risiedervi, che per loro fortuna vi giungano e in tranquillità vi abitino insieme ai concittadini, confidando nel comune privilegio, che né noi, né i nostri successori vorremo mai revocare. Per l’abbellimento e lo sviluppo della città diamo licenza che essa, secondo la propria conformazione, possa munirsi per la sua difesa di una cerchia di mura e che sin d’ora, all’interno, sia ornata di case che tuttavia non superino l’altezza di cinque canne; che vi si svolgano mercati generali due volte all’anno, per venti giorni; dove e per quanto tempo piaccia, e vi si possa tenere liberamente tre volte alla settimana, un mercato particolare, al quale i cittadini insieme e singolarmente, da qualsiasi parte, con le proprie mercanzie e cose vengano e si intrattengano, per ritornare poi alle loro case sotto la protezione del nostro nome e della nostra autorità. Affinché, in conseguenza di questa nostra

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castelli di provenienza delle popolazioni interessate (cosa che, nei fatti, non avverrà) e il loro trasferimento nella città; elargisce grandi concessioni, che saranno ulteriormente cristallizzate nella loro sostanza nella Concessio di Carlo II l’Angiò del 1294; afferma il diritto ereditario di demanio regio sull’intero territorio – di circa 1700 km2 – e libera le popolazioni dei circa sessantotto centri fondatori dai vincoli di vassallaggio cui fino a quel momento erano state sottomesse; concede inoltre la costruzione della città e fissa i principali parametri amministrativi ed edilizi.24

In cambio del privilegio, la Cancelleria di re Corrado chiede alle comunità delle vallate che venga costruito in città il luogo–simbolo del potere imperiale: la reggia, il cui cantiere sarà avviato nel medesimo anno del diploma.

Come precedentemente accennato, che il diploma fosse l’emanazione di una diretta volontà corradiana piuttosto che il legittimare o il rivendicare la paternità d’una fondazione avvenuta in un momento di crisi dell’autorità regia, è un problema relativo che tuttavia sembra vedere la città proiettata sotto le insegne del crepuscolo degli svevi.

Si avvia dunque la fabbrica urbana, ed immediatamente entra in gioco, nelle vicende aquilane, il grande elemento antagonista del Regum Siciliae: il papato. Papa Alessandro IV (†1261) non fa altro che favorire le iniziative locali, incoraggiandole ad autogovernarsi, ergendosi a tutore delle autonomie e delle

libertates appena conquistate, contro l’assolutismo svevo.

ordinanza, che emaniamo per il bene generale ed a vantaggio del Regno, i feudatari a noi fedeli non possano giustamente lamentarsi di essere stati danneggiati per i diritti che sono stati loro sottratti, stabiliamo ed ordiniamo, conformemente alla volontà dei passati tributari, che a compenso di quanto dovuto ai tempi recenti ciascuno assegni in un medesimo luogo ai singoli signori di un tempo l’ottava parte dei propri beni immobili. Queste stesse ottave parti poi potranno essere permutate tra i vecchi signori che lo vorranno e i nuovi padroni, in maniera tale che, in conformità al loro valore, siano ricostituite per la piena soddisfazione dei predetti signori in non più di tre o quattro località, su terreni di ottima e media qualità. Da questo genere di contribuzione sono del tutto escluse le chiese i luoghi che ne dipendono, aventi i loro beni a paga dei soldati: godano della libertà e siano esenti dagli obblighi affermati. Circa poi i servizi personali finora dovuti, ci si attenga alla disposizione per cui in ciascun castello, premessa scrupolosa indagine da parte di uomini all’uopo scelti, i singoli possano riscattarli, in perpetuo, corrispondendo ai signori, per un massimo di venti annualità, una somma in denaro – ovvero altri beni assieme a denaro – commisurata al valore delle obbligazioni e del debito. Inoltre, conservando noi per intero i diritti su quanto è privato e attenti alle necessità del nostro fisco, dichiariamo di volere che nella detta città siano costruito un castello imperiale a spese della Universitari. Chiunque poi avrà l’ardire, con atti temerario, di andare contro i nostri decreti, oltre ad incorrere nella viva indignazione della nostra maestà, paghi al fisco cento libbre di oro puro, la metà alla nostra Curia, la restante parte a chi ha subito il danno. Dato…».

