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coniugi Signorile Prefazione

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Academic year: 2022

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CECILIA E L’ANGELO

Antologia dal libro "Devo narrare la mia vita", di Cecilia Cony, compilata dai coniugi Signorile. Tutta la nostra riconoscenza a fra' Damaso cappuccino per la grafica della copertina, a Ivano Bullo per le figure e inoltre a don Massimo Astrua, Annamaria, Gloria e Miguel per consigli ed aiuti preziosi.

Alla memoria del salesiano don Umberto Maria Pasquale, che nella sua intensa e preziosa attività tanto si adoperò per l'educazione dei giovani, nel decimo anniversario della sua nascita al Cielo dedichiamo con affettuosa riconoscenza, coniugi Signorile

Prefazione

"Devo narrare la mia vita" è l'Autobiografia di una giovane brasiliana, CECILIA CONY (4.4.1900 - 24.4.1939), scritta per ordine del suo direttore spirituale e tradotta in italiano dal salesiano don Umberto Maria Pasquale, che la fece stampare nel 1954, dalla Casa Editrice L.D.C.

Quando, nel lontano 1976, ci capitò tra le mani questo "fiore portato in dono alla gioventù italiana" da don Pasquale al suo ritorno da un viaggio apostolico in Brasile, lo leggemmo tutto in un fiato col piacere di chi, assetato, beve acqua pura ad una fonte cristallina scintillante al sole.

Restammo subito affascinati da questa storia di un'anima singolarmente innocente e

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del suo Angelo Custode, storia che si svolge dall'infanzia alla giovinezza.

Ma cogliemmo anche il grande valore educativo di queste pagine che stimolano alla imitazione, attirando i cuori che si stanno aprendo alla vita a percorrere quella Via, che sola porta alla vera saggezza e alla gioia profonda e senza fine.

Ci nacque il desiderio di una ristampa. Ma altri lavori ci occuparono il cuore e la mente... Arrivati al 1995, decimo anniversario della dipartita di don Pasquale, col cuore sempre traboccante di riconoscenza per l'opera da lui svolta attorno alla Causa della Serva di Dio Alexandrina Maria da Costa (è avviato lo studio per 1' eroicità delle virtù), e (oggi: 2005, Beata) anche per la sua attività - da vero salesiano - in favore della gioventù, sentiamo il bisogno di far rivivere le esperienze narrate in questa Autobiografia offrendole ai giovani d'oggi, in ricordo di quell'appassionato e infaticabile educatore.

Dall'intera opera abbiamo stralciato i quadri più significativi, evitando di ripetere esperienze analoghe, e li abbiamo esposti in ordine cronologico, limitandoci alla soglia dei 18 anni.

Ci si è presentato il problema: a quale pubblico indirizzare?

Sono esperienze che riguardano l'infanzia, la fanciullezza, la giovinezza: lettori di queste età sono dunque quelli che dovrebbero succhiare questo nettare, salutare per la loro crescita.

Ma la ingenuità, la bellezza di alcune scene e la freschezza con cui sono descritte possono essere colte meglio da adulti che, immersi nella nostra società attuale, hanno nostalgia di certi valori trascurati, di certe purezze perdute, o almeno smarrite.

Tuttavia il nostro scopo è principalmente educativo - pensiamo così di interpretare anche il desiderio di don Pasquale. -

Quindi il nostro destinatario non è l'adulto. Perciò ogni capitoletto è introdotto da alcune frasi, in carattere corsivo che ne evidenziano i preziosi insegnamenti. Il giovane lettore può essere così aiutato a trarre maggior profitto. Ma auspichiamo che sia la mamma, la maestra o la catechista, comunque un educatore, a guidarlo nella meditazione sulla lettura, facendogli fare utili raffronti con sue esperienze personali. La nostra Cecilia è dotata di una sensibilità eccezionale e di una grande capacità di amare, per cui soffre e gode anche per situazioni od eventi che comunemente vengono sottovalutati. Possiede inoltre lo speciale dono di avvertire la presenza del suo Angelo Custode. Ma tiene solo per sé, chiuso nel suo cuoricino, ben nel profondo, il segreto della presenza del suo grande Amico.

Questi, ora la difende in situazioni pericolose, ora la stimola a fare cose buone. Sono due interventi in forme diverse.

Quando Cecilia non sa del male a cui va incontro o del pericolo in cui sta per cadere, l'Angelo interviene come una forza che agisce in modo sensibile ("lo sentivo realmente, senza vederlo, ma come se lo vedessi"); l'azione in questi casi è risolutiva e indipendente dalla volontà della fanciulla.

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Quando invece si tratta di, suggerirle un comportamento buono, di stimolarla ad un'opera costosa di carità, ad una penosa rinuncia, la presenza dell'Angelo è molto discreta, delicata: la fanciulla avverte come una mano che si posa su una sua spalla... allora lei si fa attenta per comprendere, e sempre vi riesce ("Egli mi parlava senza farmi udire la sua voce e io lo intendevo"). Qui interviene la sua volontà, che è libera di acconsentire o di rifiutarsi.

Ed è molto educativa la descrizione della lotta che deve fare in se stessa: lotta tra la sua volontà di bene - sia pure stimolata dall'Angelo - e la sua natura umana che rifugge da certi sacrifici. Ma dalla lotta esce sempre vittoriosa.

E' bello e stimola all'imitazione il vedere alla fine la gioia per la vittoria ottenuta, la consolazione che sente per il bene compiuto e, soprattutto, per il sentirsi amata e approvata dal suo Gesù, oltre che dal suo grande amico Angelo. L'aver agito per amore, e il sentirsi quindi in sintonia con Gesù, la ricompensa largamente della sofferenza provata.

E queste non sono parole astratte, ma realtà vissuta!

"Cecilia ha il suo Angelo Custode che l'aiuta tanto... ma io non sono Cecilia, dunque..." potrebbe concludere il giovane lettore.

"Dunque, tu pure hai il tuo Angelo Custode, anche se non ne avverti la presenza".

Ecco qui l'opera dell'educatore, che dall'esempio di questa Cecilia può essere aiutato a far sviluppare i germi buoni nascosti nella giovane coscienza. Infatti la piccola protagonista vive in modo concreto e nella forma più genuina ed elevata l'insegnamento di Gesù: in ogni suo atteggiamento si vede il Vangelo vissuto in pie- nezza.

Qualche esempio. Accusata ingiustamente, non accusa la vera colpevole che lei conosce, ma subisce in silenzio l'ingiustizia, le ingiurie, gli scherni, il castigo...

Questo ricorda il comportamento di S. Domenico Savio. Ha la forza di non svelare le azioni buone da lei compiute, anche quando la giustificherebbero; e di questo silenzio subisce le conseguenze dolorose, le umiliazioni, le incomprensioni... E' un microesempio di quanto accade a tutti coloro che hanno il coraggio di vivere fino in fondo il Vangelo e di proclamarlo a questo mondo tanto diverso: devono affrontare la incomprensione, le derisioni, devono soffrire molto.

Ma la gioia soprannaturale che li infiamma e li sostiene, è tale che "intender non la può chi non la prova". (Dante)

Questo lavoretto si presenta come una successione di 36 flaches, i 36 capitoletti.

Nei primi due non compare ancora l'Angelo Custode; sono stati riportati perchè dànno un'idea dell'atmosfera spirituale respirata dalla nostra Cecilia quando cominciava appena ad aprirsi alla vita.

In ciascuno degli altri è palese la presenza dell'Angelo.

coniugi Signorile 5 marzo 1995

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PARLA UN VESCOVO

Don Pasquale, nella sua Presentazione, ha messo il seguente giudizio del vescovo di Bonfini, che ci è parso bene riportare.

«La semplicità, anzi l'ingenuità, nel raccontare queste memorie è una delle prove della loro veridicità: uno stile come questo non si inventa. Pare il linguaggio dei

"Fioretti" di San Francesco.

Anche l'umile ruscello senza pretese che scorre tra campi e boschi, sussurra:

"Mi cerchi chi vuole, mi contempli, si avvicini a me e beva della mia acqua chi vuole;

mi creda chi vuole. Io sono un nulla: sono un ruscelletto accarezzato soltanto dagli angeli, illuminato dal sole del buon Dio"...

Il mondo carico, saturo di crimini e di peccati, si immerge in abissi profondi. Soltanto anime amanti della Croce, serafiche nell'amore, potranno ridargli il suo equilibrio.

Il mondo orgoglioso e saccente, si complica ogni giorno di più. Soltanto la semplicità del Vangelo, lo spirito d'infanzia spirituale insegnato da S. Teresina, vissuto da suor Maria Antonietta (al secolo Cecilia Cony) lo potranno salvare.

Demoni visibili e invisibili infestano città e campagne, focolari e scuole, fabbriche e palazzi. Soltanto gli angeli di Dio, così ignorati e dimenticati, li potranno debellare.

Ci pare sia questa la triplice missione di colei che ha vissuto e tracciato queste memo- rie.»

Mons. Henrique Golland Trindade Vescovo di Bonfim CAPITOLO 1 °

IL BUON PAPA' DEL CIELO Già questo capitolo offre spunti di grande valore educativo:

1 - abitudine all'esame di coscienza ("trovavo in me la causa della sua tristezza");, 2 - pentimento ("mi assaliva un forte dispiacere per aver rattristato il buon Dio ");

3 - fiducia nell'amore del Padre ("appena gli prometto di esser buona, Egli mi vuole nuovamente bene").

