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Il danno biologico nel bambino

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Academic year: 2022

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Il danno biologico nel bambino

Dr. Sergio Bonziglia*

La traumatologia pediatrica è tutta pervasa dalla nozione di organismo in crescita ed in sviluppo.

Ne consegue per il consulente medico legale la necessità di avere una conoscenza precisa delle problematiche coinvolte rivolgendosi, laddove necessario, allo specialista pediatra, ortopedico, neuropsichiatra.

Lo sviluppo dell'organismo infantile avviene attraverso delle tappe ben definite, sul piano staturo-ponderale attraverso le curve di crescita, l'aumento del peso, la perimetria cranica, l'allungamento dei segmenti corporei e, sul piano dello sviluppo neurologico, la psicoemotività, la psicomotricità, l'evoluzione delle funzioni intellettive superiori, linguaggio, scrittura, calcolo, arricchimento del vocabolario, pensiero analitico, sintetico, ragionamento, astratto.

Alcuni di questi stadi sono tra loro collegati, dipendenti ed interattivi per cui un ritardo di acquisizione si potrà ripercuotere sull'armonia globale.

Il medico legale, senza enfatizzazioni, deve comunque possedere questa visione di insieme dello sviluppo del bambino sottoposto alla sua valutazione.

Una lesione fetale intrauterina può provocare turbe dell'accrescimento e nascita prematura con sequele neurologiche; se la prematurità è conseguenza diretta dell'evento traumatico materno, nel corso di una gravidanza fino ad allora del tutto normale, gli effetti di questa patologia fetale secondaria potranno essere imputati all'incidente.

Jean Gabriel Pous cita il caso di un traumatismo materno comportante la nascita di un prematuro perfettamente vitale ma sviluppante, nel periodo post-natale, una enterocolite necrotizzante secondaria ad alterazioni vascolari, a turbe immunologiche di immaturità con lesioni ischemiche delle pareti dell'intestino, necessità di intervento caratterizzato da ampia resezione intestinale del colon e dell'ileo necrosati, successivo protrarsi della rianimazione con difficoltà del ritorno al domicilio, disturbi secondari alla mutilazione digestiva, malnutrizione, turbe diarroiche, loro incidenza sullo sviluppo cerebrale con problematiche scolastiche, turbe di crescita e di pubertà... il tutto secondario alla prematurità e direttamente collegato all'incidente materno, sua conseguenza nell'immediato e nel futuro.

L'autore, nominato unitamente ad un pediatra quale C.T.U., non ha fornito percentuali ma descritto le difficoltà di sviluppo, le impossibilità di acquisizione, le verosimili conseguenze sulla vita adulta, le differenze che possono sussistere tra questo bambino, una volta divenuto adulto, ed un adulto nato a termine e maturato normalmente.

Localizzazione delle lesioni

In una statistica francese (Rogier 1989) i traumatismi del capo rappresentano circa un terzo di quelli interessanti il bambino di età inferiore ai 10 anni, legati verosimilmente all'assenza di cintura di sicurezza nei sinistri stradali, alla massa relativamente grande costituita dalla testa e dalla sua estrema mobilità; successivamente l'incidenza decresce progressivamente.

Le lesioni del rachide cervicale sono più rare rispetto all'adulto, con aumento di frequenza verso i 13 anni.

Le fratture degli arti superiori e le ferite al volto sono presenti ed in incremento sino ai 15 anni per stabilizzarsi poi in maniera analoga all'adulto con predominanza del sesso maschile (più turbolento); quelle agli arti inferiori si riscontrano maggiormente nei soggetti con meno di 10 anni.

*Medico Legale, Torino

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Oltre i 12 anni l'adolescente diviene in grado di misurare i rischi e la frequenza di infortuni inizia a diminuire.

Considerando che secondo le statistiche USA il 3O% dei bambini in epoca prescolare è vittima di incidenti e che, secondo una statistica OMS relativa a Svizzera, Svezia e Germania, in futuro la mortalità post-traumatica tra gli uno ed i diciannove anni di età potrà variare tra il 34% ed il 36%, appare chiara l'importanza medica e medico-legale del problema, per cui è parso interessante studiare qualche aspetto della patologia traumatica del bambino, anche perché la valutazione del danno biologico nel bambino è meno codificata rispetto che nell'adulto.

