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RISCHIO BIOLOGICO E ATTIVITA’ LAVORATIVA

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Academic year: 2022

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RISCHIO BIOLOGICO E ATTIVITA’ LAVORATIVA

Dr. R. Bertucci, Dr. G. Talleri, Dr. C. Scolfaro, Dr. V.Veglio

Riporto quanto sintetizzato da trattati specialistici di medicina del lavoro e che Loro stessi conoscono benissimo e cioè in quali grandi linee sta avvenendo la trasformazione del rischio lavorativo nel recente periodo :

“ - frantumazione moltiplicativa delle noxae

- inversione del rapporto tra carico energetico e carico ambientale - osmosi dei rischi tra ambiente lavorativo e ambiente esterno”.

Si tratta di variabili oggi in gran parte tenute sotto controllo grazie a nuovi criteri normativi, tecnologici e preventivi e ciò ha consentito entro certi limiti riduzioni sostanziali fino all’eliminazione in alcuni casi, di rischi di tipo chimico e fisico.

Al contrario, probabilmente, non è così evidente la riduzione del rischio biologico per il quale l’ipotesi della moltiplicazione frantumativa è rafforzata dall’allegato XI del DL 626/94.

Si assiste inoltre nel campo del rischio biologico ad un incremento del carico psichico anche nei soggetti solo potenzialmente esposti o la cui esposizione sul lavoro non sarebbe diversa da quella in comunità. E questo per almeno tre motivi:

- insufficiente conoscenza sulla epidemiologia e sul rischio rappresentato da vari patogeni;

- recente attenzione normativa su alcuni patogeni il cui rischio viene peraltro giustamente enfatizzato (legionella, tbc, virus epatitici, hiv, lassa, prioni…) data la loro particolare aggressività ;

- scarsa nulla/specifica attenzione per numerosi altri patogeni sicuramente troppo trascurato oggetto di riflessione da parte dei datori di lavoro e dei preposti alla profilassi sul campo.

Vi è inoltre l’aspetto del controllo dell’idoneità fisica (facoltà del datore di lavoro pur nei termini di legge) che può a volte tradursi , se non attentamente condotto, anche in un danno per il lavoratore il quale potrebbe vedersi precluse alcune attività a rischio di esposizione rischiose se considerato particolarmente recettivo per eventuali patogeni.

Sono un capitolo aperto le problematiche del lavoratore immigrato proveniente da Paesi nei quali la immunizzazione attiva può risultare insufficiente o difforme rispetto alle schedule vaccinali da noi in vigore.

Ospedale Amedeo di Savoia Torino

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Una ulteriore considerazione è che il legislatore pare finalmente rendersi conto della rapida evoluzione del progresso scientifico e quindi, senza dimenticare i vecchi microrganismi pericolosi

a) mette più volte l’accento sul problema dei microrganismi geneticamente modificati;

b) pur distinguendo nettamente fra uso deliberato ed esposizione potenziale sottolinea l’importanza e la estensione del problema applicando genericamente a tutte le attività lavorative nelle quali sussiste un rischi biologico le norme derivate dall’articolo 73 del DL 626/94.

E’ nostro obiettivo quindi, nei limiti del tempo per la trattazione e della complessità dell’argomento, di provare a fornire linee di inquadramento generale che possano essere presupposto per le successive approfondite e puntuali analisi dei singoli ambienti e condizioni di lavoro.

Proponiamo una suddivisione dell’argomento secondo un criterio che consideri:

IL RISCHIO BIOLOGICO NEL SETTORE DEGLI OPERATORI DEI SERVIZI

IL RISCHIO BIOLOGICO NELLE ATTIVITA’ LAVORATIVE IN AGRICOLTURA E NELLE FORESTE

IL RISCHIO BIOLOGICO NEL SETTORE INDUSTRIALE E DELLE ATTIVITA’

AUTONOME PROFESSIONALI E ARTIGIANE

Sono vigenti numerose norme specifiche sulla protezione da agenti biologici, alcune di queste fanno parte della storia del nostro Paese. Ancora il DRP n3/1956 inquadra quattro patogeni per i quali i lavoratori devono essere sottoposti a periodiche visite mediche

-Anchilostomiasi -Carbonchio e morva -Leptospirosi

-Tubercolosi, sifilide e altre malattie trasmissibili.

E’ altresì da lungo tempo (DML 18aprile.1973) obbligatoria la denuncia di malattie infettive e parassitarie di origine professionale

1) Elmintiasi, anchilostoma duodenale, anguillula dell’intestino

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2) Malattie tropicali come: malaria amebiasi, tripanosomiasi, dengue, febbre da pappataci, febbre maltese, febbre ricorrente, febbre gialla. peste. Leishmaniosi, pian, lebbra, tifo esantematico e altre malattie da rickettsie.

3) Malattie infettive e parassitarie trasmesse all’uomo da animali o resti di animali.

4) Malattie infettive del personale che si occupa di profilassi, cura assistenza a domicilio e ricerche.

Con l’attuale normativa dovrebbero essere meglio delineate le problematiche relative agli esposti deliberatamente o accidentalmente e meglio tracciate le linee guida per intervenire a favore dei lavoratori senza alterare il processo produttivo..

Osserveremo di seguito se una tale netta divisione può essere seguita in infettivologia.

RISCHIO BIOLOGICO NEL SETTORE INDUSTRIALE E DELLE ATTIVITA’ AUTONOME PROFESSIONALI E ARTIGIANE

In questo settore è teoricamente netta la distinzione fra uso deliberato ed esposizione potenziale

INDUSTRIE CHE IMPIEGANO BIOTECNOLOGIE NEL CICLO PRODUTTIVO Processi biotecnologici tradizionali

Processi biotecnologici avanzati settore agroalimentare Agricolo Chimico Energetico Minerario

Farmaceutico Bellico

In tutti questi casi si tratta di condizioni produttive che comportano l’uso deliberato di determinati agenti biologici

Contro l’eventuale contagio dovrebbero essere messi in atto quegli accorgimenti di carattere preventivo che la legge illustra fin troppo dettagliatamente nell’ALLEGATO XII e integrazioni alla 626.

