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L’ITALIAFORESTALE E MONTANA

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– I.F.M. n. 6 anno 2006

VITTORIO GUALDI (*) - PATRIZIA TARTARINO (*)

ALTRE RIFLESSIONI SULLA GESTIONE SU BASI ASSESTAMENTALI

DELLA FORESTA MEDITERRANEA EUROPEA

Le fonti delle procedure assestamentali presenti nella legislazione forestale prodotta dal regno delle due Sicilie nel XIX secolo (

1

)

Questo studio riguarda le fonti delle procedure assestamentali contenute nella legge del 18 ottobre 1819, emanata da Ferdinando I dei Borboni, re delle due Sicilie, e in quella dell’1 agosto 1826, dovuta a suo figlio Francesco I.

Quelle fonti, assieme ad altre, relative alla legislazione forestale prodotta a favore della foresta mediterranea dagli stati preunitari dell’Italia centrale e settentrionale, hanno favorito lo sviluppo della dottrina assestamentale nel nostro Paese, anche se non sono mancate in esse proposizioni contraddittorie nei riguardi della salvaguardia della foresta considerata.

Parole chiave: fonti delle procedure assestamentali.

Key words: sources of harvest planning procedures.

I NTRODUZIONE

Lo studio, di seguito illustrato nei risultati ottenuti, fa parte della serie di contributi dedicati (G UALDI e T ARTARINO , 2005, 2006a, 2006b) all’analisi delle fonti delle procedure assestamentali cui è dovuto lo sviluppo in Italia della relativa dottrina.

Esso si riferisce alle prescrizioni e alle proposizioni presenti nella legi-

(*) Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università degli Studi di Bari.

1

Il lavoro è stato eseguito dagli autori in parti uguali.

L’ITALIA

FORESTALE E MONTANA

RIVISTA DI POLITICA ECONOMIA E TECNICA

ANNO LXI - NUMERO 6 - NOVEMBRE - DICEMBRE 2006

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slazione prodotta dal regno delle due Sicilie, a favore delle foreste, durante la seconda restaurazione borbonica.

La illustrazione dei risultati ottenuti con l’analisi eseguita è completata da numerose note, riportate alla fine delle pagine di riferimento, rivolte ad approfondire le argomentazioni svolte nel testo.

L A LEGISLAZIONE FORESTALE PRODOTTA DAL REGNO

DELLE DUE S ICILIE NEL XIX SECOLO

Con la seconda restaurazione borbonica, le leggi forestali del 1811 e del 1813 furono abrogate e sostituite da quella emanata il 18 ottobre 1819 da Ferdinando I dei Borboni, re delle due Sicilie

2

, con validità anche al di là del faro, cioè in Sicilia.

La nuova legge, con le disposizioni generali, conservò all’Amministra- zione forestale le competenze che i provvedimenti legislativi precedenti le avevano attribuito sui boschi (articolo 2), eccetto quelle relative ai siti e alle delizie reali

3

(articolo 4).

2

Ferdinando IV dei Borboni, re di Napoli e di Sicilia, divenne III del regno di Sicilia, durante l’oc- cupazione francese di quello di Napoli, e I dell’altro regno, denominato delle due Sicilie con la pace di Vienna, avvenuta nel 1815.

3

I siti e le delizie reali, nella generalità dei casi rappresentati da vaste tenute, ricche di vegetazione spontanea, nelle quali il re e i suoi familiari trascorrevano con i dignitari di corte lunghi periodi di svago, furono affidati in gestione a un’Amministrazione specifica, distinta da quella forestale. Essa si occupava, in quelle tenute, della tutela dei boschi, della coltivazione dei campi e dell’allevamento del bestiame, nonchè dell’esercizio della caccia. Al riguardo di quest’ultima attività, si evidenzia che grande notorietà, non soltanto nel regno di Napoli e di Sicilia, poi delle due Sicilie, ebbero le battute effettuate a Persano, in Cilento; la località fu collegata con Portici, ubicata nei pressi di Napoli e sede della prima reggia bor- bonica con un’ampia strada che costituì il tratto iniziale di quella delle Calabrie. Non minore risalto ebbero (B

RANCACCIO

et al., 1994) altre battute di caccia organizzate agli Astroni, cratere, oggi ricoperto da foreste, di uno dei tanti vulcani spenti dei Campi Flegrei, e a Carditello, amena località del Casertano.