Devo narrare la mia vita! Lo farò con semplicità, per ubbidire, per glorificare Dio al quale devo tutto ciò che sono.

Nacqui il 4 aprile 1900.

Il più lontano ricordo della mia infanzia risale ai miei quattro anni. Ho ben presente la mia cittadina natale, S.Vittoria di Palmar, la casa paterna, i bimbi con i quali mi trastullavo e persino quel pomeriggio del 2 febbraio 1904 in cui, mentre ero seduta sulla scala esterna che dava nel cortiletto e mi divertivo col mio orsacchiotto di feltro, papà venne a chiamarmi per dirmi: "Cecilia, vieni a vedere un bel fratellino che mamma ti ha portato... E' un regalo del Signore!"

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A quell'epoca io avevo già una nozione di Dio; nozione legata ad immagini materiali, ma incancellabile.

Ricordo il crocifisso col piedestallo, posto su di un armadio e che Acacia, la governante, mi mostrava alzandomi con le sue braccia nere; ricordo pure il grande quadro della Santissima Trinità nella camera della mamma e 1'acquasantino su cui era scolpita una Immacolata.

Conoscevo Dio col nome di "buon Papà del Cielo". Chi mi parlò di Lui, fu mio padre.

In un giorno di temporale, mio padre stava leggendo disteso su di una sedia a sdraio.

Spaventata dai tuoni e dai lampi, mi rifugiai tra le sue ginocchia. Allora egli mi disse:

"Senti? È il buon Papà del Cielo che è triste ed irato con i bimbi e con i grandi che non vogliono esser buoni. Quando i bimbi sono buoni, Egli è contento e manda il sole."

Da allora fino ai sei anni, ogni mattina allo svegliarmi il mio primo pensiero era di sapere se c'era il sole o se pioveva. Se pioveva, ma senza tuoni, pensavo tra me e me che il buon Papà del Cielo era triste, ma non irato.

Quasi sempre trovavo in me stessa la causa della sua tristezza: o perchè avevo strillato per lasciarmi pettinare, o avevo fatto i capricci per ottenere che mi portassero a vedere il cavallo di papà, o avevo fatto smorfie e la testarda per mangiare. Un giorno in cui buttai per terra il cucchiaio e battei i piedi, piovve con tuoni spaventosi.

Avveniva però che, dopo tali biricchinate, mi assaliva un forte dispiacere per aver rattristato il buon Dio ... Mi rifugiavo di corsa nella camera della mamma, fissavo il grande quadro della SS. Trinità per vedere se l'Eterno Padre, dalla barba bianca come neve, era ancora triste ed irato. Mai, proprio mai durante tre anni, il Volto santo del buon Papà del Cielo mi parve irato.

Così mi abituai ad amare il Signore e pensavo: il buon Papà è tanto buono e mi vuol bene; quando faccio la cattiva a Lui non piace, ma appena gli prometto di essere buona, Egli mi vuol nuovamente bene.

Queste cose non le raccontai mai a nessuno. Poche volte udii allora parlare di Dio, anzi, a cinque anni non sapevo ancora pregare. Imparai solo più tardi, in collegio.

Sapevo che il buon Dio abita in Cielo e che tutto ciò che è bello e buono fu fatto da Lui.

CAPITOLO 2°

IL FRATELLO CROCIFISSO E LA SUA MAMMA

Qui è descritta l'intensa sensibilità affettiva per Gesù, con il grande dolore nel vederlo crocifisso.

Questo stimola a sviluppare sentimenti salutari, preziosi...

Fino ad allora (ha circa 4 anni) conoscevo soltanto il buon "Papà del Cielo", dalla barba bianca come la bambagia. Non avevo ancora sentito parlare del Crocifisso.

In quel tempo abitava a Santa Vittoria una signora chiamata Gloria che aveva un

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collegio frequentato dalle mie sorelle. Da qui, le sue relazioni con la mia famiglia. Mi affezionai subito a lei.

Un giorno me ne stavo seduta sulle sue ginocchia quando, ad un certo momento, mi portò vicino al mobile su cui era il Crocifisso e mi chiese: "Chi è?'. Non seppi rispondere. Mi domandò pure se sapevo chi rappresentava 1'immaginetta

dell'acquasantino. Nulla. Ma quando mi interrogò sul quadro della Santissima Trinità, risposi subito: "È il buon Papà del Cielo!"

Allora lei mi spiegò, indicandomi il Crocifisso: "Questo è il nostro Fratellino, il Figlio del buon Papà del Cielo. Tu ti chiami Cecilia e Lui si chiama Gesù. Abita in Cielo ed ha fatto tutte le cose belle e buone che hai qui in casa.

Gesù disse: «Porterò in Cielo tutte le persone, ma se saranno buone». Però le persone non vollero essere buone e invece di andare in Cielo andavano quasi tutte sotto terra, dove abita il demonio e dove c'è fuoco che brucia i cattivi.

Gesù, che è tanto buono, rimase così addolorato per quella gente che voleva essere cattiva, che è venuto giù dal Cielo a chiedere a tutti di essere buoni.

Ma la gente non volle ascoltare Gesù, lo percosse, mandò dei soldati a legarlo e lo fece morire, inchiodandolo su di una grande croce.

Gesù morì, ma poi è diventato vivo un'altra volta ed è ritornato in Cielo. Siccome Gesù è buono e voleva molto bene a quei cattivi, ha detto: «Non importa; tutti coloro che, come Cecilia, vógliono essere buoni, io li porterò ugualmente in Cielo, dove vi sono tanti angeli che volano come farfalle»".

La signora, prendendo in mano l'acquasantino, continuò: “E questa bella fanciulla è la Mamma del buon Gesù. E' buona come suo Figlio ed è andata con Lui in Cielo.”

Così terminò quella lezione di catechismo che si scolpì nella mia anima infatile e che, per tre anni, mi fu guida nelle mie azioni.

Il buon Dio ricompensi la buona signora per la bella e salutare lezione!

Sentivo una grande pena per il Fratellino Gesù, che appresi ad amare ed a cui mi sforzai di piacere, sebbene cadessi poi in tanti difetti che mi pare non fossero volontari.

Il povero Fratellino Gesù, inchiodato su quella croce nera, ebbe da quel giorno su di me una grande attrattiva e una profonda influenza.

Sentivo di volergli tanto bene e, parecchie volte al giorno, ma soprattutto sull'imbrunire, andavo a prostrarmi davanti a quel mobile affinche Gesù non rimanesse solo e non avesse paura dei soldati che lo avevano trattato così male.

CAPITOLO 3°

CARNEVALE DEL 1905

Il suo Angelo Custode la libera da una mschera "orribile dagli occhi fulminanti", che fugge squagliandosi tra la folla.

E' questo il primo ricordo della presenza attiva del suo Angelo, del quale non sapeva

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ancora nulla, non avendo allora neppure cinque anni: solo a scuola, dopo i sei anni, sentirà parlare dell'Angelo che si chiama Custode.

Per il carnevale del 1905 la mamma ci aveva preparato un bel costume; un pomeriggio, io ed altre bimbe, guidate dalle due governanti, uscimmo a fare un giro per le vie.

Io avevo un vero terrore delle maschere: pensavo che fossero esseri soprannaturali che abitavano sottoterra, in quel luogo pieno di fuoco. ! Credo che fosse quella la prima volta che accompagnai le mie sorelle ad una festa di carnevale. Lo schiamazzo della piazza, le maschere danzanti, mi impressionarono troppo. Penso che sia stata una grazia se la paura non mi fu fatale. Mi aggrappavo alle compagne le quali, al contrario, pareva godessero un mondo per lo spettacolo. Le governanti non si interessavano affatto di noi, assorbite dal divertimento.

Ad un certo momento mi impressionai a tal punto da risolvermi a fuggire. Non riflettei che non conoscevo la strada per ritornare a casa: andarmene era l'unica preoccupazione.

Mi lanciai di corsa verso la piazza che, essendo io tanto piccola, era per me un mondo sconfinato. Ricordo che piansi, ma solo per la paura che mi assassinassero...

In quella angoscia, mi ricordai del Fratellino Gesù che avevo lasciato solo e mi spiacque di non averlo portato con me. Però sapevo che Egli vede tutto e mi vedeva così sola.

Fu proprio allora che una maschera orribile, dagli occhi fulminanti, il cui ricordo ancor oggi mi sta nell'immaginazione, mi si avvicinò e mi prese per mano.

Mi parve di morire! Feci alcuni passi condotta da quella mano e senza veder nulla, quando sentii, come sentivo la maschera, l'Angelo che avevo veduto in casa del capitano Bezzerra, e che il Fratellino Gesù mi inviava per condurmi a casa e farmi rimanere con Lui.

Sentivo l'Angelo realmente, senza vederlo, ma come se lo vedessi. La maschera mi lasciò libera bruscamete; si squagliò tra la folla e non la vidi più. Al terrore seguì una tranquillità dolce e serena con un atteggiamento di abbandono assoluto al mio Angelo. Stavo allo sbocco della piazza quando vidi la governante venirmi incontro.

