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Quinto Capitolo ANALISI DELL’OPERA

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Academic year: 2021

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Quinto Capitolo

ANALISI DELL’OPERA

1. Parte Prima

Già dal titolo dell’opera vengono messi in relazione Virgilio e Kotljarevs’kyj. Entrambi usano “Eneide”. Tuttavia, Virgilio conosce il futuro di Enea, lo dipinge come il fondatore di un impero che diventerà poi assoluto. Kotljarevs’kyj, invece, sa che questo impero verrà distrutto dai barbari, e quindi il suo Enea non è rivestito da una così grande importanza, non è pensato come l’antenato di una dinastia di imperatori.

La prima parte dell’Eneide di Kotljarevs’kyj corrisponde ai primi quattro libri dell’Eneide di Virgilio. Essa comincia con la partenza di Enea e dei suoi troiani, e termina con la morte di Didone.

La prima differenza che possiamo notare, è l’assenza dei fatti esposti nella seconda e terza parte dell’Eneide virgiliana, in cui Enea, al cospetto di Didone, racconta le sue peripezie dal momento in cui i Greci hanno invaso Troia fino al suo arrivo a Cartagine.

Ciò che risulta già da questa primissima osservazione, è che Kotljarevs’kyj decide di scegliere solamente gli episodi salienti e funzionali a dare un senso compiuto all’opera, tralasciando elementi per lui superflui o marginali. Il suo intento infatti, non è quello di riprodurre fedelmente l’opera virgiliana (anche se in maniera “travestita”), ma piuttosto quello di servirsi di un’opera importante per lanciare un messaggio al popolo ucraino. Tralascia anche moltissimi altri elementi: vi è un personaggio, in particolare, che compare solo nella quinta parte dell’Eneide di Kotljarevs’kyj, mentre in Virgilio è presente fin dall’inizio, ovvero Ascanio, il figlio di Enea, colui al quale è affidato il destino di Roma. Perché il nostro autore decide di ometterlo? Probabilmente perché la presenza di un bambino tra cosacchi ubriachi e scurrili, sarebbe stata difficile da gestire. Inoltre, analizzando il ruolo di Ascanio in Virgilio, possiamo osservare come tale personaggio sia usato soprattutto per mettere in risalto il carattere del pius Enea, la sua dedizione alla famiglia e alla sua progenie. Tale aspetto è completamente assente nel pan Enea, etmano cosacco e il più delle volte alcolizzato.

L’Enea di Kotljarevs’kyj è un personaggio burlesco dipinto come un cosacco, e per questo sentito molto vicino dal lettore. Una sua descrizione è data già dalla prima strofa.

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Enea era un ragazzo coraggioso Ed era anche un bel giovane cosacco, Era particolarmente incline all’ira,

Come un contadinotto si accaniva contro tutti. Ma quando i greci bruciarono Troia,

La ridussero ad un mucchio di letame; Egli, presa la sua bisaccia, se la svignò; Condusse con sé dei troiani,

Bruciacchiati, come straccioni pelati, E così fuggì da Troia.

Ciò che risulta pressoché palese è che Enea è un cosacco, contadino fra contadini, descritto in maniera ironica; non importa se è sposato o meno o da chi è circondato; abbiamo già visto come Ascanio sia volutamente dimenticato, e così anche sua moglie Creusa.

Dal punto di vista etico l’Eneide di Kotljarevs’kyj è volta alla verità e alla sfalsificazione. Il suo Enea non è tanto un personaggio quanto un fantasma vagabondo, è un cosacco, e non ha una completa valenza mitologica; per tale motivo il racconto acquista maggiore veridicità.

Il poema virgiliano è statico, calmo, senza colpi di scena, in quanto si conosce già ciò che accadrà. Ciò non vale per l’Eneide di Kotljarevs’kyj; Enea e i suoi cosacchi rendono il poema una macchina dinamica.

Abbiamo già osservato come le divinità pagane presenti nel poema acquistano in Kotljarevs’kyj caratteristiche totalmente umane, terrene. E la loro importanza è alquanto limitata, loro non rappresentano altro che uno specchio del mondo terrestre, e pertanto non sono soggetti alla completa celebrazione che invece ritroviamo in Virgilio. Perciò Kotljarevs’kyj gli concede molto meno spazio, perché narrare di loro equivale quasi a descrivere le avventure di Enea e dei suoi Troiani, con la differenza che queste ultime risultano molto più interessanti e più idonee ad attirare l’attenzione del lettore.

In questa prima parte notiamo infatti diversi gap di scene fra dei o che comunque coinvolgono divinità. Ad esempio manca il colloquio tra Venere e Cupido, quando Venere decide di inviare il dio da Didone sotto le mentite spoglie di Ascanio, per far innamorare la regina di Enea. Così come manca il complotto tra Venere e Giunone, nel momento in cui decidono di combinare il matrimonio di Didone ed Enea, alle spalle di Giove. Riguardo a questi due episodi, troviamo solamente dei fugaci riferimenti in discorsi effettuati da altri

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personaggi. Infatti è Giove ad attribuire la colpa dell’innamoramento di Didone per Enea a Venere (strofa 44), mentre Giunone è completamente omessa. Didone invece, fa un breve accenno a Cupido (strofa 62), maledicendolo per averla fatta innamorare di Enea.

L’amore tra Didone ed Enea in Virgilio sboccia quindi grazie all’intervento degli dei; ciò non avviene in Kotljarevs’kyj, dove assistiamo alla nascita di una passione completamente carnale e mossa da istinti umani.

Tuttavia ritroviamo molti parallelismi tra le due opere, ad esempio nel discorso tra Giunone ed Eolo. In Kotljarevs’kyj leggiamo:

<<Salve, Eolo, signore e suocero! Allora, come te la passi, come stai? - Disse Giunone, non appena entrò nella Sua dimora. - Aspettavi forse degli ospiti?..>> E lanciò il pane salato sul tavolo

Davanti al vecchio Eolo, e si sedette al suo posto:

<<Sii gentile, vecchio suocerino! Fa che Enea perda la strada, ora sta navigando per mare. Tu sai che egli è un briccone, Un brigante e un diavolaccio. Le stelle grazie alle quali si muove Brillano di una luce bianca.

Rivolgi verso di lui la tua ira malvagia, affinché tutte le persone che sono sotto di lui, possano morire e affinché lui stesso… Se lo farai io ti ricompenserò

Con questa sgualdrina sana,

belloccia, colorita, e dalle nere sopracciglia>>

Parte Prima, strofe 5, 6

In Virgilio, invece, leggiamo:

Ad quem tum Iuno supplex his vocibus usa est: <<Aeole (nacque tibi divum pater atque hominum rex Et mulcere dedit fluctus et tollere vento)

Gens inimica mihi Tyrrhenum navigat aequor, Ilium in Italiam portans victosque penates:

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Incute vim ventis submersasque obrue puppes, Aut age diversos et dissice corpora ponto. Sunt mihi bis septem prestanti corpore nymphae, Quarum quae forma pulcherrima Deiopea, Conubo iungam stabili propriamque dicano, Omnis ut tecum meritis pro talibus annos Exigat et pulchra faciat te prole parentem>>.1

Libro Primo, versi 64 – 75

L’intento di Giunone è il medesimo; tuttavia ciò che risalta è il passaggio della ricompensa rappresentata da Deiopea, una ninfa bellissima che Eolo potrà sposare e con cui potrà costruire una famigli (in Virgilio) ad una sgualdrina da una notte, con le sopracciglia nere, belloccia e colorita (in Kotljarevs’kyj). Che affondi pure Enea e tutta la sua ciurma, se tale è la ricompensa, Eolo è disposto ad esaudire il desiderio di Giunone. Con la differenza che i suoi venti, Noto, Africo, Euro e Zefiro, sono in giro ubriachi a spassarsela con donne di vario genere, invece di essere propriamente rinchiusi nella grotta dei venti.

Allo stesso modo Nettuno, adirandosi per l’intervento di Eolo nei mari, nell’Eneide di Kotljarevs’kyj assume un aspetto piuttosto colorito:

Nettuno era un celebre mascalzone, Ascoltò la vocina di Enea;

Si spostò subito dalla stufa,

Mezzo proteso verso il suo bocconcino! Afferrò agilmente un gambero,

E se lo mangiò come un contadino.

Poi si diresse verso il mare, come un carassio. Si scagliò violentemente contro i venti: <<Perchè vi infuriate così?

Lo sapete che non dovete venire in mare!>> I venti si placarono nel terrore,

Fuggirono velocemente verso la loro tana. Si dondolavano come polacchi in chiacchiera. Correvano come i furetti scappano via dai ricci.

1 “A lui dunque, pregandolo, Giunone: <<Eolo>>, disse, <<a cui Giove, signore degli dei e degli uomini,

concesse di calmare le acque e di turbarle con i venti, una gente a me nemica naviga il mar Tirreno, conducendo Ilio in Italia e i vinti suoi Penati. Voglio che tu scateni una tempesta che ne squassi le navi, le rovesci e le sommerga, o che disperda almeno i loro corpi. Quattordici ninfe mi fanno cerchio, di leggiadro aspetto, e la più bella è Deiopea: costei, se tu mi ascolti, ti prometto in cambio quale tua sposa, che con te felice viva e ti dia meravigliosi figli”. Traduzione di Mario Scaffidi Abbate;

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Nettuno prese subito una scopa E spazzò il mare, come una stanza. Così il sole venne alla luce. Enea era come rinato,

Si fece il segno della croce cinque volte di seguito, E ordinò di cucinare il pranzo.