24 E. Sconci, Il centro storico dell’Aquila, struttura urbana e modelli di rapp resentazione, L’Aquila 1983, pag. 17 e ss.

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Nella bolla Purae Fidei Claritate,25 del 1257, indirizzata ai dilecti filiis Communi

Aquilensi, il pontefice comunica al vescovo Berardo di Forcona, al clero ed ai

fedeli aquilani il trasferimento della sede vescovile da Forcona a L’Aquila e l’annessione dei beni della diocesi di Amiternum (da tempo senza vescovo), fino allora sotto la giurisdizione del vescovo di Rieti. Eleva la chiesa dei Santi Massimo e Giorgio, che nella bolla è specificata essere già edificata, a chiesa Cattedrale; concede inoltre al nuovo vescovo di intitolarsi Aquilensis e non più

Furconensis, completando la riorganizzazione delle strutture ecclesiastiche.

Con questo atto il papa eleva L’Aquila alla dignità di civitas,26 e l’immagine che si deduce dalla lettura della bolla ci convince che la città è già solida poiché «la fama della sua eccellenza risuona chiara non solo attraverso le città del Regno, ma anche più lontano, dove le trombe bandiscono la sua gloria, e le sue gesta diffondendosi sulle ali della fama si propagano».27 Insomma, la città sembra cedere alla lusinghiera politica di Alessandro IV vestendo abiti guelfi.

Infatti, quando Manfredi (1232–1266), fratellastro di Corrado IV, diffonde nel 1258 la falsa notizia della morte del figlioletto di lui, Corradino (1252–1268), e si proclama re di Sicilia, riprendendo con decisione il disegno egemonico del padre Federico II, immediatamente reagiscono il Papa ed i Comuni guelfi, compresa L’Aquila, che pagherà le ire di Manfredi stesso, da lui incendiata e semidistrutta nel 1259.

La popolazione abbandona la cerchia muraria, tornando nei castelli circonvicini, e il vescovo risiede di nuovo a Forcona.28

Il sogno degli Aquilani sembra essersi dunque infranto; ma sappiamo come i papi francesi Urbano IV (†1264) e Clemente IV (†1268), stessero disegnando quello scenario in favore filoangioino che avrebbe visto consumarsi definitivamente la

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La bolla Purae fidei claritate (datum Laterani, X Kal. Martii ind. XV, Incarnationis Dominice Anno

MCCLVII) è pervenuta in una duplice redazione, del 22 dicembre 1256 e del 20 febbraio 1257; quella

consultata è la seconda, secondo l’edizione di G. Marinangeli, Alessandro IV e L’Aquila, in

«Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria », LXVI–LXVIII (1976–1978), pp. 440–

443; trascritta in R. Colapietra, M. Centofanti, Aquila dalla fondazione alla renovatio urbis, Sambuceto 2009, pp. 88–91.

26 che è propria, nel medioevo, delle sedi diocesane. Cfr. G. Marinangeli, La bolla “Purae

Fidei…” in L’Archidiocesi dell’Aquila 1876 – 1976, a cura della Curia arcivescovile, L’Aquila

1977, pp. 312–317.

27 Traduzione della bolla Purae Fidei Claritate in R. Colapietra, M. Centofanti, Aquila dalla

fondazione alla renovatio urbis, Sambuceto 2009, pag. 89.