Fra i siti reali fu inserito anche un grande parco urbano, ubicato a Napoli nelle immediate vicinan- ze del mare. Si tratta della cosiddetta Riviera di Chiaia, abbellita nel 1697 con giardini, dotati di alberatu- re di salici s.p., per iniziativa del vicerè dell’epoca, il duca di Medinaceli. La sistemazione a verde fu del tutto rifatta nel 1778, per interessamento di re Ferdinando che affidò la redazione del progetto e la dire- zione dei lavori all’architetto Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi, cui è dovuta la reggia di Caserta. Il rifaci- mento comportò anche la realizzazione di cinque grandi viali, delimitati da alberature di Tiglio nostrano (Tilia platyphyllos Scop.), cui furono maritate delle viti (C

ROCE

, 1923). Ciò avvenne, probabilmente, per riproporre un peculiare elemento del paesaggio agrario dell’entroterra nolano di origine etrusca, qua e là ancor’oggi presente, costituito da filari di alberi di Pioppo nero (Populus nigra L.) che sorreggono festoni di Vite comune (Vitis vinifera L.). L’opera, inaugurata l’11 luglio 1781, subì gravi danni da parte della sol- dataglia del cardinale Ruffo che nel 1799 si acquartierò (G

LEIJESES

, 1990) nella zona a essa destinata, installandovi, addirittura, poligoni di tiro e postazioni di artiglieria. La stessa, successivamente, è stata più volte sistemata e ampliata con l’impianto di alberate, alberature e boschetti di Leccio (Quercus ilex L.) e di aiuole di specie arbustive ed erbacee da fiore. Nella seconda metà del secolo scorso, gli alberi di Leccio, prospicienti il mare, vetusti, sono stati sostituiti con altri di Olivo (Olea europaea L., var.

europaea) e di Platano comune (Platanus hybrida Brot.), con risultati che facilmente si possono immagi-

nare. Interventi del genere, purtroppo frequenti, sono propri delle epoche in cui si diffonde il rifiuto di

ogni contributo culturale.

(3)

Essa stabilì (articolo 9) che i boschi dello stato, dei comuni e degli altri enti dovessero essere:

– definiti nella loro superficie;

– delimitati da opere di confinazione inalterabili

4

;

– iscritti in appositi registri, contenenti indicazioni sulla composizione spe- cifica e sul suolo.

La stessa legge, inoltre, prescrisse (articolo 12) che:

– i tagli da eseguire nelle fustaie, al duplice scopo del prelievo di legno e della loro rinnovazione spontanea, dovessero essere realizzati nella modalità a raso

5

, con il rilascio, su ciascun moggio

6

, di soli 15 alberi per seme, detti anche di speranza;

– le zone percorse da detti tagli dovessero essere interessate dalla messa in difesa

7

, cioè dal divieto in esse dell’esercizio del pascolo, per un adeguato periodo di tempo, stabilito dall’Amministrazione indicata.

Infatti, nelle stesse fustaie furono proibiti (articolo 13) i tagli a scelta, o per salto

8

, a meno che non si fosse trattato di diradamenti o di interventi particolari.

4

La prescrizione di realizzare opere di confine inalterabili fu interpretata in modo adeguato dai funzionari dell’Amministrazione forestale dell’epoca che fecero apporre, in corrispondenza dei vertici delle poligonali di confine dei numerosi boschi considerati, termini lapidei di grandi dimensioni. Lungo i tratti di confine maggiormente a rischio di usurpazione, praticata con lo spostamento dei termini, quelli impiegati in ogni vertice furono due: uno in vista e l’altro interrato, sottostante al primo.

5

Per fortuna, una considerevole parte delle fustaie dell’Italia meridionale, peninsulare e insulare, continuò a essere sottoposta al taglio a scelta, cui sono da attribuire, com’è noto, non pochi inconvenien- ti, la cui gravità, però, non raggiunse mai quella dovuta al taglio a raso. La conservazione di quella forma di prelievo legnoso è confermata dai risultati dell’inventario forestale del 1870, effettuato a unificazione da poco conclusa del nostro Paese, dai quali risulta (G

UALDI

, 1998) che le fustaie in esame, estese su 740 000 ettari, per 450 000 erano ancora trattate con i tagli praticati nella modalità specificata.

Risultati certamente migliori per gli ecosistemi forestali interessati hanno dato poi, con il XX seco- lo, i tagli successivi uniformi che, però, hanno coetaneizzato un gran numero di fustaie. Essi, là dove sono stati mal eseguiti, vale a dire a intervalli di tempo molto lunghi fra un intervento e l’altro, anche di qual- che decennio, hanno determinato rinnovazioni differenziate nel tempo e nello spazio e, quindi, sovrap- posizioni o giustapposizioni di gruppi di alberi di differenti età, oggi apprezzate.

