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CAPITOLO 2: L’ANALISI DI BILANCIO

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2:

L’ANALISI DI BILANCIO

Per fronteggiare una crisi aziendale è necessario andare ad individuarne i sintomi e le cause che li scatenano. Uno degli strumenti di diagnosi più diffusi, ed anche più contestati, è l’analisi di bilancio, che fornisce un valido ausilio soprattutto in ottica consuntiva per analisti esterni. Il bilancio d’esercizio rappresenta la sintesi delle operazioni fondamentali di gestione che caratterizzano la vita dell’azienda1.

Il quadro che si ricava dalla lettura del bilancio assume validità nella misura in cui gli andamenti passati sono rappresentativi degli andamenti attuali e prospettici dell’azienda. Di conseguenza una corretta analisi di bilancio deve essere realizzata attraverso confronti nel tempo, prendendo le situazioni contabili riferite ad almeno tre anni consecutivi, e nello spazio, confrontando la situazione contabile aziendale con i principali benchmarks di settore. Dobbiamo anche considerare che il bilancio ha una scarsa attitudine a segnalare tempestivamente situazioni di crisi: nel momento in cui il bilancio mette in evidenza un possibile sintomo di crisi, le relative cause potrebbero già attraversare fasi successive. Da ciò si deduce che l’analista dovrà utilizzare gli strumenti di interpretazione del bilancio d’esercizio non tanto per riconoscere crisi in atto, quanto per cogliere quei piccoli segnali che potrebbero anticipare un periodo di crisi2.

2.1. L’ANALISI DELLA SOLVIBILITÁ AZIENDALE

Il segnale più evidente della crisi è il manifestarsi dell’insolvenza, ovvero l’incapacità dell’azienda di far fronte ai propri impegni finanziari, che ha come conseguenze la richiesta di restituzione dei capitali concessi in prestito dai finanziatori, la chiusura delle linee di fido concesse dai fornitori con conseguente blocco dell’attività produttiva e commerciale.

Indicazioni sulla solvibilità aziendale possono essere acquisite attraverso l’analisi della liquidità e della solidità patrimoniale.

1

U. Sòstero, P.Ferrarese Analisi di Bilancio, Giuffrè, 2000. 2

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La liquidità si riconduce alla capacità di rispettare le scadenze senza rischiare di compromettere le condizioni che garantiscono l’equilibrio economico e patrimoniale; in questo caso la solvibilità dell’azienda è analizzata in un’ottica di breve periodo.

La solidità patrimoniale, invece, esprime da un lato l’adeguatezza della struttura delle fonti di finanziamento raccolte in relazione alla struttura degli impieghi, dall’altro la capacità del patrimonio aziendale di rimborsare i debiti contratti, prescindendo dal periodo di scadenza.

Liquidità e solidità patrimoniale sono variabili da considerare congiuntamente nell’analisi della solvibilità d’impresa, e possono essere analizzate entrambe attraverso la costruzione di uno stato patrimoniale finanziario.

2.1.1. LO STATO PATRIMONIALE FINANZIARIO

Lo scopo del documento patrimoniale è quello di mettere in luce le forme di finanziamento e di impiego delle risorse finanziarie acquisite dall’impresa. Oggetto di rappresentazione è il capitale d’impresa nella sua duplice veste di fonti di finanziamento ricevute, proprie o di terzi, e di impieghi effettuati, di breve e medio- lungo termine. Lo Stato Patrimoniale finanziario è un prospetto a sezioni contrapposte che evidenzia sia la provenienza delle risorse finanziarie raccolte, sia l’impiego di tali risorse in investimenti.

Le fonti di finanziamento sono classificate in funzione del tempo necessario alla loro estinzione (criterio di esigibilità), mentre gli impieghi sono classificati sulla base del tempo necessario per il loro ritorno in forma liquida (criterio di liquidabilità).

Le fonti sono classificate in tre categorie:

1. fonti non soggette a vincolo di restituzione (Capitale Netto), si riferiscono a mezzi finanziari raccolti a titolo di capitale di rischio ed autoprodotti grazie ai risultati positivi conseguiti con l’attività aziendale ed esclusi al processo di distribuzione ai soci;

Impieghi Fonti

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2. fonti esigibili nel medio- lungo periodo (passività consolidate), che si riferiscono a debiti di funzionamento e di finanziamento;

3. fonti esigibili nel breve periodo (passività correnti), anch’esse riferite a debiti di funzionamento e di finanziamento.

Per distinguere la durata del breve dal lungo periodo si utilizza un criterio convenzionale che fissa la durata del breve periodo in un esercizio gestionale (12 mesi). Saranno, quindi, debiti a breve, quelli con scadenza inferiore all’anno, mentre i debiti scadenti oltre l’esercizio saranno classificati di lungo periodo.

Riguardo alla classificazione degli impieghi, invece, il criterio di liquidabilità permette di creare due macro- classi: l’attivo fisso e l’attivo corrente, relative agli elementi patrimoniali che, con buona approssimazione, si trasformeranno in forma liquida rispettivamente nel medio- lungo o nel breve periodo.

L’attivo fisso, è composto da tre sottocategorie: le immobilizzazioni immateriali e materiali al netto dei rispettivi fondi ammortamento e le immobilizzazioni finanziarie. Nell’attivo fisso è possibile inserire altre categorie di immobilizzazioni: quelle patrimoniali, quindi investimenti non coinvolti nell’attività operativa aziendale, e quelle commerciali cioè investimenti in fattori produttivi che, per vari motivi, non avranno la possibilità di trasformarsi in liquidità entro dodici mesi, tipicamente rimanenze di materie prime o prodotti finiti temporaneamente non vendibili o utilizzabili, e crediti commerciali con scadenza superiore a dodici mesi.

L’attivo corrente viene scomposto in tre categorie:

1. disponibilità economiche, relative a rimanenze di materie prime e prodotti finiti; 2. liquidità differite, rappresentate da crediti, di natura finanziaria o operativa,

scadenti entro dodici mesi;

3. liquidità immediate, rappresentate dal denaro immediatamente disponibile. Tra le liquidità differite o immediate potranno essere inserite le attività finanziarie detenute per brevi periodi. Se queste sono smobilizzabili entro brevissimi periodi senza correre il rischio di sopportare perdite dal punto di vista economico, si inseriranno nelle liquidità immediate, altrimenti nelle differite.

