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Il danno biologico nell’anziano

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Academic year: 2022

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Il danno biologico nell’anziano

Dr. Sergio Bonziglia*

L’introduzione del concetto di danno biologico in R.C. ha riportato ad una giusta e sacrosanta rivalutazione del danno nell’anziano rispetto alle posizioni passate, ad esempio quella del Giolla e del Cazzaniga.

Quest’ultimo, nel suo testo del 1928, “Basi medico legali per la stima del danno a persona da delitto o quasi delitto”, se ne era occupato elaborando concetti ripresi poi dal Giolla nella

“Valutazione del danno a persona nella Responsabilità Civile” nel 1967.

Veniva sostenuto come nell’anziano non si potessero applicare i criteri generali sui quali si basa la valutazione del danno alla persona poiché, non essendo né i vecchi né gli invalidi idonei a nessuna occupazione redditizia, gli stessi non sono in possesso di quelle capacità destinate a produrre effetti positivi sul patrimonio del soggetto, all’epoca elemento principe del diritto al risarcimento, giungendo all’estremo che queste categorie di persone potevano essere identificate in

“uomini senza alcun valore”.

Infatti, secondo il Cazzaniga, non è l’organismo umano ma la sua efficienza patrimoniale il bene che dev’essere compromesso per poter dar luogo ad un risarcimento.

A queste posizioni si opponevano già voci contrastanti rappresentate dal De Cupis che nelle giornate medico-legali di Como del 1967 ribadiva come l’espressione di danno alla persona significasse “lesione di un bene personale che tende sempre di più ad avere, ma non necessariamente, nella vita di oggi riflessi economici”.

L’impostazione più nuova e più originale fu proposta dal Gerin che, come è oggi universalmente accettato, indicava la necessità di riconoscere, nell’uomo in quanto tale, un valore economico indipendentemente dalle attività professionali esercitate, introducendo il concetto di validità intesa come efficienza psicosomatica allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa e non lavorativa.

Ma chi è l’anziano?

E’ semplicistico, a mio avviso, catalogare come soggetto anziano colui che ha superato i sessantacinque anni; è indubbiamente una definizione di comodo, “pensionistica”, riferita a colui che per legge non ha più diritto di guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro, l’età a partire dalla quale si deve essere mantenuti da quelli che lavorano.

Questa definizione si riscontra con la nostra realtà medica quotidiana, in cui ci si imbatte in indubbi anziani prematuri, in soggetti con l’età anagrafica ed età biologica non coincidenti, in giovani attempati.

Siamo di fronte a definizioni di anziano semplicistiche, di cui ha fatto giustizia in precedenza il geriatra; è infatti la realtà quotidiana, biologica e fisiologica, che determina il concetto di anziano, assai più che l’età anagrafica.

Un certo numero di fattori vengono ad influenzare l’aumento della frequenza dei casi di danno all’anziano, rappresentati principalmente da:

1. Allungamento dell’età media della vita e spiccati mutamenti del modo stesso di vivere, che permettono di conservare più a lungo un’autonomia. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento del numero degli anziani condizionano una vita profondamente modificata da caratteristiche associative più sviluppate, gruppi della terza età, viaggi, sport.

2. L’anziano vive meno iperprotetto, meno confinato nella cellula familiare di tipo rurale o nelle case di riposo; le maggiori attività, per contro, aumentano il rischio di traumatismi accidentali.

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Progressi terapeutici medici, chirurgici e fisioterapici permettono la sopravvivenza anche nei casi più gravi di compromissione psicofisica, con tecniche di rianimazione che influenzano positivamente la ripresa anche dei soggetti lesi più fragili, assicurando la restaurazione dell’equilibrio biologico; basti ricordare la frequenza dei decessi in passato nei pazienti affetti da fratture del collo femorale e l’attuale buon decorso ad esito fausto.