Si fa osservare, infine, che la denominazione di speranza, attribuita agli alberi da rilasciare in occa- sione dei tagli a raso, evidenzia la mancanza di certezze nei tecnici dell’epoca, riferite ai risultati attesi al riguardo della durevolezza dei boschi.

6

Il moggio napoletano era pari a un terzo di ettaro.

7

La messa in difesa delle tagliate aveva durata diversa, in relazione alla specie di bestiame allevato:

la priobizione in esse del pascolo era di qualche anno, per gli ovini, di qualche quinquennio, per i bovini e per gli equini.

Il toponimo Difesa, ricorrente nelle carte topografiche dell’Italia meridionale, ricorda, invece, che le località interessate erano state sottoposte nel passato, non di rado remoto, a una particolare tutela, rife- rita alla pratica del taglio dei boschi e all’esercizio del pascolo. Per impedire quest’ultima attività, veniva- no costruiti, dove possibile, sul perimetro delle proprietà interessate, dei muri a secco che, in non pochi casi, per la loro accurata costruzione, rappresentano oggi delle vere e proprie espressioni culturali della civiltà contadina di un tempo.

8

La proibizione, prevista dalla legge, del taglio a scelta e di quello per salto discese, molto probabil-

mente, anche dalla necessità di impedire che i prelievi di legno dai boschi interessassero preferibilmente,

come non di rado avveniva, le zone più produttive, di solito più agevolmente raggiungibili e percorribili,

perchè caratterizzate da forme del rilievo poco accidentate, tralasciando, quindi, le altre.

(4)

Per poter eseguire gli interventi indicati nei boschi formati da specie protette

9

, distanti meno di 20 miglia dai fiumi e di 45 dai mari, fu stabilito (articolo 16) che occorresse anche l’autorizzazione del Ministro della Marina.

Fra le opere di miglioramento boschivo furono previste (articoli 65 e 66):

– l’apertura di canali e di strade di esbosco, già suggerita dalla legge fore- stale del 1811, nonché la loro manutenzione;

– la realizzazione di rinfoltimenti nelle zone rade;

– la esecuzione di rimboschimenti, mediante semine o piantagioni, in quelle marginali, frequentemente private, anche del tutto, della copertura forestale;

– la conversione ad alto e basso fusto

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di tutti i cedui di proprietà dello stato.

Non poco interesse suscita ancor oggi la lettura dei documenti esplicati- vi della legge in esame, redatti nel 1822 dall’Amministrazione forestale di Napoli, per le aree peninsulari, e da quella di Palermo, per l’altra etnea.

Il primo di essi ribadì che nei boschi dei comuni, degli altri enti e dei privati non potesse essere percorsa con il taglio più di una sezione all’anno;

ciò, per non sfigurare gli stessi boschi e non andare incontro a penuria di legname

11

.

Il secondo stabilì che le sezioni di taglio delle fustaie dell’Etna (3.340 m s.m.) dovessero avere, in attuazione dell’ordinamento dei prelievi legnosi ritenu- to più adeguato, forma rettangolare

12

(punto 7) e superficie non superiore alla:

– centoventesima parte del bosco, nel caso di quelli composti da Pini silve- stri, Zappini volgarmente detti

13

(punto 1), vale a dire delle pinete di Pino laricio

14

;

– ottantesima, nei querceti di qualunque specie, siccome Cerri, Roveri, Elci,

9

Le specie arboree protette erano da tempo rappresentate da: Abete bianco (Abies alba Miller), Pino d’Aleppo (Pinus halepensis Miller), Pino domestico (P. pinea L.), Pino marittimo (P. pinaster Aiton), Pino silano (P. laricio Poiret) e Pino loricato (P. leucodermis Antoine), fra le aghifille; Leccio, fra le plati- sclerofille sempreverdi; Roverella s.l. (Quercus pubescens Willd.), Cerro (Q. cerris L.), Farnetto (Q. frai- netto Ten.), Farnia (Q. robur L.), Rovere (Quercus petraea [Mattuschka] Liebl.), Faggio (Fagus sylvatica L.), e Olmo comune (Ulmus minor Miller), fra le platifille decidue, a riposo invernale, che comprendeva- no, però, anche l’Orniello (Fraxinus ornus L.), dal quale, a mezzo di incisioni praticate sui fusti, si estrae- va la manna, nonchè molte altre specie che danno frutti appetiti dal bestiame al pascolo nei boschi o alle- vato nelle loro vicinanze.