Cito, quale fatto di costume, la seguente statistica sull'incidenza di due lesioni assai note ed

"abusate"

O – 10 anni 21 anni Trauma cranico 19% 11%

Distorsione cervicale 1% 15%

Nei tre Paesi citati abbiamo un 87% di guarigione funzionale per questi casi.

Il traumatismo cranico senza perdita di conoscenza guarisce praticamente sempre; nei casi con perdita di conoscenza vi è una guarigione completa nell'8O% dei casi nei soggetti inferiori ai 15 anni.

"Tutti i bambini con meno di 15 anni guariscono completamente della distorsione del rachide cervicale" (Antoine-Rogier-Epidemiologia del traumatismo del bambino -R.F.D.C. 1989-15-3, 215- 223).

Trauma cranico

Quali conseguenze dei traumatismi cranici nel bambino, che stupisce sempre per la sua relativa resistenza al trauma stesso, con una mortalità del 2,5% contro il 1O,4% dell'adulto, abbiamo sindromi confusionali, sindromi psico-organiche, stati di stress post-traumatico e sindromi soggettive fisiogene.

D'altra parte un traumatismo severo su di un cervello in sviluppo può portare ad un arresto nell'evoluzione psico-affettiva e compromettere la potenzialità di ulteriori acquisizioni.

I fattori con più influenza sono la gravità iniziale del trauma cranico e la durata del coma.

Devono comunque essere distinti tre stadi.

1) lo stadio ostetrico

2) lo stadio prescolare (1-5 anni), dominato dalle cadute

3) lo stadio scolare, con maggior frequenza di incidenti della strada.

Nelle lesioni della volta cranica domina l’elasticità della stessa, con ematomi extradurali ed evoluzione spontanea di stravasi attraverso la frattura stessa nello spazio sottocutaneo.

La frattura in evoluzione è caratteristica del bambino piccolo, in cui la distanza interframmentaria aumenta nel corso della crescita sotto l'influenza della spinta cerebrale che può venire a creare una perdita di sostanza estesa ed anche un’ernia encefalica.

Proprio l'elasticità del cranio permette più facilmente alle forze di pressione di esercitarsi direttamente sul cervello con ematomi subdurali, edema cerebrale più frequente rispetto sll’adulto, coma ecc..

Ne risulta una estrema fragilità del lattante, con prognosi non buona per le lesioni intervenute prima dei due anni, stante il traumatismo che interessa un organo ancora immaturo, seguito sovente da crisi convulsive (epilessia precoce), a seconda delle statistiche variante dal 1O% al 15%.

Sordità o deficit sensoriali possono poi condurre a difficoltà dello sviluppo psicomotorio del bambino.

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Nell'ematoma subdurale cronico l'evoluzione del quadro ricongiunge il lattante all’anziano, con spesso conseguenti idrocefali, epilessia tardiva e ritardo psicomotorio.

Nel soggetto in età prescolare abbiamo due risposte comuni, il vomito e la convulsione, con una comizialità post-traumatica più frequente rispetto all’adulto, sua possibilità di insorgenza sino ai 5 anni dopo l’evento (1O% dei casi), ed idrocefalia post-traumatica.

L'età scolare sino ai 15 anni costituisce uno stato transizionale verso la maggiore età.

L'EEG del bambino presenta comunque, dai tre ai quindici anni, delle specificità con particolare sensibilità all’iperpnea che non possono essere considerate come patologiche.

Nei traumi senza perdita di conoscenza o con lieve p.d.c. iniziale la prognosi sarà estremamente favorevole.

Nei casi con coma grave (scala di Glasgow inferiore od uguale ad otto) risoltisi in meno di 10 giorni la prognosi è buona, dai 10 ai 30 giorni ancora favorevole, oltre i 30 giorni con importanti conseguenze.

