• Non ci sono risultati.

Il concetto di capacità produttiva nel nuovo sistema di risarcimento del danno alla persona

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Il concetto di capacità produttiva nel nuovo sistema di risarcimento del danno alla persona"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

Il concetto di capacità produttiva nel nuovo sistema di risarcimento del danno alla persona

di

Antonio Nannipieri*

Il problema del danno da compromissione del reddito non concerne solo l'aspetto liquidativo ed i relativi criteri ma anche e prima ancora aspetti o profili concettuali, contenutistici, medico-legali e probatori che sono stati posti dal nuovo sistema risarcitorio del danno alla persona; quest'ultimo infatti, ha radicalmente mutato la tradizionale impostazione patrimonialistica a favore di una impostazione personalistica basata sul principio della risarcibilità dei valori della persona in sé e per sé considerata e svincolata dalla perdita o diminuzione del reddito lavorativo.

Malgrado il nuovo modello risarcitorio fondato sulla redditualità, priorità ed autonomia del danno alla salute o danno biologico e la elaborazione giurisprudenziale a tutti i livelli non può dirsi del tutto concluso il percorso verso una netta collocazione residuale del "danno economico" inteso come danno conseguenza consistente nell'equivalente monetario della perdita subita da patrimonio del danneggiato nella duplice forma del danno emergente (perdite subite corrispondenti a sottrazione di utilità che già esistevano nel patrimonio del danneggiato) e lucro cessante (mancati guadagni corrispondenti a nuove utilità che il danneggiato avrebbe conseguito se non si fosse verificato il fatto illecito); ciò in quanto permangono ancora problemi di duplicazione, sovrapposizione, ed assorbimento di alcune figure di pregiudizio patrimoniale in senso stretto e di alcune componenti riconducibili al danno alla salute fisiopsichica unitariamente considerata.

La stessa Corte Costituzionale nella nota sentenza 184/1986 pur ammettendo espressamente il principio del "cumulo" tra le voci di danno (danno alla salute o biologico, danni conseguenza di carattere economico o strettamente patrimoniale e danni morali subiettivi) ha sottolineato la necessità di evitare duplicazioni risarcitorie e sperequazioni da parte del giudice anche se questo deve tener conto da un lato, della pluralità dei beni che possono essere contemporaneamente lesi dallo evento dannoso (salute, patrimonio, perturbamento psichico transeunte delle condizioni del soggetto leso) e dall'altro del principio generale dell'art. 1223 cod. civ. secondo il quale il risarcimento deve essere integrale e ripristinare la situazione in cui il danneggiato si trovava prima del fatto illecito.

Ma il percorso sopra richiamato passa necessariamente da una individuazione e delimitazione del contenuto del lucro cessante da invalidità lavorativa temporanea e/o permanente (assoluta o parziale) diversa da quella tradizionale e richiede, in particolare, di identificare "il bene o valore" sul quale, ai fini strettamente patrimoniali, incide la menomazione fisiopsichica medicalmente accertata.

In proposito, sia pure con qualche incertezza od improprietà anche concettuale riscontrabile nella giurisprudenza di merito e della stessa Corte di Cassazione, si può ormai affermare che tale "bene o valore" non è più identificabile nella tradizionale capacità lavorativa generica (da considerare come attributo della integrità psicofisica dell'uomo medio) e che ad alcune difficoltà valutative può indurre il riferimento alla tradizionale capacità lavorativa specifica (che rapportata alla capacità di svolgere la attività lavorativa concretamente esercitata dal danneggiato appare forse riduttiva in quanto circoscritta ad una stretta correlazione tra menomazioni e le sole specifiche mansioni lavorative di fatto espletate dal soggetto leso al momento del sinistro).

Pertanto, coerentemente alla distinzione delle tre grandi voci di danno delineate dalla sentenza 184/86 della Corte Costituzionale si rende necessario far ricorso ad una nuova e diversa categoria od entità intesa come capacità del soggetto di produrre reddito attuale o futuro (reddito di cui il danneggiato deve offrire la prova anche per presunzioni) apprezzata non solo in funzione del grado di invalidità ed in relazione alla attività di lavoro in atto (capacità attuale) ma anche con riferimento a quella attività lavorativa futura che si prospetti compromessa con carattere di certezza o di rilevante

*

(2)

probabilità perché legata all'età, alle attitudini e qualità lavorative personali e alle esperienze occupazionali ed ambientati proprie del singolo danneggiato. Siamo più precisamente nell'ambito della nuova nozione di capacità produttiva con effetti economici futuri che non produce (necessariamente) effetti attuali sul patrimonio del danneggiato proprio perché di capacità reddituale si tratta e non solo del reddito che ne costituisce l’oggetto.

Tale concetto di capacità produttiva individuale appare più propriamente rapportabile anche al lavoro inteso in senso lato come strumento per realizzare lo sviluppo della persona umana (Corte Costit. 163/1983) e riferibile ad ogni tipo di "attività o di funzione che concorre al progresso materiale e spirituale della società" come emerge dal significato e dalla rilevanza costituzionale dello art. 4 della Costit. nel suo collegamento non solo con gli artt. 1, 2 e 3 ma anche con tutte le altre norme costituzionali che possono considerarsi integrative del diritto al lavoro e che sono contenute negli articoli dal 35 al 40 delta stessa Costituzione.

La lesione della capacità produttiva individuale di natura temporanea.

Così delineato il concetto di capacità produttiva di reddito da correlare al danno economico, al fine di evitare cumuli ingiustificati e liquidazioni erronee (in quanto ottenuti attraverso voci di danno o parametri o calcoli liquidativi non pertinenti), dobbiamo chiederci per quali figure di danno si pone l'esigenza di verificare il rapporto tra contenuti propri del danno alla salute o danno biologico e contenuti propri del lucro cessante da invalidità lavorativa nelle due articolazioni relative alla inabilità o invalidità lavorativa di natura temporanea ed alla invalidità di natura permanente.

Per quanto concerne la prima intesa come incapacità assoluta (cioè totale) o parziale ad attendere alle attuali ordinarie occupazioni lavorative per un certo periodo di tempo (distinta dal concetto di malattia quale durata del processo patologico evolutivo conseguente alla lesione) non si profilano difficoltà interpretativi od applicative poiché il danno patrimoniale da lucro cessante ricorre solo in quanto la menomazione subita dalla persona possa avere incidenza diretta od immediata nella produzione del reddito e del guadagno essendo il fondamento della pretesa risarcitoria rappresentato non già dalla perdita totale o parziale della capacità lavorativa in sé considerata ma dalla conseguente effettiva diminuzione di reddito e di guadagno; pertanto incombe al danneggiato l'onere di offrire la prova relativa a tale diminuzione che se assolto porterà all'accoglimento della domanda risarcitoria a tale titolo proposta.

Peraltro, come avremo modo di vedere, secondo una parte della dottrina, la invalidità temporanea assume rilievo giuridico anche nei casi in cui il soggetto non produca reddito senza alcuna distinzione mentre altra parte della dottrina e della giurisprudenza riconosce tale componente risarcitoria nei soli casi in cui il soggetto svolga una attività economicamente rilevante.