Il problema sta nella reale e completa valutazione del rischio e, in particolare per quelle industrie che mantengono il segreto industriale, nella realistica possibilità di accedere alle informazioni.

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PROCESSI PRODUTTIVI E ATTIVITA’ CHE IMPLICANO UNA ESPOSIZIONE A PATOGENI ALTRO CHE QUELLI DI COMUNITA’

Si tratta di eventi che coinvolgono numerose aziende ed attività .

Un particolare accento si intende porre su due settori particolarmente esposti ATTIVITA’ CHE IMPLICANO TRASFERIMENTO IN AREE TROPICALI

OPERATORI DELL’INDUSTRIA DEI TRASPORTI- SETTORI AEROPORTUALI

In entrambi i casi gli operatori sono a rischio, seppure in misura differente, di esposizione a patogeni non presenti alle nostre latitudini.

Nel primo caso si tratta di operatori che per vari motivi si recano all’estero saltuariamente o per lunghi periodi. I principali agenti patogeni cui possono essere esposti quali malaria, febbre gialla e colera sono oggetto del Regolamento Sanitario Internazionali . Gli uffici di sanità notificano altresì numerose altre infezioni e infestazioni a rischio.

Resta insoluto un problema : le aziende non sempre sono esaustive, almeno nella nostra esperienza, nell’informare dei rischi e troppo sovente lasciano che l’informazione sia analoga a quella ricevuta dai turisti da parte della agenzie di viaggio o, al meglio, da parte di uffici di sanità pubblica.

Il rischio biologico negli operatori del settore dei servizi Il rischio negli operatori sanitari.

Gli ospedali e gli ambulatori medici sono ambienti favorevoli alla trasmissione delle malattie infettive per lo stretto contatto tra individui infetti e suscettibili all’infezione.

Tra questi ultimi sono da annoverare gli operatori sanitari (OS).Ambienti a particolare rischio sono i reparti di malattie infettive, di pediatria, di chirurgia, i laboratori analisi ed i laboratori di ricerca. Tuttavia l’ambiente con il maggior numero di pazienti infetti non sempre è quello a massimo rischio, poiché vi si crea una maggiore coscienza del medesimo, e quindi una maggiore attenzione alla prevenzione.

La massima preoccupazione è legata al rischio di trasmissione di patogeni ad origine ematica. Si tratterà qui prevalentemente dell’infezione da HIV, dal momento che le infezioni epatiche verranno trattate in altra sede. Altri patogeni a trasmissibilità ematica sono la malaria e la lue, ma non sono disponibili dati epiedmiologici relativi al rischio concreto che il contagio si verifichi.

Infezione da HIV.

Gli operatori sanitari costituiscono negli Stati Uniti il 4,8% circa dei pazienti con infezione da HIV, ed una percentuale molto simile della forza lavoro. Naturalmente

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molti di essi appartengono anche ad un’altra delle categorie a rischio, seppure il 6%

di essi non ha fattore di rischio noto (rispetto al 3% nella popolazione generale dei pazienti HIV. E’ quindi necessario porre molta attenzione nella distinzione tra fattori occupazionali ed altri fattori.

Valutazione del rischio occupazionale.

Il rischio occupazionale è legato alla possibilità di contatto con sangue infetto, tramite puntura o taglio, o irrorazione delle mucose o della cute lesa. Il rischio di sieroconversione è stato stimato in sieroconversioni per incidente a rischio (con paziente infetto)e valutato rispettivamente nel 0,23% (5/2176 nello Studio Italiano SIROH- Ippolito 1997) , 0,47% (3/860 studio CDC USA, Marcus), 0,47 (1/215 Gerberding 1994).

Il rischio da esposizione percutanea è stato stimato dal primo studio citato in 0,17%

in caso di esposizione percutanea (0,18% con ago cavo, 0,27% con tagliente), 0,49 per contaminazione mucosa, 0% per esposizione di cute lesa. (Ippolito 1997).

La tabella 1 riporta la differenza di rischio a seconda delle caratteristiche della manovra, rilevata dallo studio caso controllo su 33 casi di contagio e 679 controlli non contagiati eseguito dai CDC nel 1995.

Tabella 1

Fattore di rischio Odds Ratio P

Lesione profonda 14,3 <0.001

Sangue visibile sul presidio 6,1 0.001

Ago posto in vena/arteria 4,3 0.003

Procedura d’emergenza 5,6 0.012

Paziente fonte terminale 5,6 0.001

Profilassi post-esposizione (AZT)

0,19 0.003

In letteratura sono stati descritti (al settembre 1997) 94 casi di infezione certa in operatori sanitari (sieroconversione dopo incidente o conferma biomolecolare del ceppo), e 170 probabili (storia di esposizione e assenza di altri fattori di rischio) (Ippolito 1999). La categoria più colpita è stata quella degli infermieri (fig. 1).La distribuzione corrisponde a quella osservata dallo studio SIROH sugli incidenti osservati in Italia (con o senza sieroconversione, su oltre 10.000 incidenti segnalati) (Fig. 2).

La modalità di esposizione nelle infezioni certe è in massima parte percutanea (90.4%), talora mucosa (8.5%) o percutanea e mucosa (2.1%). Le esposizioni riportate dallo Studio SIROH comprendono inoltre un alto numero di esposizioni di cute lesa (19% dei casi), eventi che non paiono ad alto rischio. Tra i dispositivi utilizzati paiono più pericolosi i mandrini delle agocannule (15,7 incidenti/105 presidi utilizzati) e gli aghi a farfalle (10,1/105)

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Rispetto ai dispositivi di prelievo a vuoto(4,3/105) e le siringhe (3,8/105).

Secondo l’agenzia governativa statunitense OSHA il 37% degli incidenti sarebbe evitabile utilizzando gli standard di prevenzione: infatti il 17% avviene reincappucciando gli aghi, il 14% eliminandoli in sede o modo improprio, il 6%

contaminando ferite scoperte.