10

Si trattava, molto probabilmente, della conversione di quei cedui a fustaia o a ceduo composto.

11

Il taglio di più di una sezione all’anno nei boschi avviati all’ordinamento descritto, che l’Assesta- mento forestale definisce planimetrico-spartitivo, fu impedito per le conseguenze, già all’epoca temute, che esso avrebbe comportato. Si trattava dello sconvolgimento degli assetti, preordinati per regolamen- tare il prelievo di legno e ottenuti con considerevoli impegni di lavoro e gravi sacrifici finanziari, che la legge ritenne, a ragione, rivolto a sfigurare i boschi interessati, nonché dell’impossibilità di realizzare quel prelievo per la mancanza di sezioni «mature», per periodi di tempo più o meno lunghi, in relazione all’en- tità del disordine provocato.

12

La prescrizione di forme geometriche per le sezioni dei boschi dell’Etna va considerata come una delle espressioni del modo d’intendere a quell’epoca la configurazione ottimale per le coltivazioni agricole e forestali, nonché per i nuovi quartieri urbani.

13

Ancor oggi, in molte aree del Sud Italia, i pini vengono chiamati zappini: molto probabilmente si

tratta di un volgarismo derivato dal termine sapin, riferito, in verità, all’abete nella lingua francese.

(5)

ecc. (punto 2), cioè nelle fustaie di Leccio

15

, Cerro

16

e Rovere, come espli- citato nello stesso documento, e probabilmente nelle altre di Roverella

17

, implicitamente considerate;

– quarantesima, nei faggeti, ossia nelle foreste di Faggio

18

, da percorrere con i tagli ogni 3 anni (punto 3);

– cinquantesima-quarantesima, nei boschi di betulle bianche, Vituddi comu- nemente chiamate (punto 4), identificabili in quelli di Betulla dell’Etna (Betula aetnensis Rafin.)

19

;

– quarantesima-trentesima, nei pioppeti di pioppi tremuli, ossia Arvanetti (punto 5), cioè nelle fustaie di Pioppo tremulo (Populus tremula L.).

14

Il Pino silano forma sull’Etna, nel piano montano-mediterraneo, inteso nel significato attribuito- gli da Q

UEZEL

(1985), vaste foreste che rappresentano stadi più o meno evoluti di comunità vegetali, rife- rite da P

IGNATTI

(1998) all’Hypochoeridi (laevigatae)-Pinetum laricionis Bonin 1978, individuato, però, per le pinete della Calabria. Esse sono caratterizzate dalla presenza, oltre che del Pino silano e della Costolina levigata (Hypochoeris laevigata [L.] Ces. P. et G.), della Ginestra dell’Etna (Genista aetnensis [Biv.] DC.) e dell’Astragalo dell’Etna (Astragalus siculus Biv.). Si tratta di foreste caratterizzate da diffe- rente significato ecologico, comprese come sono fra quelle che colonizzano le colate laviche e le altre, più propriamente silvane, della classe Querco-Fagetea Br. Bl. et Vlieg. in Vlieg. 1937, a ragione considerate da G

IACOMINI

e F

ENAROLI

(1958) come espressioni sub-climaciche in lenta evoluzione verso la faggeta, non sempre conclusa per determinismo edafico.

15

Il Leccio è diffuso sull’Etna nel piano meso-mediterraneo, ove domina numerose comunità di piante, riferite (P

OLI

et al., 1981; P

OLI

, 1982) ad associazioni del Quercion ilicis Br. Bl. (1931) 1936. Si tratta del:

– Celtido (aetnensis)-Quercetum ilicis, costituito sul versante occidentale, non oltre i 1 000 m di altitudi- ne, da macchie, composte nello strato superiore, oltre che dal Leccio, anche dal Bagolaro dell’Etna (Celtis aetnensis [Tornabene] Strobl); quest’ultima specie è ritenuta da P

IGNATTI

(1982) affine al Bago- laro dei Balcani (C. tournefortii Lam.);

– Fraxino (orni)-Quercetum ilicis Horvatic (1956) 1958, formato sul versante settentrionale, anche in questo caso non oltre i 1 000 m di quota, da macchie e macchie-foreste, costituite nello strato superiore dal Leccio, non di rado dominante, e da Orniello, Carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.) e Roverella, oltre che da Alloro (Laurus nobilis L.);

– Teucrio (siculi)-Quercetum ilicis Gentile 1969, rappresentato sui versanti settentrionale, meridionale e occidentale, fino ai 1 400 m s.m., da macchie e macchie-foreste formate non solo dal Leccio, ma anche dalla Roverella, e caratterizzate dalla diffusa presenza nel loro strato arbustivo del Camedrio siciliano (Teucrium siculum Rafin.).