Le lesioni neurologiche sono rappresentate soprattutto da turbe motorie che compaiono sotto forma di spasticità, sindromi cerebellari, movimenti anomali, turbe sensitive e delle funzioni superiori, del linguaggio, della memoria, epilessia post-traumatica tardiva che può sopravvenire da 4 a 5 anni dopo il trauma; la rendono probabile una alterazione iniziale prolungata della vigilanza, l'esistenza di fratture, anomalie strumentali TAC ed RMN, un affondamento cranico o una lacerazione parenchimale.

Se tutti questi fattori di rischio sono riuniti, l'epilessia ha i due terzi di probabilità di manifestarsi, se invece non sono tutti presenti la frequenza varia dal 1O% al 15%.

Per la maggior parte degli autori il 95% delle epilessie post-traumatiche si evidenzia entro i tre anni dal trauma cranico; l'intervallo varia, a seconda della sede di lesione, sino a quattro anni in caso di focolaio frontale e ad otto se parieto-occipitale.

Ai cinque anni dopo un trauma cranico grave sono stati ritrovati in un caso su due turbe dell'efficienza intellettuale con ritardo scolare maggiore o uguale a due anni e regressione affettiva

Criteriologia dell'epilessia post-traumatica

Quando un bambino ha subito un trauma cranico e presenta crisi epilettiche ripetute (una crisi unica non è una crisi epilettica) deve essere rispettata la seguente criteriologia per l'ammissione del nesso causale.

1) assicurarsi che il leso non abbia avuto crisi epilettiche prima dell'incidente (data la frequenza di epilessia nell'infanzia ed in ragione del maggior numero di traumi cranici nel bambino epilettico in rapporto al sano).

2) accertarsi che l'epilessia non sia dovuta ad altre cause estranee al trauma (nel 1O% dei casi di epilessia diagnosticata come post-traumatica sono poi state evidenziate altre cause quali tumori, malformazioni cerebrali, sequele di encefalopatie).

3) senza contusione corticale non si può avere epilessia post-traumatica (alla contusione di sostanza grigia emisferica deve seguire una lesione cicatriziale epilettogena).

Possono essere suddivisi in criteri di certezza e di sospetto.

Criteri di certezza:

1) l'esistenza di una lesione con interessamento cranio-encefalico profondo 2) constatazione operatoria neurochirurgica di ematoma o contusione cerebrale

3) riscontro TAC-RMN di emorragia corticale o sottocorticale e di focolaio di contusione

4) segni neurologici sequelari di lesione cerebrale cortico-sottocorticale (emiplegia, afasia, emianopsia).

Criteri di sospetto:

1) coma e/o amnesia post-traumatica superiore alle 24 ore

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2) frattura cranica con affondamento

3) crisi di epilessia precoce spesso nella settimana che segue il trauma, fattore di rischio per la comparsa di epilessia tardiva.

In tutti i casi non si può, sul piano medico-legale, ammettere in caso di trauma cranico benigno, che non riconosca alcun elemento di certezza od almeno due di sospetto, l'origine di una ulteriore epilessia etichettandola come post-traumatica.

Secondo la statistica di Annegers e l'inchiesta di Rochester, (Minnesota), del 198O, per un periodo di 10 anni, è stato dimostrato che nella popolazione con un trauma cranico definito benigno (senza alcun criterio di certezza e non più di un elemento di sospetto) la proporzione di comparsa di epilessia successiva è esattamente identica a quella che si può osservare nella popolazione generale.

Non si può ammettere la genesi post-traumatica che dell'epilessia parziale lesionale focale mentre non lo sono le assenze di piccolo male, le crisi generalizzate primarie o crisi di grande male nell'adolescente, ed il parossismo rolandico.

Va infine sottolineato come sia epilettico un bambino che abbia crisi epilettiche e non un bambino con un EEG evidenziante anomalie di tipo epilettico.

Il danno biologico, in questi casi, può variare dal 12% al 3O%.

Nei traumi cranici gravi, con esteso interessamento cerebrale, stato di coma prolungato, lo scarso reinserimento scolare (nel 3O% dei casi) si accompagna ad un analogo aleatorio reinserimento familiare, per la difficoltà di reintegrazione del bambino nell'ambito del gruppo familiare stesso a causa del carattere trasformato e difficile.