Libro Primo, Strofe 11 e 12

Non siamo più di fronte al terribile dio del mare, cruento e feroce. E’ solo un ucraino come gli altri, dedito al bere e al cibo, che si fa distrarre dalle sue faccende oziose grazie ad una piccola ricompensa in denaro offerta da Enea.

Kotljarevs’kyj fa risalire l’odio di Giunone nei confronti di Enea alla motivazione virgiliana, secondo la quale Giunone odiava Enea perché Paride (figlio di Priamo), aveva sancito Venere come la più bella fra le dee, regalandole la famosa mela della discordia. Abbiamo notato come l’amore fra Didone ed Enea sbocci in maniera alquanto diversa. C’è anche un’estrema differenza nel comportamento di Enea a Cartagine. In Virgilio, infatti, anche se è momentaneamente distratto dai nascenti sentimenti per Didone, nel momento in cui arriva Mercurio ad ammonirlo per la sua cattiva condotta, egli ritorna ad avere come primo obiettivo quello di arrivare a Roma, e a nulla valgono le parole della piangente e disperata Didone; sembra quasi che non abbia un’anima.

La situazione cambia in Kotljarevs’kyj. Enea ha praticamente dimenticato il volere degli dei, e nel momento in cui arriva Mercurio, egli sta addirittura nuotando nella birra.

L’Enea virgiliano è un eroe che vive nel presente ma pensa soprattutto al futuro, ad approdare in Italia. Quello di Kotljarevs’kyj è un Enea ancorato al passato e che non da’ ascolto alla sua coscienza, ma è piuttosto legato alle sue sensazioni corporee.

Didone cerca di conquistare Enea e tra i due si instaura un particolare gioco di parti; il potere di persuasione di lei termina là dove inizia la paura dell’altro, la paura di non riuscire a portare a termine la propria missione. In Virgilio la relazione tra i due è quasi ritualizzata: Didone, da donna innamorata qual è, vuole che il suo rapporto con Enea sfoci nel matrimonio; Enea non è disposto a ciò, anche se è consapevole di amare la regina. Tale sentimento, di reazione a quello di Didone, non distrae la coscienza dell’eroe. Ora, paragonando le due versioni, le differenze principali sono tra il lato spirituale e quello fisico, quello rituale e quello della tentazione.

L’Enea di Kotljarevs’kyj è infatti completamente legato alla sua fisicità che ruota tutta intorno ad un gioco di tentazioni reciproche. Virgilio invece sottolinea invece il lato rituale del gioco: l’uomo risulta marginale, mentre la donna (che rappresenta lo Stato, che invece

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nella relazione dovrebbe essere marginale) raduna tutte le sue forze. Ma come in ogni gioco, c’è chi vince e c’è chi perde.

Kotljarevs’kyj attribuisce la rottura del rapporto tra Enea e Didone alla marginalità dell’uomo. Ma perché questo tema della marginalità è così presente mentre in Virgilio lo ritroviamo solo sullo sfondo? Probabilmente l’intento di Kotljarevs’kyj era quello di mettere il lettore ucraino di fronte ad uno specchio, di fronte alla marginalità propria della società ucraina, per risvegliare una nuova coscienza nazionale; egli, quindi, si serve dell’esempio di Didone e del burlesco proprio per sottolineare questa crisi. Ciò risulta evidente soprattutto in questa strofa:

Ma il cuore non può attingere

Da nessuna parte la forza per dimenticarlo. Che ne sarà di me? Quella verso la tomba – Ora è l’unica strada per me.

Per lui ho distrutto tutto, Ho trascurato persone e fama; O dei, vi ho dimenticati per lui! Oh, fatemi bere un filtro, Per liberare il cuore almeno per Un’ora da questa sbornia d’amore!

Parte Prima, strofa 61

La Didone di Kotljarevs’kyj non può fuggire perché è un personaggio statico, e quindi si rifugia nella sfera dell’autocoscienza; Enea, invece, lascia Cartagine rimanendo lo stesso personaggio – marginale – che era quando vi era arrivato.

Un altro elemento molto importante in quest’opera è la comparazione (proprio a livello semantico – sintattico), che in questa prima parte del poema si riferisce soprattutto al mondo animale, con l’ausilio di termini quali kak, slovno, točno.

Eccone alcuni esempi:

• (Giunone) si mise a brontolare come una chioccia, strofa 2

• (Nettuno) come un carassio si scagliò violentemente contro i venti, strofa 11

• (I venti) Si dondolavano come polacchi in chiacchiera. Correvano come i furetti scappano via dai ricci, strofa 12

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• Cosa fa, quel figlio di un rettile, mi sente?Si è infiltrato nella melassa come una mosca, si è nascosto, come il diavolo nella palude., strofa 43

• E invece sta lì come un cane vicino alla stufa, strofa 46

• Enea aveva la coda fra le gambe come un cane; come Caino, cominciò a tremare tutto,, strofa 50

• (Didone) diventò paonazza, come un gambero, strofa 55

Anche nell’Eneide virgiliana possiamo ritrovare alcuni esempi di comparazione attinente al mondo animale:

• Qualis apes aestate nova per florea rura exercet sub sole labor, cum gentis adultos educunt fetus, aut cum liquentia mella stipant et dulci distendunt nectare cellas aut onera accipiunt venientum, aut agmine facto ignavom fucos pecus a praesaepibus arcent; fervit opus redolentque thymo fragrantia mella, Libro Primo, versi 430 – 4362

• Migrantis cernas totaque ex urbe ruentis, ac veluti ingentem formicae farris acervom, cum populant hiemis memores tectoque reponunt; it nigrum campum agmen praedamque per herbas convectant calle angusto, pars grandia trudunt obnixae frumenta umeris, pars agmina cogunt castigantque moras, opere omnis semita fervet, Libro Quarto, versi 401 – 4073

Tale tipo di comparazione assume due valenze diverse a seconda dei poemi.

In Virgilio ci troviamo di fronte a comuni comparazioni attinenti al mondo animale, usuali nei testi classici, senza una particolare rilevanza semantica, e di indiscusso valore poetico. In Kotljarevs’kyj, invece, tali comparazioni si caricano di significato. Assistiamo, infatti, ad un ulteriore tentativo di caricare di fisicità ogni descrizione, di avvicinare al mondo ucraino non solo gli eroi del poema, ma soprattutto gli dei, utilizzando termini non solo attinenti alla sfera ‘umana’, comune, ma addirittura a quella animale. Giunone viene paragonata ad una chioccia, Nettuno ad un carassio, i venti a delle puzzole, e così via.

2 “Come le api che nei campi in fiore, sopraggiunta l’estate, sotto il sole attendono al lavoro, e quali guidano

fuori dall’arnie i propri figli e quali vanno stipando il luccicante miele – nettare dolce – nelle varie celle, o vanno incontro alle loro compagne per rilevarne i pesi, o in fitta schiera scacciano dalle greppie la ciurmaglia pigra dei fuchi; e intanto ferve l’opera, e sa di timo l’odoroso miele”. Traduzione di Mario Scaffidi Abbate

3 “E’ un brulicare, un correre lungo le vie per tutta la città, come fanno le provvide formiche quando, pensose

dell’inverno, scorto un mucchio di frumento, ne trasportano alcuni grani nella propria tana: via per i campi, in fila, il nero stuolo, trascinando il bottino in mezzo all’erba lungo uno stretto calle, e quali spingono gli enormi chicchi con le spalle, e quali serrano i ranghi, punendo le pigre. Ferve il lavoro per tutto il sentiero”. Traduzione di Mario Scaffidi Abbate;

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Riassumendo gli elementi esaminati finora possiamo quindi osservare che:

• L’assenza di spiritualità sfocia in una dimensione corporea deritualizzata, la quale diventa sempre più imponente e incalzante, arrivando ad assorbire la totale esistenza dei personaggi stessi. L’aspetto corporeo maggiormente delineato è quello erotico, in quanto si assiste ad una situazione di attrazione fra corpi.

• Didone, perdendo l’influenza erotica sul corpo di Enea, degrada anche il suo, in quanto esso diventa incompleto, inferiore, senza vitalità.

• Il corpo di Didone è statico, quello di Enea è dinamico. Entrambi hanno un cuore pulsante, diverso l’uno dall’altro. La limitatezza di Enea si compensa con la ricchezza di Didone. Essi si completano l’un l’altra. Il corpo statico cerca di conquistare quello dinamico e il gioco delle parti (corporee, vitalistiche, pulsioni erotiche) ogni volta si svolge nei due stati. • Il reale significato della maledizione di Didone contro i troiani, sta nell’atteggiamento di

Didone nei confronti di Enea – che neanche un uomo si salvi dalle peggiori disgrazie! – Quindi la staticità di Didone comporta invece un male dinamico, che inoltre risulta completamente fisico.

• L’uso di comparazioni che si riferiscono al mondo animale, contribuiscono a intensificare la dimensione corporea del poema, marcando una più netta distinzione con l’opera virgiliana.

3. Parte Seconda

Passiamo ora all’analisi della seconda parte dell’Eneide kotljarevs’kyjana, che corrisponde al quinto libro dell’Eneide virgiliana, e che si svolge sommariamente intorno all’episodio siciliano.

Per un esame più accurato partiamo passando in rassegna gli eventi descritti da Virgilio nel suo quinto libro.