Passando ora ai problemi collegati alla consulenza medico legale, abbiamo visto come assai spesso possa residuare un danno biologico permanente contraddistinto da un’incapacità funzionale, da una riduzione delle possibilità di esecuzione gestuale, che a sua volta si ripercuoterà sull’insieme delle attività quotidiane.

La descrizione del danno proviene dalla pratica medico legale ed i metodi convenzionali permettono di valutarlo in termini quantitativi. La obiettivazione e la valutazione del danno fisico costituiscono un atto medico specialistico, da affidarsi ad un medico legale versato nella Disciplina.

Lo specialista medico legale dovrà descrivere la limitazione funzionale e stimarla in quanto tale, ma la difficoltà per il tecnico sarà rappresentata dalla valutazione di un soggetto anziano, indiscutibilmente autonomo, integro prima del sinistro, che ha subito una lesione trovandosi poi dopo l’incidente invecchiato, parzialmente o totalmente inattivo, affetto da una menomazione con cui si poteva forse convivere a venti anni, ma che condanna ad ottanta anni!.

E’ il crollo di un castello di carte?

Il primo passo medico legale, come già è stato sottolineato, è ovviamente rappresentato dall’esame del soggetto vittima del sinistro.

La lesione grave, la cui valutazione è relativamente facile, non è il vero problema per il consulente specialista, mentre lo può rappresentare per il chirurgo e per il fisiatra, con risultati spesso meno buoni rispetto al giovane, con decorso più lungo, maggiori complicazioni.

Sarà sempre indispensabile, utilizzando tutti i mezzi a disposizione, riportare dettagliatamente lo stato anteriore e le condizioni di vita del soggetto prima del sinistro, le sue condizioni di salute, il grado di autonomia.

La maggior difficoltà per il medico legale scaturirà proprio dall’indagine sullo stato anteriore e quindi sull’autonomia del leso precedentemente all’incidente.

Per una descrizione la mia esperienza indica come si possa contare assai poco sulla famiglia del paziente, per la quale la vittima era sempre stata in buona salute, giovanile, dinamica.

Spesso le condizioni psichiche dell’anziano, inoltre, sono caratterizzate da turbe mnesiche spiccate, con deformazioni di quella che è la storia clinica recente, ulteriore elemento di difficoltà nella sua raccolta.

Un modo più opportuno di procedere nell’anamnesi può essere quello di chiedere informazioni sulle terapie attualmente in corso, citando organo per organo “Assume qualcosa per la circolazione, per la pressione, per la digestione, per la memoria, per l’artrosi ecc”.

Si assisterà allora frequentemente all’enumerazione di vari farmaci, utile per risalire alle patologie di base.

Tramite il medico curante inoltre si potrebbero, nel rispetto della deontologia e della privacy, con il consenso del paziente, assumere ulteriori informazioni, controllando ancora esami ematochimici precedenti al sinistro, analizzando i modi e le condizioni di vita, il luogo del domicilio, la presenza di aiuti esterni, terze persone o accompagnatori, benefici di legge, pratica di attività fisiche, viaggi, frequentazione di circoli.

Dovrà poi essere descritta la lesione ed analizzato il deficit fisiologico che ne consegue, con un esame clinico orientato verso l’ottenimento di dati più globali che sottilmente analitici.

Riferire infine le condizioni attuali del soggetto, in particolare in rapporto agli atti della vita quotidiana, familiare e razionale.

Per la valutazione qualitativa e quantitativa delle conseguenze, valgono sempre i classici criteri della metodologia medico legale:

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1. Realtà ed intensità del trauma

2. Assenza di stato anteriore ed integrità preliminare della regione traumatizzata 3. Concordanza di sede topografica fra trauma e sequele

4. Cronologia tra le lesioni iniziali comparsa delle conseguenze 5. Continuità evolutiva (sintomi a ponte)

6. Certezza della diagnosi attuale

Se l’anziano, malgrado l’età, non soffre di alcun scompenso, conserva le facoltà intellettuali e riprende la propria autonomia, il medico legale potrà agevolmente indicare la quota di danno biologico derivante dal pregiudizio anatomo-fisiologico secondo il metodo classico; e non è questa un’evenienza poi così rara.