E', quindi, in linea con tale principio quell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale qualora il lavoratore abbia continuato a percepire il compenso lavorativo durante il periodo di malattia non può vantare a titolo di I. c. da it. alcuna pretesa risarcitoria escludendo l'avvenuta corresponsione del compenso per lavoro l'esistenza del danno sotto forma del lucro cessante.

Tuttavia rimane salva la possibilità di aver percepito, in periodo di invalidità temporanea, solo una parte della retribuzione o di aver rinunciato a lavori straordinari particolari benefici economici o trasferte con perdita di corrispondenti compensi , od ancora di aver subito pregiudizio negli sviluppi della carriera o di essere stato costretto ad accettare un anticipato collocamento a riposo .

Anche in tutte queste situazioni siamo di fronte nelle prima ipotesi ad una già intervenuta riduzione della capacità di guadagno e, nelle seconde ipotesi, ad un pregiudizio che si realizzerà con carattere di certezza o di rilevante probabilità nella futura attività lavorativa e quindi, rimaniamo certamente nell'ambito del lucro cessante da invalidità lavorativa; ma mentre nel primo caso la prova potrà essere offerta in modo piuttosto agevole (prova documentale o testimoniale) nel secondo caso l'onere probatorio sarà assolto con maggiore difficoltà e potrà richiedere il ricorso alla prova per presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ. connotata da un procedimento e da

(3)

valutazioni non sempre facili per le parti ed il giudice (vedi da ultimo Cass: Sez. Un. 13.11.1966 n.

9961).

Ma proprio perché i motivi di incertezza valutativa non sono solo ed esclusivamente di natura medico-legale ma si estendono ad aspetti tecnici particolari relativi alle mansioni, ai gesti ed alla tecnica di una particolare e reale attività lavorativa e ad una comparazione con un lavoro di diverso e maggior livello legato agli sviluppi di carriera ed ad un rendimento qualitativo e quantitativo futuro e, spesso, anche specialistico, si renderà necessario ricorrere anche ad una consulenza tecnica che, raccordata con quella medico-legale, sia diretta ad offrire al giudice elementi concreti di analisi , di verifica e di previsione e soprattutto di compatibilità tra l'accertata menomazione e i compiti lavorativi inclusi nel superiore profilo professionale; esigenza che, a maggior ragione si pone per la menomazione permanente.

La consulenza collegiale affidata al medico-legale ed ad esperto in materia di mansioni lavorative dovrà peraltro essere preceduta da acquisizioni probatorie finalizzate anche ad offrire ai c.t.u. tutto il materiale su cui operare e dovrà avere ad oggetto quesiti specifici ed integrativi e qualora le risposte a tali quesiti non siano idonee a determinare con precisi elementi di calcolo l'ammontare e la entità del futuro pregiudizio economico potrà sempre supplire la valutazione equitativa di cui al combinato disposto degli artt.1226 e 2056 cod. civ.

In proposito va aggiunto che, secondo la dottrina e la giurisprudenza, la formulazione dell'art.

2056 cod. civ. il quale, per la determinazione del risarcimento da illecito extracontrattuale, richiama al primo comma, anche la disposizione dell'art. 1226 cod. civ. (valutazione equitativa del danno) aggiungendo al secondo comma che il lucro cessante è determinato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso, non autorizza la conclusione che il secondo comma del detto articolo 2056 preveda una "relevatio ab onere probandi" in ordine all'accertamento delle circostanze del fatto ed all'esistenza del danno da lucro cessante; al contrario, in relazione a tale danno, la valutazione equitativa del giudice, che integra non un giudizio di equità ma un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale, non riguarda la prova dell'esistenza del pregiudizio patrimoniale , il cui onere permane a carico della parte interessata, ma solo l'entità del pregiudizio stesso, in considerazione dell'impossibilità, o quanto meno, della grande difficoltà, di dimostrare la misura del danno (fra le molte Cass. Sez. III 11.11.1996 n. 9835).

Ritornando sui casi di esclusione del lucro cessante da invalidità temporanea non ritengo di poter condividere l'interpretazione estensiva dell'art. 4 terzo comma legge 39/77 sino al punto di legittimare il risarcimento per tale voce di danno a tutti i soggetti che non svolgono una attività lavorativa o autonoma (risarcimento calcolato su un reddito in senso lato figurativo non inferiore al triplo della pensione sociale) poiché tale norma presuppone la riconducibilità al soggetto danneggiato di una attività economicamente rilevante e tale presupposto è chiaramente carente nei riguardi di persone assolutamente improduttive (ad esempio fanciullo, invalido totale prima del sinistro, disoccupato volontario da sempre, pensionato in età avanzata che non svolga alcuna attività marginale, recluso che non esplichi alcun lavoro penitenziario ) ; tali posizioni si appalesano, infatti, sostanzialmente equiparabili a quella del pubblico dipendente che ha continuato a percepire la intera retribuzione poiché anche in tali situazioni non sussiste alcun rapporto o nesso causale tra la invalidità temporanea e una immutazione pregiudizievole nel patrimonio dell'infortunato dal momento che il reddito non ha subito alcuna contrazione o riduzione perché assente anche prima del sinistro e dopo la conclusione del periodo di malattia e perché il reddito figurativo comporta pur sempre l'espletamento di una attività avente un contenuto corrispondente ad un lavoro praticabile in concreto dal soggetto e suscettibile di valutazione economica risolvendosi altrimenti, in una mera finzione.

Tale finzione era infatti riconducibile al tradizionale concetto di capacità lavorativa generica e di

"presumibile guadagno futuro" (sul punto non si può non far riferimento ai casi limite di Gennarino

"e sia pure in parte di Luigino") concetti ora superati e non più sorretti da alcuna giustificazione dal

(4)

momento che per tutti i soggetti è ormai assicurata la risarcibilità del danno biologico temporaneo in via autonoma.

Pur trattandosi di reddito figurato e virtuale in alcune situazioni particolari la giurisprudenza ha ritenuto sussistente il danno da invalidità temporanea alla casalinga ed allo studente nella forma del danno emergente o del lucro cessante futuro (ad esempio nel caso in cui la casalinga sia stata sostituita per il periodo di inabilità temporanea da una collaboratrice familiare o nel caso della provata perdita di un anno scolastico del minore che abbia determinato un ritardato inizio della attività lavorativa futura).

Per quanto concerne la durata della invalidità o inabilità temporanea deve farsi ricorso alla consulenza tecnica medico-legale attraverso la formulazione di un apposito quesito che non presenta particolarità difficoltà in quanto prevede un esame critico della documentazione medica prodotta od acquisita sulla persistenza dello stato patologico al fine di accertare non tanto la durata dall'assenza del lavoro ma piuttosto quanto tempo è mancata la idoneità a compiere la attività lavorativa .

Una volta accertata tale durata ed individuato il reddito annuo del danneggiato secondo i parametri stabiliti dall'art. 4 della legge n. 39/77 elaborati dalla giurisprudenza occorre dividere il reddito annuo per il numero dei giorni 365 retribuiti e moltiplicare il reddito giornaliero così ottenuto per il numero dei giorni di impedimento totale al lavoro; lo stesso procedimento vale per la invalidità temporanea parziale, salvo dividere a metà il risultato ottenuto. Qualora la temporanea non sia di breve durata ma si protragga per un certo numero di anni, il calcolo del reddito lavorativo che sarebbe stato conseguito va effettuato mediante capitalizzazione .