La flotta troiana, approfittando di un vento del vento del nord, abbandona Cartagine, ignara dell’ira di Didone. Il timoniere Palinuro suggerisce ad Enea di dirigersi verso la Sicilia. Enea accetta il suo consiglio, poiché tale regione è governata dal troiano Aceste, tutelato dal dio Erice. Virgilio non si sofferma sul banchetto di accoglienza di Aceste, ma prosegue

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descrivendo il rinnovo del funerale di Anchise. Si celebra inoltre il funerale di tutte le altre vittime. A tal proposito organizza un evento che dura nove giorni, e che comprende anche lo svolgimento di alcuni giochi. Il nono giorno arrivano gli spettatori, gli invitati, e al suono della tromba le sfide hanno inizio.

- La prima sfida riguarda la gara sulle barche. A tale gioco partecipano quattro navi troiane: Pristi comandata da Mnesteo, Chimera da Gìa, Centauro da Sergesto e Scilla da Cloanto. Virgilio, rivolgendosi ai suoi contemporanei, sapeva già a quale antenato avrebbe attribuito la vittoria. Si attua un vero e proprio scontro generazionale, ed è quello che Virgilio vuole mettere in risalto, come monito per i romani stessi. Il libro quinto in fondo non è altro che la celebrazione del padre Anchise, e quindi ciò sottolinea ulteriormente l’importanza che l’autore vuole dare al rapporto giovane – vecchio. Chimera, comandata da Gìa, ha al timone l’anziano Menete. Gìa ordina di fare una manovra pericolosa per raggiungere la riva e quasi si schianta contro le rocce, e Menete cade in acqua, ma riesce ad aggrapparsi ad uno scoglio. Tra Chimera e le rocce si insinua Scilla. Gìa rimette Menete al timone (vecchia e nuova generazione tentano la collaborazione per raggiungere la vittoria), ma è troppo tardi. Cloanto strappa la vittoria a Gìa, mentre le altre barche rimangano indietro; in particolare quella di Sergesto arriva per ultima, derisa da tutti. Cloanto vince soprattutto grazie all’aiuto del dio del mare al quale aveva fatto un voto in altro tempo. Il generoso Enea ricompensa tutti con i doni della vittoria, compreso lo sventurato Sergesto, poiché tutti avevano partecipato per commemorare Anchise. Tale gesto di Enea sottolinea la generosità dei figli, della nuova generazione, la quale premia anche i perdenti.

- La seconda sfida è una corsa. Ad essa partecipano migliaia di persone, ma per la prima volta nel poema compaiono Eurialo e Niso. Il primo in ordine di partenza è Niso, secondo Salio, terzo Eurialo, seguito da Elimo e Diore. La gara comincia e vede in testa proprio Niso, il quale però, prima di raggiungere l’arrivo, scivola e cade, travolgendo volontariamente nell’incidente anche Salio, e favorendo così la vittoria di Eurialo, a cui nessuno si oppone per la bellezza del giovine. Tuttavia, come era già avvenuto precedentemente, Enea assegna doni a tutti.

- La terza sfida è il combattimento a pugni. Da una parte il combattente è Darete, un giovane vigoroso che si vanta di essersi battuto da solo contro Paride. Darete dimostra subito tutta la sua forza e nessuno dei presenti vuole affrontarlo. Aceste chiama in aiuto Entello, un vecchio discepolo di Erice, al quale non manca certo il coraggio di affrontare Darete. Virgilio mette nuovamente a confronto la vecchia e la nuova generazione, come nell’episodio delle barche, e sembra quasi che non voglia dare ai vecchi nessuna

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possibilità. Tuttavia è Entello che riesce a vincere Darete, grazie soprattutto alla sua forza e alla sua esperienza. La vecchia generazione risulta superiore alla nuova.

- L’ultima fase della gara è la sfida con le frecce, a cui partecipano Ippocoonte, Mnesteo, Eurizione, Aceste. Sebbene Eurizione è l’unico che riesce a colpire la colomba in volo, sarà Aceste a venir premiato: la sua freccia, infatti, una volta scoccata, si infiamma. Ciò viene interpretato come un segno degli dei. Erano stati gli dei a decidere del vincitore della prima sfida, e lo fanno anche nell’ultima. Possiamo quindi evincere una totale simmetria. La differenza sta nel fatto che mentre nella prima gara vince un giovane (Cloanto), nell’ultima vince un vecchio (Aceste).

Successivamente in Virgilio leggiamo dell’esibizione di Ascanio e degli altri fanciulli troiani, che fanno un gioco rincorrendosi con i cavalli. Viene menzionata Albalonga, e come questo gioco diventerà una tradizione a Roma.

In seguito Giunone manda Iris in Sicilia, al fine di ostacolare Enea. Iris si tramuta in Beroe, una vecchia troiana, e si reca dalle donne troiane, che stanno piangendo nei pressi delle barche per la morte di Anchise. Iris le aizza contro i troiani che le sballottano in mare già da sette anni, e le incita a bruciare le barche per rimanere lì in Sicilia. Dapprima le troiane sono titubanti, poi, riconosciute in Borea le sembianze di una dea, recepiscono il segno divino e danno fuoco alle barche.

Il primo ad accorgersene è Ascanio, poi tutti gli altri che per lo spavento iniziano a fuggire. Enea allora si rivolge a Giove chiedendo il suo intervento, e il dio interviene provocando una possente pioggia che spegne l’incendio. Solo quattro barche vengono totalmente distrutte. Enea si interroga sul da farsi. In suo aiuto interviene Neute, che consiglia ad Enea di abbandonare la Sicilia, lasciandovi gli anziani e le giovani madri, fondando per loro la città di Acesta, e portando con sé i giovani più valorosi. Enea è ancora indeciso ma, durante la notte, il padre Anchise gli appare nel sonno, e gli dice di recarsi dalla Sibilla Cumana che lo condurrà negli inferi proprio da lui, e lì dovrà rendere omaggio a Plutone. Enea, al mattino, si adopera per adempiere al volere del padre, e segue il consiglio del vecchio Neute. Dopo nove giorni di banchetti e feste per onorare gli dei, Enea lascia la Sicilia.

Infine Venere si reca da Nettuno per chiedergli di aiutare Enea nel suo viaggio verso l’Italia. Nettuno le assicura che il viaggio sarà tranquillo, fatta eccezione per la morte di uno solo. Si tratta di Palinuro, il timoniere, che durante la notte cade vittima di un sonno voluto dagli dei, e finisce in mare annegando.

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Passiamo ora all’analisi della seconda parte dell’Eneide kotljarevs’kyjana.

Sommariamente questa parte segue quasi fedelmente il quinto libro di Virgilio. Tuttavia vi sono numerosi episodi che mancano all’appello, e altri che invece sono stati aggiunti. Infatti, di tute le gare organizzate per la commemorazione di Anchise narrate nell’opera virgiliana, ne rimane solo lo scontro tra Darete ed Entello, e nulla si dice a proposito della fondazione di Acesta o del gioco di Ascanio e dei fanciulli. Tuttavia viene aggiunta, ad esempio, la danza degli orsi, tipica invece della tradizione moscovita. In questa seconda parte c’è inoltre un ampio spazio dedicato agli dei, che discutono a proposito della sfida tra Darete ed Entello. Quest’ultimo non risulta essere l’allievo di Erice, e non è nemmeno Aceste a chiamarlo in causa. Neute, che consiglia ad Enea di abbandonare la Sicilia, diventa Ochrim, mentre Palinuro, il timoniere, cambia le sue generalità in Taras. Ma procediamo in ordine.

Come per Virgilio, in questa parte possiamo individuare due episodi principali: la commemorazione di Anchise e l’incendio delle barche.

Tuttavia tali episodi acquistano un significato totalmente differente. La commemorazione di Anchise diventa un pretesto per banchettare; non si assiste a nessuno scontro generazionale, né tanto meno a manifestazioni di bontà da parte del “pius Enea”. Non appena incontra Aceste, infatti, il nostro Enea comincia a mangiare e a bere.

Aceste offrì ospitalità Ad Enea, come ad un fratello.

E, dopo averlo accompagnato subito in casa, Gli versò della vodka,

Per merenda presero del lardo

E lì intorno non mancavano di certo salami, Divorò anche il pane setacciato.

A tutti i troiani diedero del gallo E si ritirarono negli alloggi; Andarono dove capitava.

Parte Seconda, strofa 7

La commemorazione perde totalmente il suo significato originario, e possiamo notare ciò già dal principio del banchetto. Enea si ubriaca velocemente, e incita al bere tutti i suoi compagni, troiani e siciliani:

La casa si affollò di poveracci Non appena cominciò a far giorno.

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Bevvero birra come porci, E così passarono alla vodka; I troiani si riempirono di schiuma, E i siciliani non si tiravano certo indietro, Bevvero bene e con entusiasmo.

Ma colui che bevve vodka più di tutti, colui che tracannò in una volta tre mezzi etti, Quello fu il nostro caro fratello Enea.

