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AMLETICA LEGGERA. Collana diretta da STEFANO BARTEZZAGHI

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Academic year: 2022

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AMLETICA LEGGERA Collana diretta da

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VALENTINA CREPAX IO E L’ASINO MIO

Storie dei Crepax raccontate da Valentina con una lettera di Natalia Aspesi all’autrice

BOMPIANI

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© 2020 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani Via Bolognese 165, 50139 Firenze - Italia Via G.B. Pirelli 30, 20124 Milano - Italia

Per le foto di pagina 14, 26, 28, 30-31, 36, 46, 55, 112-113, 199, 244, 276-277, 279 e per i disegni di Guido Crepax in copertina e a pagina 15, 106, 122 e 280 si ringraziano Caterina, Antonio e Giacomo Crepax.

Si ringraziano Alice Crepax, Caterina Crepax, Antonio Crepax, Nicola Crepax e Michele Lupi per il loro contributo alla presente opera

L’editore dichiara di aver fatto tutto il possibile per identificare i proprietari dei diritti delle foto di pagina 28 e 279 ribadisce la propria disponibilità a regolarizzare gli stessi.

In copertina: © Eredi Guido Crepax Progetto grafico: Polystudio

ISBN 978-88-587-9056-4

Prima edizione digitale: settembre 2020

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I N D I C E

Avviso ai lettori Introduzione

I O E L’A S I N O M I O

Conclusione

Lettera di Natalia Aspesi all’autrice Indice delle foto e dei disegni

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Avviso ai lettori

In questo libro, per non fare confusione, si parla dei vivi da vivi e dei morti da vivi. Ogni tanto. (Esclusi gli animali che quando sono morti lo sono per davvero).

Tutti i personaggi sono veri e li ringrazio molto di esistere e di essere più o meno tale e quale a come li racconto. Altrimen- ti non mi sarei divertita così tanto. Ringrazio anche le mie ami- che cretine che mi stimano tanto da farmi sentire quasi cretina come loro. Ma più di tutti ringrazio l’Alice che mi fa sempre ri- dere perché “Tutti i migliori sono matti” (cit.).

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Alla mia maestra, che avendo suggerito in an- ticipo a mia madre le domande che mi avreb- be fatto mi ha permesso di superare l’esame di quinta elementare.

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Introduzione

Sono nata nel 1952 che non era più dopoguerra ma era pur sempre dopo la guerra. Si respirava un’aria piena di prospetti- ve. Mio nonno Gilberto era un violoncellista molto stimato cui mia nonna riservava il marron glacé più grosso da un vassoio di marron glacé tutti uguali (le mie nipoti più astute pesano le ro- telle di liquerizia alla ricerca di un’equità al milligrammo). Mia nonna rivoltava cappotti vecchi per farli sembrare nuovi e gira- va la città con un taccuino, copiava l’ultima moda dalle prime vetrine di prêt-à-porter per poterla riprodurre e indossare con la grazia che le era naturale (solo Gabriele Abbado aveva osato farle notare che teneva i piedi a papera, del resto tra i tre fratelli è stato quello che ha avuto una carriera un po’ meno luminosa).

Mio zio Guido aveva diciotto anni e stava per iscriversi alla fa- coltà di architettura suonando jazz con le mani a coppa davan- ti alla bocca. Disegnava sempre, era distratto e non apprezzava l’ironia perpetua di mio padre. Più tardi ho capito anch’io che può davvero essere snervante. Andavano all’Idroscalo con la bi- ci da corsa. Ci andava anche una certa Marisa Borella, un flirt

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Mio nonno era un violoncellista molto stimato.

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di Guido, bellissima bionda con le trecce e un sedere talmente notevole che, messo in risalto dalla posizione bicidacorsa, una volta li aveva costretti a tornare a casa velocemente per sfuggi- re alla folla impazzita che la voleva baciare. Guido ha sempre stravisto per i sederi e la Marisa in bici si ritrova spesso nei suoi disegni, vista da dietro ovviamente. Ma allora i fratelli Crepax, sederi a parte, vivevano soprattutto per Fausto Coppi. Era l’an- no in cui il Campionissimo, il 17 luglio, un mese esatto dopo la mia nascita, vinceva la nona e ultima tappa del Tour de France, l’anno della famosissima foto in cui Bartali e Coppi si scambia-

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Guido ha sempre stravisto per i sederi e la Marisa in bici si ritrova spesso nei suoi disegni.

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no la borraccia in corsa. Adriano De Zan era amico di mio zio, pedalava con loro e sognava di fare il giornalista sportivo come poi ha fatto. Franco, mio padre, appena laureato inutilmente in legge, si arrabattava al botteghino del Piccolo Teatro e faceva il reporter alla radio per una specie di radiogiornale dove inven- tava tragici fatti di cronaca per creare aspettative e quindi se- guito negli ascoltatori. Ma mio padre soprattutto faceva il fico.