La differenza tra Attivo e Passivo corrente forma il Capitale Circolante Netto (CCN), grandezza chiave per misurare le condizioni dell’equilibrio finanziario. Normalmente l’esistenza di un capitale circolante netto positivo garantisce la copertura delle esigenze di pagamento di breve periodo con il fisiologico realizzo degli impieghi correnti e

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rappresenta, dal punto di vista del reperimento delle fonti di finanziamento, una sorta di coerenza fra impieghi e fonti aventi medesima durata.

L’incidenza e la composizione dell’attivo corrente rispetto a quello immobilizzato ci consente di apprezzare il grado di elasticità e flessibilità della struttura degli impieghi, mentre l’entità del capitale di terzi rispetto a quello proprio ci consente di valutare il livello di indebitamento, quindi il grado di rischio dell’impresa rispetto alle categorie di finanziatori.

TAVOLA 1: STATO PATRIMONIALE IN FORMA FINANZIARIA

Impieghi Fonti

Cassa

Banche c/c attivo Titoli a breve termine A)Liquidità immediate

Crediti v/clienti al netto del fondo svalutazione Crediti diversi a breve termine

Ratei e risconti attivi a breve B)Liquidità differite

Rimanenze di materie prime

Rimanenze di prodotti in coso di lavorazione Rimanenze prodotti finiti

C)Rimanenze

D)ATTIVO CORRENTE (A+B+C) Partecipazioni

Titoli a lungo termine Crediti a lungo termine E)Immobilizzazioni finanziarie

Terreni e fabbricati al netto dei f.di ammortamento Impianti e macchinari al netto dei f.di ammortamento

Mobili e arredi al netto dei f.di ammortamento Altre immobilizzazioni materiali nette F)Immobilizzazioni materiali

Marchi al netto dei f.di ammortamento Brevetti al netto dei f.di ammortamento Altre immobilizzazioni immateriali nette Disaggio su prestiti

G)Immobilizzazioni immateriali

H) ATTIVO IMMOBILIZZATO (E+F+G)

Debiti v/fornitori

Debiti v/banche a breve termine Debiti tributari

Debiti diversi a breve termine Fondo garanzia prodotti

Trattamento di fine rapporto (quota a breve) Mutui passivi (quota a breve)

Ratei e risconti passivi (a breve) A)Passivo corrente

Mutui passivi (quota a lungo termine)

Trattamento di fine rapporto (quota a lungo termine)

Fondo imposte

Altri debiti a lungo termine B)Passivo consolidato MEZZI DI TERZI (A+B) Capitale sociale

Riserve

Utili di esercizi precedenti Utile d’esercizio

D) Patrimonio netto (Capitale proprio)

ATTIVO NETTO (D+H) Totale Impieghi

PASSIVO E PATRIMONIO NETTO (C+D) Totale Fonti

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L’aggregato delle passività correnti esprime l’importo dei debiti esigibili entro i dodici mesi successivi alla data di bilancio, mentre l’attivo corrente o circolante rappresenta l’importo degli investimenti che, con buona probabilità, si trasformeranno in denaro entro lo stesso periodo. L’analisi della liquidità si basa essenzialmente sul confronto tra questi due aggregati; si definisce liquida l’azienda che riesce a rimborsare le passività di breve periodo senza compromettere le future condizioni di equilibrio patrimoniale ed economico (logica del going concern).

La liquidità, quindi, dipende essenzialmente da due fattori:

− una equilibrata struttura finanziaria (equilibrio fonti/impieghi); − un veloce ritorno del capitale investito.

Gli indicatori che andremo ad esaminare sono: − il quoziente di disponibilità o current ratio; − l’indice di liquidità o quick ratio;

− il capitale circolante netto; − il margine di tesoreria;

− gli indici di copertura del fabbisogno finanziario.

2.2.1. CURRENT RATIO E QUICK RATIO

L’analisi della liquidità si realizza confrontando, per prima cosa l’attivo circolante con il passivo corrente:

Quoziente di disponibilità = Attivo Circolante Passivo Corrente

Rappresenta la capacità di far fronte agli impegni finanziari a breve termine (Passivo corrente) con le risorse della gestione corrente (attivo circolante)3.

Valori guida: < 2 Situazione ottimale

1,5 < Qd < 2 Stabilità finanziaria 1 < Qd < 1,5 Tenere sotto controllo

3

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< 1 Squilibrio finanziario

Se questo rapporto è inferiore a 1, l’attivo circolante non è sufficiente a coprire le passività in scadenza, di conseguenza, la richiesta di rimborso di finanziamenti a breve da parte dei finanziatori, può essere soddisfatta solo ricorrendo allo smobilizzo di parte dell’attivo fisso, compromettendo le condizioni future di operatività e di equilibrio economico e patrimoniale. In questo caso l’azienda sarà definita non liquida. (Tavola 3). L’indice di disponibilità deve essere valutato attentamente. Valori elevati, apparentemente rappresentativi di una situazione di buona liquidità, possono derivare da un eccesso di giacenze e/o da consistenti crediti commerciali, e questi, non possono certo considerarsi indicatori di liquidità.

TAVOLA 3: STRUTTURA DELLO STATO PATRIMONIALE DI UN’AZIENDA NON LIQUIDA

Capitale Netto

Passività Consolidate Attivo Fisso

Attivo Corrente Passività Correnti

In caso di positività dell’indice di disponibilità, l’azienda possiede, in teoria, la capacità di rimborsare le passività in scadenza smobilizzando in tutto o in parte l’attivo corrente. In questo caso, prima di definire l’azienda come liquida, è necessario effettuare un ulteriore confronto, escludendo dall’attivo corrente le disponibilità economiche, poiché la loro trasformazione in liquidità passa attraverso lo svolgimento di un processo operativo (trasformazione e vendita), quindi può richiedere un tempo più o meno lungo per essere realizzato con convenienza.

Il secondo indicatore, l’indice di liquidità, è calcolato inserendo al numeratore la somma tra liquidità immediate e differite e al denominatore le passività correnti:

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Indice di liquidità = Liquidità Immediate + Liquidità Differite Passività Correnti

Valori guida: > 2 Eccessiva liquidità

> 1 Equilibrio finanziario 0,5 < Il < 1 Equilibrio al limite

< 1 Squilibrio finanziario

Nel caso in cui questo indicatore assuma valori maggiori di 1 possiamo affermare che, alla data di bilancio, l’azienda si presenta liquida (Tavola 4).