Se l'avessi vista prima di sentire l'Angelo, le sarei andata incontro con la stessa ansia che mostrava lei sul viso. Ma la mia calma, forse, la rasserenò. Nessuno seppe mai nulla di quanto era accaduto. Da quel giorno di febbraio o marzo del 1905, il mio buon Angelo mi accompagnò sempre; e con me faceva la guardia d'onore al Fratellino Gesù posto sul mobile.

Grazie a questa presenza, non mi faceva più paura il buio, poiché sentivo l'amabile e tranquillizzante compagnia del caro Amico. Ai miei sei anni seppi che si chiama Angelo Custode.

Egli mi parlava senza farmi udire la sua voce ed io lo intendevo.

Caro Amico! Fa' che, ricordando quanto hai fatto per me, io ti ami sempre più. Se non ci fossi stato tu, mio custode fedele, chissà quante volte io avrei offeso

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volontariamente, gravemente forse, il mio Dio!

Infatti molto spesso, trascinata dai miei capricci e dalle mie tendenze, mi vidi sul punto di fare il male; ma proprio allora mi arrivava in tempo il tuo consiglio che mi impediva di errare.

CAPITOLO 4°

IL SEGRETO DEL MIO CESTINO

Commovente affetto, tenerezza verso Gesù, il suo Fratellino crocifisso, che riconosce inconsciamente come Colui che le ha mandato l'Angelo Custode: "che mi aveva dato il mio Angelo" dice infatti.

Un pomeriggio, subito dopo quel famoso carnevale, udii da papà che saremmo partiti per il mare. Il giorno dopo, la mamma e la governerete cominciarono i preparativi per il viaggio. Al mare! Il solo pensiero mi entusiasmava. Sarebbe venuto anche il mio Angelo con me, lo sapevo. Sarebbero venuti tutti quelli di famiglia, eccetto papà, occupato nella caserma; e la casa sarebbe rimasta chiusa.

Io pensavo a questo mentre componevo nel mio cestino l'orsacchiotto di feltro e la bambola, che non vi stava se non seduta.

Improvvisamente la mia grande gioia si cambiò in amara tristezza perchè persino l'orso sarebbe venuto mentre il Fratellino Gesù, che mi aveva dato il mio Angelo, sarebbe rimasto chiuso in casa solo e al buio.

A quel pensiero decisi dentro di me di rimanere con Lui. Ma la mamma l'avrebbe consentito? No, certamente!

"E se invece dell'orso e della bambola portassi Gesù, il Fratellino?" mi domandai allora. Veramente la governante mi aveva consegnato il cestino per l'orso e la bambola, ma non era poi necessario che io svelassi quanto facevo. Neppure lo si esigeva.

Andai senz'altro in camera, trascinai una sedia presso l'armadio e presi il crocifisso.

Tolsi dall' attaccapanni il mio mantello e avvolsi quella croce che mi piaceva tanto.

Così il Fratellino Gesù partì anche Lui per il mare. Nel viaggio non mi separai mai dal cestino. Appena giunti, lo posi vicino al mio letto, dove rimase sino alla fine.

La mamma e la governante non seppero mai ciò che avevo fatto.

CAPITOLO 5°

A SCUOLA

Descrizione viva, con pennellate essenziali, di quanto la colpisce all'entrare nel nuovo ambiente: le suore con una croce sul petto, ma senza il Fratellino Gesù, un grande crocifisso appeso ad una parete, che le suscita molta pena; poi, nella sua aula, la gioia di trovare "un quadro grande con un bell'Angelo Custode".

Ricordo ancora il mio primo giorno di scuola. Vi erano con me le mie due sorelle. Ci accompagnò nell' aula suor Eugenia e ci mise nel primo banco. Quante domande ci fece!

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Io ero ammiratissima perchè non avevo mai visto una suora. Credo che non mi sfuggì nulla di quanto disse e fece. Ciò che più attirò la mia attenzione fu la croce nera di stoffa che essa aveva sul petto, ma senza il Fratellino Gesù.

Vi era però, appeso ad una parete di quella sala, un Gesù della mia grandezza. Ah, le sue mani e i suoi piedi erano inchiodati e sul petto rosseggiava una larga ferita!

Sentii una grande pena e non potei trattenere il pianto. Eugenia attribuì quelle lacrime alla lontananza della mamma e del papà e cercò di consolarmi. Intanto giunsero molte bambine e i banchi si riempirono. Tutte facce sconosciute.

Ad un certo momento suor Eugenia mi accompagnò in un'altra aula, mentre le sorelle se ne rimasero nella prima.

Alla cattedra stava seduta una suora molto giovane, con la croce di stoffa sul petto.

Sulla parete pendeva pure un grande Gesù crocifisso. In più (oh, la gioia che ne provai!) un quadro grande con un bell'Angelo Custode.

La mia maestra si chiamava madre Raffaella. Mi fece sedere nel primo banco.

L'Angioletto Custode era al mio fianco: non era necessario che lo cercassi.

Timida per natura, rimasi quieta per tutto il tempo. In verità la scuola mi piacque e mi piacquero anche quelle signorine che papà mi aveva detto di chiamare "suore".

In poco tempo imparai 1e orazioni ed anche quella all'Angelo. Fu suor Paolina ad insegnarci che il nostro Angelo si chi "Custode."

Madre Raffaella ci parlò anche di Gesù, il cui nome io conoscevo già. Ci parlò dell'anima, del peccato, del cielo e dell'inferno.

Fissai tutto ciò che la mia mente piccina poteva fissare; del resto, si sarebbe incaricato il mio buon Angelo.

CAPITOLO 6°

PICCOLA OSTIA BIANCA CHE INCANTA

Comincia a sentire la sete di Gesù Eucaristia, sete che si fa sempre più ardente, mentre cresce l'orrore al peccato, anche alla più piccola mancanza.

Ciò che mi impressionò molto (a scuola) fu l'udire la buona Madre parlarci della

"santa, piccola Ostia bianca", che è il buon Dio, lo stesso Gesù che visse e morì qui in terra.

Pensai subito: "Oh, se potessi avere Gesù nascosto nell' Ostia! Come lo cambierei con il crocifisso che è solo un suo ritratto, per avere con me Gesù vivo nell'Ostia!"

Da allora sentii di amare tanto la santa Ostia bianca. Attendevo solo i giorni festivi per andare a pregare davanti all'Ostia bianca dell'altare, insieme alle suore e alle altre bambine.

Dopo alcuni mesi (di scuola) io sapevo già leggere da sola.

Un giorno venne nella nostra aula suor Irene e disse: "Chi non ha fatto la prima Comunione alzi la manina."

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Ebbi un tuffo di gioia al cuore. Avevo già sentito parlare di prima Comunione. Il buon Gesù nel mio cuore... sarebbe stato mio... sempre con me! Fu ciò che mi passò allora per la mente. Nient'altro. Alzai anch'io la mano. Madre Raffaella me la prese stretta nella sua... la agitò un poco con tenerezza... e parlò con suor Irene.

"Cecilia è ancor tanto piccola; aspetterà ancora un anno; anche papà non permettereb- be!" Quindi, rivolta a me, la buona Madre disse: "Però puoi andare anche tu con suor Irene e le altre bambine". Con ciò mi dava solo il permesso di assistere alle lezioni.

Che delusione sentii nel cuore! Rimasi tanto triste che per la prima volta mi sentii infelice.

Io pensai tra me: "Suor Irene consentiva che io ricevessi Gesù, tanto è vero che mi aveva detto di chiedere il permesso a papà. Però madre Raffaella, che mi vuole assai più bene, non consente che io faccia la Comunione!" Che dolore grande io provai per questa constatazione!

Mi lamentai subito nel cuore col mio Angelo Custode, che era là vicino a me; egli ascoltava tutto, silenzioso, quieto, impassibile.

Mia cara madre Raffaella! E' questo l'unico lamento che posso fare di lei durante gli undici anni che l'avvicinai. Lamento ingiusto, forse, perché allora non comprendeva le sue sante intenzioni questo cuoricino che già voleva tanto bene all'Ostia bianca che ella mi insegnò ad amare.

Andai sempre alle lezioni di catechismo di suor Irene. Giorno dopo giorno sentivo più forte il desiderio di ricevere Gesù.

Avevo sempre più orrore per il peccato che offende e rattrista il buon Dio.

Da allora, ogni giorno nell'alzarmi al mattino, incominciavo a pregare così il mio buon Angelo Custode: "mio santo e caro Angelo Custode, custodiscimi in questa giornata affinchè io non faccia rattristare il buon Dio. Così sia."

Questa orazione composta da me la recitai per tutta la mia vita dal giorno in cui suor Irene ci raccontò come Gesù morì per i peccati di tutti. Ricordo che in quella occasione si stampò nella mia anima questo pensiero:

"Ogni peccato che noi facciamo è una grande spina che si infigge nel capo di Gesù."

E quest'altro: "Riceviamo Gesù e poi, se commettiamo un peccato, Lo cacciamo a spintoni fuori dal nostro cuore e permettiamo che il demonio prenda il Suo posto."

Chissà quante volte fui sul punto di configgere spine nel capo santo del Signore! Però il mio buon Angelo Custode giunse sempre in tempo per impedirmelo. Per questo motivo nacque in me una dolce confidenza, con una grande sicurezza nella sua assistenza e nel suo aiuto.

CAPITOLO 7°

LE PESCHE

L'intervento sensibile del suo Angelo le impedisce di rubare delle pesche.