Il rischio di esposizione è stato correlato al numero di giorni di assistenza per paziente HIV positivo, ed è stato calcolato in 1,9 incidenti/1000 giorni paziente (Wormser). Questo dato, correlato al numero di sieroconversioni, ha permesso di calcolare che il rischio di infezione è di 1,5-2,5% per 2500 giorni-paziente (1 anno di assistenza a 10 pazienti) e 40-45% per 80.000 giorni-paziente (35 anni di assistenza a 10 pazienti) (OSHA).

Il rischio degli operatori dei laboratori di ricerca o produzione, a contatto con virus HIV concentrato, e quindi esposti ad incidenti definiti “ad alto rischio” è stato invece stimato in 0,48/100 anni persona, o 15% in 35 anni. Anche in questo caso è stata evidenziata una incompleta aderenza agli standard di prevenzione.

La prevenzione.

Nella tabella 2 sono riportate le misure per la gestione delle esposizioni professionali ad HIV (Ippolito 1998). Un particolare accento deve essere posto sulla prevenzione pre-esposizione. Uno studio italiano sulla efficacia della formazione (Schifano 1997) ha dimostrato che i corsi specifici migliorano le conoscenze degli operatori, ma queste decadono con il tempo, ed è necessario calibrarli maggiormente sulle caratteristiche degli operatori e prevedere fasi di aggiornamento. Inoltre il corretto uso delle misure di protezione individuale è in grado di ridurre significativamente il rischio di infezione. E’ da ricordare come l’evento sieroconversione in ambito occupazionale sia un fenomeno “tutto o nulla”, non dipendente dalle esposizioni cumulative, ed ogni esposizione è associata ad un rischio unico: di conseguenza il miglior modo per ridurre il rischio è ridurre il numero di esposizioni.

Tabella 2

Pre-esposizione

Identificazione del Servizio di Protezione e Prevenzione per il Personale Informazione e formazione degli operatori

Disponibilità di prodotti farmaceutici e di presidi di prevenzione e protezione Protocollo di gestione

Post-esposizione

Misure immediate al momento dell’incidente Raccolta di informazioni relative al paziente fonte

Segnalazione al Servizio di Protezione e Prevenzione per il Personale Stima del rischio specifico e counselling dell’esposto

Valutazione dell’opportunità della profilassi post-esposizione ed altre misure Pianificazione dei controlli

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Il razionale della chemioprofilassi post-esposizione (PPE) risiede nella possibilità che l’entrata del virus nelle cellule bersaglio e la sua successiva diffusione sia prevenuta dall’uso di farmaci antivirali, insieme alla risposta immunitaria. Il fatto che questo avvenga in tempi molto rapidi pone l’indicazione ad iniziare la profilassi entro le prime 4 ore dall’esposizione. Non esistono prove certe dell’efficacia della PPE, ma numerosi studi in vitro e sugli animali hanno dimostrato una capacità dell’AZT di prevenire l’infezione delle cellule dendritiche della cute e delle mucose da parte dell’HIV. Ulteriori prove indirette provengono da studi di inibizione dell’infezione in animali, dagli studi sulla prevenzione della trasmissione verticale.

In seguito a questi la PPE con AZT è stata introdotta nel 1990, e lo studio caso- controllo precedentemente citato ha dimostrato un rischio di sieroconversione minore negli OS trattati con AZT (Odds ratio = 0,19). Sono tuttavia almeno 17 i casi di inefficacia documentati in letteratura. Il momento di inizio della chemioprofilassi è molto spesso ritardato rispetto a quanto prescritto, e questo potrebbe essere un elemento cruciale nella inefficacia.

Il trattamento non è stato complessivamente ben tollerato dagli OS, con una frequenza di effetti indesiderati del 49% (Ippolito 1997), ed una interruzione prima del termine nel 54,6% dei casi complessivamente (1/3 dei quali per effetti indesiderati.

In seguito all’introduzione di numerosi farmaci antivirali e della documentazione della loro efficacia nel trattamento dei pazienti HIV positivi, e sulla scorta dell’esperienza fatta nel campo della PPE, le linee guida internazionali ed italiane sono state aggiornate nel 1996. Le principali elementi sono (Ministero della Sanità – Commissione Nazionale AIDS, 1996):

- viene introdotta la suddivisione in esposizioni “a rischio” e “ad alto rischio”

(presenza di almeno due fattori che aumentano il rischio di infezione, o presenza di HIV concentrato), e vengono consigliati 2 farmaci nel primo caso e 3 farmaci nel secondo.

- Se il paziente ha stato sierologico non noto o negativo, la PPE è proposta valutando il singolo caso, in caso di paziente fonte ad alto rischio (tossicodipendente, partner di sieropositivo, ecc.)

- Controindicazione in gravidanza, ipersensibilità, esposizione passata da 24 ore.

- Adeguato counselling e consenso informato scritto da parte dell’operatore.

- Deve iniziare entro 4 ore, e durare 4 settimane

- La scelta dei farmaci deve comprendere preferibilmente l’AZT, essere guidata da evidenze dirette o indirette di resistenza nel paziente fonte, il terzo farmaco deve essere un inibitore della proteasi.

- Sono previsti controlli sierologici a 0, 6, 12, 24 settimane.

Anche questo tipo di chemioprofilassi presenta un basso gradi di tollerabilità, e viene sospesa prima del tempo nel 30-70% dei casi. Gli stessi dati ufficiali forniti dai CDC riportano un sospensione pretermine nel 56% dei casi, anche se in buona parte conseguente alla riconosciuta sieronegatività del paziente fonte (Wang 1998). Non

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sono ancora disponibili dati sulla efficacia della chemioprofilassi combinata, ma non sono riportati a tutt’oggi casi di fallimento.

Altre infezioni.

Numerose altre infezioni sono frequenti in pazienti ospedalizzati e pongono gli operatori a maggiore rischio, seppure questo sia tutt’altro che trascurabile anche in momenti diversi da quello occupazionale. Si tratta infatti per lo più di infezioni cosmopolite e diffuse ampiamente tra la popolazione, in generale trasmissibili per via respiratoria.