Sul piano pratico si potrà parlare di consolidazione solo dopo un minimo di tre anni per gli adolescenti (tredici-quattordici anni).

Per gli altri la valutazione dovrà essere rimandata ai 15 anni, con eventuale ulteriore rivalutazione dopo ancora 10 anni.

In effetti, se nell'adulto con un grave traumatismo la vita è possibile sulla scorta dell'esperienza accumulata anteriormente, il bambino, che non ha acquisizioni a sua disposizione, si viene a ritrovare in non conformità con ciò che si attende da lui la società che lo circonda.

La rieducazione neuro-ortopedica è lunga e difficile, deve essere seguito sia il bambino che la famiglia in modo regolare, tenendo conto dell'accrescimento, delle modificazioni dello stato ortopedico (retrazioni dovute a spasticità, dismetrie) e dell'evoluzione neuropsichica.

Dal punto di vista psichiatrico sarà fondamentale la risposta a tre domande:

1. quale sarebbe stata l'evoluzione senza il sinistro

La domanda è assai difficile soprattutto se applicata ad un adolescente, che per definizione è un

essere in divenire, in cambiamento.

2) quali sono attualmente, e quali potranno essere in futuro, gli effetti del traumatismo; in altre parole

se lo sviluppo venga ad essere potenzialmente normale.

3) come si collegano ed interagiscono lo stato anteriore e le conseguenze del trauma.

Il tutto si concretizza in una attenta analisi dello stato intellettuale anteriore, delle capacità scolari, delle relazioni affettive del bambino nell'ambito parentale.

Quindi, se è indispensabile una diagnostica precisa, vi è anche la necessità di uno studio anamnestico rigoroso, determinante per il riconoscimento del nesso causale, con ampia possibilità per il C.T.U. di accedere ad informazioni in tutte le strutture scolari ed educative.

La cristallizzazione dell'ambiente familiare sulla riparazione può rappresentare un ostacolo al dinamismo dello sviluppo del bambino.

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In conclusione, non vi sono sequele psico-organiche se il trauma cranico non ha provocato lesioni cerebrali irreversibili; quindi se non vi è contusione cerebrale non vi possono essere sequele definitive neurologiche da trauma.

In assenza di prove di esistenza di lesione contusiva cerebrale, non vi sarà nesso di causa tra lesioni e pretese conseguenze.

La valutazione definitiva dovrà essere rimandata a maturazione fisiologica del sistema nervoso centrale.

Poiché l'epilessia è molto frequente nel bambino, la maggior parte delle epilessie infantili non può, per sua natura stessa, essere di origine post-traumatica.

Traumatologia degli arti

Il bambino è un soggetto in crescita, in cui ci si può aspettare di tutto, dal rimodellamento di una frattura diafisaria con callo vizioso ed accorciamento, all'evoluzione in varismo di una banale frattura malleolare interna.

Nelle fratture diafiso-metafisarie il callo vizioso rotazionale, poco frequente, è generalmente iatrogeno, non si corregge mai spontaneamente e richiede una derotazione chirurgica.

Nell'adolescente, a partire dalla pubertà, è scarsamente probabile il rimodellamento di un callo vizioso con angolatura maggiore di 1O-15 gradi.

L'allungamento è un fenomeno tanto più marcato quanto più‚la lesione interessa un soggetto giovane, con ampiezza imprevedibile, anche largamente superiore ai 1O-15 mm. e con asimmetria di una corticale rispetto all'altra.

Le lesioni interessanti le cartilagini di accrescimento sono le più pericolose poichè, se la consolidazione è normalmente ottenuta in 3-6 settimane, le complicanze possono apparire dopo 6-12 mesi.

Il ponte di epifisiodesi potrà determinare una deformazione epifisaria, asimmetria, deviazione assiale.

Più il soggetto è giovane, più l'epifisiodesi avrà conseguenze disastrose (dismetria e disassamento).

Nell'adolescente con scollamento epifisario più vicino all'epoca di saldatura delle cartilagini, la fusione delle cartilagini traumatizzate minimizza le conseguenze.