Si discute se ai fini del reddito si debba far riferimento a quello goduto al momento del sinistro poi rivalutato od a quello percepito al momento della liquidazione del risarcimento; pur trattandosi di criteri che hanno trovato applicazione in giurisprudenza la prima soluzione appare preferibile perché più vantaggiosa per il danneggiato e più in linea con il concetto che gli effetti risarcitori debbano essere collegati al sorgere dell'evento dannoso.

La durata della invalidità od inabilità temporanea assume una sua rilevanza anche ai fini del computo della invalidità permanente nel senso che questa inizia dopo la cessazione del periodo di inabilità temporanea in quanto solo da tale momento possono ritenersi sussistenti i postumi permanenti.

Nessuna duplicazione è ipotizzabile tra il danno biologico di natura temporanea ed il lucro cessante da invalidità lavorativa temporanea perché le due componenti risarcitorie hanno contenuti nettamente diversi, riguardando l'uno il pregiudizio economico per impedimento allo svolgimento della propria attività lavorativa con conseguente riduzione del reddito e l'altro l'impedimento allo svolgimento degli ordinari atti della vita quotidiana per la lesione alla salute.

Il quesito si può, invece, porre, riguardo al rapporto tra le due figure di pregiudizio costituite dal danno alla salute temporaneo ed il danno morale causalmente riconducibile al periodo di invalidità temporanea a seguito di lesioni sofferte dal soggetto ma ciò esula dal tema specifico di cui ci stiamo occupando.

Nei casi poi in cui il soggetto leso fermo restando il reddito svolga la propria attività lavorativa con maggiore sforzo, affaticamento e dispendio di energie oppure debba ricorrere a più lunghi periodi di recupero (cosiddetto danno alla cenestesi lavorativa) e deduca un tale pregiudizio è necessaria una verifica attraverso un quesito aggiuntivo al C. T.U. ed in caso di risposta affermativa il bene leso non è la capacità di produzione di reddito personale, ma il bene salute e, quindi, il giudice deve provvedere a liquidare tale pregiudizio come danno biologico secondo il parametro (liquidativo proprio del danno biologico temporaneo; ma anche sul punto l'orientamento non è univoco.

La lesione della capacità produttiva individuale di natura permanente.

Quando gli esiti dannosi anatomici o funzionali della lesione inizialmente patita risultino stabili e durevoli nel tempo perché definitivamente consolidati e non più modificabili la menomazione assume carattere invalidante permanente (assoluto o parziale) e incide sulla capacità produttiva futura del

(5)

soggetto per tutto il restante periodo di vita lavorativa che notoriamente è destinata a cessare prima della conclusione della vita fisica.

L'accertamento della invalidità permanente è opera del medicolegale che percentualizza la lesione psicofisica nei suoi riflessi sulla capacità produttiva futura del soggetto la quale si traduce in un danno da lucro cessante previsto dall'art. 2057 cod, civ. che autorizza il giudice, tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno ad effettuare la liquidazione sotto forma di rendita vitalizia e cioè mediante la costituzione di una obbligazione avente ad oggetto la prestazione periodica di una somma di denaro, per tutta la vita del creditore, secondo il modello previsto dagli artt. 1872 e segg. cod. civ.

La norma secondo la dottrina e la giurisprudenza proprio per il carattere discrezionale del potere attribuito al giudice nella liquidazione dei danni permanenti, se da un lato non esclude il criterio della liquidazione equitativa (desumibile dalla norma di cui all’art, 1226 cod, civ. generale rispetto a quella dell'art. 2056 cod. civ.), dall'altro lato consente che sia attribuita al danneggiato una somma capitale corrispondente a quella necessaria per la costituzione di una rendita vitalizia, pari alla perdita del reddito lavorativo sofferta .

Il metodo che viene normalmente seguito per la liquidazione del danno da invalidità permanente lavorativa non è però quello sotto forma di rendita vitalizia di cui all'art. 2057 cod. civ. (rendita alla quale appare opportuno far ricorso nei gravi casi di macropermanenti) ma piuttosto quello della capitalizzazione con ricorso al calcolo tabellare che muove dalla considerazione che il danneggiato per tutta la restante parte della vita conseguirà un reddito lavorativo ridotto in ragione della percentuale di invalidità: tale rendita viene capitalizzata ai valori attuali (del momento del sinistro o meglio del momento di cessazione della inabilità temporanea totale) sulla base di alcune tabelle comunemente utilizzate (finora le tariffe previste per la Cassa Nazionale delle Assicurazioni Sociali approvate con r. d. 9.10.1922 n. 1403 sottoposte a critiche da ultimo contenute nella sentenza della Cass. Sez. III civ. 23.6.1993 n. 6941 in AGC 93.962) che forniscono un coefficiente in ragione dell'età (e talora del sesso) dell'infortunato, tenuto conto della sua vita residuale probabile.

Peraltro dal momento che tali tabelle hanno riguardo non già alla vita lavorativa ma a quella fisiologica, si porta in detrazione una certa percentuale (che varia nella prassi dal 1 0% al 35% e si attesta mediamente sul 20%) per lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa.

In pratica nel calcolo tabellare vengono in considerazione il reddito lavorativo annuo del danneggiato, la percentuale di riduzione della integrità ed efficienza fisiopsichica (d. b.) non in quanto tale ma solo in quanto incidente sulla capacità produttiva personale, la durata probabile della vita dell'infortunato e, nel caso di minori, la anticipata corresponsione della somma capitale relativamente al periodo intercorrente tra l'età al momento della sentenza e quella di presumibile inizio della attività lavorativa.

Sembrerebbe, quindi, che l’applicazione della formula del calcolo tabellare costituisca una piana traduzione in termini pecuniari del danno alla capacità produttiva personale di reddito ma, in realtà, non si tratta quasi mai di una pura operazione aritmetica perché ogni componente di tale calcolo presenta aspetti di una qualche problematicità e la soluzione in un senso o nell'altro degli stessi finisce per influenzare in maniera rilevante il risultato finale del calcolo e, quindi, la concreta determinazione del quantum del danno economico.

In realtà tutte le componenti del calcolo tabellare secondo la nota formula D (quantum del danno capitalizzato) = R(reddito lavorativo annuo) X C (coefficiente tabellare) X Y/100 (percentuale di invalidità) S(scarto tra vita fisica e vita lavorativa) presentano o possono presentare aspetti problematici che riguardano anzitutto l'accertamento della natura e del grado espresso in percentuale della invalidità permanente che deve essere valutata dal medico-legale attraverso la formulazione di quesiti specifici che tengono conto sia del concetto di capacità produttiva di reddito come sopra delineato soprattutto nei suoi prevalenti aspetti qualitativi e personalizzati e del superamento dei tradizionali concetti di capacità lavorativa generica (ormai assorbita nel danno alla salute) e capacità

(6)

di lavoro specifica (vedi Cass. 3563/96), sia del fatto che la C. T. U. può assumere il valore di fonte oggettiva di prova quando il C. T. U. sia incaricato di svolgere direttamente la propria indagine su fatti che richiedono come nel nostro caso cognizioni tecniche particolari (c. t. percipiente e non solo deducente per il quale vedi da ultimo Cass. Sez. Un. 4.11.1996 n. 9061).