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Subito, amaro pentimento per la "acuta spina" che stava per configgere nel capo di Gesù. Ogni cosa cattiva fa soffrire Gesù.

Un pomeriggio, in compagnia delle mie sorelle, di alcune amiche e delle governanti, uscii per fare una passeggiata in campagna. Acacia aveva il denaro per comprare delle pesche e noi portavamo i cestini. Ci guidava un appuntato di papà.

Arrivammo ad una casa colonica. Ci ricevette un uomo con la zappa sulle spalle.

Mentre questi, deposta la zappa, raccoglieva la frutta e parlava con i più adulti, le mie amiche raccoglievano per conto loro pesche e susine sino a riempire i loro cestini.

Solo il mio era vuoto. Quando mi avvidi del loro bel raccolto, mi accorsi pure che dietro di me vi era un pesco dai rami talmente carichi che, per il peso, scendevano quasi a terra.

Perchè non coglierne anch'io?

Stesi la mano... Le mie dita sfioravano già la frutta vellutata, quando sentii l'avvertimento soavissimo del mio Angelo Custode. Il mio braccio alzato fu trattenuto e obbligato ad abbassarsi da una "mano invisibile"; invisibile sì, ma realmente sentita, come se una persona presente mi avesse toccato. Comprendevo meglio e più chiaramente la voce del mio bell'Angelo Custode che non quella delle suore che io vedevo e che mi parlavano.

Mi pentii subito vivamente del brutto peccato che ero stata sul punto di commettere e mi assalì una grande pena per il buon Gesù, nel capo del quale stavo per configgere una acuta spina.

Alla notte, a letto, piansi amaramente e chiesi perdono a Gesù, alla Madonna e al mio buon Angelo Custode.

CAPITOLO 8°

COSA E' UNA BUGIA Subisce un danno da parte di una compagna.

Viene accusata ingiustamente; non accusa la vera colpevole e, per l'intervento dell'Angelo, reprime il desiderio di vendetta, che pure le nasce veemente.

Ogni pomeriggio, con Acacia, le sorelle e le fanciulle del vicinato, si andava alla latteria a comprare il latte per la merenda. Ognuno di noi portava il suo bicchiere avvolto in un tovagliolo. Il mio bicchiere era di color verde, con un manico dorato e costellato di stelline.

Franceschina, una delle compagne a cui piaceva il mio bicchierino, mi disse: "Dammi il tuo bicchiere e prendi il latte nel mio". Intervenne Acacia dicendo: "No, bambina, ciascuno deve usare il proprio".

Franceschina non aprì bocca e parve persuasa.

Si andò oltre... e, dopo aver sorpassato quasi un isolato di case, Franceschina si voltò verso di me e, con uno strappo improvviso al mio tovagliolo, me lo buttò a terra col bicchiere che andò in pezzi.

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Con la stessa rapidità corse da Acacia che ci seguiva da lontano e disse: "Ha visto?

Cecilia, furiosa perchè non le ha concesso di scambiare il bicchiere col mio, lo ha buttato per terra e l'ha fatto a pezzi".

La governante, naturalmente, si indignò contro di me e mi rimproverò: "Brava! Belle cose si fanno! Per castigo non prenderai il latte; mentre le altre faranno merenda, tu rimarrai a guardarle con i cocci in mano". Lì per lì non seppi spiegarmi la mossa di Franceschina, tanto era stata rapida; ma, istantaneamente, si sprigionò in me un moto di indignazione col desiderio veemente di fare a lei quello che aveva fatto a me.

Intervenne il mio buon Angelo Custode che mi impedì di muovermi, proprio come aveva fatto per impedirmi il furto delle pesche. Nello stesso tempo udii chiaramente, ma dentro l'anima, l'insegnamento del mio buon Angelo. Allora capii. La povera Franceschina aveva fatto due cose cattive: la prima, l'avermi rotto il bicchiere; la seconda, l' aver detto una bugia. Aveva mentito ad Acacia e questa aveva creduto che le cose si fossero svolte proprio così come Franceschina le aveva raccontate. Com- presi bene cosa significa dire una bugia: io rompo un bicchiere e dico alla mamma che non sono stata io.

Giunte alla latteria, mi dimenticai di dire alla governante che non ero stata io a rompere il bicchiere; non so perchè non lo dissi. Ma là vicino c'era il mio buon Angelo Custode e io rispettavo la sua presenza più di quella delle suore stesse, che erano per me l'autorità suprema.

Acacia però, che mi voleva bene, mi fece prendere il latte nel bicchiere di mia sorella.

In questo modo, come narrai, il mio buon Angelo Custode mi impedì di commettere il brutto atto della vendetta.

Mio santo e fedele Custode, se volessi narrare tutto quello che facesti, non basterebbe un libro voluminoso.

CAPITOLO 9°

ROSE BIANCHE PER LA MADONNA

Ansiose invocazioni all'Angelo Custode e un voto alla Madonna, per ottenere di fare la prima Comunione, sebbene troppo piccola. Aggiunge anche un sacrificio.

È un bell'esempio di preghiera di supplica. Era alle porte l'ottobre e io non avevo altro pensiero che la mia Comunione.

Varie volte suor Irene mi aveva detto di parlare alla Madre, ma la risposta era sempre stata evasiva: nè un sì, nè un no.

E' vero che il mio fisico era di una bimba di quattro o cinque anni, ma credo che la ragione dell'impedimento fosse piuttosto la mia infantilità di spirito.

Tuttavia io sapevo benissimo che cosa fosse la piccola Ostia Santa e l'amavo tanto: la piccola Ostia era Gesù; come non avrei dovuto amarlo?

Se la mia buona madre Raffaella avesse saputo che ogni notte sprofondavo il mio volto nel guanciale per singhiozzare dal dolore! Se l'avesse saputo! Invece dovevo rimuginarmi quel desiderio insoddisfatto.

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Il mio buon Angelo Custode era il mio unico confidente. Egli era sempre lì vicino a me, sempre sveglio perché non aveva mai sonno, e io lo sapevo bene: a qualsiasi ora della notte io mi svegliassi, egli era sempre al mio fianco.

Mi sedetti molte volte sul mio letto per raccontargli il motivo del mio pianto e concludevo sempre supplicandolo di chiedere egli stesso a madre Raffaella il gran favore per me... "Certamente - gli dicevo - se tu chiedi, lei non dice di no." E così, con la speranza che la Madre mi desse il permesso desiderato, mi addormentavo. Una notte, piangendo, mi sedetti sul letto per ripetere al mio buon Angelo Custode le mie lamentele, ma affiorò improvvisa un'idea: perchè non chiederò la grazia alla Mamma Santa di Gesù, alla Mamma del Cielo, come dice suor Irene? Lei darà ordini certamente anche a madre Raffaella. Il giorno seguente, appena mi svegliai, balzai dal letto e corsi presso il cassettone che, dalla camera della mamma, era stato spostato in quella vicina alla mia.

Non ero ancora cresciuta abbastanza per arrivare al suo piano levigato, però, anche da terra, vedevo bene 1'acquasantino su cui era l'immagine dell'Immacolata.

Ricordo ancora oggi l'orazione che improvvisai: "Mia cara e buona Madonna, ho tanto desiderio che il tuo Figlio Gesù venga ad abitare anche nel mio cuore. Però madre Raffaella non mi vuol dare il permesso di riceverlo perchè, come dice, io sono troppo piccola. Fammi Tu crescere un poco, oggi stesso e dà ordini alla Madre che guardi bene la mia statura. Io ho un salvadanaio con alcune monete d'argento per comprare il bambolotto della vetrina della bottega dei bambini. Con quel denaro, invece del bambolotto, comprerò per Te un grosso mazzo di rose bianche che porterò sul tuo altare della chiesa... ma a condizione che madre Raffaella mi accontenti. Così sia."

Il mio buon Angelo Custode era al mio fianco e io capivo benissimo che egli pure voleva che Gesù venisse nel mio cuore. Dopo quella preghiera ritornai nella mia camera. Arrivò quasi subito la governante e mi preparai per andare a scuola.

Mi parve che in quel giorno madre Raffaella non vedesse che ìo "ero cresciuta".

Infatti non disse nulla (mi ero persuasa che la Madonna, dopo la mia orazione, mi avesse fatta crescere davvero).

Per alcuni giorni madre Raffaella non entrò in quell'argomento e ciò mi faceva meraviglia; allora risolvetti di ripeterle io la richiesta.

Dopo la lezione mi fermai alla porta dove lei doveva passare. Il mio cuore batteva forte! Mi pareva che non avrei potuto parlare. Ma il mio buon Angelo Custode era là con me e mi avrebbe insegnato a chiedere tanto favore.

Non fu necessario dir nulla perchè la Madre mi prevenne dicendo: "So già quello che Cecilia vuole. Facciamo così: se il papà permette, anch'io ne sarò ben contenta."

Se il grande rispetto che sentivo per la buona Madre non mi avesse trattenuta, avrei fatto con lei come ero abituata a fare con papà e mamma: l'avrei abbracciata e accarezzata con tanto affetto.

Ma le dissi solo: "Va bene, Madre! Tante grazie!"

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Quanto a papà, sapevo benissimo che avrebbe fatto e permesso tutto per me.

Contento papà, anche la mamma sarebbe stata contenta. In verità, avvenne proprio così.