16

Il Cerro occupa sull’Etna, sia la parte superiore del piano supra-mediterraneo, dove è associato alla Roverella, sia quella inferiore del piano montano-mediterraneo, nella quale compone, come specie dominante, comunità vegetali con fisionomia di foresta.

17

La Roverella, oltre a partecipare nel piano meso-mediterraneo dell’area in esame alla composi- zione delle comunità vegetali indicate, è diffusa anche in quello supra-mediterraneo. Qui essa partecipa alla composizione di comunità vegetali, con fisionomia di macchia-foresta, da essa dominate, rappresen- tative del Quercion pubescenti-petraeae Br.-Bl. 1931.

18

Il Faggio è stato sull’Etna la specie più rappresentativa del piano montano-mediterraneo, nel quale formava vaste foreste, specialmente sul versante settentrionale, dove usufruiva della considerevole piovosità e nebulosità di un clima, improntato di oceanicità, che oggi non sussiste più: ciò che resta di esse, non è altro che una vegetazione residuale, ormai frammentata e degenerata, che, pur tuttavia, è l’e- spressione più meridionale dell’ampio areale della specie.

19

La Betulla dell’Etna è presente sul vulcano nel piano montano-mediterraneo, ove predilige il ver-

sante orientale di cui occupa le stazioni caratterizzate da suoli con adeguata disponibilità di risorse idri-

che e trofiche; di esse usufruiscono, però, anche altre specie, come il Pino silano, fra le aghifille, e il

Cerro, cui frequentemente si associa la Betulla dell’Etna, fra le platifille decidue, a riposo invernale, for-

mando così delle comunità di piante che, si ritiene, precedano altre, più evolute, riferibili al Geranio (ver-

sicoloris)-Fagion Gentile 1969.

(6)

La presenza su quel vulcano di boschi delle specie indicate è stata confermata da numerosi studi, condotti, pressappoco alla stessa epoca di quella del documento in esame, sulla vegetazione spontanea dell’area. La Rovere, invece, è stata segnalata oltre un secolo dopo da H OFMANN

(1960) nel patrimonio boschivo «Nave» del comune di Bronte (CT), della estensione di 158 ettari, in associazione al Pioppo tremulo e alla Betulla dell’Etna, e in quelli «Faggeta Annunziata» e «Pirò» del comune di Randazzo (CT), rispettivamente di 120 e 110 ettari, in mescolanza con il Pino laricio.

Al riguardo dei boschi etnei, si fa osservare che essi subirono all’ini- zio dell’800 vere e proprie distruzioni che interessarono la metà e oltre della loro superficie, non di rado interessata dalla messa a coltura dei terreni così privati della copertura vegetante spontanea. Ciò è dettaglia- tamente denunciato da S CUDERI (1825-1827) nel suo Trattato dei Boschi dell’Etna, dal quale, oltretutto, si evince che quelli residuali furono for- temente impoveriti nella composizione specifica e nella provvigione e alterati nella struttura. Per non pochi di essi cambiò addirittura la forma di governo: rigogliose fustaie furono convertite in cedui composti o sem- plici, tant’è che ancor’oggi risulta molto difficoltosa la conduzione di studi rivolti alla loro identificazione fitosociologica (H OFFMAN , l.c.).

La legge forestale del 1819 ebbe però breve durata, tant’è che dopo poco tempo fu richiamata a novello esame, perchè ritenuta lesiva del dirit- to di proprietà, relativo ai beni dei comuni, degli altri enti e dei privati.

Francesco I dei Borboni, re delle due Sicilie, emanò, quindi, l’1 ago- sto 1826, una nuova legge forestale, estesa alla Sicilia il 26 marzo 1827, per effetto della quale le selve, i boschi e le terre salde del regno furono suddivisi in 3 gruppi.

Il primo gruppo era costituito dalle proprietà dello stato; il secondo, dai patrimoni dei comuni e degli altri enti; il terzo, infine, dai beni dei pri- vati.

L’Amministrazione forestale ebbe i compiti: della custodia e della gestione (articolo 2) delle foreste del primo gruppo; della vigilanza sulla conservazione e sul miglioramento (articoli 3 e 4) di quelle del secondo;

della sola vigilanza (articolo 5), rivolta a impedire i casi di disboscamento o di dissodamento, sulle altre del terzo.