Quanto sopra accennato in ordine alle varie componenti del calcolo tabellare il quale muove dalla ipotesi (in concreto da verificare) che il danneggiato per tutta la restante parte della sua vita lavorativa conseguirà un reddito lavorativo ridotto in misura corrispondente (in linea di massima) alla percentuale di invalidità accertata rendono evidente che le indicazioni percentuali di riduzione della capacità produttiva di reddito costituiscono un elemento imprescindibile del metodo tabellare al quale la giurisprudenza ha continuato a fare costante riferimento in tema di determinazione quantitativa del lucro cessante da invalidità lavorativa e che, solo, in casi del tutto particolari, è stato disapplicato per far ricorso al criterio della valutazione equitativa che, se pur adeguatamente motivato, presenta sempre aspetti di rilevante discrezionalità e pericolo di difformità liquidativi in presenza di menomazioni di analoga entità.

Se da un lato, appare, quindi problematico nella liquidazione stragiudiziale e giudiziale del lucro cessante da ridotta capacità produttiva di reddito non acquisire i numeri di indicazione percentuale (NIP) non bisogna trascurare che una parte della dottrina medico-legale continua ad assumere una posizione critica nei confronti dei liquidatori delle Compagnie di Assicurazioni e degli stessi giudici quando questi nel quesito relativo all’accertamento della invalidità lavorativa espressamente richiedono di fornire un preciso valore numerico perché la risposta a tale richiesta finisce sostanzialmente per snaturare e rendere improprio il valore del complesso giudizio di stima demandato al medico-legale e costituisce un dato aritmetico non pertinente a tale giudizio.

Effettivamente l'obiezione ha un suo fondamento al punto che se la questione viene posta in termini di risposta al quesito con esclusivo riferimento alla espressione numerica come in taluni casi è stato dato riscontrare non si può non condividere l'orientamento critico sopra enunciato e non risulterebbe possibile in pratica operare un equilibrato collegamento tra la indicazione percentuale quale elemento necessario del calcolo tabellare e una risposta medico-legale al quesito specifico formulata senza alcun riferimento numerico ma solo descrittivo e valutativo .

Tuttavia ciò porterebbe a scindere il momento valutativo medico-legale ed il momento liquidativo con conseguenze pratiche negative facilmente intuibili mentre tutto ciò è necessario e possibile evitare se si indica un range numerico e se questo viene considerato nel suo significato di sussidiaria e convenzionale semplificazione di un giudizio valutativo basato su una esauriente parte descrittiva e motivazionale il giudice (sempre libero di scegliere all'interno del range) deve far espresso richiamo nella parte motiva della sentenza.

E spesso, proprio perché al c. t. u. siano offerti eventi di valutazione riguardo alla incidenza della menomazione sulla attività lavorativa in concreto svolta dal soggetto , è necessario far precedere l'incarico da prove testimoniali o dalla acquisizione di elementi documentali che offrano un quadro preciso dei gesti lavorativi dell'infortunato, mentre, successivamente per il controllo sulla attendibilità delle valutazioni compiute dallo stesso C. T. U. oltre che il contraddittorio tecnico non sempre presente può essere di una notevole utilità il riferimento alle tabelle di valutazione medico legale o baremès anche attraverso un esame comparato delle stesse.

Queste costituiscono, infatti, una sorta di communis opinio frutto della esperienza e della dottrina medico-legale e possono essere considerate alla stregua delle "massime di esperienza" e, quindi, poste alla base del procedimento tabellare in relazione al combinato disposto degli artt. 115 c. p. c. e 2697 cod. civ. e rafforzano la correlazione tra conclusioni peritali e motivazione della sentenza, nel senso che se il giudice ritiene che tali conclusioni siano esaustive e convincenti, sotto il profilo logico e tecnico e vi aderisce non è tenuto ad una particolare motivazione. Peraltro occorre tener presente che i vizi di un eventuale processo logico compiuto dal c. t. u. si riflettono sulla decisione perché anche la motivazione madesiva ne risulta viziata ed è, quindi, censurabile anche in sede di gravame.

(7)

Ma, in caso di lesioni subite da un lavoratore dipendente estensibile anche ad altre e diverse ipotesi di attività lavorativa) secondo un orientamento della Corte di Cassazione (vedi da ultimo Cass. Sez. III 26.10.1995 n. 11143) l'invalidità parziale permanente rende presumibile l'influenza negativa sulla percezione di speciali compensi per una prestazione di lavoro più intensa del normale e sull'ulteriore sviluppo di carriera o su di una possibile collocazione anticipata a riposo, nonché su di una alternativa possibile di lavoro, per cui in tali casi, si impone l'obbligo del giudice di merito di accertare, pur quando il soggetto abbia continuato a percepire la retribuzione, sed in quale limite sia al medesimo derivato un danno risarcibile sotto forma di lucro cessante.

Per le situazioni lesive riconducibili nell'ambito delle piccole invalidità o micropermanenti (e cioè quelle menomazioni di carattere permanente che rimangono al di sotto della percentuale del 10%

determina in via convenzionale suscettibili di recupero e/ o di adattamento) la Corte di Cassazione, in conformità alla prevalente giurisprudenza di merito, ha affermato che le stesse hanno rilevanza non già come menomata capacità di guadagno ma come menomazione della salute psicofisica in sé e per sé considerata rientrante nel concetto di danno biologico e, pertanto, comportano il risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa con il parametro proprio di tale componente risarcitoria, tenendo presente gli esiti invalidanti e le limitazioni psicofisiche delle lesioni subite in relazione all'età dell'infortunato, al suo ambito sociale ed alla sua vita di relazione, salvo che risulti offerta la concreta dimostrazione che "la microinvalidità" abbia inciso limitandola, sulla specifica capacità di guadagno futuro del soggetto (Cass. 8066/93, 10539/94, 2515/95, 1869/97).

Anche la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all'attività lavorativa da parte del soggetto che non svolge attività produttiva di reddito, né sia in procinto di svolgerla, è risarcibile quale danno biologico, in cui si comprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene salute in sé considerato, con la conseguenza che la predetta voce di danno non può formare oggetto di autonomo risarcimento come danno patrimoniale, in quanto già valutata come danno biologico (Cass. 3260/93, 2932/95, 1198/96, 10015/96 caso, quest'ultimo, in cui si è ritenuta l'autonomia del danno patrimoniale rispetto al danno biologico subito da una casalinga; già nel senso "che la nozione di capacità lavorativa generica ha ormai perduto ogni autonomia e finisce per essere concetto rapportabile a quello più ampio di validità o integrità ed efficienza fisiospichica" cfr. App. Firenze 4.11.1986 D PA 1987, 385 estens. Nannipieri).

Nella prioritaria categoria del danno alla salute, secondo la giurisprudenza di merito e della Cassazione, debbono considerarsi assorbiti sia il danno alla vita di relazione che il danno alla vita sessuale e quello estetico il quale può avere in taluni casi (ad esempio perdita totale della capigliatura da parte di una fanciulla (Cass.23.1.1995 n.755 o danno estetico localizzato al viso che può avere ripercussioni non soltanto su una attività lavorativa già svolta, ma altresì su di una attività futura precludendola o rendendola di più difficile conseguimento in relazione al sesso del danneggiato).