Tra queste infezioni per le quali sono a massimo rischio gli OS dei reparti pediatrici o di malattie infettive, si segnalano il morbillo, la parotite, la rosolia, la varicella, l’influenza, la pertosse, l’infezione da Parvovirus B29, la malattia meningococcica, la malattia da Cytomegalovirus.

Alcune di esse rivestono particolare delicatezza potendo causare danni fetali, per cui cautele particolari dovranno essere riservate alle operatrici in età fertile (rosolia, varicella, malattia da CMV)

In questi casi la prevenzione delle infezioni occupazionali passa attraverso la valutazione dell’immunità dell’OS, la vaccinazione se possibile,, la valutazione dell’importanza dell’esposizione, il trattamento preventivo post-esposizione, la diagnosi ed il trattamento quando l’infezione sia stabilita. Le caratteristiche dei vari passaggi sono riepilogate nella tabella 3.

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Tabella 3

Garantire immunità Prevenire trasmissio ne

Valutare e trattare OS esposti

Valutare e trattare OS affetti

Infezione Valutazion e

immunità

Vaccino Precauzio ni

isolamento

Valutazione esposizione

Trattamen to

Post- esposizion e

Misure OS affetti

Morbillo vaccinazio ne,

clinica, sierologia

95%

protezio ne

respiratorio Aria

5 gg.pre - 4 post-rash

Vaccino entro 72h o Ig entro 6 gg

Allontanamento

Parotite vaccinazio ne,

clinica, sierologia

95%

protezio ne

respiratorio Aria <90cm 0-9 gg dopo gonfiore parotidi

No Allontanamento

Rosolia vaccinazio ne,

clinica, sierologia

>90%

protezio ne

respiratorio Aria <90cm 3 gg pre – 5 post-rash

No Allontanamento

Varicella vaccinazio ne,

clinica/ana mnesi, sierologia

99%

protezio ne

Respiratori o, contatto

Aria

2gg pre- termine del rash

Ig gravide o

immunoco mpromessi

<96h

Allontanamento acyclovir

Influenza >90%

protezio ne

respiratorio Aria

Fase clinica

< 5 min.

Allontanamento, inibitori

neuraminidasi Pertosse vaccinazio

ne, clinica, sierologia

>90%

protezio ne

respiratorio Aria

Fase clinica

< 5 min.

Eritromicin a 500 X 4 per 14 gg

Allontanamento 5 giorni di terapia

Parvovirus B19

Aria No

Meningococco respiratorio Aria <90cm Fase clinica, antibiotico

<24h

Rifampicin a 600 X2 per 2 gg

H.simplex contatto No No

immuncomprom essi

Cytomegalovir us

sierologia respiratorio aria No

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Il rischio negli operatori ecologici.

Gli operatori ecologici comprendono diversi gruppi di lavoratori che hanno in comune il contatto con rifiuti ma sono del tutto disomogenei per quanto riguarda le mansioni ed i conseguenti rischi. Il contatto con agenti biologici è prevalentemente legato a germi o parti di essi contenuti in aerosol che si possono generare nei vari ambienti di trattamento o smaltimento dei rifiuti, ed è praticamente infinito il numero di germi che possono entrare nella composizione di questi aerosol. Un discorso a parte riguarda invece gli addetti alla raccolta ed allo smaltimento dei rifiuti ospedalieri, che li pone a contatto con possibili rischi legati a patogeni a trasmissione ematica, in parte assimilabili a quelli degli operatori sanitari.

La stima del rischio può essere in questi casi valutata tramite monitoraggio ambientale (valutazione qualitativa e quantitativa dei microrganismi aerodispersi e della contaminazione delle superfici – Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome: Linee guida per l’applicazione del D.Lgs.626/94), ma ciò è possibile in caso di esposizione ad ambienti e materiali stabili, e comunque la patogenicità di questi agenti risente anche di altri fattori, quali il ceppo di microrganismo, il tipo di esposizione, le condizioni al momento del contatto, le condizioni immunitarie dell’operatore. Per questo motivo risulta difficile stabilire dei limiti massimi di esposizione, che pure sono stati proposti da alcuni Autori, in quanto livelli in grado di determinare sintomi nell’uomo (tab. 4) (Rylander 1987).

Tabella 4

Agente Livelli tollerabili

Batteri Gram negativi 103 CFU/m3 Endotossine batteriche 20 ng/m3

Spore fungine 106/m3

Polveri organiche totali 3 mg/m3

Più spesso la valutazione del rischio si potrà basare su indagini epidemiologiche o su indicazioni dalla letteratura.

Addetti al trattamento dei liquami ed alle fognature.

Una maggiore frequenza di titoli anticorpali significativi è stata segnalata in operatori addetti alle fognature per quanto riguarda germi quali HAV, virus ECHO, polio, coxsackie, reovirus, adenovirus, parainfluenza 1 e influenza-A (Volterra 1997). E’

stata inoltre evidenziata una maggiore frequenza di sintomi gastrointestinali, enterite, dolori addominali e cefalea rispetto a gruppi di lavoratori di controllo (Khuder 1998), ed anche parassiti intestinali quali giardia ed ameba sono stati isolati frequentemente.

Nel 1976 Rylander ha descritto una sindrome con febbre, brividi, congiuntivite, determinata da inalazione di endotossine da Gram negativi e definita “Sewage

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workers’ syndrome”. Inoltre casi aneddotici di infezioni in individui immunodepressi o debilitati sono stati segnalati.

Addetti al trattamento dei rifiuti solidi.

In questi casi il rischio è legato alla inalazione di aerosol generati durante le varie fasi dello smaltimento e trattamento de rifiuti. E’ stato in effetti dimostrato a una aumentata incidenza di affezioni gastroenteriche e respiratorie e di fenomeni allergici (Poulsen 1995). Tra i microrganismi chiamati in causa si annoverano in particolare miceti (aspergillus e penicillium).

