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Epica e antiepica ungherese: Gemelli eterozigoti in buona salute

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Academic year: 2021

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PAOLO DRIUSSI

Epica e antiepica in Ungheria: gemelli eterozigoti (in buona salute)

In questa occasione mi è stato chiesto di occuparmi e condividere le mie conoscenze su un tema che non è frequente nelle mie ricerche, limitate spesso ad argomenti linguistici, ma che è legato alla mia passione per la letteratura ungherese. Sono grato di questa opportunità perché la riflessione proposta è sicuramente interessante all’interno di quella letteratura anche e soprattutto per chi ne è solo appassionato, ma spero lo diventi anche per chi non la conosce a fondo. Pensando che i destinatari di questo testo sono probabilmente lettori non specializzati in lingua o in letteratura ungherese, ho ritenuto opportuno privilegiare la presentazione della genesi e della ricezione del genere tra i parlanti (o piuttosto: lettori) ungheresi, un’impostazione che credo permetta confronti con l’epica di altre culture.

L’epica ungherese presenta molti tratti interessanti dal punto di vista comparatistico, sia linguistico, sia letterario, allo stesso modo della troppo poco conosciuta letteratura in lingua magiara. Vorrei leggerne le caratteristiche non solo alla luce del contrasto e dell’affinità tra epos e antiepos, ma ponendo un accento particolare sulla seconda parte del tema proposto, cioè la continuità dell’antico, dall’antichità al novecento e addirittura parlando del XXI secolo.

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migliore epica ungherese rappresenta piuttosto un caso di originalità su modelli classici che un rispetto per l’origine classica del modello.

Credo peraltro che la stessa interpretazione dell’epica (e dell’antiepica) possa essere arricchita dalla storia del genere in Ungheria. Se raccogliamo le informazioni presentate dalle più importanti storie della letteratura utilizzate, oggi dovremmo citare soltanto tre opere tradizionalmente riconosciute come epica: la Obsidio sigetiana di Miklós Zrínyi, scritta tra il 1647 ed il 1648, lo János Vitéz di Sándor Petőfi del 1844 e il Toldi di János Arany, del 1846. Eppure nella letteratura ungherese è molto diffuso il genere del ‘poema narrativo’, elbeszélő költemény, che per definizione dovrebbe essere considerato anche etimologicamente vicino all’epica, ma che non viene trattato come tale. D’altra parte il famoso scrittore e storico della letteratura Antal Szerb nella sua storia della letteratura mondiale (1941) definì l’epica come il genere che prevede necessariamente la presenza di dèi, cancellando così in poche righe la possibilità di un’epica ungherese e di una sua storia. Proprio il volume di Grendel ricordato più sopra rappresenta invece una visione diversa e ampia, poiché il sottotitolo suona: «Lirica ed epica ungheresi del XX secolo». Vedremo come sarà accolto dal pubblico e dagli studiosi questo punto di vista.

Le letture personali mi hanno portato comunque a vedere nell’epica un genere molto diffuso in ungherese, con particolare successo del tema nazional-popolare e soprattutto con una originale continuità di produzione e successo che, come mostrerò, a mio parere continua ancora oggi.

Vorrei spendere però qualche parola per introdurre alcune importanti note sulla letteratura ungherese. Si tratta di una letteratura relativamente recente (se confrontata con le letterature dell’Europa Occidentale): gli Ungari entrarono in Pannonia nel 896 d.C. dove costituirono lo stato ungherese. Fino a tutto il XIII secolo ci fu un forte influsso di Bisanzio e comunque della cultura legata all’Oriente europeo e al cristianesimo orientale attraverso le strade, non solo fisiche, che arrivavano da là e da Kiev. Ma favorita dai caratteri dello stanziamento, l’impronta culturale più importante sulla letteratura e cultura ungheresi è quella dell’Occidente europeo, che a poco a poco inviò missionari e studiosi all’Ungheria. Il primo grande nome di letterato è sicuramente quello di Janus Pannonius,

nom de plume di János Csezmiczei (1434-1472), di cui possiamo citare alcuni versi

che mostrano orgoglio e coscienza artistica, versi in cui è esplicitamente riconosciuto l’influsso occidentale e particolarmente quello italiano:

Quae legerent omnes, quondam dabat Itala tellus, Nunc e Pannonia carmina missa legit.