Quella legge confermò, inoltre, che i boschi dello stato, dei comuni e degli altri enti dovessero essere delimitati (articolo 32) da opere inalterabi- li e descritti in registri, appositamente predisposti, riferiti alla composizio- ne specifica e al suolo.

Essa ribadì anche l’obbligo di effettuare nelle fustaie soltanto tagli

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finali regolari

20

, della modalità a raso, con il rilascio su ogni moggio (articolo 35) di 15 alberi per seme, o di speranza, escludendo, quindi, la esecuzione (articolo 37) di quelli a scelta, o per salto, realizzabili (articolo 38) solo nel caso di interventi fitosanitari e di diradamenti di fustaie di giovane età.

Il provvedimento stabilì, infine, che:

– i boschi dello stato dovessero essere gestiti (articolo 40) con l’adozione di turni proposti dall’Amministrazione competente e approvati dal Mini- stro delle finanze; per gli stessi boschi, se cedui, fu confermata (articolo 67) la necessità della loro conversione, sempre che possibile, ad alto o basso fusto;

– i boschi dei comuni e degli altri enti, di maggiore superficie, ubicati in zone acclivi, dovessero essere suddivisi in sezioni (articolo 71), in numero tale da assicurarne (articolo 72) la conservazione, in generale, e la rinno- vazione spontanea, in particolare, ai fini della loro perpetua rendita.

L’Amministrazione forestale fornì nel 1828 dettagliate istruzioni al riguardo dei diradamenti boschivi. Fu ricordato, infatti, che la loro esecuzio- ne dovesse essere preceduta (punto 1) dalla compilazione di una relazione nella quale fossero evidenziate:

– le necessità dell’intervento proposto;

– la prosperità

21

e la composizione specifica del bosco interessato;

– le dimensioni diametriche e ipsometriche dei fusti degli alberi e la distanza fra gli stessi;

– lo stato di conservazione della vegetazione, considerata nel suo complesso.

Nelle stesse istruzioni, inoltre, fu precisato (punto 4) che i popolamen- ti arborei molto densi, caratterizzati dalla presenza di numerosi alberi sfilati, dovessero essere percorsi da tagli graduati nel tempo, in numero compreso fra 2 e 4, al fine di evitare i danni da vento.

Cure particolari furono raccomandate (punto 5) per i boschi composti dalle specie protette, indicate nella nota n. 9, specialmente se rappresentate da alberi con fusto curvo, ricercatissimi dalla Marina

22

.

Nelle conclusioni fu evidenziata (punto 7) la necessità della conserva-

20

Anche la definizione di regolare del taglio a raso e della foresta, tipicamente coetanea, che da esso aveva avuto origine discese dalla terminologia tecnica forestale francese, secondo la quale, ancor’oggi, la foresta è regulière, se coetanea, irregulière, se disetanea o disetaneiforme.

21

La prosperità dei boschi era riferita a qualcosa di più della produzione di legno da essi assicurata o possibile; essa, infatti, si riferiva anche al rigoglio della vegetazione e al suo stato di conservazione.

22

Gli alberi con fusto curvo assicuravano la disponibilità negli arsenali e nei cantieri, nei quali si

costruivano, rispettivamente, le navi e le barche, degli assortimenti impiegati nella realizzazione delle

loro ordinate e delle complesse strutture di prua e di poppa.

(8)

zione della minuta boscaglia

23

in occasione della esecuzione dei diradamen- ti, essendo essa non nocevole, ma utilissima e destinata dalla natura a facili- tare la riproduzione dei boschi.

R IFLESSIONI CONCLUSIVE

L’analisi svolta al riguardo delle due leggi forestali considerate ha innanzi- tutto evidenziato lo schematismo che caratterizzò non solo le prescrizioni amministrative impartite, relative al personale degli uffici forestali e ai compiti a esso affidati, ma anche quelle riferite alla gestione delle foreste.

Quel carattere, va osservato, discese probabilmente dal burocratismo che permeò l’attività della pubblica amministrazione, sulla quale era addirit- tura incentrata (S PAGNOLETTI , 1997) quella di governo.

Da quanto evidenziato invalse un po’ ovunque il formalismo, non di rado deteriore.