Le cose si complicano non tanto per la stima degli esiti quanto per il giudizio del rapporto del nesso di causa quando, dopo il sinistro, ci siano da valutare lunghi periodi di inabilità temporanea, importanti limitazioni funzionali, perdite di autonomia, e perciò per la difficoltà rappresentata dalla graduazione di cause, concause, antecedenti occasionali.

Se il trauma è stato importante vi sarà una grossa responsabilità dello stesso, ma nel piccolo traumatismo potrà forse essere ravvisata soltanto una semplice occasione.

Se il quadro definitivo era prevedibile già prima del sinistro ed a breve scadenza, collegabile alla malattia o alle malattie di base, l’incidente non avrà avuto tuttalpiù che una piccola responsabilità.

Nella valutazione il problema principale sarà comunque sempre quello dell’imputabilità, del rapporto causale scientificamente provato tra un avvenimento, a carattere accidentale, ed una situazione clinicamente obiettivabile; imputabilità anche suddivisibile ma comunque sempre di estrema difficoltà, per non dire impossibile, la quantificazione di questa suddivisione.

Il consulente si troverà a dover descrivere se lo scompenso possa essere spiegato con l’incidente e con la gravità delle lesioni riportate nonché da ulteriori cause rappresentate dallo shock emotivo, dalla ospedalizzazione, della rottura delle abitudini, dove l’età costituisce uno stato anteriore, latente o con problematiche già in atto, stabilizzato od evolutivo, ed assai raramente senza alcuna influenza sull’evoluzione post-traumatica.

Lo specialista medico legale dovrà tenere presente la risposta a tre domande:

1. Quale sarebbe stata l’evoluzione del trauma senza lo stato anteriore;

2. Quale sarebbe stata l’evoluzione dello stato anteriore senza il trauma;

3. Quale è stata l’evoluzione del complesso “stato anteriore-traumatismo”.

D’altra parte la vecchiaia non costituisce uno stato anteriore necessariamente compromesso sul piano medico, per cui non è neppure corretto minimizzare gli esiti traumatici con questo argomento.

Analogamente non è soddisfacente maggiorare artificialmente il tasso di danno biologico relativo a sequele funzionali per tener conto di un preesistente deterioramento psicofisico.

Spesso, infatti, il declino attribuito alla vecchiaia in realtà è da riferirsi al sopraggiungere di malattie connesse alla vecchiaia; ciò non significa che non esista un invecchiamento di base ma dimostra che la diminuzione di funzione, con l’età, può essere interpretata in rapporto ad un invecchiamento patologico e non ad un invecchiamento normale.

Basti ricordare che il livello di indipendenza di una popolazione superiore ai sessantacinque anni al domicilio è stato dato per il 3% da soggetti confinati a letto ed in poltrona e per il 7,7% di confinati nell’abitazione.

Il 6,5% di popolazione anziana necessita di aiuto per la cura personale, dal 23% al 28% per compiti domestici usuali, dal 32% al 41% per compiti domestici occasionali.

Questa serie di percentuali sono state inserite quali indicatori di incapacità funzionale nel 1990.

Infine la fragilità dell’anziano può portare ad un maggior “pretium doloris” pur considerando, ulteriore dato di meditazione e complicazione, la maggiore indifferenza propria dell’anziano di fronte alle difficoltà, riferibile alla perdita neuronale.

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Forse si deve ammettere che non esiste oggi alcuna metodologia precisa che offra soluzioni applicative universali ed automatiche.

Residuerà assai spesso un danno biologico permanente caratterizzato da incapacità funzionale, riduzione di impossibilità di esecuzione gestuale, che a sua volta si ripercuoterà sull’insieme delle attività quotidiane.