28 L. Lopez, L’Aquila, panorama storico, in L’Aquila nella storia e nell’arte, Teramo 1974, pp. 15–16.

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dinastia degli ultimi svevi, con le battaglie di Benevento (1266) e di Tagliacozzo (1268).29

Quell’anno vede buona parte d’Italia consegnata ai francesi di Carlo d’Angiò (1226–1285), ed anche nella terra d’Abruzzo si avvia in tal modo l’egemonia Angioina, destinata a perdurare fino all’ultima e tormentata erede, Giovanna II (†1434). E’ dunque Carlo d’Angiò a “prendere a cuore” la città dell’Aquila: il favore del re mostrato già dal 1266 con un privilegio per la riedificazione, si tramuta in aperta protezione e riconoscenza per i notevoli aiuti offert igli dagli Aquilani a Tagliacozzo.

Stavolta L’Aquila cresce rapidamente e risponde ad un disegno urbanistico organico e particolarissimo. La città è cinta da mura che hanno ottantasei torrioni e dodici porte d’accesso. La grande intera superficie da esse racchiusa, di circa centosettanta ettari, viene suddivisa in modo tale che ad ogni castello del

Comitatus Aquilae venga riservato uno spazio, detto locale, entro il quale tutti

coloro che provengono dai centri fondatori – castello, terra o villa – possono costruirvi le loro dimore e la loro chiesa, che solitamente conserva il titolo e il patrono di quella di origine. Inoltre ogni locale è dimensionato secondo la consistenza demografica del centro di provenienza.

Gli Statuta della nuova città, che vedremo a breve, precisano che gli abitanti, trasferitisi nel frattempo in gran numero all’interno delle mura, possono insediarsi

uti singuli nei locali solo dopo aver realizzato collettivamente, uti socii, la piazza,

la chiesa, la pubblica fontana:30 cioè, all’epoca, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Si disegna in tal modo una sorta di tessuto urbano “cellulare”.

L’attività edilizia civile procede con grande vigore, e facilmente si potrebbe immaginare la città come un immenso cantiere, che vede costruita nel 1272 la Torre Civica e la grande fontana pubblica della Rivera, lavatoio oggi notissimo

29 Manfredi, era infatti stato scomunicato e nel 1263 il francese papa Urbano IV offrì la corona del Regnum Siciliae a Carlo I d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX. L’Angioino promosse una spedizione militare per conquistare il Regno e nel 1265 fu proclamato Rex Siciliae dal nuovo papa Clemente IV. Manfredi tentò invano di difendersi ma fu sconfitto e ucciso nella Battaglia di Benevento (1266), dopo la quale il Mezzogiorno e la Sicilia passarono sotto la dominazione angioina. Il nipote di Manfredi, Corradino, cercò di riconquistare la corona, ma venne sconfitto nella Battaglia di Tagliacozzo (1268). La successiva cattura e la tragica fine per decapitazione nella Piazza del Mercato a Napoli sancirono la definitiva sconfitta dell’Impero.

30

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con il nome di Fontana delle Novantanove Cannelle; nel 1308 viene realizzato il grande acquedotto che dal monte San Giuliano porta l’acqua in città, e nel 1316 vengono completate le mura.31

Il fenomeno di inurbazione è dunque davvero impressionante, e un ulteriore aspetto di questo fenomeno che qui accenno e che riprendo tra breve è che gli abitanti del Comitatus vanno a ricalcare, nel micro–territorio cittadino, la dislocazione macroterritoriale dei castelli d’origine: divengono cittadini aquilani non perdendo la cittadinanza primitiva. Pertanto i castelli dentro la città ed i castelli fuori la città costituiscono una realtà sola, ed il nome L’Aquila indica

insieme la città e il territorio.