Parte Seconda, strofa 18

Anche la causa del decesso di Anchise è piuttosto anomala: Enea, infatti, ci racconta che la vodka gli aveva corroso le viscere, e che era morto per aver bevuto troppo. In Virgilio il banchetto non occupa molti versi, che invece vengono assegnati alle sfide. Sappiamo che esso dura nove giorni, e in altri quattro versi c’è un lieve accenno ad esso:

Nec non et socii, quae cuique est copia, laeti Dona ferunt, onerant aras mactantque iuvencos, Ordine aena locant alii fusique per herbam Subiciunt veribus prunai et viscera torrent.4

Libro Quinto, versi 100 – 104

In Kotljarevs’kyj esso viene descritto nei minimi particolari e le pietanze sono piuttosto locali. Il pranzo è preparato da tutti, per gli anziani e per i poveri, ma ad esso può partecipare chiunque. Esso dura due giorni, più uno di preparazione. Ma in realtà tale banchetto non è tanto organizzato per i siciliani poveri (che sono costretti a mangiare per di più per le strade), e nemmeno per commemorare Anchise. Il banchetto è organizzato proprio per il gusto di banchettare, per i vivi che si godono la vita; non per i meritevoli, ma per i peccatori, per coloro che vogliono trarne piacere fisico e carnale.

Il giorno dopo si svegliarono presto, Ravvivarono il fuoco all’entrata E riempirono i piatti di carne, Cossero e arrostirono il cibo.

Il brodo bolliva in cinque pentole di rame, E nella quarta vi era della galuška,

4 “I suoi compagni, a piacimento, portano lieti i doni, li sistemano sopra gli altari e immolano giovenchi, altri,

invece, dispongono allineati recipienti di bronzo oppure, sparsi in mezzo all’erba, gettano le braci sotto gli spiedi e cuciono le carni”. Traduzione di Mario Scaffidi Abbate;

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Tutta la sesta esalava odore di boršč; Vennero cucinate pecore in gran quantità, Galli, oche, anatre cotte al forno,

Tali da riuscire a sfamare tutti. Vi erano secchi di vodka E botti piene di birra;

Versarono tutto il cibo nelle scodelle E diedero i cucchiai a tutti.

Si strinsero come “per tutti i santi”, Enea pianse lacrime amare, E tutti si misero a mangiare.

Mangiarono e si ubriacarono così tanto, Che qualcuno addirittura si imbrattò… E poi cominciarono a pregare.

Parte Seconda, strofe 13 e 14

Il banchetto perde la sua ritualità, il suo lato religioso; di rituale ci sono solamente i cibi e le bevande tipici del mondo ucraino. E non c’è nemmeno l’intento di offrire dei doni agli dei; si perde il lato spirituale per dare spazio a quello fisico5.

Analizzando ulteriormente l’episodio del banchetto, potremmo domandarci: è un banchetto cristiano o pagano? E’ un mondo che appartiene alla religiosità pagana (come in Virgilio), o a questo punto si riferisce semplicemente a quella cristiano-ortodossa? Nessuna delle due sembra risultare una risposta convincente. L’universo descritto è unicamente quello ucraino. Tuttavia nell’Eneide di Kotljarevs’kyj compare comunque un aspetto religioso, anche se non facilmente classificabile: ad esempio gli dei hanno a volte nomi latini, a volte greci. Kotljarevs’kyj era eclettico da questo punto di vista, nonché molto informato a riguardo; egli stesso insegnò teologia all’istituto per i figli dei nobili impoveriti. Anche in questo caso il suo intento era quello di ironizzare, riferendosi agli ucraini e al loro reale rapporto con la religione, ovviamente esagerandolo un po’.

Kotljarevs’kyj narra degli ucraini veraci, di personaggi che pur possedendo nomi altisonanti, perdono la propria importanza e si fanno marginali. E non mi riferisco unicamente ad Enea e ai suoi troiani, ma proprio agli dei, i rappresentanti della religiosità, che perdono la propria identità (non importa infatti come li si chiami), ma diventano ucraini a tutti gli effetti; e in quanto tali, le loro personalità vengono satirizzate e

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rappresentate come dedite al bere, al mangiare, e in questo caso, a banchettare. Non vi sono personaggi di spicco, ma sono tutti eroi marginali.

Il banchetto di Enea, dei troiani e dei siciliani, si intreccia con quello degli dei. Nell’Eneide kotljarevs’kyjana, tutti mangiano e devono, sono tutti partecipi, anche gli spettatori; quegli spettatori che assistono allo scontro tra Darete ed Entello. Entello, però, non è l’anziano allievo di Erice, ma un ubriacone come gli altri. Absest (da notare l’assonanza con Aceste) infatti, lo trova addormentato in mezzo ai boschi, completamente ubriaco.

Non ci troviamo di fronte ad uno scontro tra vecchia e nuova generazione (che in Virgilio, come abbiamo visto, aveva caratterizzato tutte le gare), ma ad una rissa provocata da un ubriaco nei confronti di uno più ubriaco di lui. Possiamo poi notare che Venere, banchettando nei cieli con gli altri dei, parteggia per Darete, per un motivo che Kotljarevs’kyj non ci spiega, ma che invece è possibile evincere dall’Eneide virgiliana: Darete era un troiano, mentre Entello un siciliano. In Kotljarevs’kyj, però, tutta questa scena viene aggiunta: dopo che Venere prega Giove affinché faccia vincere il suo pupillo, interviene Bacco a favore di Entello, che giustifica la sua preferenza affermando di non essere disposto a perdere un così fedele amante del vino. Comincia un battibecco tra Venere e Bacco, messo poi a tacere dal “superpartes” Giove, che invita i banchettanti a godersi lo spettacolo.

Zeus sentì tutto il discorso, Raccolse tutte le forze,

essendosi gonfiato per la vodka E gridò a gran voce:

<<Tacete, per cosa fate capricci? Volete che vi dimostri la mia forza? Vi punirò all’istante!

Non immischiatevi nella lotta a pugni, Ma aspettatene tranquillamente la fine, Vedremo insieme chi vincerà>>.

Parte Seconda, strofa 35

Lo svolgimento del combattimento è pressoché il medesimo che in Virgilio, e si conclude con la vittoria di Entello.

Abbiamo poi l’episodio dell’incendio, il secondo all’interno del poema, dopo quello appiccato da Didone. A provocarlo sono ancora una volta delle donne. Le vicende descritte dai due autori presentano analogie e differenze. In entrambi i casi Giunone manda Iris ad

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ostacolare i troiani, e quest’ultima si trasforma poi nella vecchia Beroe. Nell’Eneide virgiliana le donne troiane piangono per la morte di Anchise, aggravata dai lamenti per il loro continuo vagare. Nell’Eneide kotljarevs’kyjana, esse si lamentano di essere state trascurate dai propri uomini, che invece se la spassano mangiando e bevendo con le altre donne del luogo (c’è sempre il riferimento al “banchettare”). Addirittura Iris si presenta alle troiane con una torta, per corromperle più facilmente. Inoltre da esse non verrà riconosciuta come dea, mentre abbiamo notato come in Virgilio il riconoscimento sancisce la decisione di provocare l’incendio, decisione proprio avvalorata dalla necessità di adempiere al volere degli dei.

In Kotljarevs’kyj Iris fa un discorso che ci rimanda un po’ a quello di Didone:

Disse: <<Che dio vi aiuti, fanciulle! Perché vi rattristate così?

Non vi siete ancora stancate di star sedute? Guardate come si divertono gli uomini! Ci hanno abbindolate come se fossimo pazze, E ci hanno trascinate per mare per sette anni! Vi deridono come vogliono.

Si divertono con donne straniere, E per giunta fervono per loro. Si può vivere così?

Parte Seconda, strofa 46

E ne sembra quasi un proseguimento, è come un voler adempiere alla sua maledizione. Successivamente assistiamo all’appello di Enea: in Virgilio egli si rivolge a Giove, che lo aiuti a spegnere l’incendio. E così effettivamente accade.

In Kotljarevs’kyj egli comincia ad insultare tutti gli dei dell’Olimpo, cominciando da Zeus, e proseguendo con Nettuno, Plutone e Venere, maledicendo tutta la sua allegra famigliola. Non sappiamo chi ascolta la sua preghiera, viste le condizioni in cui abbiamo lasciato gli dei nell’ultima scena che gli ha visti protagonisti, ubriachi senza ritegno. Probabilmente sarebbe più plausibile attribuire la pioggia torrenziale ad un evento ambientale casuale, non provocato da alcun dio.

Ciò colpisce inaspettatamente Enea, il quale non si aspetta affatto che un suo desiderio venga soddisfatto così facilmente. Così, quando si rende conto che l’incendio è stato domato, convoca tutti i suoi compagni, ché lo aiutino a formulare, cavalcando l’onda della benevolenza divina, un’ulteriore richiesta da rivolgere agli dei.

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Neute interviene in soccorso di Enea, ma in Kotljarevs’kyj assume il nome di Ochrim:

Tutti lo soprannominavano Neute, Per noi si chiamerà Ochrim. Così almeno mi hanno detto in giro, E io stesso lo incontrai.

Vedendo che Enea era triste, Si avvicinò subito a lui,

Strinse fortemente la sua bianca mano, E lo condusse dritto all’antiporta, E inginocchiatosi con un inchino Gli fece questo discorso:

Parte Seconda, strofa 61

In questa strofa possiamo notare un intervento dell’autore, il suo inserimento all’interno del poema come ucraino fra gli ucraini, espediente che ha il potere di coinvolgere maggiormente il lettore all’interno della lettura del poema. Una situazione simile si era verificata anche nella strofa 18, già precedentemente menzionata6.