Lo scollamento della cartilagine di crescita rappresenta il 15% delle fratture del bambino, ma solamente il 1O% hanno sequele con risentimento funzionale.

Sono comunemente descritti cinque tipi di fratture cartilaginee (Salter):

orizzontale (primo tipo), con cuneo metafisario (secondo tipo), irradiato all'epifisi (terzo tipo), interessante metafisi ed epifisi (quarto tipo che espone all'epifisiodesi parziale se non è perfettamente ridotta), per compressione (quinto tipo).

Vi sono poi lesioni iatrogene da osteosintesi, e questo è il motivo per cui una cartilagine in crescita non deve mai essere attraversata da viti o placche.

La distruzione parziale o totale della cartilagine di crescita dopo un trauma può essere imputata al trauma stesso (Salter V) o anche ad una esposizione del focolaio, ad un trattamento ortopedico insufficiente o ad un trattamento ortopedico eccessivo (osteosintesi intempestiva o inchiodamento endomidollare).

E' necessario dimostrare che lo stato sequelare, la lesione cartilaginea, sia la conseguenza di un traumatismo unico.

Dovranno essere indagate:

1) Realtà ed intensità del trauma, dubbio questo che può porsi nei casi di Salter V (scollamento epifisario per compressione), e di diagnostica difficile (con esami radiografici inizialmente quasi normali) che potrebbe portare al rischio di epifisiodesi.

Spesso questo tipo di trauma viene giudicato benigno anche dai parenti del bambino; di qui la necessità di RX sistematici su tutti i traumi, anche minimi, e di immobilizzazione.

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Cronologicamente le conseguenze di questi tipi di lesione non compaiono subito ma si può affermare con certezza che la loro apparizione avverrà nell'arco di due anni.

Trascorso questo periodo si dovranno cercare altre cause quali, ad esempio, traumi più recenti.

2) Continuità anatomo-clinica in senso stretto con la lesione anatomica, (ma non sempre per i segni clinici di apparizione più ritardata).

3) Assenza di stato patologico anteriore.

Può essere difficile affermare il carattere post-traumatico di una dismetria di lunghezza degli arti inferiori o di una deviazione assiale, in assenza di riscontro clinico ed RX sullo stato anteriore, l'incidente e le sequele.

4) Nesso di causalità diretto.

5) Compatibilità patologica teorica e pratica tra traumatismo e conseguenze.

Nelle conseguenze potremmo ritrovare:

1) Accorciamento di un arto per epifisiodesi completa (ben tollerato in un arto superiore ma da correggersi se supera i 3 cm. negli inferiori).

L'evoluzione di una dismetria nel corso di crescita è assai imprevedibile e definitiva solo dopo la fusione completa di tutte le cartilagini di accrescimento di quel segmento.

Una dismetria inferiore ai 2 cm. non è significativa e può essere il rilevo occasionale nel 30- 40% della popolazione, indipendentemente da antecedenti traumatici.

Inoltre l’allungamento dovuto ad un trauma diafisario non eccede praticamente mai i 2 cm. e, d’altra parte, una dismetria di lunghezza inferiore ai 2 cm. nell’adulto non porta a conseguenze funzionali; si può affermare che tutte le dismetrie secondarie a trauma diafisario sono benigne, con la sola eccezione per i gravi vizi di riduzione.

Lo stesso dicasi per una scoliosi strutturale che non può essere ragionevolmente imputata ad una dismetria di lunghezza degli arti.

2) Disassamento per epifisiodesi parziale.

3) Osteonecrosi (testa femorale, epicondilo omerale, capitello radiale).

4) Pseudoartrosi (epicondilo omerale).

5) Deformità residua (callo vizioso).

Un accavallamento, in genere con buona prognosi, potrà essere rimodellato con accorciamento compensato della spinta di crescita ed angolatura che viene ad annullarsi.

Gioca poi un ruolo importante il piano della deformità da correggere, più favorevole se situata sul piano di movimento delle articolazioni vicine (una recurvazione o procurvazione di tibia o femore si correggerà meglio di un varo-valgo sul piano frontale).