Magna quidem nobis haec gloria; sed tibi maior, Nobilis ingenio, patria facta, meo.

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al riconoscimento e all’orgoglio di una origine diversa, che possono essere lette già in una importantissima opera, di autore anonimo, del XIII secolo: i Gesta Hungarorum. Questo testo è di importanza fondamentale per storici e linguisti, ma vorrei segnalare come per molti aspetti la narrazione della grande migrazione dei Magiari ad opera di sette condottieri dai tratti eroici è ravvicinabile al genere epico e forse anche come tale potrebbe essere considerata. A quei racconti tramandati dalla voce della nazione e ai racconti popolari si legano moltissime storie, cronache e leggende anche in ungherese, lingua che comincia ad essere utilizzata regolarmente nel XVI secolo, sia pure con una maturità di scrittura che fa pensare ad un suo uso precedente diffuso, per quanto non documentato. (Sulla possibilità di una importante letteratura orale vissuta sino al XVIII secolo si è espresso in più lavori Ándor Tarnai.)

Molte opere storiche, spesso scritte in versi, hanno il sapore di episodi epici, quando lette in modo distaccato dall’interesse linguistico o storicistico. Tra queste dobbiamo ricordare il testo del 1574 di Selymes Péter Ilosvai (1520-1580) sulle gesta di Miklós Toldi, figura che ha dato lo spunto alla scrittura del già menzionato Toldi di Arany, i cui capitoli iniziano tutti con una citazione appunto da Ilosvai. La storia della letteratura ricorda poi una ricca serie di narrazioni letterarie dai titoli curiosamente vicini all’epica, ma mai riconosciuti come tali: su tutte segnalo Giasone e Medea di Lántos Sebestyén Tinódi. Certamente la forma letteraria non è ancora pienamente matura, per quanto molto interessante (tra le tante opere in prosa ritengo valga la pena di ricordare per curiosità e gusto immaginifico nella lingua e nel contenuto le Cento favole moraliste del predicatore protestante Gáspár Heltai). Dobbiamo aspettare la seconda metà del XVI secolo per un poeta eccelso: Bálint Balassi, petrarchista d’elezione.

È quello un momento molto difficile per l’Ungheria, ma forse proprio per questa ragione ricco di stimoli per la crescita culturale e letteraria. Tra il 1526 ed il 1711 il Regno d’Ungheria viene diviso in tre parti: un territorio occupato dagli ottomani si insinuò a cuneo sino ad Eger (a nord-est di Budapest). La regione a nord-ovest passò sotto il controllo asburgico, mentre a est la Transilvania si costituì in principato formalmente autonomo. Fu proprio in questo principato che la cultura ungherese visse un nuovo rinascimento che mantenne la lingua e la cultura ungheresi al passo con quelle dell’Europa Occidentale. Furono ancora studiosi emigrati coloro che seguirono gli sviluppi delle conoscenze del tempo, in ogni campo, e provvidero a diffonderle con opere in ungherese che aggiornarono e arricchirono la lingua, oltreché le competenze tecniche.

A metà di questo periodo, nel 1647, come abbiamo ricordato, fu scritta la prima epica riconosciuta come tale, la Obsidio sigetiana, un’opera dalle caratteristiche linguistiche straordinarie. Ebbene, Miklós Zrínyi iniziò così la sua opera:

Dedico questo mio lavoro alla nobiltà magiara, conceda Iddio di dedicarle utilmente fino all’ultima goccia del mio sangue.