Tuttavia nelle ipotesi spesso ricorrenti di cicatrici una soluzione più aderente all'aspetto patrimoniale aggiuntivo del danno sembra debba muovere da un esame specifico della alterazione estetica in relazione alle doti estetiche richieste, alle particolari condizioni lavorative del danneggiato e soprattutto da un accertamento medico-legale sulla emendabilità parziale o totale mediante trattamento chirurgico (al quale naturalmente l'interessato può non sottoporsi), in caso di risposta positiva al quesito il danno potrà essere riconosciuto in una somma pari all'esborso necessario per l'intervento finalizzato alla eliminazione della menomazione estetica come ritenuto dalla giurisprudenza di merito (Trib. Palermo 10.11.90 in AGC1991, 395 e Tribunale Pisa 8.11.1980 in causa E. Mazzanti c. G. Bertoni Ricignolo inedita con la quale con valutazione equitativa fu liquidato sia il costo calcolato dal c. t. u. dell'intervento chirurgico per l'eliminazione di una cicatrice alla guancia sinistra lunga circa un centimetro, lievemente discromica, ed affossata lievemente nel sorriso sia il danno alla salute temporaneo).

Anche per il danno alla sfera sessuale non può ritenersi che il principio dell'assorbimento non possa in talune situazioni, determinare un pregiudizio di natura patrimoniale come evidenziato dalla

(8)

dottrina medico-legale nei casi, ad esempio, di castrazione prepubere che incide sulla futura attività lavorativa oppure della impotenza al parto naturale per deformazioni post-traumatiche del bacino che rendono impossibile il parto naturale pur consentendo la maternità mediante taglio cesareo in quest'ultima ipotesi (a parte l'eventuale "danno da risentimento psicologico" comune anche a talune situazioni lesive della sfera sessuale e da accertarsi in concreto con specifica indagine tecnica) siamo in presenza oltre che di un pregiudizio alla salute anche di un danno emergente costituito dalle spese per il parto chirurgico che richiede il ricovero in ambiente ospedaliero con degenza protratta rispetto al parto naturale ed un costo non trascurabile dell'intervento stesso .

Sempre a proposito dei trattamenti chirurgici la dottrina e la giurisprudenza anche con riferimento agli artt. 32 Costit. e 5 cod. civ. si sono costantemente pronunciate nel senso che in tema di liquidazione del danno alla persona è da considerarsi irrilevante il rifiuto del danneggiato di sottoporsi ad intervento chirurgico, al fine di diminuire l'entità del danno, atteso che non può essere configurato alcun obbligo a suo carico di sottoporsi all'intervento stesso e non essendo quel rifiuto inquadrabile nell'ipotesi concorso colposo del creditore previsto dall'art. 1227 cod. civ. (Cass.

3.2.1990 n. 772 AC 1990, 380; Cass. 21.4.1977 n. 1478; Trib. Pisa 10.2.1986 in DPA 1987, 393).

Ciò non toglie che in sede di accertamento equitativo della invalidità permanente si possa tener conto della futura possibilità del danneggiato di sottoporsi liberamente ad un atto operatorio agevole di scarso pericolo, Cass. 17.1.1959 n. 1 21 DPA 1959, 288).

Più semplice, invece, il problema del rapporto tra danno da riduzione della capacità produttiva di reddito e danno alla vita di relazione (consistente nella impossibilità o nella difficoltà per chi abbia subito una menomazione medicalmente accertata di renserirsi nei rapporti sociali e nei rapporti inerenti le attività extralavorative in genere) in quanto, con il nuovo modello risarcitorio, tale figura di pregiudizio ha perduto l'autonomia che le veniva riconosciuta nel sistema tradizionale in cui veniva collocato nell'ambito del danno patrimoniale diretto o indiretto finendo spesso per privilegiare le persone appartenenti a classi sociali elevate e costituisce ormai una componente specifica non coincidente con il danno alla salute che ha una portata più vasta del pregiudizio alla vita di relazione (cfr. tra le molte Cass. 4243/90, 3867/92, 3260/93, 9170794 ,1955/95, 3299/95 da ciò consegue che ove la parte abbia richiesto oltre al risarcimento del danno alla vita di relazione anche quello biologico, il giudice deve accertare in concreto la configurabilità o meno di un danno alla salute non coincidente con il pregiudizio alla vita di relazione e che la maggiore o minore rilevanza della componente relazionale si rifletterà sul valore del punto.

Il criterio liquidativo di cui all'art. 4 del d. 1. 23.12.76 n. 857 convertito nella legge 26.2.1977 n.39.

Una volta considerati nei termini sintetici sopra indicati i rapporti tra la figura prioritaria del danno alla salute e la figura del lucro cessante da inabilità e/o invalidità lavorativa, occorre puntualizzare che prima della legge 39/77 la determinazione del reddito base da porre a fondamento del calcolo tabellare avveniva di frequente, mediante ricorso ad elementi probatori forniti dal danneggiato caso per caso che tenevano conto dei criteri codicistici di cui al combinato disposto degli artt. 2056, 1223 e 1226 cod. civ. con frequente applicazione della presunzione semplice di cui all'art. 2729 cod. civ.

Pur essendo tuttora applicabile la prova presuntiva (artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. 115 e 116 cod. proc. civ. ) allorché dal fatto noto costituito dalla accertata menomazione di natura temporanea e/o permanente sulla capacità produttiva personale di reddito del danneggiato sia possibile pervenire, attraverso un criterio di normalità causale ed agli elementi acquisiti, a determinare la perdita o la diminuzione del guadagno (e cioè il fatto ignorato che si intende provare) mediante un ragionamento che colleghi il fatto finale con il fatto base attraverso dati con carattere di gravità, precisione e concordanza, un tale ricorso alla prova presuntiva è ora da considerarsi in gran parte superato proprio dal disposto dell'art. 4 della legge 39/77.

Tale norma ha, infatti, formulato per i danni a persona derivanti dalla circolazione stradale alcuni principi che rendono più precisi i criteri di liquidazione del danno da lucro cessante ed ha aperto tutta

(9)

una problematica relativa al suo significato ed ai suoi limiti applicativi, anche in relazione al convincimento manifestato da una parte della giurisprudenza innovativo in tema di danno biologico secondo il quale il terzo comma di tale disposizione rappresentava il parametro della liquidazione di tale figura di danno.

La diversità di indirizzi interpretativi di merito può attualmente ritenersi superata in quanto attraverso le sentenze interpretativi di rigetto della Corte Costituzionale (n. 372/94 par. 2.1, 3.1 e n.

445/95) e le numerose pronunce della Corte di Cassazione (6692/92, 357/93, 2099/93, 5669/94, 4257/95, 5271/95, 9725/95, 9772/95, 9828/95, 477/96, 5505/96, 8344/96) sul rapporto tra la liquidazione del danno alla salute e l’applicazione dell'art. 4 terzo comma della citata legge 39/77, si è definitivamente consolidato il principio che tale norma è inserita esclusivamente nella sistematica del risarcimento del danno da lucro cessante, ancorata come tale, ad un criterio comunque reddituale che conserva la propria natura anche quando la liquidazione viene operata sulla base convenzionale del triplo della pensione sociale.