Il medico legale, precisato il nesso di causalità tra incidente e danno biologico, totalmente o parzialmente in rapporto con lo stesso, dovrà poi dettagliare, se presente, la necessità di aiuto di terze persone con qualifiche, numero reale di ore e tipologia di assistenza.

Si viene così a valorizzare, in rapporto ad un dato percentile di riduzione di efficacia psicofisica, l’informazione relativa alla perdita o alla diminuzione di autonomia ed il ruolo del sinistro su questa perdita.

Nella valutazione che l’esperto segnala il deficit funzionale può essere sproporzionato in rapporto alla riduzione o alla perdita di autonomia imputabile all’incidente.

Si viene quasi a determinare una dissociazione tra la menomazione anatomo-funzionale e l’handicap, potendo ad esempio un sinistro causare in un anziano un deficit fisiologico di importanza contenuta ma nello stesso tempo con una ripercussione importante negli atti della vita quotidiana, solo in parte riferibile al sinistro.

E’ pertanto importante, a mio giudizio, nella valutazione definitiva, indicare il tasso di danno biologico, che dovrà essere stabilito unicamente per la parte imputabile alle lesioni iniziali, tasso indipendente dall’autonomia, indicando e graduando quale elemento aggiuntivo la perdita o la riduzione di quest’ultima.

Ulteriore problema, infatti, in caso di perdita di autonomia di un soggetto anziano, dovuta allo scompenso di un fragile equilibrio, è la presa in carico dal responsabile civile, per tutta la vita, della tonalità delle spese inerenti.

Anche in questo caso vanno avanzate alcune riflessioni.

Malgrado tutti gli sforzi per mantenere le persone anziane al loro domicilio esiste al di là del quale non è possibile che esse vivano al di fuori di una struttura specialistica.

Analogamente non esistono delle statistiche che permettano di fissare un’età precisa per il passaggio dell’autonomia relativa alla dipendenza.

Lo specialista medico legale potrà soltanto fornire un parere in funzione allo stato fisiologico della vittima prima del sinistro, ovviamente di probabilità e verosomiglianza.

Il danno inerente al ricovero in una struttura specialistica si ripartisce in spese di sorveglianza, di cura, di alloggio, di riscaldamento, di vitto; quando la persona anziana vive sola è già sottoposta ad alcune di queste.

Si dovrà pertanto operare una scrematura tra le spese di base e quelle specificatamente inerenti al ricovero in un ambiente specializzato.

Nella maggior parte dei casi non si avrà inabilità lavorativa, ma rimane aperto il problema dell’incapacità biologica.

L’epoca della consolidazione delle lesioni, caratterizzate da una maggiore evolutività, più prolungata nel tempo, sarà ovviamente meno facile da determinare rispetto ad un soggetto che lavora e più difficile da collocare cronologicamente la sua stabilizzazione, specie in rapporto a complicanze osteoporotiche, artrosiche, circolatorie, comparsa di escare, sindromi neurologiche.

Infine, vi può essere anche un pregiudizio estetico, seppure in misura più contenuta, che in soggetti giovani, dovuto ad un minore ed ormai compiuto progetto di vita, ma ancora valido in una società che non conosce anziani, che li proietta nella pubblicità, in cui ha importanza lo stato della pelle, le sue alterazioni, la linea, nell’anziano che lotta e vuole lottare contro l’invecchiamento, che non può tollerare che un certo danno estetico, male accettato nell’ambiente che lo circonda, possa essere sottovalutato.

Per concludere, l’esame medico caratterizza il supporto basilare per la valutazione del danno nell’anziano, ma la determinazione del pregiudizio fa intervenire dei parametri sociologici, giuridici

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ed economici e coinvolge per la sua peculiarità, oltre alla vittima, parenti e comunità sociale, con costi rilevanti di assistenza.

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