Siccome quel pomeriggio non potevo ormai più recarmi dalla fioraia perchè troppo tardi, corsi subito dalla Madonna a dirle che avesse pazienza fino al giorno dopo per avere i fiori.

Presi l'acquasantino e baciai ripetutamente l'immagine della Madonnina per dirle il mio grazie per avermi fatta crescere un poco (Non so davvero se fossi cresciuta o no;

ma io ne ero convinta e attribuivo a ciò il permesso di madre Raffaella). Il giorno seguente compii il mio voto. Acacia mi accompagnò dalla fioraia. Le dissi soltanto che volevo rose bianche da deporre in chiesa davanti alla Madonna. Ella voleva mettere nel mazzo altre rose molto belle ma di colore, con la scusa che avrebbero figurato meglio. Dovetti insistere, ma vinsi. Nelle mani della fioraia lasciai tutti i denari che formavano la mia fortuna.

Un sacerdote che trovai nella chiesa pose il bel mazzo bianco sull'altare. Mi sentivo felice, troppo felice.

Quella notte, seduta sul mio letto, non mi lamentai più col mio buon Angelo Custode, ma gli domandai se la Madonna era rimasta contenta delle belle rose.

Intanto il mio salvadanaio era vuoto, e io sarei rimasta senza il bambolotto che desideravo tanto. "Pazienza! - pensai - comincerò a mettere insieme tutto il denaro che papà mi darà e servirà per la compera del giocattolo."

Quella stessa notte pregai il mio buon Angelo Custode che non permettesse a nessun'altra bambina di comprare quel bambolotto, finchè non avessi il denaro per comprarlo io.

Quando il mio salvadanaio conteneva già un bel gruzzolo di monetine d'argento, lo svuotai di nuovo; ma non fu già per comprare il bambolotto: servì per un'altra spesa che mi portò tanta gioia, come quella delle rose bianche. Ne parlerò più avanti.

CAPITOLO 10°

LA PRIMA CONFESSIONE

Grande emozione e zelo per fare bene, molto bene e in modo completo la sua prima confessione; invocazione di aiuto all'Angelo Custode.

Passarono alcuni giorni ancora.

Grazie alle spiegazioni di suor Irene, sapevo benissimo quello che dovevamo fare per preparare il nostro cuoricino alla visita di Gesù.

Aspettavo ansiosamente la prima confessione per far più bianca la mia anima; più bianca del vestito candido che la mamma aveva già ordinato.

Giunse finalmente il grande giorno.

Già alla vigilia, suor Irene, molto zelante, ci radunò in un'aula e ci distribuì un foglio di carta. Insegnatoci il modo di cercare i peccati (da scrivere sul foglio) servendoci

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del formulario che vi era nell'appendice del "Catechismo", ci lasciò pensare, mentre ella se ne stava seduta alla cattedra.

Il mio buon Angelo Custode era lui pure vicino a me, ma non diceva nulla. Io pensavo: "Almeno potessi trovarmi sola con lui!"

Lidia, una delle mie compagne che era al mio fianco, non stava quieta. Sovente, puntando col dito un peccato elencato nel Catechismo, mi domandava: "Cecilia, e questo peccato tu lo scrivi?" Io le rispondevo a mia volta: "Suor Irene spiegò che i peccati li dobbiamo dire solo al confessore. "Ma - soggiungeva Lidia - io lo scrivo, così la lista è più completa."

Mi pare che suor Irene avesse notato l'irrequietezza di Lidia, perchè ad un certo momento la tolse da vicino a me e la mise in un altro banco.

Ne fui felice, perchè sarei rimasta sola con il mio buon Angelo Custode. Pensai, ripensai; chiesi al mio buon Angelo che mi aiutasse a fare una buona confessione.

Dopo di aver letto i peccati contro ogni Comandamento, riflettei: "Qui vi sono tanti peccati che io ho fatto, altri non so, alcuni non li comprendo neppure... Ma quante spine nel capo di Gesù!"

Sentii una grande compassione per Lui e, nel desiderio santo di consolarlo, gli promisi facendo grande sforzo per non piangere: "Mai, mai più! Non voglio più esser cattiva! Non voglio più fare nemmeno un peccato; dentro di me sento qualche volta la voglia di far peccati, ma il buon Angelo Custode non mi lascia cadere. Voglio essergli sempre ubbidiente."

Suor Irene che ci assisteva si avvicinò a me e mi disse: "Cecilia, le altre sono quasi pronte e tu non hai ancora cominciato."

Allora cominciai, ma con la risoluzione di trascrivere tutti i peccati del "Catechismo", come la pensava Lidia: "Il Signore sa i miei peccati e anche quelli che non ho fatto.

Così nel mio cuore non rimarrà più nulla, neppure un'ombra e la mia anima diventerà bianca come la Santa Ostia che riceverò."

Terminato di scrivere, suor Irene piegò i nostri fogli poi li ripose in altrettante buste che sigillò bene. Sopra ad ognuna ci fece scrivere il nostro nome e le ritirò per restituirle prima della confessione.

Andai a casa, ansiosa per il giorno seguente. Finalmente giunse il grande momento.

Non so dire tutti i sentimenti che provai.

Ci si avvicinava al confessionale in modo ordinato e al cenno di suor Irene. Il mio buon Angelo Custode era lì vicino a me e mi avrebbe accompagnata ai piedi del confessore.

Ripetei varie volte l'atto di contrizione con grande, con grandissima pena per essere stata tanto cattiva con il Fratellino Gesù.

Venne il mio turno. Tenevo nelle mani il foglio pieno zeppo di peccati, che erano le grandi spine con cui avevo trafitto il capo di Gesù.

Mi accostai al confessionale con il cuore che batteva affannosamente. Desideravo

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tanto confessarmi! Cominciai a leggere, a leggere senza tregua. Improvvisamente il sacerdote mi interruppe e mi chiese il foglio. Glielo consegnai e non lo vidi mai più.

Feci il resto della confessione senza il foglio; il sacerdote interrogava e io rispondevo.

Anche senza foglio, che prima mi pareva indispensabile, so che feci un'ottima confessione perchè sentii nel cuore una gioia così grande come mai avevo provato prima di allora.

Uscendo dal confessionale capii che il sacerdote rideva e io mi rallegrai maggiormente perchè pensai: "Anche lui gode della mia gioia." Solamente più avanti negli anni capii che ero stata sempliciona.

Giunta a casa, non andai a giocare sul marciapiede come ero solita e neppure volli recarmi alla latteria dove mi piaceva tanto trovarmi (con le amiche). Temevo di macchiarmi l'anima anche solo leggermente... Macchiarla, ora che era bella come il velo, candida come il vestito e la corona di fiori che avevo? Mai più!

Passai il resto del pomeriggio seduta sulla sedia a sdraio, vicina all'armadio, a ripetere tante volte l'atto di dolore.

Nessuno si interessò di me, eccetto il mio buon Angelo Custode. Neppure lui in quel giorno andò alla latteria.

Acacia mi servì ugualmente il latte in una tazza azzurra, su cui era dipinto un agnellino; tazza che la mamma mi aveva comprato dopo l'incidente del bicchiere infranto.

CAPITOLO 11 ° LA PRIMA COMUNIONE

Giorno della prima Comunione: giorno "infinitamente bello!"

Sperimenta in sé "realmente e vivamente "la presenza di Gesù. Lo sente, ma "non come sentivo il mio Angelo"...

L'unione è più profonda, più intima, completa: "due anime in una, due cuori in un sol cuore". Fa poi il suo primo ed unico giuramento: "Mio caro e buon Gesù, Ti giuro che non voglio commettere mai più nessun

peccato".

Il 17 ottobre! La grande data si avvicinava. Ci confessammo una seconda volta; ma suor Irene quel giorno mi fece questa raccomandazione: "Guarda, Cecilia, che dobbiamo confessare soltanto i peccati che abbiamo commessi e non tutti quelli del Catechismo". In verità io lo sapevo, ma credevo che fosse meglio confessare tutto; tuttavia a suor Irene non dissi nulla.

La suora si prese di noi la maggior cura. Quando rientrai in casa, rimasi sempre sulla sedia a sdraio a prepararmi sulla preghiera da pregare in comune prima e dopo la visita del Signore.

Non sapevo ancora leggere speditamente nè senza accompagnare le parole del libro

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col ditino; questo la suora non lo voleva, ma io volevo pregare bene senza alcun errore, per piacere a Gesù.

Il libro era intitolato: "La chiave del Cielo". Aveva il labbro dorato; era stato il dono della mia buona madre Raffaella. Ella stessa aveva scritto in prima pagina: "Ricordo della tua amica madre Raffaella".

Lo conservai per parecchi anni, finchè lo donai alla mia sorella Adele, dopo aver incollato le pagine dove era scritta la dedica che stimavo tanto. Me ne privai con sacrificio.

Come se la buona Madre avesse indovinato la gioia che mi avevano procurato quelle parole, quando compii i miei 18 anni mi offrì un'immaginetta su cui le riscrisse. Le conservo ancor oggi come gradito ricordo.

Presenza sensibile di Gesù

Finalmente giunse il 17 ottobre, il giorno infinitamente bello, il giorno in cui conobbi da vicino, anzi dentro di me, il mio buon Gesù, il Fratellino che avevo conosciuto nel quadro della stanza della mamma e nel caro Crocifisso sul grande armadio.

Fu la prima volta, mio Dio, che sentii realmente e vivamente in me stessa la tua santissima Presenza!