Pur formando ancora motivo di discussione la questione della applicazione dei criteri di cui al citato art. 4 legge 39/77 per tutte le ipotesi di danno alla persona quale che sia il fatto generatore e quale che sia l'azione risarcitoria esperita o invece per la limitata ipotesi di danno derivante da sinistro stradale per il quale venga esperita l'azione diretta di cui all'art. 18 della legge 990/69 la quale ha carattere eccezionale, è da ritenere che la disciplina di natura sostanziale richiamata abbia applicazione di carattere generale.

E ciò sia perché opinando diversamente l'interpretazione sarebbe sospetta di illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 3 della Costituzione (ingiustificato disparità di disciplina e di trattamento per una identica prestazione risarcitoria anche nell'ambito dello stesso sinistro stradale in relazione all'azione diretta ex art. 18 legge 990769 o ali' azione ordinaria ex art. 2054 cod. civ.), sia perché la stessa Corte di Cassazione ha superato la precedente contraria posizione (Cass. 2280/88;

2150/89; 5672/90) con la recente sentenza nr. 5380/94 (Giust.Civ.Mass. 94, fascic. 6; Corr. giur. 1 994, 1360).

Tale pronuncia (in una fattispecie di responsabilità del gestore di un Kartodromo assicurato per la r. c. con la Assitalia per il danno da lucro cessante subito da un minore di anni 11 uscito di pista alla guida di un go-kart preso a nolo dal suo accompagnatore producendosi lesioni alla mano sinistra con successiva amputazione dell'indice) ha considerato il criterio di cui all'art. 4 un parametro estensibile a tutti i casi di liquidazione di lucro cessante da invalidità lavorativa permanente anche non riconducibili alla infortunistica stradale in quanto non si afferma la applicazione analogica (vietata ex art. 14 preleggi) ma si richiama il criterio dell'art. 4 come base per una liquidazione equitativa da parte del giudice in conformità alla regola codicistica dell'art. 1226 cod. civ.

In particolare deve essere sottolineato che la Corte di Cassazione ha rigettato la specifica censura rivolta alla sentenza della Corte di Appello di Napoli 24.3.1989 sotto il profilo della scelta del reddito di riferimento (triplo della pensione sociale ex art. 4 cit. considerato applicabile solo per l'infortunistica stradale, anziché il reddito del genitore del minore) per la quantificazione del danno alla persona da lucro cessante ed ha confermato la maggiore affidabilità del parametro adottato dalla Corte Napoletana ritenuto, da quest'ultima, "preferibile in quanto più sicuro e più diffuso" rispetto all'altro che "comportava il ricorso a presunzioni inaffidabili".

La motivazione è pienamente condivisibile ed è confermativa di un orientamento espresso dalla giurisprudenza pisana già negli ultimi anni 70 quando nella sentenza 11.2.1978 (RCP 1979 pag. 572) si rilevava che il parametro di cui al terzo comma dell'art. 4 legge 39/77 "rappresenta un dato normativo che consente di superare l'incerto criterio indiziario presuntivo per la valutazione del reddito base, il quale potrà essere determinato con il criterio equitativo di cui agli artt. 2056 e 1226 cod. civ., partendo dall'importo minimo suindicato ed operando poi su tale importo un aumento multiplo che potrà variare da caso a caso in relazione alla situazione occupazionale e socio economica al momento della pronuncia, alla cessazione o meno della posizione di indifferenza

(10)

professionale e alla peculiarità della fattispecie concreta, ma che avrà l'innegabile vantaggio di offrire al prudente apprezzamento del giudice di merito un presupposto oggettivo per la quantificazione del danno" (vedi anche Cass. 5669194 in F.I. 1, 2070 in parte motiva)

Poiché, peraltro, la mancanza di un reddito al momento dell'incidente non incide sul danno futuro (quello come ricordato fondato su una causa efficiente già in atto il cui esito sia obiettivamente prevedibile) collegato alla invalidità permanente quando, per la sua entità possa ritenersi che limiterà la capacità di guadagno al momento in cui questi inizierà una attività remunerata (Cass.23.7.93 RCP 94, 54 e Cass. 15.4.96 n. 3539 in MGC 1996, 575), il ricorso al parametro di base richiamato risulta estensibile a tutti quei soggetti privi di reddito all'epoca del sinistro e della liquidazione ma potenzialmente idonei a produrlo o comunque svolgenti una attività economicamente rilevante (ad esempio oltre ai minori, le casalinghe in senso proprio, i disoccupati temporanei, i lavoratori assunti infortunatisi prima di prendere servizio, i soggetti dediti al momento del sinistro ad attività lavorative di volontariato oppure ad attività saltuaria di amministrazione del proprio patrimonio e dei propri beni, il religioso che presta attività lavorativa gratuita nell'ambito dell'ordine o congregazione di appartenenza.

In tutte queste ipotesi, infatti, ed in particolare nei casi tradizionalmente ricondotti a redditi virtuali e figurativi la giurisprudenza ha fatto applicazione di redditi di base sostenuti da principi di natura presuntiva (condizioni socioeconomiche della famiglia del minore) o analogica (reddito della collaboratrice familiare di prima categoria o reddito superiore per il maggior peso del ruolo di madre e moglie in relazione al caso della casalinga oppure redditi medi di categoria assimilabili a quelli della attività lavorativa presunta del danneggiato) che però hanno dato luogo a fondati rilievi critici in ordine alla loro aderenza al criterio o principio "dell'id quod plerumque accidit" in una società in continua e rapida trasformazione che deve tendere ad offrire pari opportunità di scelte occupazionali ed a evitare risultati liquidativi difformi per situazioni analoghe, proprio a causa della diversa entità della componente reddituale del calcolo tabellare .

E' invece, da ritenere esclusa l'applicabilità del parametro liquidativo in esame ai soggetti portatori di una invalidità preesistente di grado tale da far escludere una residua capacità di lavoro e di guadagno, ai danneggiati che esplicano attività turpe o illecita ed a coloro che volontariamente sono disoccupati e vivono di espedienti.

Così precisata la collocazione e la funzione della norma in esame avente finalità chiaramente probatoria, deve ricordarsi che la legittimità costituzionale dell'art. 4 comma lo legge 39/77 in relazione all'art. 3 della Costituzione, è stata confermata dalla Corte Costituzionale che, con ordinanza 8 marzo 1990 n .234 ha ritenuto che la diversità dei criteri adottati per l'accertamento del reddito del danneggiato da incidenti per la circolazione stradale, a seconda che si tratti di lavoratore dipendente o di lavoratore autonomo, si giustifica in base alla diversità delle situazioni delle due categorie di lavoratori ed alla diversità del sistema del reddito ai fini IRPEF per le categorie medesime; pertanto l'art. 4 primo comma, in base al quale, in caso di danno alla persona derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, ove ai fini del risarcimento, si debba considerare l'incidenza della inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro, esso si determina, per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni e, per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto più elevato fra quelli dichiarati dal danneggiato, ai fini IRPEF negli ultimi tre anni, non è in contrasto con l'art. 3 Costit. (Giur.