Anche la divisione in quartieri, definita nel 1276, non interessa solo la città, ma si estende a tutto il territorio e corrisponde alle quattro zone d’“immigrazione”: due quartieri, San Pietro – con San Pietro di Coppito come chiesa capo–quartiere – e San Giovanni – con San Marciano di Roio come chiesa capo–quartiere – racchiudono il vecchio territorio di Amiternum; e gli altri due, San Giorgio (con chiesa principale Santa Giusta di Bazzano) e Santa Maria (con chiesa principale Santa Maria di Paganica), racchiudono il territorio di Forcona.

Se volessimo contare i centri che concorsero a far parte del Comitato, aventi cioè diritto ad insediarsi nei locali cittadini, veniamo aiutati da alcuni documenti fiscali, in particolare un censimento del 1269 e l’altro del 1294.32

Il primo di essi annovera cinquantotto centri, il secondo settanta. Ciò non deve far pensare che il Comitato si accresca con nuove annessioni: si è fatta

31 E.Valeri, L’Aquila, nella collana “Gli scrigni”, Pescara 2000, pag. 193. 32

A. De Matteis, L’Aquila e il contado. Demografia e fiscalità. Napoli 1973, pp. 11–27. L’elenco dei castelli del 1294 comprende: Rocca San Silvestro, Vigliano, Rocca di Corno, Rascino, Corno, Scoppito, Civita Tomassa, Preturo, Forcella, Cascina, Cagnano, Barete, Villa Cese, Pizzoli, Vio con Pedicino, Rocca delle Vene, Porcinario, Chiarino, Arischia, San Vittorino, Coppito, Santanza, Pile, Roccapreturo, Beffi, Goriano Valli, Tione con Santa Maria del Ponte, Fontecchio, Fagano, Campana, Stiffe, Barile e Ville, Ocre, Fossa, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo, Sant’Eusanio, Civita di Bagno, Bagno, Bazzano, La Torre, Roio, Sassa, Poggio Santa Maria, Tornimparte, Rocca San Vito, Lucoli, Collimento, Rocca Santo Stefano, Paganica, Collebrincioni, Tempera e Aragno, Gignano, Il Guasto, La Genca, San Pietro della Genca, Assergi, Camarda, Filetto, Pescomaggiore, Terra di Sinizzo e Foscolina (riuniva in sé Barisciano, Castelnuovo, Forfona, Picenze e Poggio Picenze), Bominaco, Caporciano con San Pio, Civitaretenga, Navelli, Collepietro, San Benedetto in Perillis, Torre Majerdona. Da notare come alcuni castelli del Comitato più lontani dall’Aquila e gravitanti nell’area peligna (Collepietro, Civitaretenga, Navelli ed altri), non verranno mai ad edificare in città.

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semplicemente più particolareggiata l’enumerazione dei centri che lo costituiscono.33

Gli storici calcolano che il numero di persone della popolazione all’epoca gravitante nel comprensorio aquilano e coinvolto nel processo di edificazione della città arrivi a trenta–quarantamila unità, di cui circa un quarto abitante dentro le mura.34

Questo fenomeno coinvolge anche gli Ordini religiosi che fondano in città i loro conventi o monasteri: la presenza francescana è già documentata in una testimonianza nel 1256, e nel 1275 è in costruzione il monastero dei benedettini (i futuri Celestiniani). Ad essi si aggiungono i Cistercensi, e – nei rami sia maschili che femminili – gli Ordini di San Domenico e di Sant’Agostino.35

Naturalmente non si forma immediatamente un’omogenea comunità urbana: l’integrazione fra i nativi delle numerose terre che avevano costitu ito sino ad allora unità demografiche diverse non è facile, ma la città è un forte attrattore di interessi economici, anche lontani.

L’Aquila riesce infatti a trovare quello “spirito di comunità” nella congiuntura di una certa tranquillità politica e nel motore economico–istituzionale del territorio dell’Abruzzo montano.