Era così che io Ti aspettavo, proprio come Ti sei fatto conoscere all'anima mia, o mio Gesù! Non mi ero ingannata. Sapevo che Ti avrei sentito in me stessa, non come sentivo il mio buon Angelo Custode, ma come se Tu, mio Dio, fossi me stessa e come se io fossi Te. Tu in me e io in Te. La tua Anima nella mia anima, il tuo Cuore nel mio cuore! Due anime in una! Due cuori in un sol cuore!

Il grande Dio onnipotente e la sua piccola e debole creatura!

Come Ti abbia amato in quel momento e come Tu mi abbia amata, non lo so descrivere. Soltanto noi: Gesù e la sua piccola Cecilia, lo possiamo sapere.

Giuramento di fedeltà

Nel santo giorno della prima Comunione, 17 ottobre 1906, appena ritornata a casa, avendo con me il mio buon Angelo Custode e portando nel modo più intimo il Grande e Divino Ospite, desiderai ardentemente chiudermi nella mia cameretta e rimanere lì sola col mio Dio. Avevo tante cose da dirgli, da chiedergli ! Volevo stringerlo al mio cuore e fargli tante promesse, tante proteste d'amore.

Ah! Ma Acacia mi attendeva già per condurmi a casa della nonna e della madrina.

Dovetti ubbidire; ma ritornai assai in fretta, il più presto che mi fu possibile.

Dopo che la governante mi ebbe tolto il velo ed il vestito, me ne mise un altro delle feste, dietro mia richiesta, perchè pensavo: "Io porto con me un Grande Ospite."

Poi corsi subito in camera; mi misi grave e quieta sulla seggiola ad amare, ad amare molto il mio Dio.

Mi abbracciavo da me stessa, perchè in me abbracciavo Gesù. Con linguaggio

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infantile gli feci mille promesse di amore e di fedeltà. Sapevo bene che Gesù mi comprendeva, tanto meglio di mamma e papà.

Io Lo sentivo in me, ma non conce l'Angelo Custode. Era come se io stessa fossi Gesù. Egli, il mio Divino Ospite, mi ascoltava senza stancarsi. Senza udire la sua voce, ascoltavo attentamente e con molto amore quello che Gesù voleva dalla sua piccola ancella: "Non far mai, mai, neppure un solo peccato, affinchè Gesù neppure una volta, neppure per un istante si separi da te".

Ad un tratto mi alzai e, postami in ginocchio, feci coi due indici una croce e la baciai dicendo con fermezza:

"Mio caro e buon Gesù,Ti giuro che non voglio commettere mai più nessun peccato".

Fu il primo e l'unico giuramento che feci nella mia vita. Non so se comprendevo il grande obbligo che mi assumevo. So unicamente che giurai, mossa da un incontenibile desiderio di non offendere il mio Dio.

Non svelai mai fino ad oggi questo segreto. Lo feci con Gesù dentro di me e col mio buon Angelo Custode al fianco.

Gesù accettò e racchiuse nel suo Cuore divino il giuramento di una debole creaturina.

CAPITOLO 12°

IL PRIMO ROSARIO

I suoi primi slanci d'amore alla "Mamma del Cielo" si manifestano con l'entusiasmo col quale prega il suo primo Rosario, usando una collana in mancanza della corona (collana che prima benedice); dimostra così di cogliere la sostanza delle cose, non preoccupandosi della forma esteriore.

Sino allora conoscevo ben poco la Mamma di Gesù. Però, dopo il fatto delle rose bianche e di aver ottenuto da Lei la gioia della prima Comunione, per una grazia grande del buon Dio, incominciai ad amarla di più, molto di più. Dopo la preghiera

"Ave Maria" imparai da madre Raffaella quest'altra:

"Ricordati che ti appartengo, o dolce Madre, o Signora nostra! Ah, vegliami e difendimi

come cosa proprio tua."

Pregai sempre questa orazione, al mattino e alla sera, sino a quando entrai in Convento. Imparai anche a fare piccoli fioretti in suo onore. Provai poi una grande gioia quando madre Raffaella ci insegnò a pregare il Rosario. Il libretto "La chiave del Cielo" spiegava il modo di meditare sui misteri.

"Che bellezza! - pensavo durante la lezione di religione - appena sarò a casa pregherò il Rosario e insegnerò a pregarlo anche a Cipriano", il buon vecchietto del Ricovero dei poveri, che visitavo sovente.

Tornata a casa, la governante avrebbe dovuto farmi il bagno e papà – che - fu sempre

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il mio buon aiutante fino ai dieci anni - avrebbe dovuto aiutarmi nei miei compiti.

Invece, sia l'una che l'altro, in quel giorno non erano in casa. Decisi allora di pregare il Rosario.

Presi "La chiave del Cielo" e mi misi presso il grande armadio, davanti alla statuetta della Madonna. Solo quando ero già in posizione di preghiera, mi ricordai che non avevo la corona. Fu una scoperta amara.

Mi venne in mente però subito che Acacia aveva una collana di coralli azzurri che pareva un Rosario. Non esitai un istante e corsi a prenderla; le mancava solo il crocifisso, ma la Madonna sapeva tutto e non doveva farci caso.

Il mio buon Angelo Custode era là; lo sentivo che osservava tutti i miei movimenti e pensieri; e c'era anche Gesù.

Mi ricordai di aver sentito spiegare che tutti gli oggetti, come immagini, corone e medaglie devono esser benedetti prima dell'uso; ma la collana di Acacia non era ancora sacra perchè non era benedetta.

Subito mi misi in ginocchio molto devotamente e, con la collana nella palma della mano sinistra, tracciai su di essa con la destra un segno di croce, pronunciando con tutto il cuore le parole: "Io ti benedico in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia".

Questa è la storia del mio primo Rosario. Mi pare ancora oggi che la Madonna abbia gradito quell'orazione che le è tanto cara, sebbene detta su di una collana.

Il mio buon Angelo Custode rimase presso di me e Gesù pure; non si opposero per nulla: è segno che non disapprovarono.

Devo anche dire che poi trattai con rispetto quella collana. Anzi, siccome l'avevo benedetta, pensai che Acacia non dovesse più metterla al collo per ambizione e gliela chiesi in cambio delle monete del mio salvadanaio. Rifiutò lo scambio: mi diede senza compenso la collana e accettò solo un pacchetto di sigarette di cioccolata che mi era costato pochi soldi.

Alla fine dell'anno scolastico ricevetti, in premio della mia applicazione nello studio, una borsetta di seta che conteneva una bella corona bianca. Ma quella, mi disse madre Raffaella, era già stata benedetta. Fu la mia prima vera corona del Rosario.

Nel primo giorno di vacanza corsi ad insegnare la preghiera del Rosario al caro vecchietto del Ricovero. Avevo tentato due volte di andare al Ricovero per insegnarglielo, ma, siccome portavo la collana, il mio buon Angelo Custode si oppose entrambe le volte.

Con la bella corona bianca invece il mio buon Angelo non si oppose, anzi, mi accompagnò.

CAPITOLO 13°

CIPRIANO DEL RICOVERO

Con la grazia e l'ingenuità di una bimba di sei anni,

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compie un'opera grande nei riguardi di un vecchio del Ricovero dei Poveri: la Provvidenza l'ha scelta come suo strumento perchè quel vecchio non muoia senza il battesimo. Penso di dover dire qualcosa del vecchio paralitico della Casa dei Poveri.

Al nostro arrivo a Santa Vittoria 5 andammo ad abitare in una casa di fronte al Ricovero di mendicità. Era una grande costruzione ad un solo piano, con un buon numero di camerette, in massima parte con la finestra sulla strada.

In una di queste camere, davanti alla nostra casa, abitava un vecchietto paralitico, che muoveva solo la testa e il braccio sinistro. Da casa nostra potevamo vedere il povero ricoverato semi-seduto, appoggiato a dei guanciali; il suo letto era presso la finestra sempre aperta.

La mamma, presa da compassione per lui, si incaricò di mandargli giornalmente la refezione.

Un giorno io accompagnai Acacia al Ricovero. Io conoscevo il vecchietto da lontano.

Lo vedevo dalla finestra di casa nostra, con la testa e la barba bianca, sempre nella stessa posizione. Ma in quel giorno lo vidi da vicino. Acacia però non mi lasciò entrare nella stanza: dovetti attenderla alla porta, a pochi passi dal lettuccio. Lo osservai attentamente.

La lunga barba, bianca come la bambagia, mi ricordava il mio "Papà del Cielo" del quadro della SS. Trinità, che non mi guardò mai triste, neppure quando, commessa qualche cattiveria, andavo a rifugiarmi nella stanza della mamma. Ah! Ma ecco ciò che dovevo ancora scoprire nel povero vecchietto: aveva un crocifisso di metallo bianco, più lungo di un palmo della mia mano, appeso al collo con un cordoncino.

Quella scoperta mi affezionò a lui e decisi di prendermi cura di lui per rendergli l'anima bianca bianca.

In quella prima visita mi causò pena il vedere che Acacia, posto il cibo sul comodino, rivolse all'ammalato ben poche parole e se ne uscì presto prendendo anche me per mano per ricondurmi a casa.