TAVOLA 4: STRUTTURA DELLO STATO PATRIMONIALE DI UN’AZIENDA LIQUIDA

Capitale Netto Attivo Fisso Disponibilità Economiche Passivo Consolidato Liquidità Immediate

Liquidità Differite Passivo Corrente

Il giudizio sulla liquidità aziendale non presenta gravi problemi se entrambi gli indici sono maggiori di 1, in questo caso il giudizio sarà positivo, o sono entrambi inferiori a 1, in questo caso sarà negativo. Ci potrebbero essere dei dubbi interpretativi, nel caso in cui l’indice di disponibilità sia maggiore di 1 e l’indice di liquidità sia inferiore a 1. In questo caso l’attivo corrente è in grado di coprire le passività correnti, mentre le liquidità immediate e differite non sono altrettanto sufficienti. Per esprimere un giudizio di liquidità occorre distinguere all’interno delle disponibilità economiche , le rimanenze di materie prime dalle rimanenze di prodotti finiti. Questi ultimi sono più facilmente smobilizzabili, sarà quindi possibile stabilire un giudizio positivo nella misura in cui le

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liquidità immediate e differite, con l’aggiunta del magazzino prodotti finiti superino le passività correnti, mentre il giudizio sarà tendenzialmente negativo in caso contrario.

Il vantaggio dell’analisi di liquidità è l’estrema semplicità di calcolo e facilità di confronto anche con realtà esterne. Dobbiamo però sottolineare che il giudizio espresso sulla base dell’andamento degli indicatori calcolati alla data di bilancio, viene di fatto esteso a tutto il periodo cui il bilancio si riferisce; in alcuni casi questa può risultare un’approssimazione molto forte perché non è detto che nel corso dell’esercizio la situazione possa essersi sviluppata in maniera significativamente diversa.

2.2.2. CAPITALE CIRCOLANTE NETTO

Il Capitale Circolante Netto (CCN) indica sia l’attitudine a far fronte agli impegni finanziari di breve periodo con l’attivo circolante; sia l’equilibrata copertura degli investimenti in immobilizzazioni attraverso le fonti del capitale permanente.

Capitale Circolante Netto = Attivo Circolante – Passività Correnti

La Tavola 5 consente una semplice interpretazione del CCN.

TAVOLA 5: INTERPRETAZIONE DEL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO

A) B) C) CCN < 0 CCN = 0 CCN > 0 AF DE LD LI PN PML PC AF DE LD LI PN PML PC AF DE LD LI PN PML PC

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Se il CCN è minore di zero, ci troviamo in una situazione di squilibrio finanziario, quindi con l’attivo corrente non siamo in grado di coprire i debiti in scadenza entro l’anno. Se il CCN è uguale a zero siamo in una situazione di equilibrio limite, è necessario l’intero circolante per coprire i debiti a breve; è una situazione limite dal momento che per garantire la copertura dei debiti commerciali e finanziari a breve siamo costretti a far leva sulle giacenze di magazzino e, quindi, sull’efficacia del ciclo economico- tecnico. Se il CCN è maggiore di zero, l’attivo corrente riesce a coprire tutti gli impegni a breve; l’impresa è sufficientemente capitalizzata dal momento che una parte dell’attivo corrente è finanziata da passività consolidate.

2.2.3. MARGINE DI TESORERIA

Indica la capacità dell’azienda di far fronte agli impegni a breve termine con la componente più liquida dell’attivo circolante. È un margine più prudenziale rispetto al Capitale Circolante Netto dal momento che al fine della copertura non vengono considerate le disponibilità economiche.

Margine di Tesoreria = (Liquidità Immediate + Liquidità Differite) – Passivo Corrente

2.2.4. INDICI DI COPERTURA DEGLI ONERI FINANZIARI

Uno dei principali aspetti da indagare per comprendere il grado di solvibilità riguarda la capacità dell’azienda di far fronte agli oneri finanziari. Un indice molto significativo è quello di copertura del margine operativo lordo, dato dal rapporto:

Margine Operativo Lordo Oneri finanziari Netti

Dove gli oneri finanziari netti sono dati dalla differenza tra gli interessi passivi e gli interessi attivi. Generalmente un valore dell’indice > 2- 2,5, garantisce la copertura degli interessi passivi e di altri fabbisogni finanziari. Un altro indice, forse meno significativo è dato dal rapporto:

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Oneri finanziari netti Ricavi

Che può considerarsi positivamente per valori < 1,5.

2.3. L’ANALISI DELLA SOLIDITÁ PATRIMONIALE

La solidità è intesa come la capacità di un’azienda di perdurare nel tempo, grazie alla sua adattabilità alle mutevoli condizioni interne ed esterne. La solidità patrimoniale può essere indagata con riferimento a due aspetti, tra loro strettamente correlati. Il primo aspetto analizza l’equilibrio patrimoniale verificano il bilanciamento orizzontale tra fonti e impieghi.

Gli indicatori usati nell’analisi di solidità rientrano nella più ampia analisi di correlazione che si pone come scopo principale la valutazione dell’adeguatezza della struttura delle fonti di finanziamento utilizzate in relazione alla struttura degli impieghi, al fine di verificarne il grado di sincronizzazione, ovvero il tempo di estinzione delle fonti che dovrebbe essere omogeneo con quello richiesto dagli impieghi per tornare in forma liquida. In particolare, per sincronizzare adeguatamente le fonti agli impieghi occorrerebbe finanziare l’attivo fisso utilizzando fonti durevoli (capitale netto o passività a medio/lungo termine), mentre l’attivo circolante dovrebbe essere finanziato utilizzando fonti di breve periodo.

L’analisi di correlazione, in realtà, permette di esprimere un giudizio sulla solidità patrimoniale di un’azienda solo in maniera indiretta: una struttura delle fonti di finanziamento sincronizzata con quella degli impieghi dovrebbe limitare il rischio di punte finanziarie, crisi di liquidità generate dalla necessità di estinguere un debito in assenza di sufficienti disponibilità liquide o di impieghi facilmente smobilizzabili. Si può definire solida un’azienda che presenta limitati rischi di punte finanziarie.