Una notevole preoccupazione è riservata alla possibilità di puntura accidentale con aghi da siringa, che possono essere portatori di patogeni ad origine ematica (HIV, HBV, HCV). In realtà sia HIV che HCV sono virus a scarsa possibilità di sopravvivenza nell’ambiente ed all’essiccamento, per cui il rischio è da considerarsi limitato. I dati sul follow up di oltre 800 punture accidentali, in discreta parte in operatori ecologici, osservate presso l’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino, non hanno dimostrato alcuna sieroconversione, né infezioni con questa origine sono dimostrate in letteratura. Non sono state osservate neppure malattie da HBV in seguito a puntura accidentale, ma a tutti è stata proposta l’iniezione di immunoglubuline specifiche e la vaccinazione: in effetti tutti i casi di infezione riportati in letteratura sono in epoca precedente alla disponibilità della vaccinazione.

Addetti al compostaggio.

Il rischio per gli addetti al compostaggio è legato alla dispersione area di particelle organiche che contengono microrganismi e sostanze tossiche. In effetti sono stati descritti con discreta frequenza sintomi che sono stati attribuiti al contatto con endotossine da Gram negativi (cefalea, congiuntivite, sintomi gastroenterici e respiratori) (Deportes 1995). Anche infezioni cutanee, affezioni delle vie respiratorie quali alveolite allegica da Aspergillus fumigatus (Giubileo 1998) ed infezioni da actinomiceti hanno dimostrato una frequenza rilevante. Una maggiore frequenza di disturbi in questi operatori è stata associata alla presenza di scarsa igiene ambientale e inquinamento macroscopicamente evidente.

Prevenzione.

La prevenzione del rischio biologico è dettagliatamente indicata dagli articoli 79-88 del D.Lgs. 626/94 e dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 242/96. Oltre alle misure generali di prevenzione, alle misure di igiene personale, ai dispositivi di protezione individuale, ed al costante monitoraggio ambientale, alcune indicazioni vaccinali devono essere tenute presente:

- La vaccinazione antitetanica è un obbligo di legge per gli operatori dei servizi di raccolta rifiuto dal 1963.

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- La vaccinazione antiepatite B è offerta gratuitamente agli operatori ecologici dalla sua introduzione in Italia

- La vaccinazione antiepatite A è consigliata dalle linee guida dell’Istituto Superiore di sanità

- La vaccinazione antitifica è considerata opportuna per gli operatori dei liquami fognari.

Smaltimento dei rifiuti speciali di origine sanitaria.

Gli operatori addetti allo smaltimento dei rifiuti di origine sanitaria (ospedalieri e non) meritano un discorso a parte, poiché possono venire a contatto con germi ospedalieri, ed il loro rischio è in parte assimilabile a quello degli operatori sanitari.

Il maggior rischio potenziale è legato al contatto con colture concentrate di patogeni o con oggetti acuminati o taglienti. Tuttavia anche altri germi possono infettare l’operatore tramite la produzione di aerosol, o l’inavvertita ingestione di particelle dopo la manipolazione dei rifiuti o dei loro contenitori..

Non ci sono state tuttavia documentati casi di trasmissione di HIV tramite questa via.

Uno studio statunitense ha stimato che ci si può aspettare meno di un caso l’anno per questa via negli U.S.A. (so 200.000 lavoratori). Nonostante l’HBV sia molto più resistente nell’ambiente esterno, anche una infezione dovuta a questo virus è considerata dall’Agenzia per le sostanze tossiche ed il registro delle malattie del servizio sanitario pubblico americano, una remota possibilità. Possibilità che può ancora essere ridotta dalla corretta istruzione del personale, dall’uso dei sistemi di protezione, dall’igiene personale e dalle immunizzazioni disponibili; la minora attenzione a questi sistemi fa sì che il rischio sia maggiore al di fuori dell’ambiente ospedaliero.

Il rischio negli operatori a contatto con animali.

Il contatto occupazionale con animali è prevalentemente legato al settore produttivo dell’allevamento, ed in quella sede viene trattato in modo specifico. Tuttavia anche il settore terziario prevede occupazione di operatori (veterinari, tecnici, personale di laboratorio) che vengono a contatto con animali domestici, selvatici, d’allevamento, di laboratorio e per cui si configura il rischio di infezioni specifiche. Questo si può verificare sia nell’ambito della professione privata che nel lavoro dipendente. Il rischio è rappresentato molto spesso da fenomeni allergici, ma anche le infezioni possono rappresentare un importante problema. Il grande numero di zoonosi trasmissibili all’uomo fa sì che questo rischio sia quanto mai variegato e che abbia carattere specifico in relazione al tipo di animali ed al tipo di contatto. La tabella 5 ne dà un esempio, necessariamente limitato e non esaustivo.

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Tabella 5

Contatto con animali vivi infetti Veterinari

Cacciatori Guardiacaccia

Contatto con animali selvatici infetti

Rabbia, brucellosi, tularemia, peste, febbre Q, leptospirosi, f. emorragiche da Arenavirus, Hantavirus, tetamo.

Ricercatori Veterinari

Lavoratori con animali da laboratorio

Contatto con animali domestici infetti

Antrace, malattia da graffio di gatto, toxoplasmosi, Pasteurellosi, rabbia, brucellosi, tularemia, peste, febbre Q, leptospirosi, salmonellosi, tetano.

Ricercatori Veterinari

Lavoratori con animali da laboratorio

Contatto con pollame o uccelli infetti

Psittacosi, ornitosi, malattia di Newcastle.