Successivamente Enea si addormenta (in Kotljarevs’kyj a causa della solita sbornia) e in sogno gli compare Anchise, che gli suggerisce di recarsi negli inferi per portare omaggio a Plutone, che gli indicherà la strada per Roma.

All’apparizione del padre Anchise, succede l’immagine della madre Venere che chiede quindi a Nettuno di guidare Enea nel suo viaggio.

Questi due episodi rimangono sostanzialmente fedeli a come vengono narrati in Virgilio. L’ultimo episodio è quello della morte di Palinuro, che in Kotljarevs’kyj diventa Taras, il timoniere che perde la vita non per volere di Nettuno (come invece accade in Virgilio), ma perché troppo ubriaco.

E sono appunto i vizi i protagonisti di questa parte dell’Eneide, i vizi che caratterizzano gli esseri umani, e che in particolar modo connotano ironicamente gli ucraini di fine Settecento: dal mangiare al bere, all’adulterio, che subiscono già un tentativo di punizione rappresentato dall’incendio delle barche ad opera delle donne troiane.

E questi vizi verranno poi adeguatamente puniti anche nella parte successiva del poema. Passando dalla lettura della prima parte a quella della seconda, possiamo notare una più numerosa presenza di elementi che caratterizzano l’universo ucraino. Le pietanze che

6“ Ma colui che beveva più di tutti, che tracannava in una volta tre mezzi etti, quello era il nostro caro fratello

Enea.” Da questi pochi versi si evince il tentativo dell’autore di convogliare in un contesto unico se stesso, i personaggi del poema e il lettore stesso, che probabilmente si trovano a condividere le stesse abitudini;

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compaiono sulle tavole imbandite non sono certo greche o siciliane, ma sicuramente di matrice slava (e questo fattore lo avevamo già incontrato nel banchetto organizzato da Didone nella prima parte); Venere si reca da Nettuno con il suo carro, peggio del capo di una centuria cosacca; Entello appare agli occhi di Darete come un cosacco del Mar Nero7; ma sono soprattutto Ochrim (alias Neute nell’originale virigiliano) e Taras (Palinuro) i personaggi che colorano il poema di popolare, di familiare per il lettore ucraino, a cui poteva quindi addirittura capitare di ritrovare il proprio nome in un poema “epico”.

3. Parte Terza

L’inferno – un fuoco inestinguibile.

Il fuoco – elemento costante dell’opera; è il fuoco che attanaglia Troia nel momento in cui Enea l’abbandona, è il fuoco che Didone sceglie per togliersi la vita. Al fuoco si affiancano altri due elementi: l’acqua, che accompagna Enea in tutto il suo viaggio, e la terra, quella su cui Enea vuole metter radici e dare vita alla sua stirpe. Questa parte è dedicata interamente al fuoco.

Siamo al VI libro dell’Eneide virgiliana.

Il VI libro dell’Eneide costituisce lo spartiacque tra la prima parte del poema, dedicata al racconto delle peripezie di Enea, e la seconda, incentrata sulle guerre condotte nel Lazio dall’eroe troiano per fondare una nuova stirpe, secondo la profezia troiana ascoltata dal padre proprio alla fine del libro V.

Approdato a Cuma e udita la profezia della Sibilla, Enea si accinge, insieme ad essa, ad entrare negli inferi per incontrare lo spirito del padre, che gli indicherà i grandi personaggi della futura Roma, in un passo esemplificativo dell’intento celebrativo del poema.

La narrazione è preceduta dalla classica invocazione agli dei; qui, però, il poeta si rivolge agli dei infernali (Plutone e Proserpina), alle ombre dei morti, a Caos e a Flegetonte e ai luoghi stessi.

Abbiamo poi un esempio di letteratura catalogica, che risponde ad una tendenza tipica dei Romani alla parata e rivela l’esperienza alessandrino-neoterica di Virgilio. Qui, però, non sono enumerati, come in occasione dell’incontro con Anchise, eroi o illustri personaggi, ma le prime orrende figure che abitano il vestibolo: rappresentano le personificazioni dei mali naturali e morali che tormentano l’umanità. La rassegna prosegue poi con i veri e

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propri monstra, ibridazioni di diverse bestie. Virgilio vi inserisce le Scille, donne-pesce, il gigante Briareo dalle cento braccia, la belva di Lerna, sorella di Cerbero, la Chimera, le Gorgoni, le Arpie e Gerione, mostri che rompono il silenzio, preparando quello che sarà il vero e proprio paesaggio infernale.

Solo a questo punto Enea viene nominato perché Virgilio interrompe la descrizione per riportare lo sguardo dell’eroe a descriverne la reazione di fronte a tale fitta nube di mostri. Dal verso 295 prosegue il cammino verso le sponde dell’Acheronte. Sullo sfondo di un paesaggio primordiale di acque fangose e ribollenti, appare la figura più viva di questo brano, Caronte, a cui è dedicata la più lunga sequenza descrittiva (vv.298-304):

Portitor has horrendus aquas et fulmina servat terribili squalore Charon, cui plurima mento canities inculta iacet, stant lumina flamma, sordidus ex umeris nodo dependet amictus. Ipse ratem conto subigit velisque ministrat et ferruginea subvectat corpora cumba, iam senior, sed cruda deo viridisque senctus.8

La descrizione del personaggio è incentrata su due elementi, la ruvidezza e la sporcizia, e sulla caratterizzazione fisiognomica: la barba incolta e lo sporco mantello da marinaio precisano il senso di quell’horrendus e di squallore. Solo al verso 302 il poeta lo “umanizza” rappresentandolo, quasi con stupore, dato l’aspetto fisico, nell’atto di governare la barca, qui definita ratis, come a completare il quadro di squallore: è comunque una vera e propria imbarcazione dotata di pertica e di vele, ma ferruginea. Tuttavia Caronte mantiene la possanza che solo gli dei posseggono, quella che incute timore a chiunque gli rivolga uno sguardo. In questo paesaggio monocromo, grigio e opaco, spicca dunque una sola luce, un solo, infernale colore: il rosso, quello delle bende insanguinate della Discordia, delle fiamme della Chimera e degli occhi di Caronte. Il colore del fuoco e dell’inferno.

Successivamente l’inquadratura si sposta sulla turba delle anime degli insepolti che attendono sulle sponde dell’Acheronte di essere traghettati sull’altra sponda. Tra questi Enea riconosce Palinuro, con cui comincia una conversazione. Poi viene trasportato, grazie

8 “Traghettatore orribile e custode di questo fiume, minaccioso e lercio, è Caronte: dal mento gli discende

una candida barba incolta e lunga, sembrano gli occhi due carboni accesi, porta un mantello sudicio, annodato sopra le spalle. Con un remo spinge, da solo, la sua zattera, guidandola con le vele, e con quella rugginosa imbarcazione trasporta le ombre; è molto vecchio, ormai, ma salda e forte è la vecchiezza in lui, come in un dio”. Traduzione di Mario Scaffidi Abbate;

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all’intervento della Sibilla, sull’altra riva del fiume. A ciò si susseguono le immagini di diverse anime che scontano le loro pene, tra cui ritroviamo la stessa Didone, a cui Enea rivolge delle umili parole, che però trovano risposta solo nell’indifferenza della donna. L’ultimo episodio è quello che coinvolge Enea e il padre Anchise; in questi versi Anchise rivela al figlio tutti i nomi e i destini della sua progenie, destinata a governare Roma e a fondare un grande impero.

Cosa accade nell’Eneide di Kotljarevs’kyj?

Uno dei primi particolari che ci colpisce è che, giunti a riva, i troiani-cosacchi cominciano ad intonare interessanti “canzoncine”, e alcuni divertenti motti moscoviti:

I rematori posarono i remi, Per la noia fumavano le pipe E intonavano canzoncine: Conoscevano canzoni cosacche,

Alcune belle zaporoghe, ma inventavano Anche divertenti motti moscoviti.

Parte Terza, Strofa 2

Perché l’autore inserisce questo particolare? Forse per sottolineare che gli ucraini, o alcuni di essi, conoscevano anche la lingua russa? Può darsi. Non manca nemmeno il riferimento storico nella strofa 3, in cui si accenna alla guerra russo-turca (1787-1791) e a diversi altri avvenimenti:

Cantavano della Sagajdač,

Cantilenavano continuamente sulla Sič, Di come si erano arruolati nei pikineri, Così il cosacco viaggiava tutta la notte; E della vittoria di Poltava contro gli svedesi, Di come una madre saluta suo figlio Davanti alla porta prima della partenza; Di come combattemmo sotto Bender, Di come morimmo senza galuški,

E di come tempo fa ci fu un anno freddo…

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In questa strofa Kotljarevs’kyj vuole introdurre un quadro storico ucraino, in modo che il lettore non abbia più alcun dubbio sull’identità ucraina dei personaggi presenti nel poema. I troiani-ucraini sono appena giunti in una nuova terra, e la loro prima azione è quella di bere, giocare a carte, cantare.

Anche l’immagine della Sibilla cambia quasi totalmente rispetto a quella virgiliana: ci troviamo ora di fronte ad una vecchina curva, gobba, secca, ammuffita, piena di cicatrici, canuta, butterata, sdentata, strabica, con il seno e il capo scoperti, e piena di bernoccoli. Una vera e propria baba jaga. Anche in questo caso abbiamo riferimenti alla storia ucraina:

<<Io sono la Sibilla Cumana, Ero la moglie del custode di Febo Che ho servito nel suo tempio, Io vivo da tempo sulla terra!