Il secondo aspetto si preoccupa di indagare la composizione delle fonti, al fine di verificare il bilanciamento verticale tra capitale proprio e di terzi, nonché la sostenibilità dell’indebitamento. Da questo punto di vista all’aumentare dell’indebitamento cresce il livello d’attenzione dell’azienda perché: in primo luogo i mezzi di terzi devono essere rimborsati secondo tempi e modalità definiti contrattualmente; perché i debiti a titolo

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oneroso generano oneri finanziari; ed infine perché l’eccessivo indebitamento finanziario espone l’azienda a rischi di richieste di rimborso immediate.

Per l’analisi della solidità patrimoniale si utilizzano generalmente questi indici: − Indice di struttura primario;

− Margine di struttura primario; − Indice di struttura secondario; − Margine di struttura secondario;

− Ammortamento delle immobilizzazioni materiali; − Rigidità del capitale investito;

− Elasticità del capitale investito; − Liquidità del capitale investito; − Leverage;

− Autonomia finanziaria; − Indebitamento;

− Indebitamento finanziario;

− Indebitamento (debiti in % del patrimonio); − Indebitamento (debiti in % del fatturato); − Indici di equilibrio dinamico.

2.3.1. INDICE DI STRUTTURA PRIMARIO E MARGINE PRIMARIO DI STRUTTURA

L’indice di struttura primario raffronta il patrimonio netto con la componente immobilizzata dell’attivo, viene anche denominato indice di garanzia. Esprime la capacità del patrimonio netto di finanziare l’attivo fisso. Un indice di struttura > 1 indica che il patrimonio netto è in grado di coprire l’intero attivo fisso, sarà quindi possibile un’ulteriore espansione aziendale.

Indice di struttura primario = Patrimonio Netto Attivo Immobilizzato

Valori guida: > 0,7 Buona solidità

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< 0,3 Situazione critica

Il margine di struttura primario indica la capacità dei mezzi propri di coprire il fabbisogno durevole rappresentato dalle attività a medio- lungo termine.

Margine di struttura primario = Patrimonio Netto – Attivo Immobilizzato

Se il margine è > 0, il capitale proprio finanzia interamente le attività fisse e parte dell’attivo circolante, si pongono quindi le premesse per un un’ulteriore espansione degli investimenti. Se, invece, il margine è < 0 il capitale proprio finanzia solo in parte le attività immobilizzate.

2.3.2. INDICE DI STRUTTURA SECONDARIO E MARGINE DI STRUTTURA SECONDARIO

L’indice si struttura secondario, denominato anche indice di copertura delle immobilizzazioni, verifica la copertura dell’attivo fisso con il capitale permanente, mezzi propri e passività consolidate. Per valori > 1 indica la capacità del capitale permanente di finanziare le immobilizzazioni.

Un indice più prudenziale si ottiene aggiungendo al denominatore un valore pari alla metà delle disponibilità economiche.

Indice di struttura secondario = Patrimonio Netto + Passività Consolidate Attivo fisso

Il margine di struttura secondario indica la capacità del capitale permanente di finanziare l’attivo fisso.

Margine di struttura secondario = (Patrimonio Netto + Passivo Consolidato) – Attivo fisso

Se il margine è > 0 l’attivo fisso è interamente finanziato dal capitale permanente, se invece il margine è < 0, parte dell’attivo fisso viene finanziata dalle passività correnti, con rischio di tensioni finanziarie.

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2.3.3. AMMORTAMENTO DELLE IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI

Esprime il livello di ammortamento delle immobilizzazioni materiali.

Grado di ammortamento immobilizzazioni = Fondo ammortamento Immobilizzazioni materiali Se l’indice assume valori prossimi a 1, il livello di ammortamento è elevato, lascia quindi presagire futuri, massicci investimenti; se, invece, l’indice assume valori prossimi allo 0, l’azienda è capace di generare un Margine Operativo Lordo capace di coprire adeguati livelli di ammortamento.

2.3.4. RIGIDITÁ ED ELASTICITÁ DEL CAPITALE INVESTITO

L’indice di rigidità esprime l’incidenza dell’attivo fisso sul totale del capitale investito.

Indice di rigidità = Attivo fisso Capitale Investito

Se l’indice si attesta intorno allo 0 l’azienda è elastica, con forte predominanza dell’attivo circolante, se, invece assume valori intorno a 1, l’azienda è rigida con predominanza dell’attivo fisso.

L’indice di elasticità esprime l’incidenza dell’attivo circolante sul tortale del capitale investito.

Indice di elasticità = Attivo circolante Capitale Investito

L’indice di elasticità è complementare a quello di rigidità:

Indice di rigidità + Indice di elasticità = 1

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Questo indice esprime l’incidenza della componente più liquida del capitale investito (liquidità immediate + differite) sul totale del capitale investito. Raffronta gli investimenti a più elevata liquidità rispetto al totale del capitale investito.

Liquidità del capitale investito = Liquidità Immediate + Liquidità Differite Capitale Investito

Una misura della liquidità si può determinare con riferimento alle sole liquidità immediate attraverso l’indice:

Liquidità totale = Liquidità Immediate Capitale Investito

2.3.6. AUTONOMIA FINANZIARIA

L’indice di autonomia finanziaria, detto anche indice di capitalizzazione, esprime l’incidenza del patrimonio netto sul totale del capitale investito.

Autonomia finanziaria = Patrimonio Netto Capitale Investito

L’indice viene considerato positivamente per valori > 30 %, in pratica si vuole accertare che almeno il 30 % delle fonti finanziarie venga apportato dai finanziatori attraverso il capitale versato e gli utili reinvestiti. Situazioni critiche si registrano per valori dell’indice < 10- 15 %.

La formula inversa prende il nome di Leverage:

Leverage = Capitale Investito Patrimonio Netto

È opportuno effettuare alcune considerazioni sul grado di capitalizzazione o di autonomia finanziaria dell’azienda, ossia sul grado di utilizzo del capitale netto nella copertura del fabbisogno di finanziamento. Il capitale netto produce due effetti positivi:

- non essendo soggetto a rimborso, non assorbe, salvo casi eccezionali, liquidità prodotta dalla gestione aziendale, quindi, maggiore è il grado di finanziamento

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dell’attivo fisso, tanto più elevata sarà la liquidità generata che rimane in azienda;

- il capitale netto rappresenta la quota di finanziamento soggetta a rischio d’impresa: la parte dei finanziamenti raccolti che sarà chiamata ad assorbire eventuali perdite economiche prodotte nell’ambito della vita aziendale e che non sarà rimborsata se al momento della cessazione aziendale, le perdite continueranno ad essere presenti.