Il suo scopo era épater le bourgeois (dal dizionario: meraviglia- re a buon mercato la gente con affermazioni, parole, atteggia- menti e abiti spregiudicati e anticonformisti). Tant’è vero che mia madre (detta in seguito la madre di mia sorella perché per lei ha sempre avuto una spiccata predilezione) mentre passeg- giava con Emilio Tadini, il fidanzato di quel momento, l’ha in- dividuato in corso Venezia: “Chi è quello che viene avanti con la camicia fuori dai pantaloni, una scarpa rossa e l’altra gialla?”

“Ahahah, quello è Crepax!” le ha risposto l’Emilio decretando così la fine della sua storia d’amore e dando un grosso dispiace- re a suo papà, il tipografo, che era il solo a volere veramente be- ne alla Luciana, il cui padre era morto di setticemia prima che lei nascesse. A Napoli. Forse è stata proprio la morte precoce di Pasquale Parisi, giornalista, a inculcare in mia madre quell’a- bilità tragicomica con punte di sadismo sentimentale che eser- citava su di noi bambini raccontando fatterelli della sua infan- zia squattrinata, della vita con una mamma sempre vedova che preferiva il figlio maschio (chimico e tacciato di portar sfortu- na, sfollato in Svizzera e preso in carico da Giorgio Strehler per

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Il suo scopo era épater le bourgeois (dal dizionario: meravigliare a buon mercato la gente con affermazioni, parole, atteggiamenti e abiti spregiudicati e anticonformisti).

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la parte del menagramo in una commedia di Pirandello), cui ri- servava fettone di carne mentre all’affamata Luciana non re- stava che pulire il piatto con il pane, di zie sempre innamora- te dell’uomo sbagliato, di quei panini con la frittata che cadeva nella sabbia di Vico Equense e si doveva ripulire soffiando via i granelli perché altro da mangiare non c’era. E noi con il visi- no solcato da qualche lacrimuccia ridacchiavamo. Non importa se la grassa e ridanciana nonna inglese le leggeva il Circolo Pi- ckwick facendo sobbalzare la pancia dalle risate, erano più bel- le le storie tristi.

Anch’io ero grassa e ridanciana, precisa identica a adesso.

Nei primi cinque anni della mia vita mi sono stati imposti due fratelli, Margherita e Nicola; tutti in casa hanno preso gli even- ti, assai ravvicinati tra loro, addirittura con entusiasmo e qual- che volta mi sono adeguata anch’io al clima di letizia senza però mai capire se fosse stata una scellerata scelta obbligata o un ca- so al quale doversi rassegnare. Per fortuna mia nonna ha sem- pre preferito me. Credo.

Comincia così, grosso modo, la storia di una famiglia vene- to-napoletana, ma alla fine milanese, della borghesia… potrei di- re illuminata ma mi sembra più opportuno definirla incande- scente, finita suo malgrado alla ribalta grazie ai fratelli Crepax:

Guido perché è Guido e Franco perché è Franco. Io ne sono la vittima privilegiata.

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Mia madre (prima parte)

La famiglia di mio padre, al momento delle nozze ripara- trici non ha dato alle labbra la piega di un sorriso. Qualcuno, ignorando la mia imminente venuta al mondo aveva addirittu- ra detto: non se ne potrebbe trovare un’altra? Mia madre, or- fana e povera, colta ma distratta e soprattutto troppo magra e spregiudicata non era apprezzata e non rispondeva a quei ca- noni di bellezza sinuosa da dopoguerra. Anche se Alik Cava- liere l’aveva definita “il più bel culo di via Brera” non era ri- tenuta all’altezza del fascino di mio padre. Alik Cavaliere in effetti in quell’ambito non era molto credibile dato che era no- to per il suo vizio di borbottare “che leonessa che pantera” a qualsiasi donna incrociasse per la strada, bella o brutta che fos- se. Il matrimonio è stato celebrato lo stesso, con la porta della chiesa mezza chiusa, i fiori del matrimonio precedente già un po’ ammosciati, e il silenzio totale grazie a qualche moneta che Enzo Belli Nicoletti ha elargito al sagrestano perché spengesse la lucidatrice. Pochi anni dopo, quando abitavamo in due stan- ze in via Nazari ho visto volare in corridoio un mazzolino di

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Il matrimonio è stato celebrato lo stesso, con la porta della chiesa mezza chiusa, i fiori del matrimonio precedente già un po’ ammo- sciati, e il silenzio totale grazie a qualche moneta che Enzo Belli Nicoletti ha elargito al sagrestano perché spengesse la lucidatrice.

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violette seguito dall’urlo di mia madre (senza inflessioni napo- letane ma con quegli acuti che solo le donne di lì hanno nelle corde vocali): “Come osi ricordarmi il giorno più brutto della mia vita”. Senza punto di domanda. Agli albori di un matrimo- nio durato settant’anni.