Durante il governo svedese ero una ragazzina, E una fanciulla sotto i tartari,

Ed ero già sposata;

Ho assistito all’invasione dei saraceni; E mi ricordo di quando ci fu il terremoto, Sussultai tutta, è difficile da descrivere.

Parte Terza, strofa 15

Ci troviamo qui di fronte ad una sostanziale differenza. In Virgilio vi era un notevole rispetto e totale fiducia nei confronti degli dei, venerati ed ascoltati senza nessuna obiezione; in Kotljarevs’kyj assistiamo ad un Enea irrispettoso e sfiduciato rispetto a Febo, e il disprezzo è totale nei confronti della jaga Sibilla:

Enea si intristì, finì di ascoltare Ciò su cui farneticava la Sibilla, Si strinse la testa tra le mani, Ma non aveva capito nulla:

<<Tu non mi inganni neanche un po’!

Non capisco il ragionamento, cosa mi hai predetto, – Disse Enea alla Sibilla. –

Lo sa il diavolo chi di voi mente, Per me sarebbe stato alquanto difficile Se non avessi chiesto nulla a Febo.

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Passiamo ora ad analizzare le strofe 41-42. Kotljarevs’kyj fa un esplicito riferimento a Virgilio, e si rivolge direttamente al lettore in modo da conferire un’apparenza di realismo alla sua narrazione.

E ora penso, rifletto

Su come io non sia quasi in condizione di scrivere; Non conosco affatto l’inferno,

In realtà non sono bravo a mentire; O forse, lettori, aspettate,

Calmatevi un po’, non abbiate fretta, Mi rivolgo ai lettori di una certa età, A loro si fanno domande sull’inferno E gli si chiede di raccontare,

Ciò che hanno sentito dai propri avi. Virgilio sta come un re,

Era una persona saggia,

Non importa se fece danni, come non sente, Perché lui visse tanti anni fa.

E ora l’inferno non è più come Era per il vecchio tanto tempo fa Né come scrisse il defunto;

Io proverò ad aggiungerci qualcosa, Cambierò e lascerò qualcos’altro, Scriverò ciò che ho sentito dagli avi.

Parte Terza, strofe 41-42

Ciò che stupisce è che Kotljarevs’kyj non usa Virgilio come modello a cui ispirarsi per descrivere le pene dell’inferno, ma piuttosto faccia riferimento agli avi, fonti per lui a quanto pare più attendibili in quanto contemporanee. Kotljarevs’kyj fa quindi parte di quella schiera di scrittori che usarono modelli dell’antichità per denunciare la modernità, ovvero le situazioni e le persone a lui contemporanee (e chi altri può venirci in mente se non Dante? Ma di ciò tratteremo nell’ultimo capitolo).

Ma esaminiamo la cronologia degli eventi che caratterizzano l’inferno nelle due versioni dell’Eneide.

VIRGILIO KOTLJAREVS’KYJ

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1. Il tragitto fino all’incontro con Caronte. I mostri infernali.

2. La traversata di Caronte. L’incontro con Palinuro. L’incontro con Cerbero.

1. Il tragitto fino all’incontro con Caronte.

La strada attraverso i mali che affliggono gli uomini.

2. La traversata di Caronte. L’incontro con Palinuro.

L’incontro con la bestia a tre teste di cane.

II. L’ade

1. La zona dei morti per un’infelice disgrazia. Qui si trova Minosse. 2. La zona dei morti a causa di un amore infelice.

3. L’incontro con Didone.

3.1 La zona degli eroi – l’incontro con le ombre dei caduti in guerra, tra cui ci sono numerosi troiani.

3.2 L’incontro con lo spirito di Deifobo, l’erede di Paride.

II. L’inferno

1. La zona dei dannati (uomini). 2. La zona delle dannate.

3. Zona delle anime che non sono ancora state giudicate.

3.1 L’incontro di Enea con Didone. 3.2 L’incontro con i troiani.

4. Tartaro – la zona dei peccatori. Tesifone. Radamante.

5. I campi Elisi – la zona delle anime giuste.

4. La casa reale di Plutone. 5. Dove vivono le anime giuste.

6. La valle di Anchise.

Anchise narra ad Enea il suo destino e quello dei Troiani.

6. La valle di Anchise.

La festa e il banchetto. La predizione magica.

III. L’uscita III. L’uscita

I. L’entrata

Cominciamo con l’esaminare l’entrata dell’inferno (maleodorante e sporca), dove le sorelle Drimota9 e Zivota10, insieme alla Morte, accolgono Enea e la Sibilla. Troviamo in seguito

9 Da drimota = pisolino;

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varie personificazioni degli altri mali del mondo: la peste, la guerra, il brigantaggio, il freddo, la scabbia, la febbre, e così via. Non sono presenti, come in Virgilio, mali “mitologici” (come possono essere considerate le Furie, la Discordia, i Centauri, le Scille, le Gorgoni e le Arpie); quelle riportate da Kotljarevs’kyj sono disgrazie terrene, che i lettori conoscono e che verosimilmente hanno vissuto direttamente.

C’è poi l’incontro con Caronte. A livello cronologico i due episodi combaciano. Ma ancora una volta (come era accaduto per la Sibilla), la descrizione del personaggio conferisce una connotazione “ucraina” al Caronte kotljarevs’kyjano.

Abbiamo già notato come in Virgilio Caronte venga descritto come un vecchio canuto e sporco, ma che tuttavia conserva le fattezze e le movenze di un dio; in Kotljarevs’kyj egli è come uno zingaro dalla pelle scura, che nulla ha del dio, ma piuttosto si vanta di esserlo. Successivamente Enea si imbatte in Cerbero, il cane a tre teste che sorveglia la porta dell’inferno; tale episodio è presente in entrambe le versioni (anche se in Kotljarevs’kyj non viene mai utilizzato il nome “Cerbero”, ma viene semplicemente descritta una bestia “tutta nera con tre teste di cane”), e la bestia viene domata in entrambi i casi da una focaccia lanciatagli dalla Sibilla.

II. L’inferno

Nell’inferno troviamo tutti i peccatori sottoposti a torture di ogni genere. Possiamo però notare un comune denominatore di queste pene: il fuoco, nel quale bruciano, in diverse forme, i vari dannati. Distinguiamo poi una suddivisione fra i peccatori di tipo sessuale: compaiono prima gli uomini e poi le donne.

1. I dannati (gli uomini)

a) Inizialmente troviamo i “pani”, i signori, trattati come animali da soma, indistintamente, costretti a trasportare la legna. Essi vengono trattati allo stesso modo in cui loro, da vivi, avrebbero trattato i loro servitori, con la differenza che nell’inferno essi vengono spronati dai diavoli;

b) In seguito ci sono i suicidi, coloro che non avevano apprezzato il dono della vita; c) I ricchi avari, liquefatti nell’argento fuso;

d) I bugiardi, costretti a leccare padelle infuocate con le loro lingue; e) Gli adulteri, con i loro corpi appesi ad un gancio;

f) I comandanti, che in vita si erano avvalorati della loro posizione superiore nella gerarchia sociale, e che nell’inferno vengono frustrati dai propri sottoufficiali;

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g) I pensatori e i filosofi; le loro pene riguardano l’intelletto, poiché in vita amarono fare i saccenti;

h) I vari esponenti della classe clericale, bruciano tutti nello stesso fuoco dell’ade;

i) Coloro che hanno trascurato le proprie mogli spingendole a peccare con qualcun altro; hanno cappelli con corna e bende sugli occhi;

j) I genitori negligenti che avevano mal educato i propri figli, cuociono nella pece bollente;

k) I seduttori, che avevano disonorato le ragazze vergini;

l) I mercanti truffatori, che avevano venduto mercanzia avariata;

m) Tutta una serie di altri peccatori (rompicollo, vagabondi, ruffiani ed imbroglioni, ecc.), ribolliscono tutti nel catrame infuocato. A questa massa variegata di peccatori sono dedicate tre strofe (78-79-80).

Giungiamo poi alla strofa 82, di cui si è già discusso nel Capitolo 3.2, in cui Kotljarevs’kyj si rivolge direttamente a M. Parpura, il quale aveva pubblicato la sua opera senza il suo consenso.

Analizzando questa parte dell’inferno possiamo in primis notare che Kotljarevs’kyj sceglie una certa descrizione stereotipata, non solo rispetto agli ucraini del suo tempo, ma anche rispetto agli altri poeti europei. Kotljarevs’kyj va inserito all’interno di un quadro più generale, non solo ucraino, ma appunto europeo. Possiamo parlare di stereotipi “europei” per quanto concerne la descrizione del contrappasso peccati-pene, mentre rimane il carattere di narodnost’ per quanto riguarda le classi di peccatori introdotte nel poema e soprattutto la strofa 82, in cui l’autore introduce un episodio strettamente personale. Si può perciò affermare che a livello formale Kotljarevs’kyj segue le direttive dei suoi contemporanei europei, mentre a livello contenutistico conserva un carattere prettamente personale, e di conseguenza ucraino.

2. Le dannate (le donne)

Nell’inferno virgiliano il tema femminile è legato a due episodi fondamentali: quello di Elena, Paride e Menelao, e quello di Enea e Didone.