[...] Ho mescolato delle invenzioni alla storia; ma ho imparato ciò con Omero e con Virgilio e chi li ha letti li riconoscerà e li distinguerà. Nei miei versi ho mescolato parole turche, croate e latine, perché mi pareva più bello così, essendo la lingua ungherese povera: chi scrive cronache crede alla mia parola.

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In galea Martis nidum fecere columbae, Apparet Marti quam sit amica Venus.

Che il Signore sia con noi. Conte MIKLÓS ZRINI

Queste parole non possono che ricordarci il Tasso delle due Gerusalemme, ma allo stesso tempo dobbiamo riconoscere all’autore la forza della scelta del tema: l’assedio turco alla fortezza ungherese di Szigetvár nel 1566, dove lo zio omonimo dello scrittore perse la vita.

Dunque, ammettendo una diffusione del genere sinora non riconosciuta in modo esplicito, possiamo affermare che l’epica più importante e bella del periodo è quella che tratta di temi ungheresi, addirittura appartenenti alla storia contemporanea, con un eroe noto, reale in tutti i suoi tratti.

Nonostante lo sbocciare di una simile creazione, la concomitanza di troppi fattori impedì lo sviluppo della letteratura ungherese sino al XVIII secolo. Con il 1711 ci fu non solo la liberazione dai turchi, ma anche la sottomissione all’impero asburgico, dopo il fallimento di una lotta civile. Gli Asburgo tentarono di imporre il proprio modello statale anche nei territori che erano stati del Regno d’Ungheria e la nobiltà si divise: pochi aristocratici sostennero il modello, mentre la maggior parte della piccola nobiltà, diffusa sul territorio e più produttiva, sostenne la necessità di una autonomia magiara. Tale autonomia sarebbe tuttavia potuta realizzarsi – ciò era ben chiaro a intellettuali e politici – attraverso un aggiornamento e una diffusione della cultura che richiedeva una lingua nazionale ricca e condivisa. Per questo, con il sostegno della numerosa piccola nobiltà, il XVIII secolo è caratterizzato da un rinnovamento cosciente che comportò un notevole arricchimento di quella lingua che Zrínyi aveva definito povera. Notiamo che questo rinnovamento, talvolta descritto come una lotta tra innovatori e conservatori, acquisì maggiore importanza nel momento in cui, alla fine del secolo, si tentò di imporre il tedesco come lingua ufficiale in Ungheria. La commistione tra impegno culturale e impegno politico costituì complessivamente un impegno civile che sfociò in campo culturale nella fondazione dell’Accademia delle Scienze Ungherese nel 1827 – fortemente voluta dai nobili – e in campo politico nella guerra civile del 1848 con un sostegno generalizzato esaltato dagli intellettuali, soprattutto letterati, e rafforzato dall’epica con temi popolari e quasi contemporanei. Un’epica, critica della società, che riesce a farsi antiepica.

Ciò che ho appena presentato si lega a questo punto alla storia dell’epica ungherese e al titolo della mia riflessione. Proprio al culmine di questi due movimenti di rinnovamento, culturale e politico, si collocano quattro opere ungheresi che considero qui il parto eterozigote di epos e antiepos, opere nate da eventi in cui si incontrano due importantissime figure della letteratura ungherese: János Arany e Sándor Petőfi.

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potrebbe essere un qualunque cittadino innamorato in un qualunque mondo.

Nello stesso anno Petőfi scrive anche A helység kalapácsa, «Il fabbro del villaggio», o letteralmente: «La mazza del luogo» (con intenzionale doppio senso artistico). Si tratta di una storia d’amore profano caratterizzata da un forma rigorosamente epica e singolarmente comica: un vero antiepos, fatto di amore per la lingua e per il popolo e di intelligenza nella visione della società. Tratta di una lotta di paese per la bella e pudica ostessa del posto, scritta con toni sarcastici, ma considerata da alcuni vera epica per la struttura. Petőfi, lo scrittore del popolo, mette alla gogna quelle persone comuni di cui è difensore mostrandone impietosamente i difetti, in un canto dove le difficoltà dell’amore sono immerse in una storia di lotte personali trattate come le grandi lotte dell’umanità, cui prendono parte eroi, antieroi ed eroine.