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Io e Guido

(per mettere le cose in chiaro)

Mi chiamo Valentina Crepax. Sono nata a Milano il 17 giu- gno sotto lo stesso tetto di via Settala dove mio zio Guido studia- va per l’esame di maturità. Lui stava per compiere diciannove anni, mio padre e mia madre ne avevano ventiquattro, mia non- na Maria, non più contessa ma sempre Macola, quarantaquat- tro e mio nonno Gilberto sessantadue. Vivevamo tutti insieme perché non c’erano tanti soldi, perché era più pratico essere a portata di mano gli uni degli altri, per rubare le caramelle a mia nonna, non so perché.

Questa piccola tiritera anagrafica me la ripeto spesso, è un promemoria che mi aiuta a confermare la mia esistenza. Già, perché dopo i primi tredici anni di vita da monovalentina è nato il mio doppio. Né clone né sosia, ma una ladra di iden- tità. Un’altra Valentina che, come il mondo ignora (o finge di ignorare per farmi dispetto), di cognome farebbe Rosselli. Ma è di Crepax e quel di è scivolato via subito senza che nessuno ci facesse caso.

Così, nella stessa famiglia, da allora ci sono due Valentine

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Mi chiamo Valentina Crepax. Sono nata a Milano il 17 giu- gno sotto lo stesso tetto dove mio zio Guido studiava per l’esa- me di maturità.

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27 Guido stava per compiere diciannove anni, mio padre e mia madre ne avevano ven- tiquattro.

Crepax. Finché si sta in casa tutto fila liscio, tutti sanno che una fa il risotto e l’altra è di carta, tutti sanno che nel mio letto non è mai caduto un astronauta né che io sono mai precipitata nel- lo spazio. Ma poi succede che Guido decide che Valentina, l’al- tra, è vera e che ha un carattere, un partner al quale dice: “Non è che non voglio sposarti… non voglio sposarmi,” che ha un fi- glio e un lavoro e che invecchia… proprio come me, ma prima di me perché pur essendo nata dopo (il primo fumetto è apparso su Linus nel luglio del 1965) sulla sua carta d’identità c’è scrit-

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to Milano 25 dicembre 1942.

E le cose si complicano. Non solo, mio zio ha sempre fatto muovere Valentina l’altra tra cose di casa nostra; la Valen- tina di carta si siede su una chaise longue Thonet ugua- le alla mia, sceglie la mia stes- sa tappezzeria a fiori, va in va- canza dove vado io, abita nella mia città. Insomma Valentina l’altra, pur essendo il ritratto idealizzato di Louise Brooks e di Luisa Mandelli (moglie di mio zio che negli anni si è da- ta da fare per sembrare Louise Brooks anche lei), è una di fami- glia che si chiama come me. Detto terra terra, al di là delle sem- bianze, l’unica differenza tra me e lei è che lei evade dalla realtà e vive avventure oniricofantascientifiche mentre io vivo nel- la realtà e rifuggo, forse per colpa sua, dal guardare dentro me stessa, dall’indulgere ai sogni e alle fantasie più spudorate. In poche parole ho una vita normale. Normale si fa per dire, per- ché mi chiamo Valentina Crepax che, in pratica, significa forni- re a tutti quelli che incontro per la prima volta una sintesi della mia storia. Per semplificare le cose ho memorizzato una dozzi- na di risposte alle domande che mi fanno più spesso e per ognu-

Louise Brooks.

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na uso un tono di voce specifico perché le categorie dei doman- datori si suddividono tra “curiosi e basta”, “curiosi insinuanti”,

“curiosi erotomani”, “curiosi opportunisti” e ogni categoria ha i suoi perché. Come mai. Dove. Da dove.

Ecco alcuni esempi delle mie risposte tipiche a domande tipiche:

“No, ha sbagliato numero. Capisco che ha guardato sulla guida del telefono, ma doveva cercare sotto Guido Crepax, non sotto Valentina Crepax,” tono paziente.

“No, sono figlia di suo fratello,” tono scocciato perché dal 1965 a oggi l’avrò detto almeno una volta al giorno.

“Mi hanno chiamato Valentina perché è un nome carino,”

tono annoiato.

“Credo che mio zio abbia chiamato il suo personaggio Va- lentina perché allora era un nome inusuale,” tono convincente.

“Penso che all’inizio non immaginasse che Valentina avrebbe avuto un successo così dilagante,” tono che ispira pietà, spero.

“No, la sua musa era Louise Brooks,” tono sbalordito, come dire: non lo vedi che non ci assomigliamo?

“Non ho royalties sul lavoro di mio zio,” tono imbarazzato.

“No, non ho mai avuto un rapporto sessuale con un televi- sore Brionvega né ho mai visitato la città di Kòmyatan,” tono sconcertato.

“Non sogno molto spesso e se sogno faccio sogni banali,” to- no sbadigliante.

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