2.3.7. INDEBITAMENTO

L’indice di indebitamento esprime l’incidenza del capitale di terzi sul totale del capitale investito, evidenzia in quale percentuale i mezzi di terzi finanziano il capitale investito.

Indebitamento = Mezzi di terzi Capitale Investito

Valori guida: 0 % < IND < 30 % Buona situazione finanziaria 30 % < IND < 50 % Situazione finanziaria accettabile 50 % < IND < 70 % Situazione tendente allo squilibrio

IND > 70 % Situazione finanziaria squilibrata

L’indice può essere analizzato nella sua componente e medio- lungo termine e nella sua componente a breve termine:

Indebitamento a m/l termine = Passivo Consolidato Capitale Investito

Indebitamento a breve termine = Passivo Corrente Capitale Investito

2.3.8. INDEBITAMENTO FINANZIARIO

Esprime il rapporto tra i debiti finanziari e il patrimonio netto.

Indebitamento finanziario = Debiti finanziari Patrimonio Netto

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Risulta interessante valutare l’indice:

Indebitamento finanziario netto = Debiti finanziari netti Patrimonio Netto

Dove il debito finanziario netto, o posizione finanziaria netta, rappresenta i debiti verso le banche al netto della liquidità (cassa e conti correnti). Tale rapporto indica in che misura l’azienda ripartisce le fonti di finanziamento della propria attività tra soci e creditori a titolo oneroso. Più alto è questo valore, più critica è la situazione finanziaria. Non esistono valori soglia dell’indicatore, al di sotto dei quali un’azienda può essere considerata solida, perché l’entità di tale soglia varia da settore a settore e dalle prospettive di reddito dell’azienda stessa: infatti, quanto più un settore è indipendente dagli andamenti del ciclo economico, tanto più alto può essere questo rapporto. La ragione di questo sta nel fatto che i flussi di cassa nei settori aciclici tendono ad essere più stabili nel tempo, rendendo più agevole il pagamento dei costi del debito. A titolo indicativo, si può dire che questo rapporto tende ad evidenziare situazioni critiche per valori > 1.

L’indice:

Indebitamento finanziario = Debiti finanziari netti Margine Operativo Lordo

Esprime il rapporto tra il debito finanziario netto (debiti verso banche al netto della liquidità immediata) ed il Margine Operativo Lordo (MOL o EBITDA). Questo indicatore stima il periodo richiesto dall’azienda (in anni) per ripagare i debiti finanziari attraverso gli utili lordi prodotti dalla gestione caratteristica (“core business”). Anche in questo caso non esistono soglie critiche univoche in base alle quali decretare se un’azienda è più o meno solida sotto il profilo finanziario, perché differenze significative possono intercorrere tra settore e settore. Tuttavia, un rapporto > 4 dovrebbe suggerire una più attenta valutazione dei conti sociali.

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L’indice di indebitamento in % del patrimonio esprime l’equilibrio o lo squilibrio tra le diverse fonti di finanziamento e risulta tanto maggiore quanto più alta è l’esposizione debitoria dell’azienda verso i terzi rispetto alle fonti proprie.

Indebitamento = Mezzi di terzi Patrimonio Netto

È un indicatore dello stato patrimoniale e finanziario dell’impresa.

Valori guida: 0 Assenza di indebitamento

0 < IND < 0,5 Situazione finanziaria positiva 0,5 < IND < 0,8 Situazione finanziaria accettabile

0,8 < IND < 2 Situazione con squilibri > 2 Situazione finanziaria squilibrata

L’indice di indebitamento in % del fatturato esprime l’incidenza percentuale dei debiti rispetto al fatturato:

Indebitamento = Mezzi di terzi Fatturato

2.4. L’ANALISI DEL FABBISOGNO DI FINANZIAMENTO

La gestione del fabbisogno di finanziamento aziendale non può essere considerata un campanello d’allarme da osservare per evitare stati di crisi, quanto piuttosto una leva gestionale da manovrare per prevenire il formarsi di squilibri che possono degenerare in una crisi: è importante acquisire consapevolezza della misura in cui le differenti aree gestionali generano fabbisogno finanziario per la cui copertura l’azienda decide di accendere finanziamenti. Questa consapevolezza può fornire al management preziose indicazioni per intervenire sull’importo del fabbisogno di finanziamento, ovvero per selezionare le alternative di copertura più idonee. Per misurare il fabbisogno di finanziamento delle diverse aree si utilizza lo Stato Patrimoniale di pertinenza gestionale. Le aree più utilizzate per classificare gli impieghi e le fonti sono le seguenti:

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- Gestione operativa commerciale: raggruppa gli impieghi e le fonti collegate ai processi di acquisizione di fattori produttivi correnti, realizzazione e vendita prodotti finiti;

- Gestione operativa corrente: oltre agli impieghi e alle fonti di cui al punto precedente, si considerano gli altri impieghi e fonti collegate alla parte corrente della gestione caratteristica;

- Gestione operativa strutturale comprende tutti i fattori produttivi pluriennali coinvolti nella gestione caratteristica, sia immobilizzazioni materiali che immateriali che finanziarie, e le relative fonti di finanziamento spontanee, quindi debiti v/fornitori di immobilizzazioni e fondo TFR;

- Gestione accessoria: quest’area accoglie eventuali impieghi e fonti coinvolti in attività operative estranee alla gestione caratteristica, ad esempio immobili concessi in locazione;

- Gestione finanziaria: comprende, con segno positivo, la liquidità immediata ed i cash equivalents, con segno negativo i debiti finanziari non classificati secondo il loro periodo di scadenza.

Per costruire questo schema occorre tener presente che:

- Non sono rilevanti classificazioni basate su criteri temporali;

- Per la costruzione degli impieghi occorre possedere informazioni sulla destinazione gestionale di impieghi correnti e immobilizzazioni;

- Per la classificazione delle fonti occorre distinguere il capitale netto dai debiti, distinguendo questi ultimi in debiti spontanei, o di funzionamento, e debiti esplicitamente onerosi o di finanziamento. I primi sono classificati nelle aree operative (corrente, strutturale o accessoria), mentre i secondi interamente nell’area finanziaria. Cosi facendo gli impieghi rappresenteranno le cause generatrici del fabbisogno di finanziamento, mentre le fonti esprimeranno la quota di copertura di tale fabbisogno.