Da parte sua János Arany nel 1845 aveva partecipato alla genesi dell’antiepica ungherese con l’opera Az elveszett alkotmány, «La costituzione perduta», una storia tragicomica, o piuttosto satirica, sulla battaglia elettorale in un paese dell’Ungheria. Si tratta di una ricerca formale, scolastica eppure – appunto – antiepica.

Nel 1846 scrive Toldi, testo basato sulla figura del condottiero raccontata da Ilosvai quasi trecento anni prima. È probabilmente questa l’epica ungherese par excellence, anche se epica priva della forma classica, in particolare senza l’invocazione, come sottolineato troppo spesso dagli storici della letteratura. Essa ci permette però di valutare cosa è e cosa può essere un’opera di questo genere nella lingua magiara: non solo continuità rispetto all’antico, capacità di ricezione delle culture esterne e del passato ma anche e soprattutto la capacità di essere originali e attuali. Toldi rappresenta l’apice formale dell’epica ungherese e assieme il culmine di un modo di intendere la poesia, oltre ad essere un’opera da sempre apprezzata e letta.

Un aspetto interessante da considerare è la grande riflessione di Arany sulla lingua e sull’opera letteraria che sta alla base della stesura di Toldi, ma anche di tutta la sua produzione e attività culturale. Lo stesso autore era dubbioso se potesse veramente essere proposta un’opera epica al suo tempo, ovvero se fosse possibile creare un’epica nuova e che senso avesse scriverla. Negli appunti che sono raccolti col titolo «La nostra epica popolare», vergati tra il 1858 ed il 1860 (Arany 1862), scrive:

[...] dunque nel popolo c’è, è forte anche l’attenzione alla forma nelle poesie narrative; tuttavia la capacità creativa si manifesta debolmente, ormai da tempo.

[...] Non so se noi giovani generazioni, in mancanza di questi esempi fondamentali, possiamo creare qualcosa di buono nella poesia narrativa; per parte mia provo dispiacere per questa mancanza; ma seguire modelli popolari stranieri lo consiglio solo con ancora maggiore cautela, poiché temo che con quelli nella nostra poesia possano intrufolarsi elementi estranei; ciò che non sarebbe in alcun caso meglio che mantenere elementi classici o imitativi di qualunque altra poesia.

Parole in cui ritroviamo tutta la produzione epica e antiepica ungherese, tutta la concezione artistica del periodo e la volontà creativa che è propria dei migliori periodi della letteratura magiara.

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perché possono essere ancora lette e rilette, sono insomma opere universali anche per il senso comune.

Da questa osservazione nasce la riflessione che l’epos ungherese rappresenti una maturazione artistica sia per l’aspetto letterario, sia per quello sociale. A helység

kalapácsa, János vitéz, Toldi si occupano tutti di questioni contemporanee come la

resistenza all’occupazione straniera o i rapporti interpersonali all’interno della società e lo fanno in un modo pratico e immediato, staccato dall’idealizzazione. Così il Toldi si conclude con l’eroe che come premio delle sue fatiche non vuole nulla per sé, ma chiede che in nome di Dio il re raccolga tutti quanti nel suo esercito e faccia difendere la patria: è questo un appello esplicito alla difesa della nazione nella guerra che sarebbe scoppiata nel 1848.

Ho parlato di maturazione letteraria. Se accettiamo di non seguire la maggior parte delle storie della letteratura ungherese, ma ci dedichiamo ad una rilettura per temi e forme, troviamo in effetti antecedenti a questi capolavori (perché tali sono). In epoca romantica, come aveva notato Arany, gli ungheresi amarono molto il genere epico narrativo e con un po’ di attenzione se ne possono ritrovare tracce in opere sia in prosa, sia in poesia. In nessun caso quelli che sono i capolavori dell’epica (e antiepica) ungherese sono dunque frutti unici, benché il parto eterozigote che ho raccontato rappresenti una nascita particolarmente fortunata.