Si spiegano così, di quelle leggi, le norme al riguardo dell’esecuzione in tutte le fustaie, pubbliche e private, di tagli di fine ciclo della modalità a raso, con rilascio di riserve, sostitutivi di quelli a scelta, praticati da tempo remoto, e degli altri, a salto o sia a giardinaggio, suggeriti dalla legge del 1811, emessa durante l’occupazione francese.

Analoga motivazione trova anche l’imposizione dell’ordinamento dei tagli, di tipo planimetrico-spartitivo, rivolto alla regolamentazione del prelie- vo di legno da tutte le fustaie e dai cedui di maggiore estensione, ubicati in zone acclivi, di proprietà pubblica.

L’attuazione di quelle norme, fortunatamente non diffusa, arrecò alle fustaie interessate gravi danni, già all’epoca in qualche modo denunciati.

Infatti, nel documento esplicativo della legge del 1819, prodotto nel

23

L’insieme degli elementi fruticosi e suffruticosi che formano lo strato arbustivo dei boschi, definito dalle istruzioni del 1828 minuta boscaglia, fu da queste protetto, con motivazioni ancor’oggi ben condivisibili. Evidentemente, già all’epoca si conosceva il ruolo svolto da quell’insieme di piante nel più ampio contesto delle comunità vegetali di loro appartenenza. Ciò non può che essere conside- rato come il risultato dei proficui studi, seguiti da adeguata divulgazione, condotti nelle Accademie e nelle Università del regno da quanti si occupavano di Storia naturale, intesa nel significato attribuitale poi da M

ONTALENTI

(1970). Fra essi, si ricordano, quali illustri botanici, T

ENORE

(1811-1838; 1831- 1842), per i contributi forniti al riguardo della migliore conoscenza della flora e della vegetazione delle province peninsulari, nonchè G

USSONE

(1827-1834; 1842-1844) e P

ARLATORE

(1839; 1844-1846), per quelli omologhi, riferiti alle province siciliane.

Senza voler qui affatto assumere atteggiamenti improntati di campanilismo, si conclude questa

nota evidenziando che già da due secoli, rispetto alla data delle istruzioni, era stato dato alle stampe il

trattato di R

ENDELLA

(1630), nativo di Monopoli (BA), sui pascoli, sulle difese, sulle foreste e sulle

acque, di cui sono illustrate modalità di gestione differenziate, in relazione alle categorie di proprietà

loro riferite. Per i suoi pregi, l’opera è stata definita insigne da D

I

B

ERENGER

(1859-1863) che, proba-

bilmente, ha tenuto anche conto, nell’esprimere quel giudizio, della notorietà assunta dall’autore

(M

AFFEI

, 1987) quale giureconsulto e storiografo, nonché georgofilo.

(9)

1822 dall’Amministrazione forestale di Palermo, fu lamentata, a proposito dell’accoglienza fra gli interessati delle nuove norme, l’insorgenza di non poche perplessità, definite, addirittura, insinuazioni, in nome della scienza sil- vana del tempo. Eppure esse erano state espresse dall’Intendente dell’area etnea che, probabilmente, aveva fatto proprie quelle sulla brutalità dei tagli e sulla rigidità degli ordinamenti prescritti, avanzate da sindaci dei comuni pro- prietari di boschi o da altri, cui stava a cuore la conservazione delle foreste.

I danni subiti dai boschi, in particolare dalle fustaie, per effetto dell’ado- zione del tagli a raso, con riserve, riguardarono sia la loro composizione che la loro struttura.

La esecuzione di brusche e ampie aperture nelle comunità arboree inte- ressate favorì la rinnovazione delle specie maggiormente esigenti di luce e tol- leranti la minore disponibilità di risorse idriche nel suolo, a discapito di quel- le bisognose d’ombra e delle stesse risorse.

I tagli in esame, praticati nelle foreste caratterizzate da struttura diseta- neiforme, loro derivata dai tagli a scelta, interessavano anche alberi di media e di giovane età, dotati, quindi, di elevata capacità pollonigena. Conseguente- mente, la struttura delle stesse foreste si modificò nel tempo in modo sostan- ziale, con la diffusione su vaste superfici della coetaneità e della coesistenza di rinnovazioni gamiche e agamiche, in conseguenza delle quali non poche di esse assunsero la fisionomia della macchia-foresta.

La degenerazione vegetazionale descritta era interconnessa con il degra- do edafico, dovuto all’erosione, generalmente areale, operata dalle acque di scorrimento superficiale che quasi non trovavano più ostacoli di sorta nelle tagliate così eseguite.

