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Vegetazione e fauna del Tadrart Acacus

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Academic year: 2021

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Vegetazione e fauna del Tadrart Acacus

Sicuramente non occorre trovarsi al cospetto delle sterminata distesa di dune sabbiose dell’Acacus per nutrire forti dubbi sul fatto che, in passato, questa intera area presentasse condizioni ambientali favorevoli all’insediamento di comunità vegetali e animali oggi quasi del tutto

scomparse. Eppure, come sottolineano numerosi studi, ciò è avvenuto non solo in epoche assai remote quali l’era primaria e secondaria (con ripetute invasioni marine e la presenza di fiumi e vaste fosse lacustri), ma anche durante il Quaternario; è ormai sicuro infatti che le forti oscillazioni climatiche di questo periodo, manifestatesi in Europa sotto forma di episodi glaciali intervallati da interglaciali più miti, abbiano avuto un corrispettivo in Africa nell’alternanza fra momenti umidi pluviali, ed altri più secchi interpluviali (Muzzolini, 1995; Mercuri, Mariotti Lippi e Trevisan Grandi, 1992). Ciò viene evidenziato nella periodizzazione ipotizzata da Muzzolini che vede, in seguito ad un momento di forte aridità (Iperarido Postateriano), una fase relativamente piovosa all’inizio dell’Olocene (Grande Umido), che termina a sua volta con un rinnovato periodo di aridità (Arido Medio-Olocene). Seguono altre due pulsazioni umide (Umido Neolitico; Terzo Umido) intervallate dalla penultima fase arida (Arido Postneolitico), di grande intensità, che prelude infatti a quella attuale (Arido Attuale), caratterizzata da una vegetazione e da una fauna tipicamente desertica e da una presenza umana limitata alle aree circostanti alle oasi (Muzzolini, 1995).

Paesaggio desertico Tadrart Acacus, sud

Raffigurazione di palme Ti-n-Lalan

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La vegetazione

Attualmente le precipitazioni sull’area presa in considerazione sono scarse, con un

massimo estivo e un minimo invernale. La rada vegetazione presente si concentra negli uadi, in corrispondenza probabilmente di una falda sotterranea non troppo profonda, e si differenzia in base alla natura del loro sedimento; in presenza di sabbia grossolana o ghiaia essa è costituita da Acacia- Maerua- Panicum, con sabbia fine o silt invece da Tamaris- Stipagrostis, sempre con l’aspetto di arboscelli ed erbe. Nelle zone ricoperte da dune si nota infine la presenza di Calligonum (Schulz, 1987).

Le conoscenze floristico-vegetazionali che riguardano quest’area in passato risultano ancora abbastanza vaghe: i pochi dati in nostro possesso infatti sono quelli provenienti dai siti scavati. In generale comunque, in base alla diversa situazione idrogeologica del territorio dell’Acacus, si è constatata la diffusione di una vegetazione molto più aperta e secca a nord, fattore che avrà favorito un uso estensivo del territorio, più folta e umida (Typha) a sud (Barich, 1987c); inoltre, in base ai macroresti fossili rinvenuti, è stata evidenziata una forte presenza di graminacee, fra le quali anche Brachiaria e Urochloa, oggi non più esistenti in Libia, raccolte probabilmente nelle aree circostanti i ripari per il sostentamento e la preparazione di giacigli (Wasylikova, 1992).

Dopo la pioggia Tadrart Acacus

Acacia

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Calotropis procera

Camomilla Ti-n-Torha

Queste ultime affermazioni vengono confermate pienamente dai ritrovamenti compiuti in questo sito: le già citate Brachiaria e Urochloa, unite a Setaria, sono presenti infatti nell’intera sequenza stratigrafica, mentre Panicum sp. e Echinochloa compaiono esclusivamente negli strati più superficiali, insieme a Pennisetum e una specie di Cenchrus, tutte appartenenti alla famiglia delle Paniceae. Infine vengono segnalate, sempre in prossimità della superficie, altre graminacee quali Dactyloctenium aegyptium e Tragus sp. (Barich, 1992).

Uan Telocat

Come già evidenziato in precedenza, il nome stesso del riparo sembra rimandare alla presenza di vegetazione; in base alle analisi compiute, sia durante gli scavi, sia mediante operazioni di campionamento infatti, sono venute alla luce discrete quantità di polline, indice di una flora decisamente più abbondante dell’attuale. Sono presenti le Asteraceae (Artemisia e Pulicaria), le Capparaceae (Capparis, Cleone e Maerua, oltre a Boscia, Gynandropsis e Cadaba, oggi per lo più diffuse al sud), le piante legnose Acacia e Ficus e una gran quantità di graminacee spontanee; tutto ciò indicherebbe una vegetazione xerofila (tipica cioè di ambienti particolarmente aridi, grazie ad alcune caratteristiche peculiari, quali foglie di piccole dimensioni, radici assai lunghe, rivestimenti che rallentano la traspirazione) a boscaglia.

Infine la presenza di Typha negli strati più profondi farebbe ipotizzare la vicinanza di acqua, o comunque un clima più umido, nelle fasi più antiche di occupazione del sito (Mercuri, Mariotti Lippi, Trevisan Grandi, 1992).