La città scopre la propria vocazione specializzandosi in campo mercantile e artigianale, e determina massimamente il proprio sviluppo negli anni successivi, in un’ascesa rapidissima. Afferma infatti la studiosa Maria Rita Berardi che

«L’Aquila nel giro di pochi decenni divenne crocevia per il traffico commerciale con le altre città del Regno ed extra Regno, con le quali era collegata per mezzo della cosiddetta “via degli Abruzzi” che univa – cavalcando da mattina a sera, in

33 Attorno a tali cifre è nata e si è in breve alimentata la leggenda popolare legata al numero magico novantanove, che vuole L’Aquila fondata da novantanove castelli; città che possiede novantanove chiese, novantanove piazze e novantanove fontane e che ricorda, con la fontana monumentale delle novantanove cannelle e con i novantanove rintocchi della campana della torre civica, le misteriose origini tardomedievali.

34 L. Lopez, L’Aquila, panorama storico, in L’Aquila nella storia e nell’arte, Teramo 1974, pp. 71– 72; A. De Matteis, L’Aquila e il conado. Demografia e Fiscalità, Napoli 1973, pag. 119, nota 3. 35

Per non parlare poi della precipua presenza dell’Osservanza francescana, che fonderà il primo convento abruzzese nel 1415 a San Giuliano e reso celebre dalle figure di San Bernardino da Siena (1380–1444), di San Giacomo della Marca (1393–1476) e di San Giovanni da Capestrano (1386– 1456), che svolsero in città la loro potente opera religiosa. Rimando a: E. Valeri, L’Aquila, Pescara 2000, pp. 192–193.

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undici o dodici giorni – Firenze a Napoli, passando per Perugia, L’Aquila, Sulmona, Isernia, Venafro, Teano, Capua».36

Via comunque piuttosto faticosa, fino ai confini della Campania, e spesso infestata da ladri e predoni: anche gli ufficiali regi, preposti ai controlli, spesso compiono eccessi nei confronti dei mercanti.37

Trovano accoglienza nella nuova realtà anche i pellegrini che si recano alla tomba di San Nicola di Bari come al Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano o in Terrasanta, dopo aver percorso la via Salaria, le gole del Velino e la Claudia Nova: la città diviene dunque anche uno snodo importante per i pellegrinaggi.38 Proprio a L’Aquila, inoltre, ha luogo un evento di eccezionale importanza per la storia tardo medioevale, che ne diffonderà allora la fama ben al di là dei confini del regno. Si tratta della consacrazione, il 29 agosto 1294, di Pietro Angeleri dal Morrone (1215c.–1296) come Sommo Pontefice col nome di Celestino V.

La città diviene teatro della cerimonia d’incoronazione, ed accoglie il re Carlo II d’Angiò (1248–1309) e la sua corte, così come accoglie la Curia romana. L’alto prelato Jacopo cardinale Stefaneschi39 – conosciuto nella storia dell’arte per aver commissionato a Giotto il polittico per l’altar maggiore in San Pietro in Vaticano – guida la delegazione cardinalizia e definisce la città – a Celestino «più cara fra tucte le terre» – «non plenam civibus urbem sed spatiis certis segnatam ob spemque futuram».40

36

M.R. Berardi, I monti d’oro, Napoli 2005, pag. 29.

37 I registri della cancelleria angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collabor azione di

alcuni Archivisti Napoletani, voll. 49, Napoli 1950–2006, vol. VI, pp. 75–76.

38 M.R. Berardi, I monti d’oro, Napoli 2005, pag. 29. 39

Jacopo Stefaneschi (†1343), di nobile casato romano, creato cardinale col titolo di San Giorgio al Velabro nel II concistoro del 1295, fu cultore delle arti e intelligente mecenate. Dopo la morte di Bonifacio VIII si trasferì ad Avignone, ove morì. In un lungo soggiorno romano commissionò a Giotto il polittico per l’altar maggiore della Basilica di San Pietro in Vat icano e la decorazione pittorica di tutta la tribuna. Scrisse tra il 1316 e il 1317 la vita di San Celestino V, fondamentale per la cronologia del polittico. Celestino V, che appare raffigurato nel recto della tavola centrale insieme al cardinale, fu canonizzato nel 1313. Sull’attribuzione del Polittico Stefaneschi a Giotto – oggi riconosciuta in modo unanime – rimando a: S. Bandera Bistoletti, Giotto, Firenze 1989, pp. 133–134.