Nell’inferno kotljarevs’kyjano vi è un’intera sezione dedicata alle donne, e in particolare ai loro peccati causati dagli uomini. I loro non sono dei veri e propri peccati, ma piuttosto reazioni alle azioni degli uomini. Tra le dannate possiamo distinguere:

a) Le farisee, religiose in pubblico ma di animo malvagio; b) Le ragazzine sgualdrine;

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c) Le giovani donne che avevano sposato degli uomini anziani, per poi ucciderli ed intascare l’eredità;

d) Le donne che avevano ingannato gli uomini con una finta bellezza derivante dal trucco; e) Le vecchie donne che avevano criticato i costumi delle giovani, che invece in gioventù

si erano divertite con i cosacchi, o non avevano saputo prendersi cura dei bambini; f) Le pettegole, le fattucchiere e le avare;

g) Le seduttrici;

h) Una serie di altre peccatrici nominate in una strofa conclusiva:

E vi erano le laiche, e le monache, Ragazzine e fanciulle,

Signore e signorine;

Avevano caffettani, mantelli, Trapunte di seta e copricapi; Erano tutte donne peccatrici

Parte Terza, strofa 93

La maggior parte dei peccati legati alle donne sono di natura sessuale. Il quadro della donna-tipo rivela un personaggio instabile, legato agli aspetti effimeri della vita. Non sono peccati correlati alla professione o ad una gerarchia sociale, ma piuttosto all’aspetto fisico e all’astuzia prettamente femminile.

E’ evidente che, in questa parte del poema, Kotljarevs’kyj vuole riferirsi agli ucraini del suo tempo e alla degradazione della società, degli individui, uomini e donne. I personaggi descritti sono tipicamente ucraini, e i lettori ucraini non potevano che identificarsi in essi. 3. Zona delle anime che non sono ancora state giudicate

Qui le anime stanno come “cavalli in un recinto”; attendono la propria sentenza e futura destinazione. Chi troviamo in questo settore?

a. I ricchi, la cui morte li aveva strappati ai soldi; b. Gli avari, che non si erano goduti la vita; c. I truffatori, che avevano aggirato la legge;

d. I saggi, che avevano usato il loro sapere per deridere gli altri; e. I buffoni e i seduttori;

f. I giudici manovratori; g. I medici incapaci; h. I donnaioli;

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i. I bellimbusti, i giocatori di carte, gli ubriaconi…;

j. I servitori che avevano sparlato e infangato i propri padroni; k. Le seduttrici, che non erano state capaci di sedurre;

l. Le vecchie streghe; m. Le padrone di casa.

Anche qui possiamo notare peccati legati alla professione, alla natura sessuale e al ruolo sociale.

3.1 L’incontro di Enea con Didone

L’episodio seguente riguarda l’incontro di Enea e Didone (già presente nell’Eneide virgiliana). Un elemento rilevante è la disposizione di questo episodio all’interno dell’inferno; in Virgilio Enea incontra Didone subito dopo essersi imbattuto in Cerbero; Didone è stata quindi già giudicata e posta nel girone delle donne suicide; in Kotljarevs’kyj Didone si trova ancora in un’area in attesa del proprio giudizio: non sappiamo se verrà mandata nell’inferno o nel paradiso; il lettore viene lasciato nell’incertezza, ed è egli stesso che ha il potere di decidere, a seconda della propria sensibilità, quale destino riservare a tale personaggio.

Enea le si avvicina, pronto a tornare con lei; ma Didone lo “manda al diavolo”.

Ancora una volta è la Sibilla a concludere l’episodio e a condurre Enea allo stadio successivo.

3.2 L’incontro con i troiani

Successivamente Enea incontra un gruppo di volti familiari: sono proprio i suoi troiani! Assistiamo alla rappresentazione di un incontro fra uomini, e non fra anime; Enea e i troiani si comportano proprio come se fossero stati sulla terra, strattonandosi e sparlando del più e del meno. Ma la Sibilla strappa Enea ai suoi commilitoni, e lo induce a proseguire.

4. La casa reale di Plutone

Abbiamo in questo caso una sostanziale differenza rispetto all’Eneide virgiliana. In quest’ultima a Plutone sono legate tutte le anime peccatrici, mentre nei campi Elisi ritroviamo le anime buone e pure; nell’inferno kotljarevs’kyjano Enea e la Sibilla, dopo

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essere entrati nel regno di Plutone, si imbattono subito in uno pseudo-paradiso, fatto di cibo e di tanto divertimento.

5. Dove vivono le anime giuste

Sono gli edifici di Plutone, dove alloggiano le anime giuste. Ma non dobbiamo aspettarci un paradiso idilliaco e puro: è un mondo prettamente ucraino, dove gli abitanti non fanno altro che mangiare, bere, giocare, danzare, cantare e urlare.

Sia in Virgilio e che in Kotljarevs’kyj, tuttavia, coloro che popolano il paradiso sono i poveri, i malati, gli storpi, quelli che non avevano goduto di alcun beneficio in vita. Ciò che colpisce Enea, è che suo padre Anchise non è né fra i peccatori né fra i giusti.

6. L’incontro con Anchise

“Egli vive dove gli pare!”, gli risponde la jaga, essendo Anchise imparentato con gli dei. Enea ed Anchise si incontrano, ed assistiamo ad una vera e propria festa, come quelle per il ritorno di un “figliol prodigo”. Successivamente Anchise, grazie ad un autentico rito magico, fa predire il futuro di suo figlio, predizione del tutto insoddisfacente rispetto a quella che possiamo leggere in Virgilio. Il sesto capitolo dell’Eneide virgiliana era infatti finalizzato a decantare la mitica progenie di Enea, da cui sarebbero discesi gli stessi romani. Lo scopo della terza parte dell’Eneide di Kotljarevs’kyj è invece quello di mettere in luce le abitudini della società ucraina, con i suoi vizi e la sua degradazione. Interessa poco l’episodio di Anchise, al quale sono dedicate pochissime strofe (129-140) prive di un reale significato contenutistico.

III. L’uscita

Successivamente Enea e la Sibilla abbandonano immediatamente l’inferno e raggiungono i troiani, trovandoli addormentati. Enea si unisce a loro, immergendosi nel sonno. L’impressione è che tutto l’episodio si tramuti in un sogno dettato dai fumi dell’alcol e che, dopo il risveglio, tutto verrà dimenticato.

4. Parte Quarta

La quarta parte dell’Eneide di Kotljarevs’kyj corrisponde al settimo libro di quella virgiliana. Abbiamo già notato quanto spesso Kotljarevs’kyj segua cronologicamente i libri

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dell’Eneide di Virgilio, a volte cambiando l’ordine degli eventi per ragioni contenutistiche (come era accaduto ad esempio per l’incontro di Enea e Didone nella terza parte).

A questo punto della storia in entrambe le versioni Enea è appena uscito dall’inferno e si accinge a partire verso le coste italiche.

Possiamo suddividere il settimo libro dell’Eneide di Virgilio e la terza parte dell’Eneide kotljarevs’kyjana in otto episodi fondamentali.

Il VII libro dell’Eneide virgiliana:

I. La navigazione notturna. L’isola di Circe

Il libro settimo comincia con l’invocazione a Gaeta, vecchia nutrice di Enea, che diede il nome ad una città d’”Esperia”. I troiani, approfittando del vento favorevole e del mare calmo, navigano sotto la luce della luna. Vanno rasente le spiagge dell’isola della maga Circe, da cui si odono versi lamentosi di diversi animali11. Il dio Nettuno fa sì che le barche troiane si allontanino da quelle sponde verso acque più tranquille.

Sul far del giorno il vento cessa completamente, ed Enea vede in lontananza un bosco solcato dal fiume Tevere. E’ quindi giunto alle coste italiche.

II. Il riferimento alla Musa

Vi è ora il riferimento alla Musa Erato12.

Nunc age, qui reges, Erato, quae tempora rerum, qui Latio antiquo fuerit status…

…Tu vatem, tu diva, mone13.

Libro Settimo, versi 37-41

La necessità della nuova invocazione si spiega per il diverso carattere della seconda parte del poema, che è di argomento più propriamente epico, mentre la prima, come si è visto, tratta delle peregrinazioni di Enea e delle varie soste durante il lungo cammino.

III. Il re Latino e la profezia

Segue la descrizione riguardante il re Latino che popola, con i suoi sudditi, le terre del Lazio. Egli era figlio di Marice e di Fauno, nato da Pico e questi a sua volta da Saturno. Il

11 La maga Circe, infatti, trasformava tutti i visitatori della sua isola in animali;

12 Era la musa che presiedeva alla poesia lirica e amorosa, ma in questo caso indica la Musa in genere; 13 “Erato, adesso parlerò del Lazio qual era anticamente… Soccorri, o dea, la mia vena poetica”. Traduzione

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re non aveva figli maschi, e l’unica figlia, Lavinia, era già stata chiesta in matrimonio da molti principi italici, fra i quali Turno, il principe favorito dalla regina madre Amata. Ma paurosi prodigi divini sembravano opporsi a questi disegni. Infatti un vecchio lauro consacrato a Febo, che sorgeva nella parte interna della reggia, era stato invaso un giorno da un foltissimo sciame d’api, e gli indovini avevano interpretato il fatto come preannuncio dell’arrivo di un popolo straniero che avrebbe dominato il regno.

Un altro giorno, mentre il re compiva un sacrificio, la lunga chioma della figlia Lavinia sembrò ad un tratto accendersi d’innocua fiamma e riempire di vivi bagliori tutta la reggia. Gli indovini, interpellati, risposero che il prodigio presagiva fama e gloria per Lavinia, ma funesta guerra al regno.