Se dunque non ci limitiamo all’elencazione della scuola tradizionale possiamo riconoscere diversi modelli di epica e antiepica, con convivenza di temi classici in semplici forme linguistiche non innovative e temi del passato o del presente ungherese, in linea con il senso di appartenenza distinta in seno all’Europa e in corrispondenza con gli atteggiamenti romantici.

Tra le opere epiche comico-classicheggianti possiamo ricordare la Batracomyomachia di Csokonai, imitazione di modello tedesco da parte di quello che è considerato il primo grande autore della letteratura moderna ungherese, poi diversi episodi epici, sorta di capitoli, di saghe di una grande epica ungherese. In prosa ricordo il «Viaggio a Buda di un notaio di paese» (Egy falusi nótáriusnak budai utazása) di József Gvadányi. Tra tanti di questi lavori il prodotto più interessante è forse il poema di Mihály Fazekas «Mattia delle oche» (Lúdas Matyi), una sorta di Bertoldo del 1804.

Ma il romanticismo e il rinnovamento della lingua stavano preparando il terreno per un’epica più riconoscibile accademicamente. Nello spirito romantico il grande teorico Vörösmarty riconobbe ‘ufficialmente’ la necessità di un’epica per la letteratura della sua lingua e cercò pure di produrla. Purtroppo Zalán futása, opera del 1825, è soltanto un prodotto scolastico (in esametri), inevitabilmente mai apprezzato: nulla può di fronte al sentimento che tracima dalle opere di Arany e Petőfi, sentimento accompagnato da una forma, mi sia concesso un commento non letterario o linguistico, che raggiunge vette meravigliose. Il Toldi rimarrà una lettura esemplare finché la lingua ungherese non verrà stravolta nella struttura, la lettura per chi vuole conoscere veramente questa lingua.

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Innanzitutto ricordo che gli stessi Arany e Petőfi scrissero altri poemi epici. Nonostante i dubbi di Arany, per questi autori il poema narrativo fu sicuramente una possibilità artistica di grande portata. Tra le altre loro composizioni di genere dobbiamo ricordare ancora Az apostol, «L’apostolo» di Petőfi e Buda halála, «La morte di Buda» di Arany.

Az Apostol non viene solitamente letto come epos o antiepos, in particolare per il

metro praticamente libero, ma anche per la forte passionalità che lo caratterizza, pur nella rigorosità dell’atteggiamento morale. Dell’epica classica contiene invece caratteristiche catalogazioni.

Buda halála è stata messa in ombra da Toldi, tranne per il particolarissimo sesto canto

in quartine doppie (di una cantabilità esemplare), che narra l’occupazione del suolo di Pannonia da parte degli Ungari. Si tratta peraltro di una raccolta e armonizzazione di temi popolari, una tecnica già utilizzata in finlandese da Elias Lönnrot per il Kalevala nel 1835. Un altro grande autore dell’inizio del XX secolo, Endre Ady, considerò quest’opera una sorta di ballata.

La lezione popolare e formale dei due nostri non mancò di lasciare il segno. Più recentemente alcuni studiosi cercano anche un contenuto epico – e addirittura antiepico in alcuni contenuti che si avvicinano a A helység kalapácsa, nella narrazione della gente comune – in opere dell’inizio del XX secolo. Si tratta spesso di spezzoni, di episodi, o forse in qualche caso il quadro epico potrebbe essere letto in alcune raccolte di poesie.

Se è solo possibile che ci siano state opere con contenuto epico tra le due guerre, cancellate dalla storia della letteratura per il loro contenuto fortemente marxista (ci rimangono dei lavori teatrali con cori recitativi su modello tedesco, studiati recentemente in particolare da Szolláth 2011, che potrebbe essere interessante rileggere alla luce di una continuità epica nei contenuti), è sicuro che dopo il postmodernismo, anche come reazione ad esso, molti testi sono tipicamente soggettivi o storici e privati del contenuto epico. Ma nella ricerca di una universalità del messaggio alcuni critici propongono di leggere un respiro di genere in raccolte poetiche come quelle di Dezső Tandori.