40 J. Stefaneschi, Vitae nonnullorum Pontificum Romanorum, in A. L. Muratori, Rerum

Italicarum Scriptores, t. III, Città di Castello 1900–, pp. 520–633; E. Centofanti, Pensata e disegnata come Gerusalemme in «Bell’Italia – Speciale L’Aquila», suppl. al n. 127 (1996), pag.

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Circa un mese dopo, il 28 settembre, re Carlo II d’Angiò, con la Concessio

Castrorum et Casaluim,41 ratifica, se così si può dire, la “nascita” della città, ormai quarantenne, e del Comitatus Aquilanus; pone L’Aquila in perpetuo nel demanio regio.

Tale concessione è davvero elitaria: gli aquilani, come accennato, ottengono la “doppia cittadinanza” (quella del castello originario e quella della nuova città), pagando le tasse – il focatico – una volta sola rivendicando la rappresentanza dei castelli e villaggi fondatori presso la città, nonché l’uso collettivo, libero ed esclusivo dei pascoli sterminati delle montagne circonvicine.42

Insomma, una delle più grandi imprese urbanistiche dell’Europa tardo– medioevale è finalmente compiuta.

Non ci sono giunti documenti che illustrano il primitivo ordinamento legislativo del comune aquilano, che si genera nel corso del Trecento ed avrà preso forma e fisionomia definitiva, nei primi anni del Quattrocento, negli Statuta Civitatis che tratterò nel prossimo capitolo e a cui rimando per l’esame dettagliato delle magistrature cittadine.

Gli studi storici, fin da fine Ottocento,43 hanno acclarato come la situazione giuridica dell’Aquila fosse di una particolare autonomia: condizione ampiamente affrontata – negli aspetti storici – dai contributi di Giovanni Vitolo,44 e – negli aspetti giuridici – da un importante studioso di diritto come Matteo Gaudioso.45 L’importanza del ruolo politico dell’Aquila rispetto ad altre città del Mezzogiorno nei secoli XIV e XV è stata ben messa recentemente in risalto da Giuseppe Galasso, il quale evidenzia che «sono ben pochi i casi in cui le città come tali possano essere considerate quali protagoniste sostanzialmente autonome della vita politica del Regno […]. Delle città si può dire che soltanto L’Aquila presenti una effettiva e lunga costanza di personalità e di iniziativa politica».46

41 Trascritta in: Regia munificentia erga Aquilanam Urbem variis privilegiis exornatam, Aquilae 1639, pp.1–3.

42 M. Vittorini, Volle nascere qui ed allora, in «Ulisse» n. 235 (2003), pp. 94–97. 43

Si veda N.F. Faraglia, Il Comune nell’Italia meridionale, Napoli 1883, pp. 105–124. 44 G. Vitolo, Corso di storia diretto da G. Galasso, Milano 1995, vol. I, pag. 563.

45 M. Gaudioso, Natura giuridica delle autonomie cittadine nel “Regnum Siciliae”, Catania 1952. 46 G. Galasso, Sovrani e città nel Mezzogiorno tardo–medioevale, in S. Gensini (a cura di),

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Come chiave di lettura fondamentale per la genesi delle autonomie cittadine voglio qui segnalare le riflessioni di Paolo Grossi,47 in particolare le intuizioni riguardo il tema della “percezione” del potere temporale da parte delle diverse componenti della società, nel tardo medioevo.