Il callo vizioso in rotazione assiale non ha alcuna regione per correggersi da solo (diafisi femorale o radiale, camuffata o compensata articolarmente), con atteggiamenti in torsione e risultato di piede varo o valgo, sindrome rotulea, coxartrosi.

Poiché queste conseguenze si possono manifestare secondariamente, la consolidazione di una lesione che pare evolvere favorevolmente andrà considerata in un arco tra i 18 mesi ed i 2 anni.

Il recupero totale delle limitazioni funzionali è osservabile dopo circa un anno, mentre la consolidazione ossea del callo avviene dopo 3-6 settimane.

In caso di lesione cartilaginea con epifisiodesi, può essere tentata la disepifisiodesi chirurgica con valutazione da porsi a distanza di circa 5 anni.

Se l'intervento non viene effettuato la valutazione sarà da rimandarsi a fine crescita o perlomeno sino al momento in cui verrà deciso il blocco della residua attività cartilaginea lesa e di quella controlaterale.

Un altro problema evolutivo è il rischio di fratture iterative dopo consolidazione autentica, e quasi esclusivamente a carico delle fratture dell'avambraccio.

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Queste fratture iterative che, fino ad un anno o poco più dopo la frattura primitiva, soprattutto se il callo è stato un po’ vizioso, debbono essere imputate al primo trauma, consolidano bene ma dopo un periodo più lungo di quello delle fratture iniziali.

Splenectomia

Una delle sue conseguenze immediate è l'iperpiastrinemia, da 5OO.OOO a 1.OOO.OOO di trombociti per millilitro, con presenza di questo valore mediamente dai 2 ai 4 mesi, ma che può mantenersi tale anche per anni, accompagnata dal riscontro dei corpi di Jolli, di Heinz e leucocitosi elevata.

Se tale quadro persiste al di là di un lasso di tempo ragionevole, è un fattore potenziale di rischio a lungo termine per incidente embolico e turbe della coaugulazione.

In un terzo dei casi vi sono alterazioni delle IgM, caratteristiche nelle forme fulminanti di setticemia dopo splenectomia (OPSI-Overhelming post splenectomy infection).

Il rischio aumenta con l'abbassarsi dell'età (del 1O% nel soggetto inferiore ai 5 anni contro il 2% dell'adulto).

Il periodo di possibile comparsa è di due anni in media, ma con casi descritti anche fino ai 10 anni e mortalità variabile dal 5O% al 75%-8O%, con frequenza stimata dal 3% al 5%, spesso letali nelle 24 ore, causati da pneumococco (5O%), meningococco ed emophilus.

Sono presenti soprattutto prima dei 4 anni e particolarmente prima dell'anno di vita del paziente e si possono osservare soprattutto nei due anni successivi alla splenectomia.

Le localizzazioni infettive più frequenti dopo la splenectomia sono rappresentate da meningiti (37%), pneumopatie (22%), setticemie (21%) e poi pericarditi, peritoniti, osteomieliti, OPSI, cioè infezione fulminante sovente senza focolaio infettivo con coma, stato di shock, sindrome emorragica, CID, batteriemia massiva (superiore al milione di batteri per ml).

Se il bambino ha meno di un anno l'incidenza di complicanze infettive può arrivare al 15,7%, con mortalità del 6,7%; nel soggetto inferiore ai 5 anni l'infezione colpisce il 1O,4% dei pazienti con mortalità del 4,5%.

La valutazione del danno biologico non potrà essere fatta se non trascorsi almeno 2 anni dal trauma e dopo aver effettuato

1) conta piastrinica

2) dosaggio IgM e/o scintigrafia (bilancio ecoradiografico).

La milza rimane un organo non indispensabile alla vita ma la cui assenza od alterazione riduce certamente le speranze di vita per la possibile comparsa di complicanze ischemiche od infettive malconosciute.

Le complicanze tromboemboliche sono nel bambino documentate in 7 casi su 1.413 soggetti.

In caso di traumatismo splenico dovranno essere indagate:

1) Circostanza di incidente e trauma

2) Elementi di diagnostica iniziale, dati clinici ed RX 3) Reperto operatorio

4) Lesioni traumatiche associate 5) Evoluzione

6) Stato anteriore

7) Esami complementari a distanza.