Ricercatori Veterinari

Lavoratori con animali da laboratorio

Contatto con roditori da laboratorio infetti

Febbre da morso di topo, infezione da Hantavirus

Ricercatori Veterinari

Lavoratori con animali da laboratorio

Contatto con primati infetti Infezione da virus B

Contatto con prodotti animali contaminati Ricercatori

Veterinari

Lavoratori con animali da laboratorio

Cacciatori

Contatto con carcasse animali o placenta

Brucellosi, tularemia, peste, febbre Q, leptospirosi, antrace, f.

emorragiche Valle del Rift e Congo- Crimea, Psittacosi, malattia di Newcastle

Punture da insetti (pidocchi e zecche) Guardie forestali

Cacciatori

Lavoro in aree infestate Malattia di Lyme, febbre delle Montagne Rocciose o del Colorado, tularemia, febbre ricorrente, babesiosi, encefalite virale, encefalite da zecche, tifo murino

Naturalmente il rischio per la maggior parte di queste infezioni è molto basso, e in alcuni casi limitato a particolari aree geografiche, ma infezioni quali la brucellosi, la toxoplasmosi o la malattia di Lyme possono rappresentare un problema anche in questo Paese. Le zoonosi possono arrivare in alcune categorie di veterinari a costituire il 30% e oltre degli operatori (Hill 1998), ed anche malattie considerate rare, come la Bartonellosi (malattia da graffio di gatto) hanno dimostrato alta frequenza di sierologia positiva e frequenza ancora maggiore di storia clinica nei veterinari (Noah 1997).

I lavoratori delle foreste in Europa centrale hanno dimostrato una alta prevalenza di anticorpi per Borreliosi di Lyme, Febbre emorragica con sintomi renali e coriomeningite linfociaria (Moll van Charante 1998).

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Brucellosi.

L’incidenza della brucellosi nella popolazione animale è nettamente ridotta da quando il bestiame è controllato ed enfasi è stata posta sull’utilità della eradicazione, ma foci sporadici si presentano ancora di tanto in tanto. Il vaccino non è più disponibile da tempo, per cui grande attenzione deve essere posta nel controllo degli animali, e nell’uso dei sistemi di protezione individuale, in particolare nella manipolazione delle placente dopo aborto.

Toxoplasmosi.

La toxoplasmosi è una infezione ampiamente diffusa nella popolazione, e raramente rappresenta un problema clinico serio, se non in caso di gravidanza o in operatori immunodepressi.. La sierologia deve essere utilizzata per proteggere dal contatto con la malattia le operatrici gravide che non siano immuni. Misure di igiene e protezione individuale devono essere utilizzate nel contatto con gatti e loro carni e deiezioni..

Altre infezioni.

La listeriosi è relativamente rara, ma è acquisita per motivi occupazionali in una gran parte di casi. Data la possibile elevata gravità nelle forme trascurate, le lesioni cutanee negli esposti dovrebbero essere esaminate dal punto di vista microbiologico.

Alcuni germi si possono comportare da opportunisti Criptosporidiosi, toxoplasmosi) e particolare attenzione deve essere posta ai lavoratori immunodepressi.

L’immunizzazione attiva degli operatori è disponibile per infezioni quali la tubercolosi, l’encefalite da zecche, la rabbia ed il tetano, mentre l’immunizzazione degli animali può ridurre il rischio per rabbia e leptospirosi (Ralovich 1997)

Il rischio nelle prostitute.

L’illegalità della prostituzione ed i fenomeni legati a questa hanno finora impedito alla comunità scientifica, in particolare nel nostro Paese, di vedere il rischio della salute in questo campo come un fattore occupazionale. E’ possibile che in futuro questa visione venga a cambiare, e d’altronde sono numerosi studi eseguiti in tutto il mondo hanno valutato l’entità e le caratteristiche del rischio infettivo nelle prostitute:

Il fenomeno è stato esaminato in varie situazioni, e con particolare riferimento al rischio di infezione da HIV ed alla protezione mediante uso di profilattici. Anche in questo caso altro fattori di rischio quali l’uso di stupefacenti per via endovenosa possono confondere il dato epidemiologico, o in alcuni casi costituire fattori di aumento del rischio di contagio per via sessuale (fumo di sigaretta o di crack)

Uno studio eseguito sulle prostitute nella citò di Londra ha valutato i dati di prevalenza delle infezioni sessualmente trasmesse (MST) come è osservabile nella tabella 6. (Ward 1999).

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Tabella 6

infezione Prevalenza iniziale % Incidenza per 100 anni persona

HIV 1.3 0.2

Epatite C 6.7 0.3

Epatite B 6.6

Sifilide 2.3 HTLV-I/II 0.4

Gonorrea 3.0 5.6

Clamidia 8.2 12.6

Herpes genitale 16.8 6.5

L’elevata frequenza dell’uso di profilattici è responsabile della bassa incidenza di infezioni nel periodo di follow-up, mentre permane un elevato rischio di infezioni legato ai rapporti non protetti con partners personali. Tuttavia alcuni lavori suggeriscono un aumento di infezioni luetiche tra le prostitute (Steegmans 1999)

Una incidenza simile di MST è stata riportata in prostitute di Glasgow (2 episodi in un periodo medio di 7,5 anni) (Churchill 1996) e a Dublino (prevalenza MST = 25%, HIV = 2,5%, HBV = 5%, HCV = 8% (McDonnell 1998).

E’ necessario tenere presente che prostitute che frequentano ambulatori a tipo “drop in”, possono non essere un campione indicativo della popolazione

Per quanto riguarda l’infezione da HIV, prevalenze molto più alte sono state osservate in prostitute di New York, comprese le non-tossicodipendenti (16,3%),senza variazioni importanti in relazione al tipo di rapporti riferiti. Questo fatto è in buona parte legate al ridotto uso di profilattici sia con i clienti (73,3%) che con i partners personali (28,2%). L’uso di profilattici dimostra un progressivo aumento nel tempo in tutti gli studi eseguiti, probabilmente sulla scorta della diffusione delle informazioni sanitarie in seguito all’epidemia AIDS.