Sul procedere della storia italiana, nella nascita dei comuni tra i secoli XII e XIV, restano invece imprescindibili le indicazioni di Paolo Cammarosano.48

Nel corso del Trecento e del Quattrocento, L’Aquila diviene senza dubbio punto di riferimento commerciale per l’intero Abruzzo montano, mostrando una grande vitalità ed intrattenendo rapporti anche con mercanti fiorentini, milanesi e veneziani.

Diverse testimonianze e fonti tipologicamente varie delineano con precisione un quadro della rigogliosa vita quotidiana, religiosa, culturale ed economica della città. Senza annoverarle dettagliatamente, menziono il Libro mastro (degli anni 1471–73) del mercante–imprenditore aquilano Pasquale di Santuccio di Pizzoli,49 testimonianza di una ricchissima rete di traffici che esulano appunto dai confini cittadini e si rivolgono all’intera penisola ed all’Europa centrale, data la varietà e la quantità dei prodotti commerciati. In fondo, L’Aquila nasce come mercato dei prodotti della pastorizia e dell’agricoltura e si affermano potenti famiglie di mercanti, specialmente di lana, come i Gaglioffi ed i Fidanza.

La toponomastica cittadina50 evidenzia tutt’oggi la presenza di veneti, senesi, albanesi, tedeschi, lombardi permanentemente residenti tra le mura aquilane (cito, inoltre, l’altare seicentesco fatto erigere in Duomo dai milanesi a devozione di San Carlo Borromeo: ma essi già nel Quattrocento avevano una loro cappella nel medesimo edificio, distrutta dal terremoto del 1703).

I prodotti principiali protagonisti della ricchezza commerciale cittadina sono i pannilana51 e lo zafferano,52 coltivato in tutto l’Abruzzo aquilano. Il pannolana è molto richiesto, acquistato dall’Arte fiorentina che lo rifinisce e rivende. I pascoli

47 P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma–Bari 1996.

48 P. Cammarosano, Centri e periferie: la riorganizzazione politica d’Italia e le scritture delle

autorità pubbliche (secoli XII–XV), in Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte,

Roma 1991, pp.113–203. 49

H. Hoscino, Dal libro contabile di Pasquale di Santuccio, in Civiltà medioevale negli Abruzzi, a cura di S. Boesh Gajano e M.R. Berardi, vol. II, L’Aquila 1990–1992, pp. 473–477.

50 Q. Bernardi, Toponomastica storica di Aquila, Sulmona 1961, passim.

51 A. Clementi, L’Arte della lana in una città del Regno di Napoli, L’Aquila 1979, pag. 7 e ss. 52

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montani circostanti che alimentano nei mesi estivi numerosissime greggi di ovini transumanti, producono abbondante materia prima, recata in città per essere semi–lavorata e destinata, in somma parte, all’esportazione.

La manifattura locale diviene monopolio di un gran numero di “aziende” filatrici e tessitrici, le quali – grazie anche all’opportunità di reperire l’acqua sul posto, indispensabile nel processo di lavorazione – danno origine ad una vera e propria

industria armentizia i cui guadagni sono assai lucrosi, aggiungendo a tale

industria quella del pellame e dei derivati.53

Lo zafferano, la cui coltura colora di rosso ancora oggi gli altipiani aquilani, costa più dell’argento54 e le terre che lo producono sono annue miniere. Utilizzato in medicina, cosmetica, come principalmente nell’arte tintoria ed in pittura, esso apre vie commerciali che raggiungono regolarmente Venezia, Milano, Marsiglia e città tedesche. I mercanti giungono d’Oltralpe giustamente motivati dal fatto che appariva loro più conveniente comperare l’“oro rosso” direttamente a L’Aquila piuttosto che ricaricato di prezzo dagli intermediari veneziani.