Durante la giornata il mio pensiero corse parecchie volte al poveretto. Di notte, mentre pregavo, dissi al mio buon Angelo Custode: "Mio caro Angelo, domani io voglio ritornare da quel vecchietto e voglio parlargli del Papà del Cielo. Ti chiedo la carità di accompagnarmi là. Non voglio andare con Acacia, perchè ha sempre tanta premura di andarsene via."

Il mio buon Angelo Custode ascoltò attentamente e mi fece provare nel cuore una grande dolcezza.

Prima lezione di catechismo a Cipriano Ero in vacanza da due giorni.

Di buon mattino, dopo che Acacia era tornata dal Ricovero, corsi alla finestra del salotto e da là vidi il vecchietto. Provai un'onda di gioia: egli era là, come sempre, con la finestra aperta.

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Infilai la strada e mi diressi al Ricovero. Mi arrampicai con fatica sul davanzale e mi misi a sedere. Il vecchietto mi osservò sorpreso per la mia strana apparizione dalla finestra. Pensai si fosse spaventato e gli dissi: "Non si spaventi: io sono la bambina che ieri venne con Acacia. Abito lì di fronte".

Il vecchietto ne fu contento. Gli chiesi che mi mostrasse la bella crocetta che aveva sul petto ed egli se la staccò e me la porse.

A questo punto gli ripetei alla lettera quella prima lezione che, due anni prima, avevo avuta. Il vecchietto ascoltò, ascoltò senza interrompermi mai.

Quando terminai, mi accorsi che l'ammalato piangeva come la piccola Cecilia aveva pianto abbracciata alla signora. Poi gli chiesi che baciasse il Gesù della piccola croce ed egli obbedì, poi se la appese nuovamente al collo.

Gli promisi quindi che sarei tornata il giorno dopo e che avrei portato con me il piccolo acquasantino di ceramica con l'immagine della Mamma di Gesù.

Il mio buon Angelo Custode era stato sempre vicino a me, ma non seduto sul davanzale come me. Non ho mai sentito il mio buon Angelo Custode seduto. Credo che stesse in piedi, perchè molte volte alzai il capo, anche quando ero assai piccola, quasi per osservarlo in faccia, senza tuttavia averlo mai visto con gli occhi del corpo.

Continua la catechesi

Il giorno seguente mantenni la mia promessa. Alle prime ore del mattino, subito dopo il caffè, con l'acquasantino in mano, corsi a sedermi sulla finestra della stanzetta di Cipriano.

Gli mostrai la Madonnina e gli spiegai che era la Mamma di Gesù. Fu in quella occasione che insegnai al paralitico 1' "Ave Maria".

Ci vollero parecchi giorni per fargliela imparare. Ogni pomeriggio, dopo la scuola, verso le quattro ero là al mio posto sul davanzale. Non mancai più alla mia visita che, lo vedevo, dava tanta gioia al vecchietto.

Nelle giornate di pioggia o di freddo non mi permettevano di uscire da casa; ed allora dalla finestra del salotto spiavo da lontano il mio ormai inseparabile amico. Sentivo di volergli proprio bene ed avevo la certezza che egli pure me ne voleva tanto.

Passarono parecchi mesi. Il buon Cipriano aveva imparato il "Padre nostro", 1' "Ave Maria", 1' "Angelo di Dio" e il "Ricordatevi o piissima Vergine" alla Madonna.

Quando poi, alla fine dell'anno scolastico, ricevetti in premio una bella corona del Rosario bianca, la mia prima corona, andai subito a fargliela vedere, a insegnargli il modo di pregarla.

Cipriano diceva già bene 1' "Ave Maria", il "Padre nostro" e il "Gloria", ma i misteri no, perchè neppure la sua piccola catechista li sapeva. Io li leggevo sul libretto (non so in che modo, poichè ero ancora tanto impacciata) e lui sgranava la corona.

Parecchie volte la mamma mi scoprì seduta sulla famosa finestra e mi chiamò in casa.

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Quanto ne soffrivo! Ubbidivo subito alla voce della mamma, ma lasciavo la corona al vecchietto dopo aver combinato con lui: "Stasera, appena si accendono le luci nelle strade, lei cominci a pregare sulla corona e io da là, da casa, leggerò ne "La chiave del Cielo" quello che deve pensare (meditare). La Madonna sa tutto, ode tutto e vede tutto, come il suo Figlio Gesù.

Il giorno dopo, di buon mattino, andavo a riprendere la mia corona senza la quale non potevo stare un giorno.

"Io posso battezzare Cipriano"

Una sera, mentre presso la finestra della saletta leggevo i misteri del Rosario e Cipriano nella sua stanzetta pregava con la mia corona bianca, mi assalì un pensiero che per poco, come un'ombra, mi velò l'anima: Madre Raffaella disse a scuola che chi non è battezzato non può entrare in Cielo.

Mi sgorgarono dagli occhi cocenti lacrime, perchè un'altra certezza mi si affacciò alla mente: Cipriano, il mio povero amico, non potrà andare lassù con Gesù e la Madonna, perchè non è battezzato!

In tale perplessità alzai il mio sguardo per vedere il santo volto del mio buon Angelo Custode. Egli era là, presso di me e, senza udire con le mie orecchie la sua santa voce, lo udivo e lo comprendevo meglio di quanto comprendessi papà, mamma, madre Raffaella e Acacia.

Improvvisamente le mie lacrime cessarono, perchè un nuovo pensiero illuminò l'anima mia: io posso battezzare Cipriano; so come si battezza perchè madre Raffaella ce lo ha insegnato. So battezzare perfettamente. Nella mia fantasia riprodussi l'atto del battezzare.

"Peccato che si faccia notte!" pensai tra me. Avrei desiderato che fosse già l'indomani per poter portare al caro vecchietto la buona notizia del suo prossimo battesimo.

Il giorno dopo andai a scuola e al pomeriggio, compiuti i miei doveri scolastici, corsi al Ricovero, mi arrampicai frettolosamente sulla finestra ed esposi a Cipriano ciò che volevo fargli.

Il buon ammalato era molto docile ed obbediente alla sua piccola "catechista" e si mostrava sempre pronto e contento per tutto ciò che gli chiedevo.

Quando gli dissi che per andare in Paradiso a vedere Gesù e la Madonna era necessario che lo battezzassi, egli si rallegrò tanto che dai suoi occhi, sempre velati da un'espressione di tristezza, forse per l'età e per la sofferenza, caddero in quel momento due grosse lacrime.

Lo consolai come potei e gli promisi un'immaginetta della Madonna che suor Eugenia mi aveva dato, se non avesse più pianto. Subito prese da sotto il guanciale un grande fazzoletto a righe rosse e si asciugò le lacrime.

Allora cominciai subito la "mia istruzione" sul Battesimo: "Caro Cipriano, ha detto madre Raffaella che il Battesimo cancella tutti i peccati delle persone adulte. Lei è adulto. La sua anima diventerà bianca come la mia nel giorno della prima

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Comunione".

A questo punto, il vecchietto ricominciò a piangere.

Siccome le sue lacrime mi facevano compassione e mi rattristavano molto, mi sforzai subito di consolarlo, anche perchè non avrei voluto mettermi a piangere anch'io. Gli dissi subito: "Se lei piange, non guadagna l'immaginetta". Alle mie parole, riprese il fazzoletto dalle righe rosse per asciugarsi il pianto.

Preparativi per la festa

Fissai, per il Battesimo, un giorno festivo. "perchè - dissi a Cipriano - la domenica è il giorno del Signore; io vado a Messa e rimango, così, col vestito bello per la sua cerimonia. In giorni feriali Acacia non mi mette mai i vestiti migliori e le scarpette belle".

Oggi non ricordo più il giorno nè il mese che fissai; ricordo unicamente che fu una domenica. Incominciai a darmi da fare a preparare la festa del mio poverello. Gli invitati sarebbero stati soltanto il mio buon Angelo Custode ed io. Alla vigilia, sabato, avevo scuola solo al mattino. Andai al salvadanaio e lo apersi. Oh! mancavano solo due monete d'argento a formare la somma necessaria per comprare il bambolotto nero. In quel momento sentii dentro di me la ribellione del mio egoismo e provai una grande pena a vuotare nuovamente il salvadanaio. Però vi era lì il mio buon Angelo Custode.

Alzai lo sguardo per osservarlo in volto e, senza vederlo, lo sentii e compresi subito che Egli disapprovava la mia "pena"; il suo occhio mi fissava con molta tristezza.

Risolutamente vuotai nel mio grembo le dieci monete luccicanti, nuove di zecca, che papà sceglieva apposta e conservava per me.

Mi parve allora che nulla al mondo mi avrebbe fatta pentire e retrocedere. Se qualcuno, in quel momento, mi avesse detto: "Conserva le tue monete, tienile, che avrai quel bambolotto tanto desiderato" io non avrei ceduto perchè il mio buon Angelo Custode aveva sulla mia volontà una influenza maggiore che tutto il mondo.

Dovevo privarmene, e basta.

Senza dir nulla ad alcuno, neppure ad Acacia, con le monete in tasca andai speditamente alla pasticceria.

Il mio buon Angelo Custode non era più triste. Al ritorno, portando un bel pacchetto di dolci, confetti e cioccolato, mi sentii felice come il giorno in cui con Acacia ero passata per le vie con il mazzo di rose bianche.