Il nesso di causa non pone solitamente dei problemi particolari; va tenuta presente la possibilità di rottura in due tempi, in cui però deve essere rispettata la concatenazione clinica e la continuità fenomenologica.

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Una ecografia perfettamente normale in via di principio tende ad escludere la possibilità di rottura secondaria. Lo stato anteriore di fragilità può essere confermato dall'esame istologico del pezzo di exeresi.

In caso di sola splenectomia, la I.T.T. si esaurisce nel periodo di ospedalizzazione salvo complicanze post-operatorie precoci o patologie associate e l'arresto dell'attività sportiva varia dai 2 ai 3 mesi.

La consolidazione avviene in media nel corso del primo anno.

La stima di danno biologico si basa su differenti elementi.

1) Perdita o riduzione significativa di un organo unico che gioca un ruolo certo nelle difese immunitarie dell'organismo.

2) Disfunzioni ed alterazioni nella vita quotidiana per la necessità di trattamento medico preventivo (antibiotico, profilattico e vaccinico) e di controlli specialistici indispensabili in caso di episodi febbrili.

Nell'adulto in caso di splenectomia totale, con assenza di anomalie cliniche od ematologiche, il danno biologico si aggira normalmente intorno ad un 5%.

Nel bambino il trattamento conservativo, cioè la splenectomia parziale con conservazione di più del 5O% del tessuto splenico senza altri rilievi (indicativi di modificazioni cliniche, ematologiche ed immunologiche), dovrebbe comportare una stima di danno biologico permanente, al di là dell'aspetto cicatriziale, non eccedente il 5%.

Negli altri casi vi potranno essere variazioni dal 5% al 1O%, in particolare

1) Dal 5% al 7% se presenti più elementi quali splenectomia parziale con meno del 5O% di tessuto splenico, autotrapianto splenico, età al momento della splenectomia superiore ai 5 anni, splenectomia totale senza episodi infettivi e con prevenzione fatta e ben tollerata, vaccinica ed antibiotica.

2) Dall'8% al 1O% in caso di splenectomia totale, 1 episodio infettivo, non prevenzione medica, età maggiore di 5 anni all’atto della splenectomia.

3) Sono poi da considerare le caratteristiche della cicatrice post-laparotomica, la presenza di eventuali laparoceli ecc.

Qualora vi sia un rischio infettivo che implichi obblighi di sorveglianza, nei casi più severi la valutazione potrà giungere fino al 12%.

Si devono infine tenere presenti eventuali problemi di responsabilità medica se non effettuata, qualora fosse possibile, una tecnica conservativa, l’autotrapianto non prescritto o praticato, l’assenza di successive misure mediche profilattiche, carenza di informazione ai parenti.

Rimane un quesito finale:

“E’ ancora possibile fare una splenectomia totale nel bambino?”.

La valutazione del consulente esperto

Lo specialista medico legale deve fornire un giudizio tecnico sul danno, rimanendo nei confini del proprio mandato, senza intervenire sui problemi puramente giuridici od economici.

Il quesito è normalmente volto all'ammissione del nesso di causa, all'indicazione della data di consolidazione, e della conseguente durata dell'incapacità temporanea, alla percentualizzazione del danno biologico ed alla sua descrizione, specie in rapporto ad importanti aspetti menomativi con ripercussioni sulla qualità della vita.

Nella valutazione si dovrà tener conto di eventuali preesistenze, sino ad allora sconosciute o ben sopportate, rivelate o aggravate da un traumatismo. Molti bambini sono infatti portatori di problematiche scheletriche, cisti ossee, displasie, patologie metaboliche, handicap neurologici.

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L'esperto non potrà negare un risarcimento, in considerazione del fatto che quell'evento lesivo non avrebbe avuto conseguenze su di un bambino sano, ma bensì descrivere lo stato anteriore, le conseguenze del sinistro, spiegando il ruolo giocato dal trauma e dal terreno.

Qualunque stato anteriore patologico, congenito od acquisito, preesistente al traumatismo, deve essere perfettamente conosciuto nella sua storia naturale, nelle sue potenzialità funzionali specifiche, nel suo divenire.