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Uan Tabu

In questo sito sono stati rinvenuti 4850 grani di polline, appartenenti a ben 105 tipi pollinici. Essi, come è stato ben evidenziato dagli studi

compiuti, mostrano

chiaramente i cambiamenti climatici avvenuti nel tempo, sicuramente influenzati nelle fasi finali di occupazione del

riparo dal forte impatto umano sull’area. Durante il tardo Pleistocene una fase umida sarebbe testimoniata da una vegetazione di prateria aperta o savana (Typha e Cyperaceae, oggi scomparse), mentre una brusca inversione di tendenza verso un clima più secco si sarebbe manifestata all’inizio dell’Olocene, con una diversificazione “altimetrica” della flora: mediterranea sui massicci, seguita poi da una di tipo saharo-montana a quote più basse. Solo verso il Medio Olocene si sarebbe verificato un notevole aumento dell’aridità, indicato da una vegetazione xerofila, per lo più rappresentata da cespugli e arbusti, quali Asteraceae (Pulicaria e Artemisia), Boraginaceae (Echium e Moltkia), Caesalpinaceae (Cassia) e Amaranthaceae (Aerva), simile a quella attuale di savana desertica ad Acacia e Colocynthis (Mercuri e Trevisan Grandi, 2001; Mercuri, Mariotti Lippi, Trevisan Grandi, 1992).

Uan Afuda

Attualmente nell’area circostante al riparo sono presenti isolati esemplari di Acacia. Per quel che riguarda invece la vegetazione in passato, i resti rinvenuti in situ appartengono a graminacee dei generi Setaria o Brachiaria/Urochloa; da sottolineare la loro presenza all’interno dei residui di cesti, anch’essi in fibra vegetale, scoperti nel corso degli scavi. Come afferma Mori, ciò potrebbe essere considerato un indizio, seppur flebile, “di una possibile transizione verso un’economia basata sulla raccolta selezionata e custodita di piante la quale, senza giungere ad una vera e propria agricoltura, può confermare quel diverso atteggiamento nei confronti dell’ambiente biologico che tanti altri segni rivelano” (Mori, 2000).

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Lacertide

Scarabeo

Volatile

Uan Muhuggiag

La vegetazione qui presente è assai simile a quella del sito di Ti-n-Torha, ad eccezione della Brachiaria, mancanza tuttavia bilanciata dall’abbondanza di Cenchrus biflorus, entrambe attualmente non più presenti in Libia. Un’ulteriore differenza è data infine dalla presenza di elementi arborei (Acacia, Tamarix aphylla e Balanites aegyptiaca), totalmente assenti nell’area circostante il riparo settentrionale e, viceversa, dalla diminuzione elle specie erbacee, ad eccezione di Echinocloa sp., Panicum sp., Artemisia e Zilla spinosa (Barich, 1993).

La fauna

Le specie animali che oggi popolano l’area non sono certo numerosissime; sono tuttavia presenti dromedari, gazzelle, antilopi, fennec, un certo numero di uccelli, insetti vari e

rettili. E’ interessante notare come, ad esclusione di alcuni lacertidi, insetti e uccelli, di colore scuro, la maggior parte della fauna sahariana abbia assunto una colorazione fulva, e si sia modificata in funzione delle condizioni estreme di vita che caratterizzano quest’ambiente.

Dromedario con piccolo

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Anche riguardo a quest’argomento, per quel che riguarda il passato, si riscontrano numerose difficoltà nella ricostruzione di un quadro completo e soddisfacente; ciò è dovuto sia alla ricorrente mancanza di dati, sia alla scarsa conoscenza degli effetti, sul territorio e sulle varie specie, del processo di inaridimento, sia infine a causa dell’impossibilità di valutare l’impatto dell’azione umana sul territorio e, di conseguenza, sull’ambiente occupato.

In generale comunque è possibile ipotizzare che la fase umida all’inizio dell’Olocene abbia permesso il ritorno, da aree maggiormente favorevoli, delle faune a grandi mammiferi, e la creazione di pascoli adatti alle grandi mandrie di bovini, in seguito sostituiti da greggi di ovicaprini a causa dell’aumentata aridità (Corridi, 1992). In base ai ritrovamenti inoltre sembrerebbe ipotizzabile una maggior frequenza di bestiame di grossa taglia ai bordi dell’area montuosa e nella piana adiacente, probabilmente poiché queste zone si presentavano meno accidentate e aride rispetto all’area montuosa stessa (Corridi, 1997).

La presenza di così tante diverse specie è d’altra parte mostrata dalle pitture e dai graffiti, testimoni dell’avvicendarsi delle varie fasi climatiche e delle faune ad esse legate. In base ad uno studio di Fantin comparirebbero per lo più bovini (Bos primigenius, di grande taglia, scomparso; Bos africanus, con corna affilate a lira allargata, di grande taglia e dal mantello pezzato; Bos brachyceros, dalle corna corte, con mantello uniforme e statura minuta; Bos opisthonomus, con le corna piegate in avanti), antilopi (Orix beisa e Bubalis

boselaphus, di grande taglia; Dorcas neglecta, di taglia molto minore; Addax nasomaculatus, oggi rarissimo; Orix leucoryx algazel), mufloni (Ammotragus lervia, oggi conosciuto dai Tuaregh come uaddàn), bufali (Bubalus antiquus) ed elefanti (Elephas africanus, ben riconoscibile; Elephas anticuus e

atlanticus, varietà più arcaiche e meno delineate) (Fantin, 1970).