Già re Roberto il Saggio (1277–1343), per favorirne il commercio, aveva nel 1317 abolito alcune gabelle, mentre con adeguate “politiche fiscali” – come le chiameremmo oggi – fu possibile per gli aquilani costruire nel 1445 l’Ospedale Grande, ed avviare la fabbrica della contigua e grandiosa basilica di San Bernardino, nelle cui edificazioni le ricche famiglie più in vista (i Carli, i Dragonetti, i Pica) videro la celebrazione della loro potenza.

Dal 1466, per dieci anni il Comune destinò a tal scopo gli introiti e la gabella dello zafferano, che annualmente ascendevano a circa duemila ducati :55 Cennino Cennini, figlio delle terre della Val d’Elsa, lo conosceva bene poiché anche nel senese ve ne erano – e ve ne sono – vaste colture.

Al colore gentile dello zafferano, Cennino dedica l’intero capitolo XLIX del suo celeberrimo Libro dell’arte:

«Giallo è un color che si fa d’una spezia che ha nome zafferano. […] Vène color bello da tignere panno lino, o ver tela. […] E se vuoi fare un colore il più perfetto

53

P. Gasparinetti, La via degli Abruzzi e l’attività commerciale a L’Aquila e Sulmona nei secoli

XIII e XIV, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», LIV – LVI, (1964–

1966), pp. 49–52

54 L. Marra, Il purissimo zafferano dell’Aquila, L’Aquila 1989, pag. 1. 55

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che si trova in color d’erba, togli un poco di verderame e di zafferano, cioè delle tre parti l’una zafferano; e viene il più perfetto verde in color d’erba che si truovi…».56

Dopo questa digressione, desidero rilevare come fosse molto fiorente l’artigianato, specializzato soprattutto nella lavorazione dei metalli (i metallieri si consorzieranno in una delle Arti che reggeranno la città), in particolare dell’argento, dell’oro e del rame.

All’intraprendenza economica ed al benessere diffuso della popolazione si unisce l’aumento della circolazione del denaro: nel 1344 L’Aquila ottiene dal sovrano il privilegio di battere moneta propria: i conii più antichi a noi giunti (bolognini) risalgono al 1381.57

Nel terzo e nel quarto decennio del Quattrocento, L’Aquila vive in prima persona le tormentate vicende che portano alla sostituzione, sul trono di Napoli, dei sovrani angioini con la dinastia aragonese, patendo eroicamente il lungo assedio (tra il 1423 e il 1424) di Braccio da Montone.58 Gli storici convengono nel ritenere che la città raggiungerà il suo massimo splendore negli anni immediatamente successivi, in particolare nella produzione artistica, di cui mi occuperò in maniera particolare.

Nel 1458, il diploma di re Ferrante I d’Aragona concede alla città di fondare uno

Studium, ovvero un’università di pari dignità di quelle di Siena, Perugia e

Bologna. Di tale privilegio parlerò diffusamente più avanti, nel presentare la ricca miniatura che orna la pagina del placet.59

Circa vent’anni dopo (1481) si insedierà in città il primo laboratorio a stampa del tedesco Adamo da Rotweil, allievo del Gutenberg.60

56 C. Cennini, Il libro dell’Arte, cap. XLIX. Edizione a cura di F. Brunello e L. Magagnato, Firenze 1992, pp. 52–53.

57

L. Lopez, L’Aquila, panorama storico, in L’Aquila nella storia e nell’arte, Teramo 1974, pp. 37–38. Aggiungo solamente che l’attività della zecca aquilana ha accompagnato la storia della città fino al dicembre1943, quando l’officina venne distrutta da un tragico bombardamento alleato.

58 Cfr. Capitolo III, par. 3.2.1. 59

Archivio Civico Aquilano presso l’Archivio di Stato di L’Aquila, volume V 35, cc. 134v – 140v. Non abbiamo traccia delle originarie attività dello Studium aquilano: solo sul finire del Cinquecento, con l’arrivo dei pp. Gesuiti inviati da S. Roberto Bellarmino, si avvierà il Real

Collegio.

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