TAVOLA 6: STATO PATRIMONIALE GESTIONALE

Crediti Commerciali (+) Magazzino

(-) Debiti Commerciali

(=) Capitale Circolante Netto Commerciale Gestione Operativa Corrente

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Il primo dei risultati intermedi, il capitale circolante netto commerciale, è costruito considerando esclusivamente impieghi e fonti spontanee generate dal ciclo operativo aziendale: crediti e debiti commerciali e rimanenze di magazzino. Si ritiene significativo distinguere quest’area all’interno della gestione operativa corrente in quanto, il fabbisogno di finanziamento generato dalla gestione commerciale, a differenza degli altri risultati intermedi, può essere gestito, entro certi limiti, agendo su specifiche leve: i tempi medi. In teoria, una modifica in diminuzione nella durata dei crediti o delle scorte comporta una minore giacenza medi di tali fattori e pertanto minore fabbisogno di finanziamento; cosi come un innalzamento dei tempi di pagamento dei debiti commerciali comporta un aumento del grado di copertura del fabbisogno finanziario commerciale da parte delle fonti spontanee e quindi una riduzione del fabbisogno finanziario residuo. Nella pratica, però, questa possibilità di manovra è limitata al settore: la riduzione dei tempi medi di incasso trova un limite nel livello medio di dilazione concessa dalla generalità dei concorrenti.

Il fabbisogno finanziario residuo calcolato per le rimanenti aree gestionali, invece, risulta meno manovrabile; il suo importo è condizionato da nuovi investimenti o disinvestimenti ed eventualmente incrementi o rimborsi di debiti di funzionamento. Un’ultima considerazione riguarda la sezione dei debiti finanziari. Questi sono parzialmente rettificati dell’importo delle liquidità immediate. La ragione che porta a collocare le liquidità immediate nella sezione dei debiti finanziari è legata al loro inquadramento come fattore produttivo generico, come tale utilizzabile per l’acquisizione di fattori produttivi specifici. Il fatto che si collochino all’interno dell’area finanziaria evidenzia che in qualunque momento queste disponibilità possono essere utilizzate per ridurre l’indebitamento. Questo modo di procedere consente di

(+) Crediti diversi operativi correnti (-) Debiti diversi operativi correnti

(=) Capitale Circolante Operativo Netto Corrente

Corrente

(-) Fondo TFR

(+) Immobilizzazioni materiali (+) Immobilizzazioni immateriali

(+) Partecipazioni ed altri impieghi caratteristici

(=) Capitale Investito Netto Operativo

Gestione Operativa strutturale

(+) Attività legate alla gestione accessoria (-) Debiti spontanei della gestione accessoria

(=) Capitale Investito Netto Globale

Area Accessoria (+) Liquidità immediate e cash equivalents

(-) Debiti finanziari (=) Capitale Netto

(20)

evidenziare la posizione finanziaria netta aziendale, un indicatore che sintetizza, in un valore unico, il risultato combinato della capacità aziendale di generare cash flow e la tendenza ad aumentare o diminuire l’indebitamento finanziario. La dinamica finanziaria di un’azienda generalmente può essere sintetizzata attraverso la valutazione del solo cash flow: se il fondo delle liquidità immediate di un’azienda si è incrementato rispetto al periodo precedente, può senza dubbio valutarsi positivamente. Ma questo giudizio può essere mantenuto anche nel caso in cui l’incremento dei fondi liquidi sia avvenuto in concomitanza con la crescita dei debiti finanziari? Ovvero, in caso contrario, può giudicarsi negativa la gestione finanziaria di un’azienda che riduce la liquidità rispetto al precedente esercizio riducendo contestualmente l’indebitamento finanziario? La posizione finanziaria netta valuta in maniera combinata i due aspetti: liquidità ed indebitamento finanziario. Un aumento della posizione finanziaria netta può, senza dubbio, definirsi un fattore negativo, mentre può essere valutata positivamente le sua riduzione. La posizione finanziaria netta può essere calcolata in maniera complessiva comprendendo l’intero ammontare dei debiti finanziari, o, in alternativa, possono essere isolate le componenti a medio- lungo e breve termine. In questo caso la posizione finanziaria a medio- lungo termine evidenzierà il totale dei debiti finanziari di medio- lungo periodo, mentre la posizione finanziaria netta a breve sarà calcolata come differenza tra le liquidità immediate e i debiti finanziari in scadenza nel breve periodo; sommando i due indicatori parziali otterremo la posizione finanziaria netta complessiva.

2.5. ANALISI ECONOMICA

L’analisi delle cause determinanti la formazione del risultato economico è utile nei casi in cui si teme che una crisi aziendale produca perdite economiche progressivamente più consistenti che potrebbero sfociare in una crisi finanziaria. I sintomi più importanti sono la riduzione del fatturato e la riduzione del risultato netto.

Per ricostruire la dinamica di formazione del risultato economico è opportuno classificare costi e ricavi in categorie rappresentative dei principali ambiti di attività aziendale:

- Area operativa (o caratteristica), raccoglie ricavi legati ai processi tipici di vendita di prodotti o servizi, e i costi collegati con l’utilizzo dei fattori produttivi necessari;

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- Area accessoria (o extra-caratteristica), include ricavi e costi collegati con attività di investimento estranee all’attività operativa;

- Area finanziaria, accoglie principalmente costi, ed in misura marginale ricavi, generati da attività di copertura del fabbisogno finanziario residuo dell’azienda; - Area straordinaria, comprende costi e ricavi generati da eventi non prevedibili; - Area tributaria, accoglie i valori, principalmente costi, collegati alle imposte di

reddito.

Il conto economico gestionale è costruito ponendo in sequenza le are caratteristica, straordinaria, finanziaria e tributaria, eventualmente integrate dalle aree accessoria e straordinaria, che sono utilizzate solo in caso di necessità.

I saldi delle singole aree sommati progressivamente forniscono la possibilità di analizzare il contributo delle singole aree gestionali alla formazione del risultato economico complessivo (Tavola 7).