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Ti-n-Torha

I dati raccolti si riferiscono soprattutto al riparo Est, pur se provenienti da resti assai frammentari e non in buono stato di conservazione, a causa dell’alta componente silicea del deposito in cui essi si trovavano.

Ammotragus, Gazella e Lepus sono le specie risultate più frequenti, probabilmente poiché esse costituivano la base alimentare del gruppo umano lì stanziato. In generale comunque, nel totale dei resti ossei il 52% è rappresentato da grossi mammiferi erbivori, il 18,5% da rettili e pesci, il 14,3% da roditori e lagomorfi, l’8,8% da carnivori e gli insettivori, e infine il restante 5,5% da uccelli; è da notare tuttavia che mentre gli erbivori sono riferibili a sole 6 specie, l’avifauna si presenta invece assai ricca in questo senso. Tutto ciò sembrerebbe indicare un momento iniziale con occupazione di tipo stagionale (tardo autunno, inverno o primavera iniziale), in una situazione ambientale caratterizzata da un clima piuttosto secco per la presenza di animali “da deserto” (gazzelle, mufloni, volpi, fennec, lepri e rettili), “da savana” (cinghiali, zebre, leoni e istrici) e di molti predatori, ma anche decisamente più umido dell’attuale, come dimostrano i resti di pesci d’acqua dolce di una certa taglia, testimoni della presenza di bacini idrici, anche piuttosto estesi, nelle vicinanze, e di malacofauna continentale; solo in un secondo momento si sarebbe verificata un’occupazione semipermanente, in concomitanza di un aumento dell’aridità, evidenziato dalla maggior presenza di ovicaprini e dalla diminuzione della selvaggina.

Restano ancora notevoli incertezze a proposito dei frammenti ossei di un precoce bue domestico di grossa taglia (Cassoli, Durante, 1974).

La fauna rinvenuta a Two Caves è sostanzialmente confrontabile con quella appena descritta, mentre quella proveniente dal riparo Nord, ultimo in ordine cronologico per occupazione, è costituita solamente da alcuni elementi intrusivi e dai resti di un bue domestico di piccola taglia (Gautier, Van Neer, 1977-1982).

Uan Telocat

A causa della grande frammentarietà con cui, anche in questo caso, si presentano i resti ossei animali rinvenuti durante gli scavi, è stato possibile identificare solo meno del 10% del materiale recuperato, perciò i dati ottenuti risultano assai poco indicativi. Fra gli animali domestici il gruppo più significativo sembra essere quello degli ovicaprini (comprendente pecore e capre, non distinguibili né con criteri morfologici né

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biometrici), mentre il Bos taurus è rappresentato da un unico esemplare; per quel che riguarda invece le specie selvatiche sono presenti, in ordine decrescente di quantità di reperti, la procavia (Procavia capensis), l’ammotrago (Ammotragus lervia), lo sciacallo (Canis aureus), la lepre (Lepus capensis) e l’istrice (Histrix cristata). In base a questi pochi dati sembrerebbe possibile dedurre un quadro di economia mista in cui, all’attività di pastorizia, si accompagnerebbe quella venatoria, per lo più verso mammiferi di piccola e media taglia, di notevole importanza per l’apporto all’economia alimentare del sito (Corridi, 1992).

Uan Tabu

In questo sito hanno grande importanza i resti di mammiferi selvatici, in particolare di Ammotragus, in contrasto con l’assenza di fauna domestica, abbondante invece altrove; tutto ciò d’altra parte confermerebbe a pieno l’attribuzione della maggior parte degli strati di occupazione di questo riparo ad una fase prepastorale e, contemporaneamente, la scarsa importanza della fase pastorale, che avrebbe interessato l’area tardivamente e solo superficialmente (Mori, 2000).

Uan Afuda

Anche negli strati più profondi di questo riparo si evidenzia la presenza di fauna selvatica, con predominanza di Ammotragus, mentre l’unità superiore, con il suo accumulo di foraggio ed escrementi nella parte più interna della grotta, farebbe pensare alla presenza di bestiame di piccola taglia, probabilmente ovicaprini, controllati dagli occupanti del riparo a causa forse dell’aridità in aumento (Mori, 2000).

Uan Muhuggiag

La sequenza faunistica locale mostra, a partire da un momento più antico, la presenza di bestiame per lo più di piccole dimensioni (pecore), accompagnato però anche da individui di taglia maggiore, mentre in tempi più recenti sembrerebbe predominare il piccolo bestiame, in quantità maggiore al 90%, soprattutto rappresentato da caprini, in accordo con un andamento del clima in direzione di una maggiore aridità (Gautier, 1987).

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