La valutazione della mortalità nel periodo studiato sulla coorte londinese ha dimostrato valori di 5,9/1000 anni persona, dovuta a AIDS e omicidi, molto più alta rispetto alle donne di pari età. (Ward 1999)

Figura 1

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infermieri 52%

laborat orist i 21%

medic i 10%

c hirurghi 1%

ausiliari 4%

t ec nic i 3%

alt ri 9%

Figura 2

infermieri 66%

laborat orist i 4%

medic i 9%

c hirurghi 9%

ausiliari 5%0%

alt ri 7%

RISCHIO BIOLOGICO NELLE ATTIVITA’ LAVORATIVE IN AGRICOLTURA E NELLE FORESTE

I lavoratori dell’Agricoltura hanno un aumentato rischio di contrarre alcune malattie infettive correlate all'attività lavorativa, zoonosi in particolare, poiché vengono regolarmente a contatto con animali, domestici e d’allevamento, e con il loro

“ambiente”, possibili sorgenti di infezione. Altrettanto a rischio di infezione di origine animale, sono alcuni lavoratori quali i veterinari, i lavoratori delle foreste (boscaioli, guardie forestali, ecc...) ed ogni altro lavoratore che, per motivi occupazionali, venga ad esercitare la propria attività lavorativa in ambienti dove sono regolarmente presenti animali, domestici e/o selvatici.

Per alcune di queste malattie gli animali appaiono per altro “sani” quando sono potenzialmente in grado di infettare l’uomo. Alcune zoonosi sono drasticamente diminuite nel corso degli anni, soprattutto quelle ad andamento cronico (per lo meno nelle nazioni sviluppate), tipico esempio è la tubercolosi bovina.

Altre zoonosi sono probabilmente abbastanza frequenti, ma raramente diagnosticate correttamente. Ne deriva che la mancata identificazione di alcune malattie da parte

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del medico, l’inadeguato supporto diagnostico e il non ottimale funzionamento del sistema informativo delle malattie infettive rendono minime, e sottostimate, le segnalazioni delle zoonosi e quindi anche le zoonosi occupazionali.

Molte persone ritengono comunemente che il lavoro in campagna significhi vivere in ambiente salubre. Tuttavia i contadini e gli allevatori sono esposti spesso ad aria per nulla pulita e talvolta ad aria potenzialmente letale. A questo proposito si ricordano la polmonite del contadino (farmer's lung) e la mycotossicosi polmonare. Patologie polmonari simili, associate a diverse occupazioni agricole sono chiamate Bird Fanciers' Lung, Wood Pulp Workers' Disease e Toxic Organic Dust Syndrome (TODS).

La polmonite del contadino è caratterizzata da alveolite allergica determinata dall'inalazione di spore di actinomiceti termofili, presenti soprattutto nei silos per lo stoccaggio di fieno e granaglie. Interessa 1-5% dei contadini del Regno Unito. La sintomatologia inizia 4-8 h dopo l'esposizione ed è caratterizzata da febbre con brividi, malessere generale, tosse e dispnea. Se persiste l'esposizione alle spore solitamente si verificano delle recidive di questa manifestazione clinica, con evoluzione in insufficienza respiratoria cronica.

La mycotossicosi polmonare può essere considerata una forma atipica di polmonite del contadino causata dalla massiva esposizione a foraggio specie se conservato in silos. Solitamente è caratterizzata dalla presenza di infiltrati polmonari accompagnati da febbre, con brivido, e tosse che insorgono dopo poche ore dall'esposizione. Al contrario della polmonite del contadino, la mycotossicosi polmonare tende a non ripetersi e a non dare danno polmonare permanente.

Il rischio di queste patologie è aumentato inoltre dalla scarsa conoscenza di queste manifestazioni cliniche, che spesso non vengono correttamente diagnosticate fino a quando i sintomi non diventano gravi e costanti.

Nella tabella I sono classificate alcune infezioni occupazionali in base al rischio lavorativo legato alla mansione ed alla “modalità” di contatto con l’agente infettivo.

Questa tabella, che non ha la pretesa di essere esaustiva, riporta le zoonosi che sono riconosciute come associate ad alcune attività lavorative. Vengono riportate anche patologie rare alle nostre latitudini ed alcune “assenti” da qualche decennio (come la rabbia), ma che potenzialmente possono interessare agricoltori, allevatori, pastori, guardie forestali e veterinari. Non sono state invece prese in considerazione infezioni professionali che per caratteristiche epidemiologiche sono assenti nelle nostre Regioni.

Rimandando la descrizione clinica di ogni singola malattia ai trattati di Infettivologia e di Medicina Interna, si sottolineano qui di seguito, quando disponibili, le misure profilattiche per la prevenzione di queste malattie professionali.

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OCCUPAZIONE Modalità di contatto MALATTIE Contadini

allevatori

guardie forestali veterinari

contatto con animali infetti selvatici

brucellosi rabbia tularemia leptospirosi

Contadini allevatori pastori veterinari

contatto con animali infetti domestici

brucellosi

cat scratch disease tbc

echinococcosi tularemia febbre Q leptospirosi cryptosporidiosi psittacosi

malattia di Newcastle antrace

rabbia Contadini

pastori

guardie forestali boscaioli

attività lavorativa in area infestata da zecche

malattia di Lyme T.B.E.

Tabella I: classificazione di alcune infezioni occupazionali in base alla mansione ed alla “modalità” di contatto con l’agente infettivo.

La prevenzione della brucellosi nell'uomo non può prescindere dall'adozione delle misure ritenute idonee ad eradicare il serbatoio di infezione. Prima tappa è lo screening delle mandrie e dei greggi con casi di brucellosi con conseguente eliminazione dei capi infetti. Secondariamente è stata suggerita la vaccinazione di tutti gli animali, a partire dalle femmine. Per le categorie professionali esposte alla brucellosi alcuni A.A. hanno considerato la possibilità della vaccinazione e in alcune nazioni la vaccinazione viene praticata sistematicamente ad alcune categorie di lavoratori, quali allevatori, pastori e veterinari. Sono disponibili sia vaccini con ceppi attenuati (non scevri da inconvenienti), sia vaccini con frazioni antigeniche estratte da B. melitensis (apparentemente più sicuri e dotati di discreta immunogenicità), che determinerebbero immunità per un periodo di due anni circa.