Il re si era quindi volto ad interrogare l’oracolo del padre Fauno, al quale si volgevano allora tutti i popoli italici, e da questo era stato esplicitamente avvertito di non dare la figlia ad un uomo latino, perché il destino aveva già scelto per lui un genero che sarebbe venuto da lontano, e per il quale un giorno la loro stirpe avrebbe regnato su tutto il mondo.

Già la fama aveva sparso ovunque questa notizia, quando i troiani approdano sulla riva del Tevere.

IV. Il primo banchetto dei troiani in terra latina

Appena sbarcato, Enea si accinge con Julo e i primi dei suoi ad un modesto banchetto, durante il quale ognuno pone il poco cibo di cui dispone su una esile focaccia. Ma ben presto, essendo stato il cibo insufficiente per vincere la fame, cominciano a divorare anche quelle. Allora Julo scherzosamente esclama: <<Oh, mangiamo anche le mense!>>. La frase di Julo ricorda ad Enea una vecchia profezia del padre, che lo aveva avvertito di porre la sua sede nel luogo in cui un giorno, per fame, avrebbe divorato le stesse mense, perché quella sarebbe stata la terra promessa dal Fato e tanto a lungo cercata.

Avuta in questo modo inaspettato la certezza della fine delle sue peregrinazioni, Enea saluta commosso la divinità del luogo e la terra a lui dovuta dal Destino, e invoca Giove, che tre volte tuona <<dove sereno l’etere splendeva>>.

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Subito la lieta notizia si sparge fra le schiere dei troiani che, il giorno dopo, ai primi albori, si avviano in ogni direzione per esplorare quei luoghi, mentre Enea invia cento oratori al re per chiedere pace e ospitalità.

Gli ambasciatori, giunti davanti alle mura di Laurento, vengono benevolmente accolti dal re Latino, che li prega di accettare l’amichevole accoglienza della sua gente, e ricorda loro che il capostipite dei Teucri, Dardano, era originario di quelle antiche terre del Lazio. Ilioneo14 risponde che essi, giunti da un regno distrutto da una guerra ormai famosa in tutto il mondo, cercano ora una piccola sede, e un lido, l’aria, l’acqua, che a nessuno si nega, in cui poter continuare la loro vita in quei luoghi dove essi, discendenti di Dardano, sono tornati per espressa volontà degli Dei. In seguito, assicurandolo che la nuova gente non sarà di disonore al suo regno, gli porge ricchi doni, gli ultimi della fortuna d’Ilio.

Ma il re Latino, assorto nei suoi pensieri e nel ricordo dell’oracolo del padre, già da tempo non segue le parole di Ilioneo. Infine risponde promettendo ai troiani una sede definitiva come essi desideravano e rivelando i prodigi e l’interpretazione data dagli indovini; perciò si dispone favorevole ad accogliere Enea non solo come ospite, ma anche come genero. VI. L’ira di Giunone e la scelleratezza di Aletto

Intanto Giunone, visti i troiani ormai fuori dai pericoli del mare nella tranquilla sede assegnata dal Fato, più che mai furente cerca almeno di protrarre con gli orrori della guerra gli inevitabili eventi contrari ai suoi disegni; si volge quindi a chiedere aiuto alla furia Aletto, orribile mostro infernale capace di assumere qualsiasi aspetto e di spargere ovunque i semi dell’odio e della discordia.

La prima e più facile vittima del mostro è Amata, già tutta accesa di rancori per la decisione del re, contro la quale Aletto avventa un serpente che, strisciando inavvertito per le sue membra, le infonde il suo spirito viperino. Allora la regina, dopo aver umilmente supplicato il re di non dare la figlia ad uno straniero sconosciuto, fugge con la figlia nei vicini boschi, gridando di volerla consacrare a Bacco e incitando le donne di Laurento a seguirla per difendere la loro regina e i diritti materni.

La seconda vittima è Turno, fidanzato di Lavinia, al quale il mostro si presenta in sogno sotto l’aspetto di Càlibe, sacerdotessa del tempio di Giunone, per incitarlo a difendere i suoi diritti su Lavinia e quindi sul regno del Lazio, che egli si è già guadagnato offrendo tante volte il suo braccio e le sue forze per difenderlo dai nemici. Ma Turno, sicuro di sé e degli eventi, mostra di non credere di poter perdere tanto, e schernisce la vecchia

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ingiungendole di badare al tempio, insinuando anzi che l’età e le sue condizioni non sono le più adatte per capire qualcosa di guerre e di re. A quelle parole il furore di Aletto scoppia improvviso e, ammutolito il giovane rivelandosi nel suo vero aspetto, gli conficca nel petto una fiaccola accesa. Un sudore freddo sveglia allora Turno che cerca subito le armi, comanda ai suoi di prepararsi alla guerra e manda messi a Latino per rompere la pace.

Terza vittima del mostro è un cervo addomesticato particolarmente caro a Silvia, figlia di Tirro, custode degli armenti reali. Mentre Ascanio con alcuni troiani percorre i boschi circostanti in cerca di selvaggina, Aletto fa sì che i suoi cani scovino proprio questo cervo, così che Julo lo colpisce con un dardo, ferendolo soltanto. Ciò basta a scatenare l’ira dei pastori che corrono a difendere il cervo di Silvia; Aletto suona l’allarme di guerra e altri pastori e altri troiani giungono sul luogo. La lite si tramuta subito in battaglia e già muoiono i primi uomini: Almone, figlio maggiore di Tirro, e il vecchio Galeso che si era interposto per calmare gli animi.

Aletto torna soddisfatta da Giunone che la congeda subito, poiché sa che Giove non vuole che la furia trascorra troppo tempo sulla terra.

VII. La preparazione alla guerra

Giunone spinge quindi i pastori, coi morti sulle braccia, a chiedere vendetta al re Latino. Ma il re resta fermo nel suo proposito; e quando infine non può nulla contro la follia di tutto il popolo, abbandona le redini del regno. Tuttavia rifiuta di aprire le porte del tempio di Giano, senza il quale rito la guerra non poteva essere dichiarata. Ma a questo provvede la stessa Giunone, così che in breve tutta l’Italia arde e freme all’orribile suono delle armi. VIII. La riunione dei comandanti

Al rapido diffondersi della notizia che annuncia l’arrivo dei troiani e la guerra già in atto nel cuore dell’Italia, segue l’accorrere dei principi e dei re italici da tutti i monti circostanti a capo delle loro genti.

Entrano per primi in guerra l’etrusco Mezenzio, feroce tiranno di Agilla già da tempo cacciato in esilio per la sua crudeltà, e il suo giovane figlio Lauso. Segue Aventino, figlio di Ercole, a capo di una turba di uomini armati di picche, dardi, daghe. Da Tivoli giungono Catillo e Cora, che avanzano giganteschi fra i boschi dell’Otri. Da Preneste viene Céculo, seguito dalla legione dei contadini di Gabi, dell’Aniene, di Anagni e dell’Amasèno. Poi vi sono Mèssapo, che guida i Fescennini, gli Equi, le popolazioni di Flavinia, del Soratte, di

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Capena e del Cimino; poi vi è Clauso, dal quale deriverà la gens Claudia, a capo dei Sabini; e ancora altri comandanti quali Alèso, Ebalo, Ufente, Umbrone e Virbio.

Chiude la rassegna la vergine Camilla, giovane e virile amazzone, abituata ad affrontare le guerre e a superare i venti nella corsa.

Il motore dell’Eneide virgiliana è il suo stesso personaggio principale: Enea. Il motore dell’Eneide kotljarevs’kyana è l’unicità della lingua.

Kotljarevs’kyj costruisce il suo poema intorno alle mille sfaccettature della lingua che ha a disposizione; è uno dei primi a farne uso, e ciò rende la sua iniziativa unica.

Anche la quarta parte dell’Eneide kotljarevs’kyana può essere suddivisa in otto episodi fondamentali. Esaminiamoli in dettaglio:

I. La tempesta. Il discorso sulle rive dell’isola di Circe

Kotljarevs’kyj dedica a questo episodio molti più versi rispetto a Virgilio (ben 60 versi, strofe 9-14). I troiani hanno appena lasciato Cuma, e dopo essersi imbattuti in una tempesta sono giunti nei pressi dell’isola di Circe. A questo punto uno di loro inizia un discorso su tale isola e sugli effetti delle magie della maga. L’isola di Circe offre a Kotljarevs’kyj il pretesto per parlare di politica, non quella dei troiani, ma quella a lui contemporanea, la situazione internazionale del XVIII-XIX secolo. I protagonisti sono i popoli, a cominciare da quello ucraino, estendendo poi il discorso alle zone circostanti (Polonia, Russia, Prussia) fino ad arrivare ai vari Paesi europei e non (Italia, Francia, Svizzera, Olanda, Spagna, Portogallo, Svezia, Danimarca, Turchia). Ogni popolo viene paragonato ad una specie animale (quella che avrebbe per loro scelto la maga Circe), ognuna con delle sue peculiarità che caratterizzano non tanto l’animale, quanto il rappresentante tipo del popolo in questione.

Ucraini Buoi Polacchi Montoni Russi Capre Prussiani Cani da caccia

Italiani Scimmie Francesi Cani Svizzeri Vermi Olandesi Rane Spagnoli Tacchini Portoghesi Talpe Svedesi Lupi Danesi Puledri Turchi Orsi

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