Costit. 1990, 1443).

Con una successiva recente sentenza la Corte Costituzionale (sentenza 24.10.1995 n. 445 in Danno e Responsabilità n. 1/96 pag. 62 con nota Nannipieri; RCP. 1995, pag. 887 con nota S.

Bastianon e G. Catalano; Foro ltal. 1996 I pag. 28 in relazione ad Ord. App. Trieste 11.1.1995 G.U. I s. s. n. 92 del 1995 che riteneva in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Costit. il risultato derivante dal sistema probatorio dell'art. 4 1° e 3° comma cit. in quanto i lavoratori che hanno dichiarato (o comunque provato) redditi inferiori al TPS otterrebbero una minore

(11)

liquidazione di coloro che, invece, pur non fornendo la prova del loro reddito, si avvantaggiano della base convenzionale indicata dal legislatore) ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 1° e 3° comma d.I. 23.12.1976 n.857 converito nella I. 26.2.1977 n. 39 così come interpretato allorché distingue la situazione del danneggiato che sia lavoratore dipendente o autonomo, al quale è richiesto di provare (a mezzo di produzione fiscale od altro) il reddito effettivo da porre a base del calcolo del risarcimento del danno patrimoniale subito, dalla situazione di coloro che non percepiscono reddito da lavoro per i quali è previsto un risarcimento commisurato al triplo della pensione sociale, in riferimento all'art. 3 Costit.

La Corte Costituzionale ha interpretato l'art. 4 citato muovendo dalla sua finalità probatoria, riconducendo lo stesso a razionalità in base ad una giustificata differenziazione delle posizioni risarcitorie e operando una puntualizzazione di vasta rilevanza applicativa perché in linea con la nuova concezione esposta di capacità produttiva personale di reddito amplia sotto il profilo reddituale futuro la categoria dei danneggiati legittimati all’applicazione del terzo comma della norma in esame.

In particolare per i soggetti percettori di reddito di lavoro dipendente o autonomo in senso proprio o a questi ultimi assimilati la documentazione fiscale prodotta dal danneggiato agevola quest'ultimo nell'assolvimento dell'onere della prova, essendo tale documentazione sorretta da una presunzione iuris tantum con ammissione, comunque, della prova contraria, senza limiti di natura soggettiva (danneggiante, danneggiato ed assicuratore) od oggettiva (evasore totale, titolare di reddito inferiore al minimo imponibile o comunque percettore di reddito diverso e maggiore di quello dichiarato, ricorrenza di circostanze contingenti ed eccezionali che rendano inattendibile il periodo di riferimento reddituale negativo o positivo) diretta a dimostrare mediante gli altri mezzi di prova ordinari il reddito di lavoro effettivo e cioè quello che sia in immediato rapporto di produzione rispetto alla attività lavorativa del danneggiato(cfr. da ultimo Cass.1 1368/96 che richiama Cass.

1094/91 in RGCT 97, I, 102); da ciò la giurisprudenza ha tratto la ulteriore conseguenza che quando il reddito di lavoro si presenti confuso con il reddito di altra natura come nel caso di reddito di impresa nelle sue varie forme (vedi art. 2082 cod. civ., legge quadro per l'artigianato 8.8.1985 n.

443, art. 2083 cod. civ., art. 230 bis cod. civ., art. 2263 II° comma per il c. d. socio d'opera e in generale la distinzione nell'ambito dei redditi di partecipazione agli utili nelle società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, in associazioni tra artisti e professionisti), quest'ultimo deve essere decurtato da una somma corrispondente alla remunerazione del capitale impiegato (Cass. 5832/93); è pacifica, invece, l'esclusione del reddito di capitale nelle sue varie componenti quali rendite immobiliari, dividendi azionari vitalizi ed altro.

Comunque dato il necessario raccordo probatorio con le risultanze fiscali, il rifiuto del lavoratore di esibire la documentazione richiesta (ferme restando le conseguenze anche di rilevanza penale relative alla segnalazione giudiziale al competente ufficio delle imposte dirette e il ricorso alla normativa processuale di cui agli artt. 116 c. p. c. 210 c. p. c. ora da conciliare con il disposto degli artt. 183 e 184 c. p. c. nonché la richiesta di informazioni alla P.A. di cui all'art. 213 c. p. c.) preclude da un lato al danneggiato la possibilità di invocare la quantificazione del danno lavorativo sulla base del reddito minimo forfetario previsto dall'art. 4 terzo comma anziché sulla base del reddito fiscale e dall'altro lato non consente di fare ricorso alla valutazione equitativa secondo il combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 cod. civ.; e ciò è pienamente giustificato dal momento che non ricorre il presupposto della impossibilità o difficoltà di prova del danno nel suo preciso ammontare ma siamo in presenza di una richiesta di quantum legata a risultanze documentabili connesse ad un obbligo fiscale.

Tenuto conto del contenuto dell'onere probatorio del lavoratore danneggiato come sopra delineato la conclusione cui perviene la Corte Costituzionale è nel senso che se il lavoratore non fornisce alcuna prova né secondo il criterio privilegiato del 1° comma, né con i mezzi normali previsti dal 2° comma, nessun risarcimento potrà essergli liquidato a titolo di lucro cessante per il periodo

(12)

trascorso di invalidità temporanea (che va dal sinistro fino alla ripresa della attività lavorativa) e "solo a certe condizioni, tali da giustificare l'equiparazione a soggetti privi di reddito di lavoro, potrà essere applicato il terzo comma per la liquidazione del danno futuro derivante da eventuale residuo di invalidità permanente".

La situazione di cui al terzo comma dell'art. 4 citato riferito "a tutti gli altri casi", disciplina, invece, le fattispecie in cui il danneggiato non è lavoratore dipendente o autonomo o più in generale quelle in cui il danno futuro incide su soggetti privi di reddito (ad es. il minore in età non lavorativa) o su soggetto nell'attualità privi di reddito di lavoro ma potenzialmente idonei a produrlo (cfr. Cass.

5669/94, 6074/95 ed a titolo di esempio le posizioni già sopra in gran parte richiamate di casalinghe, disoccupati temporanei, pensionati, soggetti dediti ad attività di volontariato, lavoratore infortunatosi prima di prendere servizio, ex detenuti che alla scadenza della pena hanno acquisito una qualificazione professionale per il lavoro svolto all’interno dello stabilimento penitenziario, amministratori di propri beni) .

Con riferimento alla giurisprudenza richiamata della Corte di Cassazione la sentenza ha ritenuto di ricondurre nell'ambito di operatività del terzo comma anziché del primo comma dell'art. 4 anche le ipotesi particolari di lavoratori dipendenti od autonomi che abbiano redditi negativi (ad es. per rilevanti investimenti effettuati) ovvero positivi ma con caratteristiche (esiguità, discontinuità e precarietà di lavoro, livello di mansioni inferiore alle capacità professionali del lavoratore, ecc.) tali da escludere che esso possa costituire la componente di base del calcolo probabilistico delle possibilità di reddito futuro e sempre che il materiale probatorio non fornisca altri elementi di calcolo più favorevole di quello operato sulla base convenzionale del triplo della pensione sociale.