Anche per la profilassi della rabbia il primo fondamento consta nell'eliminazione degli animali infetti (non semplice da attuare quando si considerano gli animali selvatici) e nella vaccinazione dei cani e dei gatti. Anche se in Italia la rabbia umana è da considerarsi praticamente scomparsa da qualche decennio, potenzialmente il

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rischio di contrarre questa grave malattia, almeno in via teorica, esiste, in quanto volpi e roditori in alcune aree dell'arco alpino possono fungere da serbatoio della

"rabbia silvestre". E' disponibile un vaccino anche per l'immunizzazione nell'uomo.

La vaccinazione pre-esposizione richiede comunque la necessità di una dose di richiamo in caso di post-esposizione. La vaccinazione di base si effettua con 3 dosi somministrate ad intervalli di 7 e 28 giorni. Sempre nel caso di post-esposizione sono disponibili immunoglobuline iperimmuni con IgG derivate dal plasma di donatori sani sottoposti a vaccinazione contro la rabbia. La posologia raccomandata è di 20 U.I./Kg da somministrarsi il più presto possibile per via intramuscolare (il 50% per infiltrazione attorno alla ferita).

Per quanto riguarda la Tularemia è disponibile (non in Italia) un vaccino attenuato, scarsamente immunogeno e con necessità di richiami annuali, fornito dai CDC di Atlanta (U.S.A.) a chi può essere esposto per motivi professionali così come i boscaioli, le guardie forestali, ecc…

La prevenzione della Leptospirosi inizia dalla lotta ai roditori e dalla protezione con guanti e stivali di gomma dei lavoratori esposti al rischio di infezione. E' disponibile un vaccino inattivato la cui efficacia nell'uomo è tuttora controversa. Utile invece si è dimostrata la vaccinazione degli animali domestici che potenzialmente possono diventare serbatoio di infezione.

Sono descritte in letteratura inoltre alcune patologie dermatologiche professionali (Milker's node, dermatite pustolosa contagiosa, quest'ultima nota come ORF), causate da parapoxvirus, che interessano in modo specifico pastori ed allevatori: queste manifestazioni, perlopiù cutanee, tendono a risolversi spontaneamente in 4-6 settimane.

Per queste ultime ed altre zoonosi, se si eccettua la tbc, non sono disponibili vaccini o immunoprofilassi con immunoglobuline iperimmuni, e la prevenzione di queste malattie professionali dipende in larga parte dall'attuazione delle misure di igiene, di controllo degli animali (con eliminazione o cura degli animali infetti) e di protezione individuale.

Un discorso a parte meritano le malattie trasmesse dalle zecche. E' infatti accettato che, nell'ambito delle attività agricole e forestali, le zoonosi trasmesse dalle zecche vadano considerate rischi professionali connessi all'attività lavorativa. In Italia nell'arco alpino, ma sono state segnalate anche in altre Regioni, in particolare appenniniche, sono state descritte alcune malattie trasmesse da zecche: la borreliosi di Lyme e la Tick-Borne Encephalitis (T.B.E.). Vettore principale di queste zoonosi è in Italia, come nel resto d'Europa, una zecca del genere Ixodes (Ixodes ricinus).

Serbatoi di queste infezioni sono animali selvatici, caprioli e ungulati in genere, ma anche volpi e roditori. Teoricamente anche animali domestici possono fungere da serbatoio di replicazione.

La T.B.E. è un'infezione virale che interessa il SNC. Si manifesta più frequentemente nelle stagioni calde e l'agente causale è un virus ad RNA della famiglia delle Togaviridae, del gruppo dei Flavivirus. Fortunatamente nel 90% dei casi e oltre l'infezione è asintomatica o decorre come una sindrome simil influenzale. Nei casi

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con meningite o meningoencefalite la prognosi è di solito favorevole, ma è riportata una mortalità del 1-2%. In alcuni Paesi Europei vista la disponibilità di un vaccino inattivato, capace di determinare una buona risposta anticorpale specifica (tasso di protezione superiore al 98%), è stata proposta la vaccinazione dei soggetti esposti per motivi di lavoro. Il ciclo di vaccinazione si basa su 3 dosi in un anno, con richiami ogni 3 anni. Inoltre per casi di puntura di zecca in zona endemica per T.B.E. è consigliata, in soggetti non vaccinati, l'immunoprofilassi con immunoglobuline iperimmuni entro 4 giorni dalla puntura della zecca.

La malattia di Lyme, più diffusa della T.B.E., è causata da più specie di borrelia e nelle nostre Regioni sono stati identificati casi determinati da B. burgdorferi in sensu strictu, B. afzelii e B. garinii e probabilmente altre ancora verranno descritte in futuro. Sono allo studio, in fase di sperimentazione avanzata, diversi tipi di vaccino per prevenire la malattia di Lyme.

Si riferisce inoltre che, anche in alcune nazioni europee, vengono segnalate come patologie emergenti altre zoonosi trasmesse dalla puntura di zecche, quali la Babesiosi (agente causale un protozoo parassita endoeritrocitario) e l'Erlichiosi (causata da una rickettsia).

In assenza di profilassi vaccinale, la prevenzione delle zoonosi trasmissibili da zecche può avvenire con il contenimento della popolazione dei vettori (gravata da alti costi e in alcuni casi non accettabile sul piano ecologico) e sulla prevenzione personale, basata sul ricorso a stivali e pantaloni lunghi, sulla prassi di spruzzare sugli abiti degli operatori forestali acaricidi e repellenti, e sull'esame attento della propria cute e pronta rimozione delle zecche eventualmente presenti. In ultimo può essere raccomandato nelle aree infestate il trattamento degli animali domestici con acaro repellenti.

Per ultimo si ribadisce l'importanza di far rispettare l'obbligo della vaccinazione anti- tetanica, presidio efficace ed "efficiente" a prevenire una situazione morbosa grave come il tetano, rischio a cui sicuramente vengono esposti i lavoratori dell'agricoltura e delle foreste quotidianamente nella loro attività.

Non è da escludere inoltre che patologie legate a particolari condizioni ambientali, climatiche e vettori, con le modificazioni climatiche possano presentarsi anche alle nostre latitudini.

Bibliografia

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Riferimenti

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