L’ordinamento dei tagli di tipo planimetrico-spartitivo applicato a tutte le foreste del regno, caratterizzate da non poca variabilità spaziale, sia composi- tiva, che strutturale, comportò non solo un’accentuata rigidità al sistema dei prelievi legnosi, ma anche elevati costi di gestione diretti e ancor più indiretti.

Gli aspetti negativi specificati, già all’epoca in qualche modo lamentati, sono apparsi in tutta evidenza con gli studi di Fitogeografia e di Fitosociologia sviluppati nel tempo sulla foresta mediterranea dell’Italia meridionale, consi- derata nell’ambito di quelle Sud-europee, assieme alle altre Sud-occidentali asiatiche e Nord-occidentali africane.

Si fa qui riferimento alle peculiarità relative alla elevata biodiversità compositiva

24

, all’accentuata complessità strutturale

25

, variabile con quella ambientale e con l’altra gestionale, e alla fragilità, causa di vulnerabilità

26

.

24

Numerosi studiosi si sono occupati, specialmente negli ultimi decenni, della foresta mediter-

ranea, considerata nelle sue varie espressioni spaziali, evidenziandone sempre nuove peculiarità. Fra

essi, si ricordano Q

UEZEL

e M

EDAIL

(2003) che si sono occupati della sua composizione specifica,

(10)

In conclusione, dai tagli a salto o sia a giardinaggio, propri di una selvi- coltura accorta nei riguardi delle esigenze della foresta considerata, si passò a quelli a raso, con riserve, risultati del tutto antitetici rispetto alla conserva- zione delle peculiarità della stessa foresta.

Comunque sia, la legge forestale del 1826, nonostante gli aspetti nega- tivi che la caratterizzano, d’ordine selvicolturale e assestamentale, è stata ritenuta (F RASSOLDATI , 1960) una delle migliori dell’Italia preunitaria, addi- rittura degna di essere allora estesa all’intero nostro Paese, per quanto riguarda gli aspetti amministrativi, in generale, e quelli riferiti alla regima- zione delle acque e alla difesa del suolo, in particolare.

SUMMARY

Further notes on the management and harvest planning of European Mediterranean forests.

The sources found in the forest conservation legislation passed by the Kingdom of Two Sicilies in the 19

th

century

This study analyses the sources for the harvest planning procedures outlined in the law of 18

th

October 1819, issued by Ferdinand I of Bourbon, King of the Two Sicilies, and in that of 1

st

August 1826, issued by his son Francis I.

Together with other forestry legislation for the protection of the Mediterranean forest passed by central and northern Italian states in pre-Unification Italy, these two Bourbon laws led to the development of harvest planning doctrine in Italy, even though they did contain contradictory proposals regarding the conservation of these forests.

ponendo in risalto che essa è costituita, nell’insieme, da ben 76 specie legnose, comprese quelle delle ripisilve, a fronte di sole 20 delle foreste europee, centrali e settentrionali.

25

Le foreste mediterranee dei piani termo-mediterraneo, meso-mediterraneo e supra-mediterra- neo, ben conservate ed espressioni di ambienti favorevoli, relativi alla configurazione dei luoghi inte- ressati e alla disponibilità di risorse idriche e trofiche nel suolo, si compongono di più strati: arboreo, arborescente, arbustivo superiore, fruticoso, e inferiore, frequentemente suffruticoso, ed erbaceo.

Non di rado gli elementi più alti dello strato arborescente entrano in competizione con quelli inferiori dello strato arboreo, così come avviene per gli altri, di maggiore altezza, dello strato arbustivo, con quelli inferiori dello strato arborescente. Nonostante l’importanza della peculiarità strutturale evi- denziata, mancano a tutt’oggi quasi del tutto degli specifici studi al riguardo.

26

Fra le peculiarità della foresta mediterranea è stata annoverata (Q

UEZEL

, 1976) anche la fragi-

lità, causa di vulnerabilità. Al riguardo va precisato che, sia l’una, che l’altra, vanno riferite agli stadi

evoluti della stessa foresta, in quanto gli altri, espressioni di processi di degenerazione vegetazionale

più o meno sviluppati, conservano sorprendenti capacità di rigenerazione che si manifestano al cessare

delle azioni antropozoiche cui quei processi sono dovuti, sempre che le condizioni pedologiche lo

consentano. Si fa qui riferimento, per esempio, alla ridiffusione, non di rado accelerata, del Leccio nel-

l’ambito di macchie e di garighe, nonchè di ex coltivi, specialmente se ubicati in zone di colluvio, non

necessariamente preceduta da quella di specie pioniere.

(11)

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