Naturalmente il contenuto epico deve essere riconsiderato ai nostri giorni. Possiamo chiederci se dal punto di vista contenutistico opere come Harry Potter oppure tutta una serie di romanzi pseudostorici che si presentano come narrazioni di un eroe o antieroe possano essere assimilate all’epica. La letteratura ungherese contemporanea può portare degli esempi interessanti, giacché dell’epica (ormai commista con l’antiepica) ancora oggi mantiene non solo i modelli dei contenuti ma anche, sia pure parzialmente, modelli formali.

Non può essere dimenticata qui l’opera Briszéisz, ’Briseide’, di Emese Egyed. In essa l’autrice richiama la figura omerica alternando capitoli di una immaginaria vita quotidiana di lei con quelli di una possibile (molto autobiografica) vita di qualche paese moderno. La sua opera, che alterna prosa a poesia, ha dell’incredibile per forza narrativa e scelta formale. Briszéisz è stata pubblicata a capitoli nel 2003 sulla rivista letteraria transilvana Helikon, a testimonianza anche di un modo particolare di presentare le opere fuori dagli schemi commerciali più comuni in Europa Occidentale. Una parte di capitolo dell’opera è stato pubblicato in italiano nel 2005. La versione definitiva, leggermente differente da quella del 2003, ha visto la luce nel 2011.

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formale in veste di romanzo in soli versi: Paulus, opera che mostra momenti paralleli della vita di Paolo di Tarso e di Friedrich von Paulus, il generale di Stalingrado. L’opera è, anche per la natura stessa del personaggio von Paulus, ricca di citazioni contemporanee, di riflessioni sull’attualità. Formalmente si accontenta di utilizzare la rima in modo rigoroso. Rispetto all’opera di Arany manca tutta la costruzione di una ricerca linguistica evidente, anche se probabilmente essa è latente nell’opera. Come in Arany, anche in Térey c’è ampio uso di note per avvicinare il lettore ad una migliore comprensione del testo. La citazione biblica naturalmente ha qui un peso preponderante. Quest’opera esprime epos e antiepos assieme, con tratti quasi classici nella marginalità delle figure femminili (quale differenza con la Briseide di Emese Egyed!) e l’importanza del divino nella realizzazione del destino.

Sempre in versi rimati è il pezzo teatrale A Nibelung-lakópark, «Il quartiere Nibelungo», del 2004, dove lo spunto classico è a sua volta un’epica, che si fa quotidiana in un quartiere di città.

Entrambe le opere di Térey sono diventate film, a dimostrazione di come questo genere sia in buona salute in Ungheria. Rimangono i temi sociali e una certa commistione tra elementi epici propri e antiepici. Certo rispetto alle opere più antiche mancano della forza di proiezione nel futuro. Si tratta forse di una nuova strada dell’epica che dobbiamo accettare come un tratto caratteristico del genere, almeno in Ungheria?

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Arany 1862

J.Arany, Irányok, «Szépirodalmi Figyelő» XI (1862) Egyed 2003

E.Egyed, Briszéisz, «Helikon» I (2003), 1-14. Egyed 2005

E.Egyed, Briseide, «Comunicare letterature lingue» V (2005) 327-332. Egyed 2011

E.Egyed, Briszéisz, Kolozsvár 2011. Grendel 2010

L.Grendel, A modern magyar irodalom története. Magyar líra és epika a 20. században, Budapest 2010.

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S.Petőfi, Giovanni il Prode ovvero come Gianni Pannocchia divenne Giovanni il

Prode, Soveria Mannelli 1998.

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A.Szerb, A világirodalom története, Budapest 1941. Szolláth 2011

D.Szolláth, A kommunista aszketizmus esztetikája, Budapest 2011. Térey 2001

J.Térey, Paulus, Budapest 2001. Térey 2004

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