Lo stabilire una data di consolidazione è difficile e deve essere spesso ritardata di fatto per l'intricarsi dell'evoluzione dei postumi con la crescita del bambino.

L'incapacità temporanea, che per l'adulto viene distinta in incapacità biologica ed inabilità lavorativa, nel bambino potrebbe essere suddivisa in incapacità biologica ed inabilità scolastica.

Infine, lo studio dell'handicap con particolare riguardo alle attività ed alle possibilità della scolarizzazione-formazione professionale riveste un'importanza basilare proprio per le presupposte ripercussioni sulle future attività professionali.

Mai come nella valutazione del danno al bambino, proprio per la presenza di danno aleatorio, potenziale e futuro, è indispensabile il buon senso.

L'interrogatorio e l'anamnesi, oltre all'esame del soggetto, dovranno anche essere rivolti alla famiglia, stabilendo in certi casi un contatto con il pediatra od il medico di fiducia, acquisendo non solo le cartelle cliniche ma anche la documentazione relativa ad attività e profitti scolastici.

L'esperto dovrà informarsi sullo sviluppo psico-fisico del bambino, sulla sua evoluzione prima e dopo il sinistro, ascoltando anche i diversi membri della famiglia per situare la vittima nella sua cornice quotidiana.

Quando la lesione e le conseguenze lo giustificano, il medico legale non dovrà esitare ad interpellare altri specialisti (pediatri, neurologi, psichiatri, ortopedici).

Il problema iniziale è sovente relativo alla stabilizzazione dei postumi, in cui un certo numero di elementi propri dell’evoluzione del bambino si intreccia con l’evoluzione delle lesioni.

Lo specialista deve saper fissare una data corrispondente realmente al momento in cui lo stato sequelare è divenuto stabile e non più suscettibile di trattamenti.

Si può essere tentati di riportare sistematicamente la data di consolidazione alla fine dell’accrescimento ma si deve evitare di cadere in questa trappola.

Vi sono casi in cui, salvo evoluzioni straordinarie ed imprevedibili, la situazione clinica è ormai definitivamente raggiunta e la consolidazione può essere fissata con le riserve d’uso.

Oggi la biologia e la fisiologia delle zone di accrescimento è perfettamente nota allo specialista autentico.

E' ridicolo misconoscere lesioni che sicuramente esiteranno in menomazioni da quelle senza alcun rischio ed è un abuso del cosidetto perito, in realtà incompetente, sentenziare che essendo il bambino in fase di crescita è impossibile fissare il tasso di danno biologico rimandando il tutto ai 18 anni.

Di contro, vi sono casi in cui il buon senso obbliga a rapportare la consolidazione alla fine dell’accrescimento, ad esempio nell’impossibilità di prevedere l’inserimento socio-economico del bambino divenuto adulto.

Potranno essere fatte previsioni di miglioramento od aggravamento indicando la data in cui una nuova consulenza potrà permettere la valutazione del danno in modo definitivo.

Lo specialista dovrà infine pronunciarsi sul deficit anatomo-funzionale permanente non suscettibile di evoluzione ma senza conclusioni sulle conseguenze a livello di handicap professionale il cui apprezzamento non potrà essere fatto che in età adulta, motivando le riserve avanzate.

In quello che è uno schema classico le conclusioni debbono vertere su:

1) Data di stabilizzazione delle lesioni 2) Incapacità biologica temporanea 3) Inabilità scolastica temporanea 4) Percentuale di danno biologico

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5) Descrizione dell’iter patologico e terapeutico che permetterà al giudice, se richiesto, una valutazione ed una quantificazione del danno morale.

6) Nei casi particolarmente gravi, previsione e valutazione della ripercussione della menomazione sulle attività della vita quotidiana, su quelle scolastiche e di formazione, ludiche, affettive e familiari.

Queste ultime saranno particolarmente difficili da provare ma è evidente che andranno indicate se l’importanza del danno lascia prevedere che il bambino non potrà avere una vita sociale e familiare normale.

7) Infine, compatibilità della lesione con attività lavorative future.

BIBLIOGRAFIA

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