Più di una volta alzai lo sguardo per osservare il volto del mio Angelo Custode: era ormai contento. Cammin facendo, gli ripetei più volte: "E' tutto per Cipriano! Non prenderò neppure un confetto per me. E' per festeggiare domani il Battesimo di Cipriano!"

In casa nessuno si era accorto della mia assenza. Questo non perchè io facessi qualcosa con sotterfugi, oh, no! Grazie a Dio, ho sempre fatto tutto con naturalezza;

ma intendo dire che mai nessuno seppe di questi fatti.

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"Cosa mancherà ancora?'', rimuginavo. Ah! ecco! "Io ho tutto nuovo e bello... Invece Cipriano per il suo Battesimo non ha nulla di nuovo e di bello". Rimasi pensosa ma per un solo istante, perchè trovai facilmente la soluzione. "Siccome Cipriano è sempre a letto, gli porterò una camicia nuova di papà, una blusetta e acqua di colonia per profumarsi bene".

Feci tutto quanto avevo pensato con la semplicità più spontanea. Solo più tardi, in Convento, interrogata se avevo allora chiesto il permesso a papà, rientrai in me stessa e riconobbi di aver proceduto male. Forse agii così perchè mi giudicavo padrona di ciò che apparteneva a papà, perche egli mi dava tutto quello che gli chiedevo. Ero abituata a fare così; e inoltre nessuno mi aveva mai fatto osservazioni in proposito.

Insomma: gira e rigira affannosamente, mi parve infine che tutto fosse pronto. Dopo il bagno, feci una scappata al Ricovero con due involti. Non mi occultai a nessuno, ma nessuno mi vide.

Salii sul davanzale a stento a causa dei due pacchi e consegnai tutto a Cipriano, raccomandandogli ciò che doveva fare: "Domani metterà la camicia nuova e la blusa.

In questa bottiglietta vi è dell'acqua di colonia per profumarsi bene la faccia e le mani".

Il povero vecchio incominciò a piangere. Per consolarlo gli consegnai subito il pacco dei dolci. Con mia grande meraviglia vidi che il vecchio piangeva ancor più.

Io non capivo che quelle lacrime erano di commozione e di gratitudine; tagliai corto comandandogli in questi termini: "Adesso non si piange più, perché dobbiamo pregare per domani".

Ed egli, ubbidiente, non pianse più.

Pregai con lui tutto ciò che sapeva à memoria: il "Credo", il "Pater", l’Ave Maria", 1'

"Angelo di Dio", il "Ricordatevi" alla Madonna e l'atto di dolore.

Prima di lasciarlo gli raccomandai anche di essere buono e di non guardare sulla strada. Avevo imparato questo dalle suore. Cipriano mi promise che avrebbe ubbidito.

Piccola battezzatrice

Il giorno seguente, domenica, mi recai a Messa e pregai per il vecchietto: lessi quasi tutto il libretto dal titolo "La chiave del Cielo". Senza dubbio il Signore avrà sorriso della mia semplicità. Giunta a casa, chiesi ad Acacia che non mi togliesse il vestito bello; mi voleva tanto bene che non fece difficoltà.

Mi sentivo tanto compresa del grande atto che stavo per compiere che il cuore mi sussultava in petto. Presi la tazza che la mamma usava per il caffé-latte e, sebbene già pulita, volli lavarla ancora; la riempii d'acqua e uscii avviandomi verso il Ricovero.

Avrei voluto correre, ma la tazza piena d'acqua me lo impediva. La misi sulla finestra e mi arrampicai al mio posto solito.

Contrattempo! Speravo di trovare Cipriano tutto messo a nuovo, invece era come

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sempre. Non avevo riflettuto che non si poteva muovere; e quel mattino, per disdetta, non era apparso ancora nessuno per aiutarlo.

Pazienza! Guardai il mio buon Angelo Custode: era contento. Perciò pensai che potevo battezzare Cipriano anche se aveva la sua camicia vecchia; in fin dei conti non era poi tanto sporca!

Recitai con lui, di nuovo, l'atto di contrizione. Ambedue, il vecchietto e io, eravamo ben compresi di ciò che stavamo per fare. Il mio buon Angelo Custode era lì anche lui.

Dissi a Cipriano di abbassare la testa; ubbidì subito. In ginocchio sul davanzale della finestra, col cuore che mi martellava, versai tutta l'acqua della tazza sul capo del vecchietto, preoccupandomi che arrivasse sino alla pelle e pronunciai contemporaneamente le parole che madre Raffaella ci aveva insegnato: "Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".

Poi dissi a Cipriano: "Da questo momento lei si chiamerà Giuseppe, in onore di San Giuseppe". Il motivo che mi aveva suggerito la scelta di quel nome era questo: che il vecchietto, con la sua lunga barba, assomigliava al grande santo.

Il povero ammalato si mise nuovamente a piangere e, stringendo con la sua mano sana il crocifisso che aveva sul petto, sospirò varie volte: "Signore! Signore buono!

Buon Dio!".

Non disse altro: lo ricordo perfettamente. Io mi sentivo felice, di una felicità uguale a quella della mia prima Comunione.

Osservai che il mio buon Angelo Custode era contento anche lui, molto contento.

Mi separai infine dal mio caro vecchietto dopo avergli parlato così: "La sua anima e il suo cuore sono candidi come era la mia anima nel giorno della mia prima Comunione.". Era questa l'espressione che usavo quando volevo parlare di una cosa molto bianca.

Non sognavo neppure, in quel momento, ciò che sarebbe accaduto il giorno dopo.

Riconosco oggi, soltanto oggi, che per Cipriano Giuseppe fu una grazia suprema;

allora invece, bambina, provai solo dolore.

Come sempre, di buon mattino, Acacia andò il giorno seguente a portare il caffé al ricoverato. Noi eravamo ancora a tavola per la colazione quando essa ritornò con l'involto intatto e molto triste: "Signora Antonietta - disse con voce commossa - è morto Cipriano! E' morto questa notte!"

La mamma uscì in una esclamazione di compassione... E io?... Solo il buon Dio sa il grande dolore che provai. Mi ritirai in camera e piansi la sua scomparsa; per molto tempo sentii il vuoto lasciato da quella morte.

Non mi permisero di andare al Ricovero. Non lo vidi più e non so neppure come lo portarono via. A mezzogiorno, di ritorno dalla scuola, non osai neppure volgere il mio sguardo alla finestra della stanzetta amica. Essa rimase chiusa per molti giorni finchè un altro povero andò a prendere il posto del mio caro Cipriano Giuseppe.

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Per un lungo periodo di tempo, con molta nostalgia, sgranai la mia corona bianca del Rosario per l'anima del vecchietto.

"Buon Cipriano Giuseppe, sono certa che tu godi già il tuo e mio Dio e conosci adesso la sua Santissima Madre. La tua piccola "catechista" è ancora qui, in questo mondo tanto brutto, ma per il giorno della sua «Grande Festa» tu, fin da ora sei uno dei suoi invitati.

Verrai col mio Gesù!".

CAPITOLO 14°

ASSALTO AI DOLCI

Impedita dall'Angelo di sottrarre dei dolci, sente forte il pentimento per la sua cattiva intenzione.

Poi viene accusata ingiustamente del furto fatto da una compagna e l’Angelo le impedisce di accusare la colpevole, come vorrebbe la ribellione della sua natura.

Durante l'estate, al pomeriggio, Acacia ci accompagnava spesso a passeggio in campagna. Invitavo con noi i bambini del vicinato. Quella volta venne anche Nina.

Giunti in un bel prato, Acacia organizzò una corsa. Secondo il solito, ella aveva portato con sé un cestino di ghiottonerie; prima della gara ce le mostrò e promise ad alta voce: "Chi vince avrà un premio". E' facile immaginare l'allegria.

Nina corse con ognuna del gruppo, ma fu vinta da tutte. A me successe altrettanto per un dolore improvviso alla milza.

Terminata la gara, Acacia disse, aprendo il cestino misterioso: "Ecco: ho qui una quantità di dolci al latte. Andiamo a visitare Emanuela e poi faremo le parti: chi vinse riceverà due dolci e chi perse ne avrà uno soltanto."

Emanuela era una vecchietta negra, molto ben voluta da tutti; abitava in una casupola vicina. In piccoli gruppi ci dirigemmo là. Alla porta di Emanuela, Acacia depose il cestino sulla soglia, mentre noi entravamo a chiedere alla vecchietta che ci lasciasse cogliere fiori nel suo giardinetto.

Nel frattempo Nina mi si avvicinò per sussurrarmi: "Vedi, Cecilia, come è cattiva Acacia? I dolci sono di casa tua e vuol dartene uno solo. Diamole una lezione:

andiamo al cestino e prendiamone due per ciascuna".

Mi pareva che Nina avesse proprio ragione e che, dopo tutto, io potessi vantare diritti su tutti i dolci. Ci staccammo dal gruppo e fummo al cesto quasi pieno.

"Che storie - disse Nina - approfittiamo e prendiamone otto: quattro per te e quattro per me". Nina si servì disinvolta e mise i dolci in tasca. Stavo per fare altrettanto quando, già curva sul cestino, sentii sulle mie spalle una mano soave, tenera, amica.

Mano santa, assai conosciuta!

Mi alzo immediatamente e giro il capo per cercare il volto santo del mio buon Angelo Custode. Mi fissava triste, triste. Lo vedevo, ma non con gli occhi del corpo, non come vedevo le persone: lo vedevo in altro modo.

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