TAVOLA 7: SCHEMA DI CONTO ECONOMICO GESTIONALE

Ricavi gestione caratteristica - costi gestione caratteristica Risultato operativo caratteristico

+ / - ricavi e costi accessori = risultato operativo globale

- / + oneri finanziari = risultato ordinario + / - ricavi e costi straordinari

= risultato pre- imposte - oneri tributari = risultato netto

I vari schemi di conto economico gestionale sono essenzialmente riconducibili a tre configurazioni caratterizzate da diversi criteri di classificazione dei costi nell’area caratteristica:

1. Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta, che classifica i costi in interni ed esterni;

2. Conto economico a costi e ricavi del venduto, che classifica i costi per destinazione con riferimento ai più rilevanti centri di responsabilità coinvolti nell’area operativa;

(22)

Ogni configurazione di conto economico dovrebbe essere utilizzata per soddisfare particolari scopi conoscitivi, tuttavia bisogna sottolineare che l’efficace applicazione dell’analisi di efficienza ed efficacia economica è basata sulla possibilità di comparare i valori aziendali nel tempo e nello spazio: solo il confronto, infatti, è in grado di evidenziare i fattori produttivi o le aree aziendali responsabili di perdite di competitività ed efficienza. In questo senso, la scelta della configurazione del conto economico dipende in larga parte dalla necessità di omogeneizzare i dati interni ad informazioni di benchmark esterne, relative a concorrenti o medie di settore, che sono forniti con criteri di classificazione e con livelli di dettaglio difficilmente modificabili.

2.5.1. IL CONTO ECONOMICO A COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE OTTENUTA, O A VALORE AGGIUNTO

Il conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta visualizza in termini economici il valore della produzione realizzata nel periodo ed il costo dei fattori produttivi a tale scopo consumati. Il risultato della gestione caratteristica si ottiene per differenza tra questi due aggregati di valore. La stima del valore economico della produzione ottenuta si realizza sommando:

- I ricavi di vendita (al netto di abbuoni, sconti e resi), espressione del flusso di produzione venduta, valorizzata ai prezzi di vendita;

- La variazione del magazzino prodotti finiti, semilavorati ed in corso di lavorazione, espressione della produzione realizzata e non venduta, se di segno positivo, oppure della produzione venduta nel periodo e realizzata nel periodo precedente, se di segno negativo, in ogni caso valorizzata al costo di produzione; - Eventuali incrementi per costruzioni in economia che rappresentano il risultato

di processi produttivi con destinazione interna.

Il valore della produzione ottenuta rappresenta la traduzione in termini economici dei processi di produzione realizzati nel corso del periodo a cui si riferisce il conto economico, per cui, per dare significatività a quest’ultimo, è necessario che i costi della produzione realizzata siano riferiti al medesimo complesso di attività produttive. I costi della produzione ottenuta rappresentano il valore economico del consumo di tutti i fattori produttivi utilizzati nei processi produttivi caratteristici. I costi di competenza sono già idonei a rappresentare il consumo dei relativi fattori produttivi, fatta eccezione

(23)

per le materie prime, il cui consumo andrà ottenuto sottraendo al costo di acquisto netto la variazione delle rimanenze di magazzino.

I costi della produzione ottenuta possono essere ulteriormente classificati in due categorie:

- Costi interni, relativi ai fattori strutturali che devono preesistere rispetto all’avvio dei processi produttivi, ovvero struttura tecnica (immobilizzazioni) e struttura organizzativa ( costi del personale);

- Costi esterni, relativi ai fattori produttivi correnti di cui l’azienda si approvvigiona sul mercato.

Questo criterio di classificazione permette di determinare all’interno dell’area caratteristica due risultati intermedi: il valore aggiunto, ottenuto sottraendo il totale dei costi esterni al valore della produzione ottenuta, e il margine operativo lordo, che si ottiene sottraendo al valore aggiunto i costi del personale.

TAVOLA 8: CONTO ECONOMICO A COSTI E RICAVI DELLA PRODUZIONE OTTENUTA E VALORE AGGIUNTO

a) Ricavi Netti di Esercizio

b) Variazione scorte semilavorati e prodotti finiti c) Valore delle commesse interne e capitalizzazioni d) Altri ricavi e proventi caratteristici

1) VALORE DELLA PRODUZIONE OTTENUTA (a+/-b +c+d)

e) Acquisti Netti

f) Variazione scorte materie prime g) Canoni per concessioni

h) Spere per prestazioni di servizi i) Oneri diversi di gestione

2) VALORE AGGIUNTO (1-e-f-g-h-i)

l) Costo del lavoro

m) Accantonamento per TFR

3) MARGINE OPERATIVO LORDO (2-l-m)

n) Ammortamenti Immobilizzazioni Materiali e Immateriali o) Accantonamenti per rischi e spese future

p) Svalutazioni

4) REDDITO OPERATIVO GESTIONE CARATTERISTICA

(Margine Operativo Netto) (3-n-o-p)

5) PROVENTI NETTI DELLA GESTIONE ACCESSORIA-

PATRIMONIALE

6) REDDITO OPERATIVO (4 + 5)

7) ONERI FINANZIARI

8) REDDITO LORDO DI COMPETENZA (6 – 7)

9) PROVENTI E ONERI STRAORDINARI

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11)REDDITO NETTO (8 +/- 9 -10)

Il valore aggiunto rappresenta il valore incrementale dei prodotti finiti, creato dalla struttura interna rispetto al valore intrinseco dei fattori produttivi esterni utilizzati. Può essere utilizzato esclusivamente come metro di confronto, a condizione che tutte le aziende comparate abbiano il medesimo livello di integrazione verticale. Il suo valore dipende dal grado di utilizzo dei fattori produttivi esterni, che sono condizionati da decisioni di outsourcing dei processi produttivi. In ogni caso comparare il valore aggiunto di due aziende concorrenti, senza considerare anche il risultato operativo caratteristico può essere fuorviante.

Il margine operativo lordo, anche se soffre in parte degli stessi limiti informativi del valore aggiunto, in quanto non può essere analizzato isolatamente, fornisce informazioni aggiuntive: si nota come tutti i costi considerati per la sa determinazione (costi esterni e costi del personale) possono definirsi “monetari”, nel senso che come contropartita contabile presentano un movimento di natura finanziaria (un esborso di cassa o la nascita di un debito). Il valore della produzione rappresenta il potenziale afflusso di cassa prodotto dall’area caratteristica e il margine operativo lordo misura il differenziale tra potenziali uscite e potenziali entrate, quindi di conseguenza il potenziale flusso di cassa netto caratteristico, o, per essere più precisi il flusso di capitale circolante netto caratteristico. Il margine operativo lordo, spesso, è posto come grandezza d riferimento per la costruzione del rendiconto finanziario con metodo indiretto, per far questo è ovviamente necessario che tutti i costi non monetari, come ammortamenti e accantonamenti, siano classificati al di sotto del marine operativo lordo.