Deve inoltre essere precisato che la menomazione che incide prevalentemente su una possibile anticipata collocazione a riposo o su alternative possibilità di lavoro costituisce una situazione di pregiudizio riconducibile nell'ambito del lucro cessante lavorativo futuro ma che la determinazione di tale incidenza appare difficilmente quantificabile in percentuale e quindi, il giudice, dovrà rapportarla non tanto ad un aritmetico calcolo tabellare puro quanto ad una motivata valutazione equitativa .

In ordine ai parametri dettati dal primo comma dell'art. 4 L. 39/77 per il calcolo del lucro cessante il reddito del lavoratore subordinato da prendere in considerazione è sempre quello al netto e non quello lordo (Cass. 3296/79, 4458/79, 5464788, 7494793) desunto dal mod. 101 o 740 comprensivo non solo dello stipendio e del salario mensile ma anche di tutti i compensi a carattere accessorio e continuativo al netto delle ritenute; al reddito imponibile vanno aggiunti i redditi esenti (e cioè gli assegni familiari art. 3 D.P.R. 917/86 e i contributi versati dal lavoratore ai fini previdenziali ed assistenziali predeterminati per legge (vedi art. 48 D.P.R. n. 597/73 e art. 48 D.P.R. n. 917/86) e le detrazioni di legge e cioè le spese per la produzione del reddito (art. 10 D.P.R. n. 917/86; Cass.

4952/80, 11271/93) gli oneri per il coniuge ed i figli a carico, i premi per il pagamento delle assicurazioni sulla vita o contro gli infortuni , le rate dei mutui ipotecari ed altri previsti .

In particolare con riferimento al mod. 101 (art. 3 e 8 D. P. R. n. 600 del 29 settembre 1973 ) il reddito da prendere a base risulterà dalla seguente relazione:

a) totale emolumenti imponibili

b) imposta corrispondente al totale imponibile c) totale detrazioni di imposta

Per il reddito di lavoro autonomo (e cioè quello derivante dall'esercizio di arti o professioni anche se non necessariamente riferite all'iscrizione ad un albo, in maniera abituate ancorché non esclusiva, senza vincolo di subordinazione oltre ai redditi da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, dalla partecipazione ad associazioni in partecipazioni in qualità di associato, da collaborazione a giornali o riviste o dalla qualifica di amministratore o sindaco di società) occorre fare riferimento alla differenza fra i compensi conseguiti (al lordo della ritenuta di acconto ) e il totale

(13)

delle spese o costi inerenti all'esercizio dell'arte o della professione (senza decurtazione delle ritenute di imposta) sostenute avuto riguardo agli ultimi tre anni precedenti il sinistro e, nell'ambito di questi, al reddito risultante più elevato; tuttavia non potrà valere una regola rigida perché va tenuto conto che la denuncia di lavoro autonomo è ispirata al concetto di cassa, nel senso che vengono denunciati solo i compensi effettivamente percepiti e che su questi possono influire alcune varianti (sul criterio vedi Cass. 2822/94)

Poiché il mod. 740 viene usato per denunciare tutti i redditi delle persone fisiche una prima scelta dovrà essere effettuata nel quadro N in quanto dovrà essere extrapolato tra gli altri eventuali redditi quello o quelli di lavoro che rappresentano il "reddito lordo"; questo dovrà poi essere diminuito degli oneri deducibili in modo da ottenere per differenza il "reddito imponibile"; mediante le apposite tabelle del mod. 740 si dovrà determinare l'imposta lorda da applicarsi al reddito imponibile suindicato .

L'ammontare della imposta così ottenuta dovrà poi essere sottratto al reddito lordo indicato nel quadro N ed all'importo così ottenuto dovranno quindi essere sommate nel loro importo le detrazioni di imposta oppure l'ammontare della imposta lorda come sopra determinato potrà essere decurtato dell'importo delle detrazione di imposta e la somma residua sottratta poi al reddito lordo.

Deve, infine, tenersi presente che secondo la recente interpretazione della S. C. (Cass. 4632/93) il triplo della pensione sociale deve essere calcolato con riferimento alla data dell'evento dannoso e della correlativa perdita del presunto reddito, rivalutabile fino alla data della liquidazione.

Nel caso in cui malgrado la documentazione prodotta si prospettino difficoltà nella determinazione del reddito non superabili e non superate attraverso l'assolvimento dell'onere della prova da parte del danneggiato, il giudice potrà sempre ma non dovrà (Cass. 6018/91) richiedere direttamente informazioni agli uffici fiscali (art. 213 c.p.c.) o ricorrere all'ordine di esibizione distinto da quello di cui all'art. 210 c. p. c.; infatti secondo la Cassazione (sent. n. 11 323/96 cit.) si tratta "di un ordine sui generis, non solo perché adottabile d'ufficio, senza che occorra la istanza di parte, ma anche perché prescinde totalmente da una preventiva valutazione circa la indispensabilità nella acquisizione del documento nel caso singolo (valutazione già anticipata ex lege) come prescinde dalla prova della materiale esistenza del documento da acquisire e dalla sua natura, di atto a destinazione probatoria o comunque rappresentativo di un fatto comune alle parti in causa".

Da ultimo va ricordato che il risarcimento minimo previsto cioè l'importo triplo della pensione sociale annua con l'aumento ex art. 2 L. 544/88 (L. 390.600 pens. soc. mensile + L. 125.000 maggiorazione ex art. 2 legge 544/88 = L. 515.600 X 13 = 6.702.800 X 3 = L. 20.108.400) ammonta per il 1997 a L. 20.108.400 con un importo giornaliero pari a L. 55.091 (L. 20.1 08.400:365) mentre, con effetto dal 1° gennaio 1966 il triplo della pensione sociale deve ritenersi sostituito, in virtù del disposto dell'art. 3 comma 6° della legge 8.8.1995 n. 335, dal triplo dell'assegno sociale maggiorato (L .6.477.250 X 3 = L. 19.431.750) corrispondente per il 1997 alla somma di L. 19.431.750 e ad un importo giornaliero di L. 53.237.

Riferimenti

Documenti correlati

L’errore  sorge  nel  momento  in  cui  la  ragione  avendo  definito  un  proprio  campo  di  applicazione  riduce  ciò  che  eccede  ad  errore.  La 

Potrebbe apparire questo come un modo surrettizio di procedere ad una vera e propria duplicazione del danno, pericolo sempre paventato nella più volte ricordata sentenza 184/86

encefalico  si  basa  essenzialmente  sul  punteggio  risultante  dalla  Scala  del  Coma  di  Glasgow  (GCS),  sulla  durata  dell’amnesia  post‐traumatica, 

Nella disamina medico-legale di tali alterazioni è importante studiare sia la modalità traumatica, perché essa può facilmente collegarsi ad una determinata lesione, sia la

917 (recante “Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi”), dispone infatti: “I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei

Il presente progetto, rispetto alla proposte precedenti, si caratterizza per l’introduzione nel nostro sistema della figura della sanzione privata (art. Questa scelta,

civ., quando sono stati accertati disturbi psichici di carattere patologico e del danno morale (transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso) ricondubile

2 esistenziale, e gli altri danni che si affacciano qui e là a seconda della fantasia dei giudicanti (danno edonistico, danno da lesione del rapporto parentale, ecc.). Questa