Il conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta è quello che presenta il minor costo informativo, generalmente può essere costruito utilizzando un bilancio pubblico.

2.5.2. IL CONTO ECONOMICO A COSTI E RICAVI DEL VENDUTO

Questo schema di conto economico si caratterizza rispetto al precedente per due aspetti: - Si focalizza sui processi di vendita, tralasciando gli aspetti produttivi;

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La focalizzazione sull’aspetto di vendita piuttosto che sull’aspetto della produzione probabilmente supera alcuni limiti del conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta. Innanzitutto si concentra maggiormente sull’efficacia gestionale, perché mostra il risultato economico prodotto dalle effettive attività di vendita, escludendo quindi la parte di vendite potenziali costituite dalla produzione non venduta. Anche in questo caso i costi operativi esprimono consumi di fattori produttivi, correlati però con le quantità vendute e non con le quantità prodotte, evidenziando cosi lo sforzo commerciale compiuto dall’azienda per ottenere un certo risultato economico.

In secondo luogo questo schema può ritenersi in parte oggettivo, quanto meno nella sezione iniziale: nel precedente schema il valore della produzione ottenuta, infatti, è calcolato aggiungendo ai ricavi netti di vendita la variazione del magazzino prodotti finiti, ottenuta attraverso un processo di stima e pertanto caratterizzata da un livello di oggettività inferiore. Adottare un criterio di classificazione per destinazione, implica la scomposizione dell’attività caratteristica nelle attività più rilevanti (industriale, commerciale, logistica, amministrativa, ecc.), o comunque nei centri di responsabilità coinvolti, allo scopo di attribuire a ciascuna categoria i costi dei fattori produttivi direttamente consumati (Tavola 9).

TAVOLA 9: CONTO ECONOMICO A COSTI E RICAVI DEL VENDUTO

1) RICAVI NETTI (Ricavi lordi – sconti abbuoni e resi)

a) Rimanenze iniziali di materie e marci b) Costi netti per acquisti di materie e merci c) Rimanenze finali di materie e merci d) Consumi di materie e merci (a + b – c)

e) Rimanenze iniziali semilavorati e prodotti (parte variabile) f) Costi di manodopera

g) Altri costi variabili industriali h) Costi variabili commerciali i) Altri costi variabili

l) Rimanenze finali semilavorati e prodotti (parte variabile)

2) COSTO VARIABILE DEL VENDUTO (d+e+f+g+h+i+l)

3) MARGINE DI CONTRIBUZIONE (1 -2)

m) Rimanenze iniziali semilavorati e prodotti (parte fissa) n) Ammortamenti e Accantonamenti

o) Costi fissi di struttura

p) Costi di politica (R&S, pubblicità, formazione) q) Rimanenze finali semilavorati e prodotti (parte fissa)

4) TOTALE COSTI FISSI GESTIONE CARATTERISTICA (m+n+o+p+q) 5) COSTO OPERATIVO DEL VENDUTO (2 + 4)

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7) PROVENTI NETTI GESTIONE ACCESSORIA- PATRIMONIALE

8) REDDITO OPERATIVO (6+7) 9) ONERI FINANZIARI

10) REDDITO LORDO DI COMPETENZA (8-9)

11) PROVENTI E ONERI STRAORDINARI

12) REDDITO PRIMA DELLE IMPOSTE (10 +/- 11 - 12)

13) IMPOSTE

14) REDDITO NETTO (12-13)

L’analisi del risultato economico acquista estrema significatività, in quanto non solo è possibile individuare i fattori produttivi il cui costo ha determinato un guadagno o una perdita di efficienza, ma è anche possibile individuare il centro direttamente responsabile della sua gestione.

Il costo informativo può risultare estremamente elevato: la classificazione dei costi per destinazione è collegata con la possibilità di rielaborare i movimenti di contabilità generale, solitamente rilevati utilizzando la classificazione per natura.

2.5.3. IL CONTO ECONOMICO MARGINALISTICO

Questo schema può essere costruito utilizzando come base di partenza uno dei sue schemi descritti in precedenza, distinguendo i costi caratteristici in fissi e variabili. Si definiscono variabili quei costi il cui valore complessivo varia al variare di una grandezza di riferimento, il driver di costo; sono invece fissi, quei costi il cui importo non varia al variare del driver.

Nel caso in cui il conto economico marginalistico venga costruito prendendo come base uno schema a costi e ricavi della produzione ottenuta, si opterà per individuare il volume produttivo come driver di costo; mentre nel caso in cui la base di partenza sia rappresentata dal conto economico a costi e ricavi del venduto, il driver di costo sarà rappresentato dai volumi di vendita (Tavola 10).

TAVOLA 10: CONTO ECONOMICO MARGINALISTICO

Ricavi netti di vendita + Rimanenze iniziali magazzino

- Rimanenze finali magazzino - Costi variabili Margine di Contribuzione

- Costi fissi Risultato Operativo +/- Proventi e oneri finanziari

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+/- Proventi e oneri straordinari Risultato prima delle imposte

- Imposte sul reddito Risultato Netto

Per molti voci di costo “ibride”, dove quindi non sia possibile misurare precisamente la componente fissa e quella variabile, sarà necessario effettuare delle approssimazioni, in modo da far prevalere una delle due componenti.

Si capisce pertanto che il conto economico marginalistico sia poco incline ad essere utilizzato per comparazioni spaziali, risulta estremamente utile per la costruzione di bilanci di simulazione; strumenti di pianificazione e di comunicazione fondamentali soprattutto in fase di risanamento, crisi o in tutti quei casi che rendono necessaria la redazione di business plan, o piano industriali. In più, l’analisi marginalistica è particolarmente adatta per fare l’analisi del break-even point, o comunque in tutti quei casi in cui è utile stimare l’andamento dei costi in rapporto a variazioni del volume di produzione/ vendita.

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